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Tag: grunge

Altra Fedeltà

Nick Hornby, negli anni novanta, riuscì a raccontare le sue passioni usando strumenti non convenzionali: il suo essere incredibilmente british, con tutti i pro e contro che questo comporta, l’ammettere candidamente le proprie debolezze, manie, fobie, idiosincrasie e anzi, farne materia per libri. Ci univano già un paio di elementi: l’amore per l’Arsenal — in quegli anni il calcio inglese era ammantato da un’aura di follia e romanticismo, e i miei Gunners erano fisici, scarsi e picchiatori, perfettamente rappresentati da capitan Tony Adams, un uomo che ha vestito di biancorosso per tutta la vita, lanciando più palloni in tribuna che in campo, anche in riscaldamento… ma questa è un’altra storia! — e ci univa l’amore per la musica e il tentativo di navigare in quel mare magnum dandosi un’idea, anche falsa, di ordine, di possesso. Fu lui che introdusse nella mia vita l’orrida idea di stilare classifiche.

Era il 1995, avevo divorato, qualche anno prima, Febbre a 90′, e adesso avevo per le mani Alta Fedeltà. 

High Fidelity è da poco anche una serie TV, dicono più vicina al testo originale rispetto al film con John Cusack del 2000 e spero arrivi fino a noi, quanto prima.
Nel libro, il protagonista Rob Fleming stila classifiche di cinque posizioni su tutto lo scibile di cui ha avuto esperienza, nel tentativo di rimettere ordine nella sua vita.
Ecco. L’altra sera, mentre scrivevo della colonna sonora di Singles, mi sono trovato in difficoltà nella scelta della canzone da aggiungere in coda alle poche righe di accompagnamento. Quel disco ha almeno cinque tracce che sfiorano la sacralità.
Il pensiero è allora andato a quegli anni e a quelle colonne sonore e ho scoperto di avere anche io una classifica delle migliori colonne sonore dei film degli anni novanta, a insindacabile (seppur sempre opinabile) giudizio del sottoscritto.

Non mi scuso per omissioni o per esclusioni, questo è.

 

10. Natural Born Killers (Oliver Stone, 1994)

Nine Inch Nails su tutti, ma con incursioni anche degli attori: Tommy Lee Jones, Robert Downey Jr., Juliette Lewis, che ai tempi cantava davvero, con tanto di gruppo ed EP.
Colonna sonora schizofrenica, per un film che è un pugno nello stomaco, che è la quintessenza della spettacolarizzazione della violenza, fuori e dentro la pellicola. Il pezzo in cui Bombtrack dei RATM sale a far vibrare i nostri divani è l’inizio della fuga di Mickey dal carcere. Il pezzo parte subito dopo la Danza della fata confetto di Čajkovskij. Contrasti a pioggia, anche a gamba tesa, come il basso di Timothy Commerford che polverizza la fatina mentre Woody Harrelson inizia il massacro finale. 

 

 

 

9. Velvet Goldmine (Todd Haynes, 1998)

È la storia e la caduta di un’icona del glam rock e il film stesso è la celebrazione del mito di quegli anni, a partire dalla swinging London fino al crollo del personaggio/cantante. Ispiratissimo a quel Bowie di Ziggy Stardust, il titolo stesso è riferimento diretto a una canzone del Duca Bianco. Il film in sé non è pezzo da cineteca, ma suona dannatamente bene, sembra una festa di compleanno per celebrare un’epoca: venne creato un supergruppo per realizzare parte della colonna sonora, con membri degli Stooges, dei Sonic Youth, dei Gumball, dei Minutemen, dei Mudhoney. I Placebo reinterpretano 20th Century Boy dei T-Rex, mentre Thom Yorke da voce al gruppo Venus in Furs per celebrare i Roxy Music.
Insomma, Todd Haynes ci regala un finto biopic pochi anni prima del suo capolavoro Io non sono qui, dedicato a(i) Bob Dylan. 

 

 

 

8. Judgment Night (Stephen Hopkins, 1993)

La quota tamarra me la gioco all’ottavo posto. Il film pare un pretesto per avere una colonna sonora che è un monumento al cafone che vive in noi.
Accadde che a vari gruppi hip-hop vennero affiancate band metal/grunge/rock.
Erano anni di crossover volontario e sperimentale, ma qui tocchiamo vette altissime. Altro che ananas sulla pizza. Un paio di esempi: Sonic Youth conditi con Cypress Hill, Helmet e House of Pain, Faith No More avec Boo-Yaa T.R.I.B.E. Nacque quella notte il Nu Metal? Ai posteri l’ardua sentenza. 
Potente. Geniale. 

 

 

 

7. Io ballo da sola (Bernardo Bertolucci, 1996)

Qui c’è stata battaglia. Avevo un clamoroso Empire Records, uno scontato Reality Bites, alla fine vince l’underdog. Qui è la bellezza tra immagine e colonna sonora a portare a casa il settimo posto. Liv Tyler era da arrossire, la colonna sonora, molto femminile, portava nelle cuffie del mio walkman Hooverphonic, Hole, Portishead, Liz Phair.
Riti di passaggio. 

 

 

 

6. Romeo + Juliet (Baz Luhrmann, 1996)

Premi a pioggia per un’opera geniale di un regista che adoro. Colui che pochi anni dopo avrebbe dato vita a quel capolavoro che è Moulin Rouge! recupera qui il testo (quasi) originale di Mr. Shakespeare e lo aggiorna, o meglio, ci mostra come il bardo fosse un genio senza limiti di tempo o di luogo. Verona diventa Verona Beach e da lì in poi è puro spettacolo.
Radiohead, The Cardigans, Garbage, ma soprattutto un Mercuzio da applausi.

 

 

 

5. Trainspotting (Danny Boyle, 1996)

Altro giro, altro regista di livello altissimo, altra colonna sonora da record (mamma mia il 1996!).
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, nello stesso anno di Fargo dei Cohen e di Crash di Cronenberg, fu un immediato successo. Diamo per scontata la visione, è programma istituzionale.
Iggy Pop, New Order, Primal Scream, Blur, Lou Reed, e soprattutto quella Born Slippy degli Underworld che diventò una cosa sola con le immagini finali del film. Generazionale? Di sicuro è diventato un cult.
But, that’s gonna change – I’m going to change. This is the last of that sort of thing. Now I’m cleaning up and I’m moving on, going straight and choosing life”.

 

 

 

4. Singles (Cameron Crowe, 1992)

Un film che è una colonna sonora.  Un tributo a Seattle a e al suo sound, alla nascente scena grunge, a una generazione di musicisti che negli anni novanta hanno segnato un solco nella storia della musica.
I Pearl Jam e Chris Cornell recitano attivamente nel film, sono le spalle di Matt Dillon, aspirante cantante e moderno bohémien.
Nell’elenco degli artisti coinvolti troviamo anche Alice in Chains, Mother Love Bone, Mudhoney, Screaming Trees, The Smashing Pumpkins tra i più noti.
È un manifesto, impossibile escluderlo, anche se, per salire sul podio, serve un quid in più.

 

 

 

3. The Commitments (Alan Parker, 1991)

Lo so. È una debolezza. O forse no.
Ma è una storia di redenzione, di resistenza, di amore per la musica, che ci ricorda di come tutte le periferie del mondo siano uguali e che si può fare Soul and R&B nella periferia di Dublino, allora possiamo spiegarci tutto, da Springsteen ai Fontaines D.C. .
Cito un personaggio, che riassume il concetto di sopra: “Gli Irlandesi sono i più negri d’Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: “Sono un negro e me ne vanto!””. È la vittoria di ogni processo di integrazione. È l’abbattimento di ogni differenza, sono i Blues Brothers, ma irlandesi e della working class.
Passo indietro: Alan Parker è un signore che ha donato all’umanità Pink Floyd The Wall,  Birdy – Le ali della libertà e Mississippi Burning.
Passo avanti: Glen Hansard è il chitarrista del gruppo. Quindi The Commitments merita il terzo posto solo per i riccioli di zio Glen. 

 

 

 

2. Pulp Fiction (Quentin Tarantino, 1994)

Ecco, questo Cannes lo vinse.  E non solo: diventò genere, diventò testo sacro, citato, recitato, evocato in tutto il mondo. Personaggi perfetti, maschere geniali, dialoghi scritti in stato di grazia, in cui non esiste neanche una pausa fuori posto. Capolavoro.
E a condire questa meraviglia troviamo una colonna sonora che si intreccia nel film, che diventa strumento narrante e che sostiene e accompagna lo spirito di fondo della storia raccontata. È eclettica, come lo sono i personaggi, è di nicchia, come la cinematografia evocata dal regista, e che, come il genere e il film stesso, invece diventerà mainstream. La surf music che sorregge il tutto sarà il genere più utilizzato dai pubblicitari americani, per vendere…qualunque cosa.
Ah, dimenticavo: il podio consideratelo valido per qualunque film di Tarantino.

 

 

 

1. The Crow (Alex Proyas, 1994)

James O’Barr, autore della graphic novel che è alla base della storia del film, perse la fidanzata in un incidente. Per riuscire a superare il dolore accese lo stereo e prese matite, penne, pennelli e creò The Crow.
Il primo numero è dedicato a Ian Curtis, cantante dei Joy Division, scomparso a 23 anni.
Questo primo posto è alla colonna sonora, non al film. Anche se la pellicola è un’altra icona degli anni novanta, anche se la scomparsa di Brandon Lee durante le riprese ha reso lui e il personaggio ancor più un’icona, anche se.
La musica del film fu un colpo al cuore, perché era perfetta, perché era scritta nella storia stessa di James O’Barr.
The Cure, Stone Temple Pilots, Nine Inch Nails, Rage Against the Machine, Helmet, Pantera, The Jesus and Mary Chain solo per citare I principali.
Album sacro, via il cappello, podio e inno, grazie.

 

 

 

Andrea Riscossa

Genova e la musica: un pomeriggio con i Banana Joe

Il 13 dicembre prossimo al Mikasa di Bologna, suoneranno per la prima volta i Banana Joe, band tutta genovese fresca di secondo posto al Rock Contest 2018.

Noi di VEZ abbiamo già conosciuto i ragazzi e ne abbiamo anche recensito l’album Supervintage (uscito il 26 ottobre, Pioggia Rossa Dischi, ndr), un freschissimo primo lavoro che travolge e talvolta, commuove, per quel sound grunge anni ’90 che, shakerato, non mescolato, fa breccia nel cuore di noi amanti del moderno/passato e della psichedelia dei fantastici sixties.

E poi li abbiamo conosciuti durante il Concerto per Genova quando ci hanno accolto sorridenti a concerto ultimato. Disponibili e gentili, con quell’attitude seria ma rilassata di chi ama seriamente il proprio lavoro e lo fa con passione, ci hanno salutato con la promessa di rivederci presto.

Oggi abbiamo intervistato Andrea, frontman e voce del gruppo.

 

Andrea, una domanda al volo, su due piedi: ma quanti anni avete? Siete davvero giovanissimi!

Beh, io di anni ne ho 25, Emanuele ne ha 30. In verità chi abbassa la media è Fulvio, il nostro chitarrista: ne ha 24.

 

E come vi siete conosciuti?

Fulvio e io ci siamo conosciuti ad una grigliata estiva sulle rive del Varenna a San Carlo di Cese (dei nostri amici ci hanno addirittura scritto sopra una canzone). Una festa dove si è mangiato tanto e si è anche bevuto, diciamo (ride). Abbiamo iniziato a jammare con batteria e chitarra e abbiamo capito che in qualche modo sarebbe stato bello poter lavorare assieme.

Era però il caso di trovare un vero batterista, perché appunto Fulvio suona la chitarra. Abbiamo invitato Lele, che già conoscevamo, al nostro primo live quando abbiamo aperto la data dei Combine, gruppo tedesco di origine iraniana.

E così siamo riusciti ad avere il nostro batterista, mentre prima c’erano solo turnisti.

 

Chi scrive la musica e i testi?

Ogni pezzo ha una scrittura a sé. Talvolta sono io che scrivo la musica e Fulvio magari scrive i testi. Oppure Lele il testo e Fulvio la musica. Oppure è un lavoro fatto assieme, in contemporanea. In realtà è molto difficile capire chi ha scritto cosa.

La risposta giusta sarebbe: “Musica e testi li scrivono i Banana Joe. Assieme”

 

E i Banana Joe, hanno un luogo del cuore, un luogo che amano e dal quale sono ispirati?

Ah per prima cosa i vicoli di Genova. Tutti i vicoletti di Genova.

Girando la movida genovese siamo sempre lì, tra i suoi caruggi e sicuramente questi hanno avuto una grande importanza nella scrittura dei pezzi e dei testi.

La periferia poi riveste per noi un ruolo davvero basilare. Genova Bolzaneto e Genova Sampierdarena sono due quartieri che siamo soliti frequentare poiché il primo è dove abbiamo il nostro studio di registrazione e poi in entrambi ci sono dei piccoli bar che somigliano tanto a quei baretti di periferia che amiamo tanto.

Una menzione in particolare va anche ai Giardini di Plastica, che in realtà si chiamerebbero Giardini Baltimora.

È uno spazio che dà il nome ad un pezzo che andrà nel nostro prossimo album ed è una zona che ci è rimasta molto impressa. Quando eravamo piccoli era uno spazio degradato anche se in realtà era nato come luogo per far giocare i bambini.

Sai quei parchetti dove le famiglie alla domenica portano i bambini a giocare, e dove appunto ci sono tutti questi giochi in plastica? Ora è in riqualificazione.

 

Noi ci siamo incontrati al Concerto per Genova, esperienza che per me da emiliano-romagnola è stata molto toccante. Come l’avete vissuta questa tragedia da “errore umano” e con che spirito avete partecipato al concerto?

Abito vicino a dove è successo il crollo del ponte (Ponte Morandi, ndr). Ero fuori a fare la spesa, pioveva a dirotto e ho sentito un boato. In quel momento pensi a tutto ma sicuramente non ad una cosa come questa.

All’inizio infatti non ci credevo. Mi sembrava una cosa impossibile. Per andare alle prove ci passavamo sotto ogni giorno. Lele infatti era a 300 metri dal luogo del crollo.

Ogni volga che passiamo di là, perché ora hanno aperto nuovamente la strada, viene un po’ di magone perché non sembra vero. Non vedere più quel ponte è una cosa sulla quale non fai mai l’abitudine.

Suonare a questo evento è stato bello, poiché Genova è una città attiva, ma solo in determinate situazioni. A livello culturale sembra molto provinciale, e questo anche per quanto riguarda la musica e i locali. Sembra quasi chiusa.

In questa circostanza invece abbiamo notato che le persone si sono attivate per far capire che la popolazione c’è. E così ci si rialza dal basso, e si va avanti.

 

Ma parliamo del Rock Contest 2018. Un bel secondo posto….

Sì, bellissimo. Il Rock Contest io l’ho conosciuto tramite il cantante del gruppo Lo straniero, gruppo piemontese di La Tempesta Dischi. È un contest molto ben organizzato e con un livello molto alto delle band in gara.

I live sono gestiti nel migliore dei modi e mi è stato riferito che molte band vogliono partecipare. Delle circa 800 domande pervenute, solo una trentina sono state selezionate.

La finale è stata bellissima e in giuria giudici del calibro di Maria Antonietta e de I Ministri. Presenti anche etichette come Woodworm. Una gran bella vetrina per noi genovesi competitivi e anche se avremmo desiderato il primo posto, siamo davvero orgogliosi.

E scherzi a parte, fosse stato per me avrei fatto vincere tutti. Ottimo livello e ottimi compagni di avventura.

 

Qual è il vostro rapporto con la stampa e più in generale con tutti i media?

Se non ci fosse la stampa non si conoscerebbe la musica.

Noi con i giornalisti ci siamo sempre trovati bene ed è veramente piacevole sapere che ci sono persone interessate a te e che vogliono conoscere la tua storia.

L’informazione in Italia rispetto agli altri paesi è comunque ad un livello piuttosto basso. E per questo va protetta e incentivata, non di certo fermata.

 

Ultimissima domanda, qual è la cosa che amate di più fare quando non vi occupate di musica?

A me piace tanto il cinema, Fulvio si dedica alla cucina perché è un cuoco provetto e di Lele posso dirti che ama tantissimo fare il papà. Ha un figlioletto di 6 anni e quando ne ha tempo, anche lui ama andare al cinema come me.

Una cosa che invece ci lega come gruppo, togliendo appunto la musica, è il fatto che siamo dei cazzoni! No seriamente, le nostre prove in studio sembrano puntate di Zelig. Lavoriamo con impegno e serietà, ma l’umorismo è uno dei nostri collanti principali.

 

7b

Banana Joe & Me, Concerto per Genova, 17 novembre 2018

 

Grazie mille Andrea e grazie ai Banana Joe.

Ci vediamo il 13 al Mikasa di Bologna.

E lì, ci andremo a bere una birra.

 

Sara Alice Ceccarelli

Banana Joe e il loro Supervintage

Aprite il calendario del cellulare o, se siete dei nostalgici come la sottoscritta, tirate fuori l’agenda e segnate come data da ricordare il 26 ottobre.

Questo perché uscirà Supervintage, il cd d’esordio dei Banana Joe.

La band, che prende il nome dal celebre film di Bud Spencer, è composta da tre ragazzi di Genova che, nonostante la giovane età, si sono fatti conoscere suonando al fianco di artisti del calibro di Omar Pedrini e i Punkreas.

Supervintage è un album variegato in cui si intrecciano diverse tonalità appartenenti a generi apparentemente incompatibili ma che vanno a creare un mix sorprendente.

Come si può evincere dal titolo dell’album il cardine che lega insieme le canzoni sono le atmosfere vintage, in particolare quelle un po’ psichedeliche degli anni ’60.

Il tutto però è condito da toni rock e grunge, tipici degli anni ’90, che uniti insieme vanno a creare una sorta di vintage-moderno, se mi passate l’ossimoro.

Otto brani da ascoltare tutti d’un fiato per immergersi in un’atmosfera un po’ d’altri tempi ma anche estremamente attuale perché va a toccare tematiche e situazioni in cui ci siamo ritrovati tutti.

Come succede in Neve, una metafora della vita in cui si riflette su come, con il passare del tempo, cambiamo il modo di percepire le cose.

E quindi la neve che da bambini era una cosa quasi magica con l’arrivo dell’età adulta non è null’altro che una scocciatura.

Abbiamo l’immancabile  canzone d’amore, Polvere, che forse proprio per la semplicità e la linearità del testo ti rimane in testa e ti ritrovi a canticchiare il ritornello.

Per il loro cd d’esordio i Banana Joe hanno provato a mischiare sonorità distorte a groove dal sapore vintage e il risultato è tutto da ascoltare.

Un pugno di canzoni che lasciano il segno, come un cazzotto di Bud Spencer.

 

Laura Losi