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Tag: tempesta dischi

La musica non conosce confini: I Hate My Village, 2019

Quando il ricercatore tedesco Thomas Fritz, nel 2009, arrivò in cima alle montagne del Mandara, a nord del Camerun, aveva con sé un computer portatile, batterie solari (niente elettricità da quelle parti) e alcuni brani degli U2. Il tutto per una missione ambiziosa: dimostrare l’universalità della musica.

I Mafa, uno dei 250 gruppi etnici della zona, non avevano mai ascoltato canzoni “occidentali”, prima di allora. I ritmi, i canti erano riconducibili esclusivamente alle cerimonie rituali e alle espressioni comunicative tradizionali.

Che effetto avrebbero suscitato i grandi successi provenienti dal nostro emisfero? Risultato: reazioni identiche agli ascoltatori “occidentali” e caratterizzate dalle tre sensazioni base di felicità, paura e tristezza. A determinarle, a livello di universale, sono il ritmo e la chiave maggiore o minore dei passaggi.

Dieci anni dopo, in Italia, una band, anzi una superband tenta qualcosa di simile, a ruoli invertiti. Dall’incontro tra Fabio Rondanini, batterista di Calibro 35 e Afterhours, e Adriano Viterbini, chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion nascono gli I Hate My Village.

Un nome che deriva da un cannibal movie ghanese degli anni settanta. Un omonimo disco d’esordio, pubblicato lo scorso 18 gennaio per La Tempesta International, che si snoda tra atmosfere oniriche e percussioni di realtà. Naturali inclinazioni al groove e impalcature blues accompagnano le melodie protagoniste, provenienti dalla musica sahariana e subsahariana.

Se l’artwork del disco, in cui si intrecciano coccodrilli, teschi, ossa e figure demoniache, ricorda scene di violento tribalismo, durante l’ascolto delle nove tracce ci si accorge che il cannibalismo è soltanto di matrice artistica e musicale.

È chiara la volontà di nutrirsi di idee, influenze e contaminazioni di origine anche lontana (Fela Kuti, Ali Farka Tourè, Bombino, Rokia Traoré) per studiarle, attraversarle, smembrarle e ricostruirle fino a renderle proprie.

Nessun intento di fedele ripresa della tradizione africana o di pura citazione delle varie band di provenienza. Sì, perché ai piedi dell’unico totem di I Hate My Village, chiamato “esperimento”, troviamo anche Alberto Ferrari dei Verdena alla voce (qui in inglese) e Marco Fasolo, eclettico produttore e bassista per tutta la durata del tour.

L’album sembra, dunque, l’esito di una ispirata jam session, spontanea, leggera ma non fortuita. Una prova riuscita di tecnica e stile presente già in apertura con Tony Hawk of Ghana. Riff intrecciati, psichedelici, venature prog a cui la voce di Ferrari dona un effetto di scomposta tridimensionalità.

Un contributo vocale che impreziosisce anche la coinvolgente Acquaragia e i ritmi ancestrali, frenetici e affannosamente funky di Fare un fuoco: parole quasi incomprensibili, a metà tra versi di animali e segnali in codice, rievocano le scene di danze tribali e riti sciamanici.

Presentiment, del tutto strumentale, trasla di nuovo le coordinate del lontano continente nelle nostre terre. Si ha come l’impressione di trovarsi al centro di un flash mob che imperversa in un cantiere italiano tra lavoratori di origine africana. Si crea l’intersezione di suoni inconsueti, asciutti, decisi, come generati non tanto da strumenti musicali quanto da attrezzi, fusti, martelli, sirene.

Nei 24 minuti di andatura impellente, l’occasione per fermarsi e respirare è concessa da Bahum. Armonie essenziali e vibrazioni primitive si accendono su una luce chiara, sui raggi del sole incandescente che spunta all’orizzonte, nella Savana.

Il valore aggiunto dell’internazionalità gioca, inoltre, sull’arguzia, sugli errori di pronuncia e sui giochi di parole evidenti nella ballabilissima Tramp, nel lamento reiterato, malinconico, inesorabile di Fame e nel brano di chiusura I ate my village. L’equivoco che aleggia tra i verbi HATE e EAT. Odiare e mangiare.

L’incontro, l’abbraccio, il disappunto, lo scontro. Uno scontro aperto con la musica italiana, rintanata nel suo microscopico villaggio, nelle sue regole, consuetudini e polemiche. Uno scontro aperto con chi rifiuta di espandere i propri confini, artistici ed umani. Il tentativo di scongiurare, attraverso la musica, questa minaccia di chiusura, oggi più presente e preoccupante che mai.

 

TRACKLIST:

1.Tony Hawk Of Ghana
2.Presentiment
3.Acquaragia
4.Location 8
5.Tramp
6.Fare un fuoco
7.Fame
8.Bahum
9.I Ate My Village

 

La Tempesta International

 

Laura Faccenda

Lo Straniero – Quartiere italiano, 2018 (Tempesta Dischi)

Camminare di notte, lungo le vie della città, assorti nei propri pensieri. In silenzio. Ritrovarsi, poi, in prossimità di un piccolo centro abitato. Palazzi vicini, finestre con luci accese, altre dormienti.

Ombre che abitano costruzioni animate di cemento. Le storie dentro, fuori e oltre quelle finestre si trasformano in canzoni nel nuovo album de Lo Straniero, Quartiere italiano, pubblicato lo scorso 12 ottobre per La Tempesta Dischi.

A distanza di due anni dal disco di esordio, riprendendo uno stile personale caratterizzato da campionature elettroniche, ritmi psichedelici e l’alternarsi di Giovanni Facelli e Federica Addari alla voce, la band piemontese dimostra di essere ambiziosamente evoluta nella composizione sia musicale sia lirica.

Quattordici brani, quattordici episodi autoconclusivi sospesi tra realtà e fantasia che, in corso d’opera, si intersecano fino ad assumere la forma di concept album.

Sotto le mentite spoglie di una mancanza di direzione, si dà il via all’esperienza all’interno del condominio virtuale con una domanda, con Dove vai.

Eppure la prima traccia, oltre ad omaggiare il grande compositore Armando Trovajoli, innalza la bandiera di un manifesto artistico: “Con un codice preciso inizia un regime di pura fantasia”.

Ogni uomo, ogni personaggio, ogni x prende vita attraverso immagini evocative, metafore, contrasti, chiaroscuri. La titletrack invita a salire su una sorta di ascensore di vetro da cui si scorgono, piano per piano, sene della quotidianità.

Etnie, lingue. Origini, vissuti differenti si muovono tutti all’interno di uno spazio condiviso che, però, non equivale a sinonimo di conoscenza approfondita.

Esistenze che si incontrano, si sfiorano, si superano, restando per lo più “solo facce che non si riconoscono”. L’eterogeneità fa da denominatore comune.

Ci sono Madonne che camminano di notte, si aggirano per la periferia, assaggiano il sapore amaro della violenza ma tornano, sempre.

In Sorella, invece, una donna chiede aiuto per scappare dai fantasmi della mente e del passato. Suo fratello accoglie la preghiera, solo a costo di portarla in salvo lontano dalla terra. Tutto accade in tempo reale, a ciclo continuo.

Sulla scia di ritornelli avvolgenti e melodie accattivanti, ci si ritrova ad essere sia spettatori che protagonisti delle narrazioni. Le nostre storie diventano le storie di Sedute spiritiche, di Intrecci di corpi e di relazioni, di Vampiri, di anime che si aspettano, immobili, al quinto piano.

Lo Psicobisogno di una tregua, di un attimo per addormentarsi. Una necessità tanto impellente che a cantarla, nel disco, si aggiunge una voce di eccellenza, quella di Gian Maria Accusani (Prozac +, Sick Tamburo). Impronta inconfondibile de Lo Straniero è, infatti, la polifonia, la complementarietà delle voci e la presenza di cori.

L’inconscio non è più un sottofondo e parla: “Senti che cos’è che non va…”. Ci si può addormentare ma si rischia di fare il sogno sbagliato e risvegliarsi con la consapevolezza di dover accettare anche i nostri lati più tormentati e oscuri. È concessa, tuttavia, una pausa.

L’ascensore giunge al punto della corsa più alto. Il sesto piano, traccia strumentale di un minuto, frangente per placarsi, affacciarsi, guardando le stelle, respirando calma.

A rendere coesi tutti questi elementi è la produzione artistica di Alessandro Bavo (Subsonica, Levante, Virginiana Miller), raffinata e curata nei minimi dettagli. I suoni sintetici si amalgamano con naturalezza a quelli di chitarre, pianoforti, batterie. Ritmi etnici e orientaleggianti prendono per mano, da una parte, la melodia, dall’altra, la componente elettronica, creando arrangiamenti sperimentali davvero interessanti.

Un disco, un viaggio, uno spaccato di mondo. Molteplici dimensioni che si intrecciano, come fili colorati. Come quei fili colorati che, sulla copertina del disco, disegnano i profili dei protagonisti di Quartiere italiano. Punti di partenza e di arrivo disparati. Ma oltre i veli, le maschere, i progetti, i segreti, tutto Ritorna qui: all’uomo.

 

TRACKLIST:

  1. Dove Vai
  2. Quartiere Italiano
  3. Matematica e Aspirina
  4. Cardio
  5. Madonne
  6. Il Sesto Piano
  7. Seduta Spritica
  8. Sorella
  9. Intrecci
  10. Vampiro
  11. Psicosogno
  12. Il Quinto Piano
  13. Lastricato
  14. Ritorna Qui

Laura Faccenda