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Tag: pop

SEM, l’Indie-Inspired-Pop che ci porta su un “Altro pianeta”

Solo vent’anni ma un talento da vendere.

Si chiama Samuele Puppo, ma per gli amici è solo SEM – rigorosamente tutto maiuscolo. Un ragazzo che fa della semplicità la sua arma vincente, ingrediente segreto di ogni suo brano e personale peculiarità caratteriale.

Di recente ha firmato per “La Valigetta”, un’etichetta cremonese che fin da subito ha dimostrato interesse nei suoi confronti, dandogli fiducia nonostante quattro chiacchere…su Instagram. (Ebbene sì, i social servono anche a questo!)

Attualmente sta lavorando al suo primo disco che, tra non molto – mi promette – verrà anticipato da un nuovo singolo prodotto da, nientepopodimeno che Erik Thorsheim, produttore del già affermatissimo Boy Pablo.

 

Abbiamo fatto quattro chiacchiere, ecco di cosa abbiamo parlato.

 

Ciao Samuele! Raccontaci un po’ di te.

Ciao VEZ! Io sono Samuele, ho 20 anni e vengo da Celle Ligure. La mia passione per la musica nasce grazie a mio papà: vederlo suonare, anche solo per diletto, mi ha spinto a studiare chitarra prima e canto poi, all’età di 15 anni. I miei primi testi e le mie prime demo sono state in lingua inglese, forte delle mie influenze artistiche che affondavano – e affondano tuttora – le radici nella musica anglosassone, soprattutto nel Pop americano.

Dopo il primo EP ufficiale, registrato ormai tre anni fa, io e il mio batterista Nicola Arecco, abbiamo deciso di dare vita ad un nuovo progetto che è quello attualmente stiamo portando avanti con il nome di SEM.

 

Nella tua biografia, nel genere musicale, è indicato “Indie Inspired Pop”: ce lo spieghi?

Indie-Inspired-Pop è un’etichetta che mi piace molto e che mi è stata attribuita da Erik Thorsheim, il produttore del mio ultimo singolo. “Indie”, oggi, specialmente in Italia, è un termine molto ambiguo e talvolta pericoloso: vuol dire tutto e non vuol dire niente. Ciò che erroneamente pensa la gente dell’Indie è che sia un genere con delle caratteristiche ben precise; in realtà è più un’idea che un sistema di regole: basti pensare ad artisti come Calcutta e Carl Brave, due tipologie di musica differenti che però vengono collocate sotto lo stesso nome.

Io, come dico sempre, scrivo canzoni Pop. Tuttavia sono ispirato dall’Indie estero, che inserisco all’interno dei miei brani in base a ciò che mi piace”.

 

E oggi cosa ascolti?

La musica inglese e americana rientra tuttora nei miei ascolti principali ma, rispetto al passato, ho deciso di aprirmi maggiormente verso le nuove uscite e i nuovi artisti del momento. Ci sono stati diversi musicisti che mi hanno colpito e dai quali ho cercato di carpire il più possibile, come Rex Orange County, nel quale mi sono rispecchiato molto. Oltre all’Indie-Pop straniero coltivo una grande passione per la Black Music e il Soul in particolare. E poi c’è la musica italiana, di cui sto approfondendo solo ora il cantautorato.

 

È bello che tu prenda spunto dalla musica straniera per poi renderla tua in italiano…

La scelta di usare l’italiano è dettata dall’esigenza di voler comunicare determinate cose in un determinato modo: solo in italiano ci riesco perfettamente. Non è stato un modo per prendere parte alla scena italiana perché – come dicevo – è poca la musica italiana che ascolto e che mi piace davvero. Cerco però di mischiare i miei gusti per tirare fuori il meglio.

 

Dal 2015 al 2017 hai partecipato a numerosi festival: qual è il tuo ricordo più bello?

Una bellissima esperienza è stata sicuramente l’aver partecipato all’Acoustic Guitar Meeting nel 2015 a Sarzana. Ricordo di aver preso parte molte volte a questo festival come spettatore e ogni volta era un’emozione. Aver avuto l’occasione di salire su quel palco non più come spettatore ma come musicista è stata una grande soddisfazione.

Anche il Pistoia Blues è stato particolarmente emozionante: è stato il primo festival a cui ho partecipato, insieme a mio padre, quando avevo 9 anni. Potermi esibire in quella cornice, anche solo per 10 minuti, è stato incredibile.

 

Il 27 luglio scorso è uscito il tuo primo singolo Anche se: come sta andando?

Il pezzo sta andando bene. Nicola ed io siamo rimasti piacevolmente sorpresi da questo successo, non ce lo aspettavamo. Avevamo realizzato diversi pezzi ma abbiamo pensato a questo come singolo dell’estate; non avevamo molto tempo ma abbiamo comunque rispettato le tempistiche. L’aspettativa non era molto alta ma il singolo è andato decisamente meglio e questo mi fa venire voglia di tirar fuori cose nuove.

 

Attualmente stai lavorando a nuovi pezzi? Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sì, sto lavorando al nuovo disco che verrà realizzato per La Valigetta, un’etichetta cremonese che ha da subito creduto in me pur non conoscendomi di persona. Tra non molto il disco verrà anticipato da un nuovo singolo.

 

Di recente hai collaborato con Zibba: che esperienza è stata?

Ho la fortuna di conoscere Zibba da tanto tempo – siamo addirittura quasi vicini di casa – ed è stato il primo artista italiano che ho ascoltato davvero sin da bambino. Nel momento in cui ho iniziato a cimentarmi nella scrittura ho pensato subito a lui come punto di riferimento, una persona che potesse darmi i giusti consigli, data la sua esperienza nella musica. Tra un brano e l’altro è nata così la collaborazione che ci ha portati a lavorare insieme sui testi dei due singoli Anche se e Altro pianeta. Una bellissima collaborazione.

 

Che cosa pensi dei talent show? Parteciperesti mai?

Questa è una domanda che ritorna spesso. Ma no, non parteciperei ai talent. Mi trovi scettico a riguardo e non è perché io mi senta migliore di qualcuno. Ho avuto l’occasione di prenderne parte, più volte, ma alla fine ho sempre rifiutato in modo istintivo. Penso che i talent siano e restino sempre dei programmi realizzati per la tv: che ci siano o che non ci siano, in fondo, non importa. Inoltre, ciò che ne esce è spesso ingigantito e per questo non li ritengo una fedele fotografia della realtà; finché ci divertono va bene ma stiamo attenti a dargli la giusta importanza.

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

Andy Warhol e la musica al Complesso del Vittoriano

Vez Magazine è diventato grande.

Siamo partiti come un magazine musicale ma adesso, dopo aver festeggiato il nostro primo compleanno, abbiamo deciso che era arrivata l’ora di ampliare i nostri orizzonti. Non più solo musica quindi ma anche altre tematiche sono arrivate ad arricchire la nostra schermata.

Oggi inauguriamo la sezione dedicata all’arte e ho pensato di farlo con un’artista che ha influenzato pesantemente, il cinema, la cultura e, ovviamente, la musica.

Sto parlando di Andy Wharol, il papà della pop-art, che fino al 3 febbraio 2019 sarà il protagonista di una mostra al complesso del Vittoriano. L’esposizione, che conta 170 opere, ripercorre la sua carriera dagli esordi fino alle opere più mature.

Con oltre 170 opere, l’esposizione vuole riassumere l’incredibile vita di un personaggio che ha cambiato per sempre i connotati non solo del mondo dell’arte ma anche della musica, del cinema e della moda, tracciando un percorso nuovo e originale che ha stravolto in maniera radicale qualunque definizione estetica precedente.

Il percorso espositivo inizia con le principali icone che hanno condizionato il divenire dell’artista: la celebre Campbell’s Soup del 1969 e Ladies and Gentlemen (1975); i ritratti di grandi personaggi – alcuni dei quali mai incontrati – che da figure storiche ha trasformato in icone pop, come Marilyn (1967), Mao (1972) e gli stessi Self portrait.

Si prosegue evidenziando e affrontando il tema dei legami con la moda, anche in ambito italiano grazie ai ritratti di i Giorgio Armani (1981) e Regina Schrecker (1983).

Ma quali sono stai i rapporti di Wharol con la musica?

Forse non tutti sanno che la vita dell’artista di Pittsburgh si è intrecciata più volte con quella di grandi musicisti che amiamo e conosciamo bene.

A lui dobbiamo opere iconiche come la copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones, ma ha anche messo la sua firma su alcuni album di Aretha Franklin e John Lennon, per citare un paio di nomi.

 

 

wharol 1 bassaAndy Warhol

Mick Jagger, 1975

Serigrafia su carta, 110,5×73,7 cm

Collezione Jonathan Fabio, Agliana (PT)

© The Andy Warhol Foundation for the Visual

Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

 

 

Ma nonostante queste collaborazioni il mondo della musica gli è grato, sopratutto, per il ruolo che ha rivestito nel portare al successo una delle band più famose ed iconiche che ha cambiato la faccia del rock negli anni ’60: I Velvet Underground.

L’incontro avvenuto nel 1966 segnò l’inizio della fortuna della band newyorkese e permise loro di fare il salto di qualità: da illustri
sconosciuti a rock-star.

Fu grazie a Warhol, che nel frattempo era diventato manager della band, che il gruppo si arricchì della presenza di Nico, modella e ragazza di Bryan Jones dei Rolling Stones.

 

wharol 2 bassaAndy Warhol

The Velvet Underground & Nico, 1967

Original LP

Collezione privata, Monaco (MC)

© The Andy Warhol Foundation for the Visual

Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

 

 

Ma la sua influenza sul mondo della musica non si è fermata qui. Numerosi artisti hanno tratto ispirazione dal sua figura o dalla sua arte omaggiandolo nei loro testi; possiamo ricordare Andy Warhol di David Bowie, o Like a Rolling Stone di Bob Dylan che pare trarre spunto (ma potrebbe essere solo una legenda metropolita) da un triangolo amoroso tra Dylan, Warhol e Edie Sedgwick.

Se questo intricato rapporto tra arte e musica vi incuriosisce la mostra è pane per i vostri denti.

Attraverso le opere esposte, potrete tra le altre cose ammirare i ritratti di alcuni musicisti, avrete la possibilità di immergervi nel mondo colorato e fuori dagli schemi di questo artista a 360 gradi.

Warhol è stato un artista a tutto tondo che si è cimentato in tutti i campi dell’arte e questo è un po’ quello che vogliamo fare noi di Vez: perché arte, musica e vita sono tutte facce diverse della stessa medaglia.

E noi, nel nostro piccolo, ci siamo ripromessi di mostrarvene il più possibile.

 

Laura Losi

Un 31 agosto targato SUM 41 @ Rimini Park Rock.

Qualcuno di recente mi ha fatto notare che spesso sembro freddina – “ina” però, non 100% di ghiaccio – e che in realtà questo non mi rispecchia.

Raga, forse è vero che a lasciarsi andare non c’è niente di male e che diciamocelo, guardiamoci negli occhi, forse sembro anche un pochino meno stronza se mollo un attimo la presa e abbraccio la spontaneità.

Quindi, per iniziare con questo nuovo spirito e aprire anticipatamente le porte all’autunno che per noi introspettivi è il periodo migliore per pensare e scrivere, con quella malinconia di fondo che fa tanto “solo io capisco me stessa”, vi parlerò della fine della mia adolescenza.

Ma messa così anche no.

Vi parlerò di un gruppo che ha segnato la fine della mia adolescenza – così va meglio – e che grazie a LP Rock Events, Live Nation e al 2018 che è stato un anno superfigata, domani sera avrò l’occasione di vedere: i SUM 41.

Domani infatti si terrà l’ultimo concerto estivo organizzato da LP Rock Events appunto, per la quale ho avuto l’onore di lavorare per il secondo anno e che ha deciso di chiudere in bellezza una splendida stagione romagnola che ha visto protagoniste numerose band internazionali (sulle nostre pagine ci sono tutti i live report).

Domani suoneranno al Rimini Park Rock i canadesi SUM 41, Deryck Whibley, Dave Baksh, Tom Thacker, Cone McCaslin e Frank Zummo e per me sono stati una colonna sonora per svariati anni.

Ed ora è tipo ripercorrere quello che poi mi ha portato fino a qui, a diventare giornalista, a svolgere attività di ufficio stampa e a confrontarmi giorno dopo giorno con quello che sfida la mia resistenza fisica e mentale.

Il primo album dei SUM risale al 2001 All Killer No Filler, e se il primo singolo Fat Lip non mi aveva troppo entusiasmato, con il secondo invece In Too Deep ero già stata conquistata da questo gruppo che pian piano prendeva sempre più spazio nei miei ascolti giornalieri.

Ecco, si potrebbe quasi azzardare a dire che i SUM hanno creato quel decisivo scollamento tra me e il sound dei Take That, Backstreet Boys e Boyzone (non c’è niente da ridere, erano comunque dei fighi, GO NINETIES).

Comunque niente. Si procede con Still Waiting del secondo album che cantavo fino allo stremo per arrivare all’album Chuck e Pieces che avevo iniziato a capire la piega che tutto questo stava prendendo.

Stavano per calare l’asso di briscola con Underclass Hero del 2007, album che esce in estate ma che ha lo stesso potere di farmi pensare e scrivere e riflettere e commuovere e pensare e commuovere ancora, quasi come fosse il periodo delle zucche e le foglie cadessero gialle e rosse.

Perché uno non ci pensa, ma la profondità risiede in tanti luoghi, così come l’amore. E se il pop, il punk e il rock non vi sembrano abbastanza profondi, siete tutti amorevolmente invitati domani sera al Rimini Park Rock e lo scoprirete da soli.

E faremo anche del casino.

Alle 19:00 saranno i coloratissimi Waterparks a salire sul palco, seguiti dai mitici Zebrahead (quelli di Playmate of the Year per fare un piccolo ma incisivo recall) e alle 21:30 Deryck &Co. In tutto il loro splendore.

Bella VEZ, a domani!

Cuori per tutti!

 

Sara Alice Ceccarelli