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Tag: museo

La magia del Prado

•Quando l’arte incontra la musica•

 

Madrid è una delle mie città preferite, sembra avvolta da una patina magica che la rende unica al mondo. Ovunque ti giri non puoi fare a meno di sgranare gli occhi perché in ogni angolo puoi trovare una chiesa, un palazzo o una fontana che catturano la tua attenzione.

Madrid per me è sinonimo di arte e musica.

Tra i tanti musei che la città ospita ho deciso concentrare la mia attenzione sul Museo del Prado. Non solo perché nel 2019 vengono celebrati i suoi 200 anni ma perché raccoglie una collezione di opere da lasciare senza fiato.

L’imponente museo, costituito da un dedalo di stanze in cui è facile perdersi, ospita dipinti di alcuni degli artisti più importanti della storia: Tiziano, Durer, Bosch, Raffaello…elencarli tutti sarebbe impossibile.

Passeggiando per le sale, armata di cartina, passando da un quadro ad un altro mi sono accorta che moltissimi artisti nelle loro opere inseriscono riferimenti al mondo della musica.

Ci sono autori che decidono di celebrare i musicisti intenti a fare il loro lavoro, altri che immortalano momenti di festa, altri che celano dietro l’immagine di un musico i potenti del loro tempo e altri ancora che nelle loro opere a volte in primo piano, a volte celati in disparte, inseriscono degli strumenti.

Dopotutto la musica, una forma d’arte antica quasi quanto l’uomo, è parte fondamentale della vita di tutti e quando due arti così importanti si incontrano non possono nascere che dei capolavori.

In questa breve carrellata vedremo insieme alcune opere che contengono dei richiami al mondo nella musica e come i loro artefici hanno deciso di rappresentarla.

Partiamo dal tedesco Hans Baldun Grien che nella sua opera Le Tre Grazie decide di trattare un soggetto di matrice classicheggiante molto caro ai rinascimentali. 

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Hans Baldung Grien, Armonia o Le tre Grazie, 1541-1544 

Al Prado possiamo ammirare anche l’opera di Rubens, che tratta lo stesso soggetto ma lo fa in modo totalmente diverso.

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Pieter Paul Rubens, Le tre Grazie, 1636 ca., olio su tela

Osservando i due dipinti, infatti, più che le somiglianze possiamo soffermarci sulle differenze.

Grien vive in un periodo turbolento, caratterizzato da scontri religiosi che sconvolgono gli stati tedeschi. L’artista si inserisce in un filone che viene denominato arte della riforma in cui le opere si caricano di una forte carica morale. 

Nel dipinto possiamo notare due strumenti, un liuto e una viola da braccio, e un putto che tiene tra le gambe uno spartito. L’opera, che a prima vista potrebbe sembrare di matrice puramente classica, nasconde in realtà un significato più profondo.

Sullo sfondo, attorcigliato al tronco di un albero, possiamo notare un serpente, nella cristianità simbolo per eccellenza del male e della corruzione. A questo punto, vista anche la presenza di un Cigno (che potrebbe rimandare alla seduzione di Leda ad opera di Giove) potremmo vedere nell’opera una critica negativa alla musica profana, tematica molto in voga nella patria dell’artista.

Diverso invece è il caso del nostro connazionale Tiziano Vecellio che ci propone un’opera dal titolo Venere con Organista e Cupido.

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Tiziano Vecellio, Venere con Organista e Cupido, 1540-1550

Anche quest’opera riprende un soggetto classico: la Dea della bellezza nuda distesa su un letto.

L’italiano però rispetto all’iconografia più tradizionale inserisce un musicista, abbigliato con indumenti del 500 e armato, che osserva quasi con desiderio il corpo di Venere.

Nelle sue fattezze possiamo facilmente riconoscere Filippo II, committente dell’opera.

Tiziano riesce a fondere alla perfezione il tema classico alla sua realtà inserendo nell’opera un giardino rinascimentale, carico di riferimenti simbolici.

Ma la musica entra anche nei quadri spiccatamente religiosi.

Antiveduto della Grammatica nella sua opera Santa Cecilia rappresenta la donna intenta a a suonare un organo, mentre sullo sfondo, in penobra, un angelo la ascolta rapito.

 

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Antiveduto Della Grammatica, Santa Cecilia, Olio su tela, 1611

Alle spalle della santa possiamo anche scorgere un violino e un liuto poggiato su un tavolo.

Il fatto che la santa stia suonando proprio un organo non è casuale dal momento che, secondo la tradizione, sarebbe stata proprio lei ad inventare questo strumento.

Inoltre il suo essere circondata da strumenti è dovuto al fatto che Santa Cecilia è, per la fede cristiana, la patrona della musica degli strumentisti e dei cantanti.

Ma andiamo a vedere un quadro pensato per essere esposto in un monastero situato a meno di cinquanta chilometri da Madrid: L’Adorazione dei Pastori di Juan Bautista Mainò. 

 

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Maino Juan Bautista, Adorazione dei Pastori, olio su tela, 1610 ca.

Nell’opera, che riprende la natività secondo il Vangelo di Luca, vengono rappresentati un gruppo di pastori e di angeli che venerano il bambino, appena nato. Il dipinto si articola su tre livelli e in quello inferiore, più vicino allo spettatore, possiamo notare un pastore intento a suonare.

In questa tela possiamo notare non solo l’influsso di Caravaggio ma anche quello di El Greco, che operava proprio a Toledo.

Ma la musica si inserisce con naturalezza anche nelle rappresentazioni dei paesaggi e della vita quotidiana. L’opera di Brueghel il Vecchio, Matrimonio in Campagna, ci fornisce uno spaccato su quella che era la vita nel primo 1600.

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Jan Brueghel Il Vecchio, Matrimonio in Campagna, olio su tela, 1612 ca.

L’autore, nonostante voglia porre l’accento sulla processione nuziale, da una grandissima importanza al paesaggio che viene rappresentato con grandissima cura.

La musica, allora come oggi, alle nozze rivestiva una grandissima importanza e quindi Brueghel inserisce i musicisti proprio nella processione. 

Notiamo infatti un uomo con un tamburo che precede lo sposo (vestito di nero con il collare), mentre tre uomini armati di strumenti a corda separano il gruppo degli uomini da quello delle donne, dove possiamo notare la sposa (anche lei in nero).

Oltre a Brueghel sono molti gli autori che hanno deciso di trattare un tema simile, basti ricordare Teniers o Snyders.

Chiudiamo questa carrellata con uno degli artisti più presenti al museo del Prado: Francisco de Goya y Lucientes.

Nonostante molti lo conoscano per opere cupe come Saturno che divora i suoi figli o Il sonno della ragione genera mostri, nel corso della sua lunga vita Goya ha attraversato diverse fasi influenzate dal suo vissuto personale, dagli artisti con cui è entrato in contatto e da una sorta di dualismo tra sentimenti e ragione.

Analizzeremo qui un’opera appartenente a quella che spesso viene definita la maniera chiara,         , confrontandola con un dipinto di suo cognato Ramon Bayeu y Subias.

In questa prima fase Goya prende spunto da persone comuni e dal folclore spagnolo e i suoi dipinti sono caratterizzati da colori chiari e da una sorta di spensieratezza.

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Francisco de Goya y Lucientes, Un uomo cieco suona la chitarra, olio su tela, 1778

In Un uomo cieco suona la chitarra Goya rappresenta uno straniero il cui ruolo è quello di spostarsi di città in città  portando notizie. In quest’opera possiamo notare anche altri personaggi come il nero, il cui ruolo tradizionale era quello di vendere acqua, il venditore di meloni e e il pescatore.

Nell’opera di Bayeu, Il musicista cieco, l’uomo è accompagnato da un ragazzo che gli fa da guida e lo aiuta a richiamare l’attenzione, grazie anche all’aiuto di un cagnolino.

 

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Ramon Bayeu y Subias, Il cieco con la chitarra, olio su tela, 1786 ca.

Nonostante il soggetto trattato sia il medesimo le due opere si discostano molto per la struttura, i colori e la composizione. L’opera di Goya ci restituisce uno spaccato della società spagnola mentre quella di Bayeu y Subias sembra quasi essere inserita un contesto pastorale.

Concludo qui il mio racconto sul Museo del Prado e lo faccio prendendo in prestito le parole di un grande artista, Pablo Picasso:

L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni.

Questo è lo stesso compito che assolve la musica.

Nella vita frenetica e quotidiana di oggi spesso non troviamo il tempo di entrare in un museo, di soffermarci ad osservare un quadro, di godere della catarsi che certe opere sono in grado di offrirci. Spesso però la musica può sopperire a questa mancanza.

Musica e pittura sono due arti gemelle che vanno di pari passo, quando queste due si incontrano non possono che nascere opere importanti, in grado di toccare le corde della nostra anima

Laura Losi

A cavallo con Tex… Alla Permanente di Milano

 Tex Willer, il cowboy italiano, compie 70 anni e Milano ha pensato di festeggiare il suo compleanno dedicandogli una mostra, curata da Gianni Bono.

L’Aquila della Notte, personaggio creato dalla penna Gianluigi Bonelli e dalla matita di Galep (Aurelio Galleppini) nel lontano 1948, è uno degli eroi di maggior successo del fumetto italiano e ha riscosso un’accoglienza più che positiva persino all’estero.

 

Gianluigi Bonelli

 

 

 

 

 

 

Gianluigi Bonelli

 

Aurelio Galleppini

Aurelio Galeppini

 

Ma chi è Tex Willer?

Per chi non lo conoscesse bene a prima vista potrebbe sembrare uno dei tanti cowboy, quelli che abbiamo visto tante volte nei film western, ma dietro questa facciata troviamo un personaggio molto più complesso.

Tex è un ranger, ma dalla parte degli indiani: Aquila della notte è infatti il saggio capo bianco delle tribù Navajos.

Questo mix fa di Tex un eroe senza pregiudizi: la sua missione è quella di prestare soccorso a chiunque ne abbia bisogno, indipendentemente dalla sua razza o dal suo credo.

 

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La mostra celebra il compleanno del ranger nostrano attraverso foto, immagini e tavole inedite.

Ma perché una rivista di musica, nella sezione di arte, parla di una kermesse dedicata ad un fumetto?

La risposta è molto semplice.

Tex è stato l’eroe di diverse generazioni ed è ovvio che con le sue avventure abbia influenzato anche tutta una serie di musicisti, più o meno noti.

Partiamo con uno dei gruppi più conosciuti che hanno dedicato al nostro eroe un brano: i Litfiba. La band di Piero Pelù nel 1988 nell’album Litfiba 3 ha incluso un brano dal titolo Tex.

Quello dei Litfiba è solo un rimando all’eroe buono della Bonelli perché il testo è una critica al genocidio dei nativi americani.

Anche Loredana Bertè, che quest’estate ci ha fatto ballare con il singolo Non ti dico no, nel 1994 si è fatta ritrarre sulla copertina del suo album Bertex ingresso libero, nei panni dell’Aquila della notte.

L’ultimo esempio che vi farò è la ballata di Tex Willer scritta da Giorgio Bonelli, il figlio di Gianluigi, ed interpretata da Marco Ferrandini e Francesco Pozzoli.

La mostra che rimarrà aperta fino al 27 gennaio è ospitata al Museo della Permanente di Milano ed è dedicata non solo a chi conosce ed ama Tex ma anche a tutti i curiosi che vogliono avvicinarsi e vedere da vicino un pezzo della storia popolare italiana.

Se volete provare a calarvi nelle atmosfere del selvaggio west, e capire cosa si provava a cavalcare con il vento tra i capelli in compagnia degli indiani, Milano è il posto che fa per voi…almeno fino al 27 gennaio.

 

Laura Losi