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Anna Von Hausswolff @ Atlas

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• Anna Von Hausswolff •

 

Atlas (Aarhus) // 25 gennaio 2019

 

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È una notte fredda ad Aarhus, temperature sotto zero e aria da neve. È la prima volta che vado a vedere un concerto all’Atlas, un locale caldo e intimo con muri rossi e palco basso.

Ci sono un centinaio di persone sparse nel locale, chi seduto sulle gradinate ai lati della sala, chi si sta godendo una birra al lume delle candele sui barili-tavolini di fronte al palco.

L’allestimento del palco è essenziale, con chitarre, una batteria e aste per i microfoni che attendono che arrivi il gruppo di apertura — Of the wand & the Moon — per intrattenere il pubblico con il loro godibilissimo neofolk.

Dopo appena mezz’ora di set, il palco viene svuotato mentre il rumore di venti tempestosi si diffonde dalle casse; la gente vince la timidezza e va a riempire lo spazio di fronte al palco mentre tutti aspettiamo l’artista principale della serata, la musicista svedese Anna von Hausswolff.

Anna von Hausswolff è un folletto biondo con la fierezza di una divinità vichinga: può accarezzare le tue orecchie con la più delicata delle melodie e un secondo dopo orchestrare un feroce muro di suono con la sua tastiera e i suoi synth degno dei più brutali gruppi death metal.

Nonostante la scaletta sia di soli sette brani, encore incluso, trascina il suo pubblico in una dimensione temporale distorta, dove musica, melodie, rumori e suoni si fondono insieme per creare bellezza.

Dopo la potenza della sequenza iniziale con The truth, the glow, the fall, Pomperipossa e Ugly and Vegenful, Anna si sposta davanti alla sua torre di tastiere e con solo voce e armonica, tiene in pugno l’intero pubblico con Källans återuppståndelse.

L’atmosfera è blu, il momento magico, la sua voce così magnetica e ammaliante: si percepisce che ha il completo controllo degli astanti, il suo carisma riempie l’intera sala.

Ed ecco che in quel momento arriva, la canzone che stavo aspettando: The mysterious vanishing of Electra con le sue atmosfere cupe, i riff di chitarra opprimenti, ossessivi che soffocano l’ascoltatore in un crescendo di agonia fino al momento in cui non riesci più quasi a respirare.

Silenzio.

Ed è lì che arriva la furia che libera i nostri demoni interiori come una tempesta. Non mi vergogno di ammettere che avevo i brividi lungo la schiena.

Il concerto si conclude con Come wander with me/Deliverance e Gösta cantata tra il pubblico.

Il sipario cala sul palco ed è ora di uscire nella luce magica data dalla città coperta da una coltre bianca.

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Testo: Francesca Garattoni
Foto: Steffen Joergensen

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