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Tag: vez magazine

Fanta, Amore ed Europop: il Romanticismo anni ’90 de Gli Orzo

Maschere, costumi da unicorno ed un indie italiano con influenze anni ’90, sono questi Gli Orzo?
La risposta è NO. Si nasconde molto di più sotto questo progetto che ha fatto parlare di se dopo la breve apparizione alle audizioni di X Factor.
N. e F. (cosi ci danno il permesso di chiamarli) hanno scelto VEZ Magazine per rilasciare la loro prima intervista. Ecco com’è andata!

 

Ciao ragazzi e benvenuti su VEZ Magazine! Da dove nasce il progetto Gli Orzo e qual’è il significato delle vostre maschere?

N.: Gli Orzo sono nati fondamentalmente perché entrambi produciamo musica al Deposito Zero Studios di Forlì. Ci siamo trovati condividendo gli stessi spazi e il tutto è nato quasi per caso.

F.: Esattamente: è nato tutto su quel tavolo (ride ed indica il grande tavolo vicino noi). Volevamo farci un video ma non volevamo farci vedere.

N.: Si, è vero! È nato tutto su un tavolo con delle maschere fatte con dei bidoni della spazzatura. Volevamo fare un video cretino di una cover degli 883 (Con Un Deca ndr), con due tastiere, batteria elettronica ed una chitarra… ma poi ci siamo chiesti perché non potessimo fare anche qualcosa di più serio. E così, alla fine di ogni giornata, ci trovavamo a mettere insieme le nostre idee e lasciavamo andare la nostra creatività.

F.: La parte seria è iniziata dopo un po’: all’inizio era più uno sfogo, che partiva da noi ma in cui finivano per essere tirati dentro anche i nostri amici. Era una sorta di condivisione creativa.

N.: Il nome Gli Orzo è nato perché dovevamo trovare un anagramma con il nome dello studio nel quale collaboriamo (Deposito Zero Studios). Abbiamo deciso di prendere come partenza la parola zero, ma in realtà veniva orze e non ci suonava bene. Così è diventato orzo e successivamente Gli Orzo, che poi gli è plurale e orzo singolare: non abbiamo ancora capito perché sia uscito così (ride).

F.: Le maschere invece sono nate dal video di Senti-Menti, il primo singolo uscito. Nel video si vede una realtà alterata, in cui i protagonisti vivono da stesi su un lettino d’ospedale indossando i visori. All’interno dei visori vengono proiettate delle immagini, una sorta di realtà virtuale, e alla fine del video ci siamo anche noi indossando i visori in una sorta di cameo. Da lì abbiamo pensato che questa cosa potesse essere funzionale, che quello che noi vedevamo nei visori fosse un’altra realtà e che i visori stessi potessero essere un mezzo per trasportare la gente che ci ascolta nel nostro mondo, invisibile agli occhi ma percepibile con l’ascolto e l’immaginazione.
Questi visori sono poi stati perfezionati nel tempo fino all’ultimo prototipo (ride) che abbiamo portato ad X Factor: non è una cosa estetica ma concettuale.

 

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Da dove traete ispirazione per la vostra musica?

N.: Sicuramente arriva da tutto ciò che abbiamo ascoltato nella nostra vita, anche se non c’è una vera e propria ispirazione: non puntiamo né ad avere un risultato ben definito né vogliamo assomigliare ad un prodotto esistente.  E’ una fusione tra il mio mondo e quello di F. ed ovviamente alcuni ascolti comuni.
Non vogliamo emulare nessuno. Quello che abbiamo dentro lo facciamo uscire in produzione, mischiamo le idee senza avere una direzione del flusso, tutto viene lasciato libero. L’ispirazione è una non ispirazione: è inconscio come processo e molto istintivo, non ci mettiamo paletti.

 

Come definireste la vostra musica in tre parole?

F.: Lo slogan lo abbiamo già! Fanta, Amore ed Europop. La versione buonista di Sesso Amore & Rock’and’Roll. La Fanta perché ci ricorda la bibita delle feste delle medie, Amore perché siamo dei romantici e Europop perché è il genere che fonde un po’ tutto, è il sound che abbiamo ricercato nelle ultime produzioni.

 

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C’è qualche artista con cui sognate di collaborare?

N.: Dato che ci ispiriamo al mondo del passato forse ci piacerebbe collaborare con qualche artista che è scomparso dalle scene, magari anni ’80/’90… Ripescare un artista del passato, che ne so, tipo i Righeira, o comunque qualcuno di quegli artisti da cui la nostra musica trae origine come atmosfera, quella freschezza ed immediatezza che avevano le canzoni di quegli anni: sarebbe interessante duettare con artisti di quel periodo.

 

Qual’è il cambiamento che vorreste portare alla scena italiana con la vostra musica?

F.: La positività. Visti i contenuti che musicalmente vengono portati avanti in questo periodo, il nostro è un messaggio più fresco, più immediato e positivo. Vorremmo ricongiungere la musica con contenuti positivi, non banali come sole cuore amore, ma proporre positività attraverso il racconto di storie vere. Nella musica attuale c’è molto disagio e noi vogliamo parlare di cose felici. Adesso si dà spazio di più all’artista che deve raccontare la sua sofferenza, in tutte le cose; noi andiamo in direzione contraria e soprattutto lo facciamo con una nostra poetica, una positività immediata che descriviamo tramite immagini.

 

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Una canzone italiana recente che vi ha particolarmente colpito?

N.: Non mi ha colpito proprio un cazzo, il panorama italiano è molto povero purtroppo. Forse, a livello di suono, una delle ultime uscite di Jovanotti prodotte da Rick Rubin posso dire che sia veramente valida. 

 

Ora parliamo di X Factor, come avete vissuto questa esperienza?

N.: È stata una bellissima esperienza, divertente e soprattutto costruttiva, nel senso che ci ha fatto vedere come sono certe dinamiche del mainstream e della televisione. Ci sono molti limiti dettati dal contesto, che non premiano le peculiarità musicali o in messaggio che cerchiamo di trasmettere, tuttavia il format ha una sua coerenza e va preso per quello che è.
Questa apparizione ad X Factor ci ha portato molta visibilità e ci è dispiaciuto non procedere nell’avventura, ma sicuramente siamo fatti per un altro tipo di percorso, che non è quello prettamente televisivo, con le sue regole e dinamiche, e in fondo in fondo preferiamo essere rimasti liberi.  L’avere visibilità è comunque un rischio: ci sono arrivati una marea di insulti sulla pagina Facebook di X Factor. Gli insulti sono stati comunque bilanciati dai commenti super positivi che ci sono arrivati pubblicamente tramite la pagina del programma o in privato. Insulti e complimenti ci hanno fatto capire che il progetto ha del potenziale: questo ci ha sia tirato giù che rincuorato. La gente è stata affascinata dal progetto in maniera pressoché immediata, il ché ci ha fatto intendere che siamo sulla strada giusta. Tra l’altro, era la nostra prima vera apparizione: non avevamo fatto nessun live prima di quel momento.
La casa produttrice che fa scouting per X Factor ci aveva chiamati chiedendoci se volevamo partecipare e così abbiamo preso la palla al balzo. Forse siamo stati troppo frettolosi e superficiali, ma ci siamo detti: Facciamolo!
I giudici hanno comunque detto cose giuste, e siamo d’accordo con le loro scelte. Nonostante Mara Maionchi e Samuel non si siano esposti troppo, il dibattito era giusto ed eravamo pronti per quello che poi è stato.
Dai, il prossimo anno andiamo ad Amici o Italia’s Got Talent! (ridono)

 

E’ uscito da qualche giorno il vostro singolo Monella: il futuro cosa prevede? 

N.: Sarò breve: sono in arrivo tante belle cose positive. Restate semplicemente sintonizzati sui nostri canali!

Instagram: https://www.instagram.com/gliorzolaband/

Facebook: https://www.facebook.com/gliorzo/

Spotify: https://open.spotify.com/artist/4KMuALx9YlpuRhGu7yhiE9?si=2SGXBMjqQ7GAL7EyX3L7ow

 

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Intervista e foto a cura di Luca Ortolani

 

 

I NOP e la riscoperta del sano rock italiano

“Ciao mi chiamo Francesco sono il cantante dei NOP e questo è il nostro singolo…”

Ecco come ho conosciuto la musica di questi cinque ragazzi bolognesi che prima di essere una band sono soprattutto un gruppo di amici e sono Francesco Malferrari, Claudio Bizzarri, Gianluca Davoli, Marco Righi e Andrea Pirazzoli, ed ecco come ho scoperto il loro singolo Le strade di Bologna. 

Ricordo di aver pensato due cose dopo il primo ascolto… La prima è stata: “Che bravi!” e la seconda è stata: “Finalmente qualcosa di diverso”. Sì perché ascoltare qualcosa di diverso da quello a cui ci stiamo abituando è davvero cosa rara, così com’è raro trovare qualcuno che faccia musica nel vero senso della parola. Se Spotify avesse tra le sue play list una Scuola Rock e non solo una Scuola Indie, i NOP ne farebbero sicuramente parte.

Con loro è possibile staccarsi completamente dalla massa e da quell’ammasso (se così possiamo definirlo) di musica che sembra non avere neanche più un confine. Che fine ha fatto il vero pop, ma soprattutto che fine ha fatto il vero rock italiano? Mettendo da parte le domande sulla fine dei vari generi musicali, con quella creata da questi ragazzi è possibile ritrovare gran parte di ciò che sembra apparentemente perso. E’ possibile intravedere e  ritrovare quel confine che delinea ciò che fanno gli altri da ciò che fanno loro, ma soprattutto è possibile ricaricare le batterie e allo stesso tempo lasciarsi “coccolare” da testi che vanno a toccare corde profonde dell’anima, come il loro secondo singolo L’unico per te

Dopo anni di gavetta, prove e live, questi due singoli rappresentano solo l’inizio di una nuova storia tutta da scrivere che prenderà definitivamente forma con l’uscita del loro album di debutto, ma lasciamo che siano loro a raccontarci qualcosa in più…

Partiamo dal “punto zero” che comprende la scelta del vostro nome e della vostra formazione, siete stati immediatamente i NOP di nome e di fatto oppure c’erano in ballo altre opzioni? E chi sono i NOP prima di essere una band nella vita di tutti i giorni?

Noi eravamo NOP anche prima di essere NOP, anche se non lo sapevamo ancora! A parte gli scherzi siamo arrivati a questo nome dopo aver scartato, come da migliore tradizione, fantasiosi acronimi dei nostri nomi e cognomi o inglesismi legati ai nostri studi scientifico-chimici. Quando poi ci siamo resi conto che la N, la O e la P sono le lettere centrali dell’alfabeto, abbiamo capito di aver trovato il nome giusto. È solo guardando le cose dal centro, equidistanti dagli estremi, che si può̀ raccontare la totalità delle emozioni. E questo è ciò che cerchiamo di fare con la nostra musica, che rappresenta un pezzo importantissimo della nostra vita. Ovviamente ognuno di noi ha un lavoro che occupa la maggior parte delle ore del giorno: nel nostro “menù” abbiamo un proprietario di una palestra, un ingegnere elettronico e uno chimico, un sistemista e un comunicatore che lavora in ambito politico-amministrativo. Insomma, ce n’è per tutti i gusti

Nel panorama musicale attuale siete sicuramente una sorta di “voce fuori dal coro” per il vostro genere musicale che riporta un po’ a quel sano rock italiano attualmente quasi inesistente tra gli artisti e band emergenti, quali sono secondo voi i vantaggi e gli svantaggi sotto questo punto di vista?

Il primo e più grande vantaggio è sicuramente che riusciamo a suonare la musica che amiamo. Ciascuno di noi viene da culture musicali molto eterogenee, che vanno dal metal al cantautorato italiano, ma riusciamo nel nostro genere, come dicevi tu un po’ “fuori dal coro”, a fondere i diversi stili. Sicuramente il rock, nonostante stia un po’ riemergendo, non è il genere più in voga in questo momento. E sicuramente suonare un genere non “alla moda” rischia di tagliarti fuori da molte opportunità. Ma è altrettanto vero che, in un mondo di trap e indie, se senti un gruppo rock bravo vieni colpito e poni più attenzione nell’ascolto. Ma, ripeto, dietro alla nostra scelta non c’è alcun calcolo utilitaristico: semplicemente suoniamo il genere che amiamo. Il Rock, con la sua forza, pensiamo riesca a rappresentare al meglio le emozioni, sia quelle belle che quelle brutte. Quelle forti, che ti cambiano. Quelle genuine.

Dal primo singolo “Le strade di Bologna” al secondo “L’unico per te” c’è un’enorme differenza soprattutto per quanto riguarda i testi, chi è la penna del gruppo? Vi è capitato di scrivere qualcosa tutti insieme?

Inizialmente Frizz (il cantante), ma negli ultimi anni moltissimi brani sono nati anche dalla penna di Riguz (il bassista) e un paio anche dalla penna di Bizzo (il chitarrista). Poi quei brani, un po’ grezzi, arrivano in sala prove e insieme li stravolgiamo, li modelliamo e insieme li rendiamo nostri. Ogni volta ogni membro dei NOP riesce a mettere la propria cifra distintiva all’interno di un nuovo brano.

 

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Siete una band composta da 5 componenti e suppongo sia difficile mantenere un equilibrio e trovare sempre un punto d’incontro, chi di voi è il più bravo a scendere a compromessi e chi invece è quello che crea più “casini”?

Tu lo sai vero che questa domanda sta già provocando delle discussioni, vero? No, a parte gli scherzi la forza del nostro gruppo è che prima di essere una band siamo un gruppo di amici. Veri, senza infingimenti. E quindi quando ci sono dei momenti di discussione, ed è inutile negare che capiti, ci troviamo davanti ad un mc chicken o ad una birra e ne parliamo, da amici. E andiamo avanti più forti di prima. Ah, comunque il diplomatico della band è Frizz (il cantante), ça va sans dire e il più schietto Bizzo (il chitarrista).

Avete avuto modo di esibirvi nella vostra città (Bologna) in occasione del primo maggio, quali sono state le sensazioni pre e post live e qual è il palco sul quale un domani sognate di salire?

Un’emozione immensa. Davvero immensa. Lasciamo a voi immaginare cosa possa significare per 5 ragazzi di 28-30 anni che fanno musica, nati e cresciuti a Bologna (e follemente innamorati di questa città), suonare per ben due volte consecutive nel giro di due anni sul palco di Piazza Maggiore. Quando sali su quel palco vedi da un lato San Petronio in tutta la sua bellezza, dall’alto “al Zigànt” (la statua del Nettuno) e davanti a te la Piazza piena di gente. A quel punto sai che devi goderti quel momento fino all’ultimo istante. E dopo Piazza Maggiore ora bisogna puntare allo Stadio Dall’Ara. Tanto sognare è gratuito!

Avete annunciato l’uscita del vostro primo album, potete svelarci qualcosa in più? Sarà un giusto mix romanti-rock?

Sarà un album da vivere tutto di un fiato, dal primo al decimo brano. All’interno ci saranno canzoni per innamorarsi, per ridere, per saltare, per commuoversi e per emozionarsi. D’altronde non potrebbe essere altrimenti: contiene 8 anni della nostra vita artistica insieme. Ci stiamo lavorando notte e giorno e non vediamo l’ora di farlo ascoltare.

Fare musica per voi è…

Emozionare. Ma prima di tutto emozionarci. E capita magicamente ogni volta che Piraz batte i 4 con le bacchette e dà il via ad un live.

 

La verità è che i NOP ad un primo ascolto potrebbero ricordare sonorità familiari, dei chiari richiami a quel sano rock tutto italiano che purtroppo negli ultimi tempi sembra essersi quasi perso, ma poi arrivano loro a ricordarci cosa vuol dire mettere insieme chitarre e batterie e fare musica, ma farla davvero. Insomma potrebbero essere “paragonati” a diversi artisti dello stesso genere, in realtà ascoltandoli ci si rende conto che sono semplicemente loro.

Sono semplicemente i NOP.

Claudia Venuti

 

VezBuzz: i Gorillaz e il teasing tecnologico per l’uscita di Humanz

Esiste qualcosa di più coerente di una band virtuale che decide di stuzzicare la curiosità dei fan per l’uscita di un disco, unicamente su web e social network? Questo è quello che hanno fatto i Gorillaz, la band di Damon Albarn, in occasione di Humanz, nel 2017. L’album arrivava dopo un silenzio durato anni e nell’aria si respirava tutta l’elettricità tipica dei grandi eventi, ma andiamo con ordine: i Gorillaz sono nati dall’estro di Albarn e del fumettista Jamie Hewlett.

Il progetto “Gorillaz” è uno dei più riusciti e interessanti della musica pop degli ultimi venticinque anni, il loro primo album uscì nel 2001 e da allora non si smise più di parlare di questa band composta da personaggi disegnati: 2D, Murdoc, Noodle e Russel Horbes.

Già di per sé sarebbero un interessante caso di buzz: una band “animata”, guidata dal genio del britpop, che nei primi anni Duemila ipnotizzava con i loro videoclip, su MTV, me e tanti altri adolescenti e che non si è mai mostrata al pubblico se non dietro a fumetti animati, perfino ai concerti.

Arriviamo all’uscita di Humanz. Il 2017 è stato l’anno di Instagram, con milioni di utenti iscritti in più rispetto al passato. Una crescita verticale e vertiginosa che avrà convinto Damon Albarn e i suoi a coinvolgere proprio questa piattaforma per il lancio del loro ultimo lavoro. Le possibilità offerte dai social, per una band come i Gorillaz, sono ovviamente infinite. Il “semplice” lancio di un album può diventare un’occasione virale irripetibile.

La promozione del disco iniziò molti mesi prima della sua uscita. Su Instagram la band, dopo aver creato un account ufficiale, iniziò a postare con costanza immagini che ripercorrevano la strada fatta, a partire dalla loro nascita. In sole 24 ore si unirono al profilo ben 300.000 followers. Nel mese di Marzo venne annunciato post dopo post, lettera dopo lettera, il nome del nuovo album.

Ma non si sono fermati qui: l’aspetto visual ha guidato anche tutte le successive pubblicazioni, nelle quali venivano date informazioni enigmatiche sul nuovo lavoro.

I Gorillaz, sempre un passo avanti a tutti per quanto riguarda la sperimentazione di nuove tecnologie, hanno ben pensato di accompagnare i quattro singoli estratti dall’album – Ascension, We Got the Power, Saturnz Barnz e Andromeda – con videoclip in realtà virtuale per permettere ai propri fan di immergersi ancora di più nel loro mondo. I video interattivi hanno atmosfere cupe e sono pieni di demoni e case stregate.

Damon Albarn ha spiegato poi, in un’intervista rilasciata all’emittente radiofonica della BBC, di aver scelto questo tema per l’album a causa di una riflessione fatta sulla vita moderna: “gli umani sono in transizione, si stanno trasformando in qualcos’altro” disse, “l’album proviene da questa fantasia oscura. Immagina la cosa più strana e imprevedibile in grado di cambiare il mondo.

Come ti sentirai quella notte? Uscirai? Andrai a ubriacarti? Resterai a casa e guarderai la TV? Ha un’atmosfera interessante questo disco, perché è festaiolo. È un disco da club, ma ha anche questa strana oscurità”. A questo si aggiunge anche la Gorillaz App, una delle prime app ad utilizzare la Realtà Aumentata e gli ambienti 3D in un contesto narrativo.

Tramite l’app all’uscita di Humanz, il 28 Aprile, gli utenti hanno potuto partecipare ad uno speciale “party”: un evento mondiale ed esclusivo che ha permesso di ascoltare per la prima volta e per intero il nuovo album. L’esperienza condivisa tra gli utenti ha dato vita al più grande ascolto collettivo localizzato, che ha messo in contatto fan della band provenienti da 500 diverse location in tutto il mondo.

L’uscita di Humanz è stata anche l’occasione per intrecciare collaborazioni con tante interessanti realtà tecnologiche, ma non solo. Oltre alla Gorillaz App ne viene lanciata anche un’altra, in collaborazione con Electronic Beats: Lenz App. Gli utenti potevano visualizzare contenuti della band puntando con il proprio dispositivo su un qualsiasi oggetto color magenta, oppure con il servizio di streaming musicale, Pandora Premium. Fu infatti creata una playlist di artisti che li hanno ispirati per la scrittura del nuovo disco.

L’iniziativa prese il nome di “Sounds like Gorillaz”. Senza poi dimenticare la collaborazione con Red Bull, che ha organizzato un vero e proprio festival, chiamato Demon Dayz, per celebrare l’uscita del disco, e che per l’occasione ha anche creato un’uscita speciale di Red Bull dal design customizzato.

 

Daniela Fabbri

“Night club” di Jacopo Et: l’avanguardia del dance pop contemporaneo

Nato a Forlì, ma formatosi nell’ambiente musicale bolognese, Jacopo Ettorre, in arte Jacopo Et, riporta in auge la sfrontantezza tipica del ragazzo di provincia.

Cresce infatti a San Ruffillo, in quel bar dove le giornate scorrono fra motorini, discussioni sul calcio e litri di birre industriali.

Jacopo Et nasce musicalmente l’11 maggio del 2018 con l’uscita di “Fulmini”, che nei mesi successivi viene seguita da “Fuori”, “Golf”,“Grattacieli” (feat. Kharfi) e “Buio”.

Ciò che gli preme è esprimersi liberamente, raccontando quello che lui ama chiamare “il lato oscuro della provincia”, in cui si scovano personaggi tutt’altro che politically correct e viene scansato arduamente ogni falso buonismo.

Lo scorso 19 luglio, distribuito dall’etichetta Fulmini Records ed edito da Sony ATV, è uscito il suo nuovo singolo “Night club”, prodotto da Gabry Ponte, che lo ha affiancato anche nella stesura degli arrangiamenti. Ai mix & master c’è invece la mano di Patrizio Simonini, già noto per il sodalizio con artisti del calibro di Tiziano Ferro, Jovanotti, Franco Battiato.

Non passa affatto inosservato l’artwork, che è stato abilmente realizzato dall’eclettico fumettista Maurizio Rosenzweig.

Il pezzo, “orgogliosamente tamarro”, da un lato richiama uno dei film più cari all’artista, ossia “Fight club” di David Fincher, dall’altro mette in evidenza il tema della notte, uno dei fili conduttori del progetto.

Jacopo Et, in quanto figlio musicale degli 883, ci tiene a sottolineare come questo brano sia inoltre una risposta alla domanda “Come sarebbe stata la regina del Celebrità se fosse stata al Pepe nero?”. Per chi infatti conosce “La regina del Celebrità” degli 883, non può non saltare all’occhio la citazione, che diventa esplicita nel verso che recita“Senza pietà”.

Il fil rouge che lo unisce agli altri brani è decisamente la musica elettronica e l’evidente passione per la retrowave e per la synthwave, per Kavinsky e Perturbator.

Il suo è un progetto che è difficilmente ricollegabile a qualcosa di già presente sulla scena musicale, infatti l’artista rifugge qualsiasi etichettatura o categorizzazione.

Molto atteso è l’EP, che, in uscita venerdì 26 luglio, conterrà anche tre brani inediti: “Benzinaio”. “Luci”, “Cani randagi”.

Si conclude così il primo ciclo del percorso artistico di un ragazzo che, con un mix letale di provincialismo applicato ad un accenno di musica pop elettronica e una buona dose di arroganza benevola, tenta di fare del pop senza parlare di lacrime, abbandoni o addii.

 

Greta Samoni

 

 

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Ragazzetto: un inguaribile anticonformista

L’attuale lista di cantanti emergenti è lunga e spesso “dispersiva” perché si ha come la sensazione di non riuscire a stare realmente al passo con tutta la musica che prende vita quotidianamente sulle piattaforme digitali. All’interno di quella lista però, c’è un nome che di per sé dice tutto ed è quello di Ragazzetto, nome d’arte di Federico Branca, uno di quei sani portatori di pazzia che amo, uno di quelli che così come è emerso dalla nostra chiacchierata, fa musica per amore vero verso questa parola, senza nessuna pretesa e con tutta l’umiltà del mondo, ma soprattutto con un carico emotivo importante, quasi fuori-tempo per questo tempo

Federico è uno di quelli che non ha paura di diffondere tutto ciò che sente e prova. Il 7 giugno è uscito il suo singolo di debutto Gli amici del mare per Cane Nero Dischi, una colonna sonora perfetta per questa estate, per tutti coloro che hanno il grande dono di focalizzarsi ancora sui piccoli istanti di felicità (spesso sottovalutati) e per tutti coloro che amano la bellezza della condivisione di quegli stessi istanti.

Ecco chi è davvero Ragazzetto…

Facciamo un passo indietro per scoprire e capire quando Federico ha deciso di cambiare qualcosa durante il suo percorso, scegliendo un nome d’arte che lo portasse poi a diventare Ragazzetto…

Avevo 18 anni e andai a suonare la batteria negli Enrico, loro erano tutti più grandi di me di circa 8/10 anni e mi chiamavano ragazzetto, perché in effetti mi comportavo abbastanza da pazzoide diciottenne. Nel giro musicale genovese hanno iniziato tutti a chiamarmi così per via della mia energia tipo pila Duracel e quando ho dovuto scegliere un nome d’arte è stato abbastanza immediato usare proprio quello.

Un ricordo in particolare, un momento in cui hai capito che avresti dato il via a questo tuo nuovo progetto, quali sono le persone che ne fanno parte e quali sono state le motivazioni che hanno fatto sì che tu ti mettessi in gioco in questa direzione?

Negli ultimi due anni un paio di progetti di cui facevo parte si sono un po’ arenati per l’ennesima volta, ho deciso a quel punto che avrei fatto da me perché la vita è una sola e io sono troppo curioso. Matteo il mio batterista è stato fondamentale e mi ha spronato molto adesso nella band c’è anche Samuel al basso e diciamo che noi 3 siamo lo zoccolo duro. Mi hanno fatto meglio 6 mesi come front-man che 10 anni di analisi…(ride)

Il 7 giugno è uscito il tuo primo singolo “Gli amici del mare” con un video diverso da quelli che siamo abituati a vedere perché d’impatto traspare la realtà non la finzione, amici veri e non attori e comparse… com’è nata la scelta di realizzare un videoclip del genere?

Io amo la realtà, la verità e la bellezza, che per inciso non ha quasi mai nulla a che vedere con la perfezione. Non mi interessa fare cose ragionate a tavolino, ma voglio che la mia arte, se così si può definire, sia genuina. In un’epoca dove tutto è costruito io voglio la verità, anche perché lo ammetto sono un inguaribile anticonformista. La canzone parla di persone vere alcune sono anche nel video e poi non avevo budget e quindi amici veri e cellulari (ride)

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Sempre parlando del tuo singolo di debutto e di amici veri, quanto conta e come vivi il valore dell’amicizia?

Sono sempre stato un persona solitaria, anche se non sempre per scelta, non ho mai avuto grandi compagnie e ho un carattere un po’ sopra le righe quindi diciamo che i pochi amici che ho e che mi sopportano cerco di tenermeli stretti (ride). Credo che a volte la società giri troppo intorno a dinamiche lavorative o sessuali riuscire per esempio ad avere amici sinceri del sesso opposto è una cosa che dovrebbero fare tutti per imparare a valutare le persone in modo più profondo e schietto. Senza alcuni cari amici non credo avrei fatto questo progetto e non sarei nemmeno uscito da periodi duri della mia vita.

Nei prossimi mesi uscirà il tuo disco? Quanto ci sarà di te nei brani che ascolteremo e cosa ti piacerebbe che la gente scoprisse- riscoprisse o cogliesse attraverso le tue canzoni?

Non uscirà un disco sarebbe anacronistico e inutile. Farò uscire altri due singoli uno in autunno dal titolo Fellini e l’altro in primavera dal titolo Percussioni latine. Nei miei brani c’è la mia vita, nel bene e nel male, c’è tutto di me nei miei brani anzi sono il momento ed il mezzo con il quale potete vedere il vero me stesso. Le serate gli amori gli amici che hai seppellito la famiglia la poesia il mare la mia vita insomma la mia visione del mondo e degli altri e di me stesso. Vorrei che le persone sentissero la malinconia e la bellezza di questa terra e la felicità che deriva da questa comprensione profonda del mondo, non so se ci riuscirò con la musica è ambizioso (ride) però ci provo, se anche solo una persona si sentirà ispirata e travolta mi basta già.

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Qual è l’augurio che fai a te stesso?

Di non smettere mai di divertirmi facendo musica e di riuscire a farla sempre con umiltà e passione. Spero grazie alla musica di riuscire a diventare una persona migliore, viaggiare, esorcizzare la mia oscurità interiore ed imparare a stare con gli altri. Il giorno che inizierò a parlare di diventare famoso vi prego sparatemi (ride)

 

Ironia, sana follia ed un concentrato di positività rendono questo ragazzo davvero speciale. Non perdetelo di vista perché è grazie a persone come lui che la musica ritrova quel “che” di autentico, ultimamente quasi del tutto tralasciato. Lui quell’autenticità ce l’ha nel DNA.

Claudia Venuti

Nesli e quel suo modo di dire che “Andrà tutto bene”

Ho un debole per l’inizio delle storie d’amore e ce n’è una che non ho mai raccontato a nessuno, una di quelle storie che sai quanto siano importanti e cosa rappresentino per te, ma che nessuno ti ha mai chiesto di raccontare e le custodisci dentro per anni. Partiamo dal fatto che come sempre per me non vale la regola del: Il primo amore non si scorda mai.” ma bensì il secondo. I miei primi amori sono sempre finiti nel dimenticatoio.

Questa storia invece inizia nel 2004, quando avevo poco più di 16 anni ed ero una ragazzina ribelle e indisciplinata, odiavo la scuola infatti non studiavo mai e mi ero trasferita da un po’ di tempo in una città, quella che attualmente è la mia città: Rimini. Il mio essere esuberante ed eccessiva praticamente in tutto, camminava di pari passo con il mio essere perennemente introspettiva… Tradotto: mi facevo delle grandi paranoie, accompagnate da grandi paure e grande estremismo nel vivere tutto in maniera totalizzante senza conoscere le vie di mezzo, ma a 16-17 anni ci sta. Il problema è che ho continuato anche a 18, 19, 20, 21 ecc ecc.

Esorcizzavo tutto con due cose: la musica e la scrittura e amavo solo la verità, come sempre, perché ad oggi che di anni ne ho 32 non è cambiato molto il mio modo di esorcizzare i dispiaceri o le cose che mi fanno soffrire, è cambiato solo lo status da negativo a positivo.

Francesco Tarducci credo sia entrato nella mia vita principalmente per questo motivo, perché attraverso le sue canzoni non faceva altro che descrivere i suoi dolori e le sue mancanze con parole vere, nette, sincere e taglienti. Era simile a me ed era tutto quello di cui avevo bisogno mentre ero in conflitto con me stessa e col mondo. Lui cantava Parole da dedicarmi ed io pensavo: “C’è qualcuno uguale a me” lui faceva promesse a sé stesso con Da domani e Un altro giorno e io imparavo cosa fosse la speranza, la fiducia. Era l’unico in grado di capirmi, l’unico in grado di descrivere i miei stati d’animo.

 

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Conosciuto da tutti come il fratello di Fabri Fibra (come se fosse necessario specificare questo dettaglio in tutte le descrizioni esistenti) per me è sempre stato solo ed esclusivamente NESLI. Quello che mi ha accompagnato in uno dei periodi cruciali della mia esistenza e che da quando ha iniziato a farmi compagnia, in realtà poi non ha più smesso di essere il compagno di quest’avventura chiamata vita.

Dal rap al pop, da testi forti a dichiarazioni d’amore, da descrizioni perfette del concetto di abbandono e di assenza allo spremere in tutti i modi possibili tutti i sentimenti e le sensazioni esistenti, io camminavo di pari passo con i suoi cambiamenti, con gli avvenimenti della sua vita descritti nelle sue canzoni.

Viaggiavamo insieme.

Una carriera che ha preso il via con Ego (primo album datato 2003) ed arrivata ad oggi con Vengo in pace (2019) In tutti questi anni c’è stata una costante, una sua costante ed è proprio quella verità che non ho mai smesso di cercare e ricercare ovunque, compreso nella musica, sapendo di poterla trovare puntualmente in tutte le sue canzoni, come se fosse una sorta di certezza per me e mentre il suo pubblico iniziava a dividersi tra quelli che gli davano addosso accusandolo di esser cambiato, di non essere più un rapper ma uno che stava per buttarsi in pasto all’essere “commerciale” io continuavo ad amare ogni suo cambiamento, perché oltre alla costante della verità Nesli ha sempre avuto un’altra costante ed è quella di parlare col cuore in mano, andando a scavare a fondo, facendosi spesso male, ma male davvero.

E’ sempre stato un artista vero, senza filtri, senza veli e senza paura di mostrarsi davvero con tutto il suo bagaglio di errori e di esperienze positive e negative. Ha sempre avuto la poesia nelle vene. I suoi viaggi interiori, le sue fragilità e quella ricerca ostinata di equilibrio e di benessere sono sempre appartenuti anche alla mia persona. Mi sentivo come lui.

Dieci anni fa, nel 2009 bussa alla mia porta per la seconda volta un periodo buio ed è l’anno in cui esce FRAGILE – Nesliving vol. 1 e 2 due album che rappresentano senza dubbio la mia salvezza ed è anche l’anno in cui finalmente grazie ad un tour nei club riesco a conoscere e ad abbracciare Francesco.

L’anno de La fine con “Vorrei che fosse oggi in un attimo già domani, per riniziare per stravolgere tutti i miei piani, perché sarà migliore ed io sarò migliore come un bel film che lascia tutti senza parole.”

L’anno di Se perdi con “Mi hai salvato la vita, sì proprio tu e la vita da quel giorno mi è piaciuta di più” ed è proprio all’interno di questa canzone che sento e mi soffermo per la prima volta sul nome Mia, nome che successivamente è diventato anche quello della protagonista dei miei libri.

Ancora una volta la sua musica diventa un appiglio, ancora una volta tutte le canzoni contenute in quei due album riescono a scrollarmi di dosso le paure e ad accendere in me la speranza di poter tornare a vedere la luce, anche se poco alla volta dalle fessure della finestra della mia camera da letto. Ma è soprattutto l’anno in cui riesco a dirgli GRAZIE guardandolo negli occhi con quel primo abbraccio che non dimenticherò mai.

 

Nesli

 

Da quel giorno ho percorso chilometri e visto decine di suoi live. Era, è stato ed è semplicemente l’artista del mio cuore, quello che lego a tanti piccoli e grandi avvenimenti della mia vita, quello che mi ha fatto compagnia nelle mie notti senza sonno, quello che mi ha accompagnato durante il mio primo viaggio a New York con l’album Nesliving volume 3 che ha segnato definitivamente il suo passaggio dall’hip-pop al pop e ricordo perfettamente di aver ascoltato fino allo sfinimento poco prima di salire sull’aereo il suo singolo Partirò e quella frase che continuava a rimanere impressa nella mia testa “Le parole hanno vita lunga, le paure hanno vita breve.”

E nel 2016 esce il mio primo libro e decido di chiamare la protagonista delle mie pagin Mia e poco dopo l’uscita del libro, come se lui l’avesse letto o sapesse già tutto mi arriva l’ennesimo regalo con il suo nono album Kill Karma che contiene una canzone dal titolo Piccola Mia, cucita perfettamente addosso al mio sogno di mollare tutto e andare a vivere a New York

“Piccola Mia che vuoi così tanto scappare, che vuoi il mondo nella tua stanza e ogni giorno da incorniciare, che sogni una ita da Marilyn che tanto non si può fare, una vita da film che non è qui perché non è reale. Piccola Mia con le valigie dentro quel taxi, che hai voluto ricominciare come se ci mancasse il male perché sapevo che volevi andare, volevi sognare senza legame…”

Ricordo di aver pianto un bel po’ dopo aver schiacciato Play perché è sempre stato puntuale, non ha mai sbagliato i tempi e mi ha insegnato a lasciare andare, con il suo motto “Il bene genera bene” mi ha insegnato a credere davvero che alla fine il bene vinca e che “La fine non esiste” che la parola fine non dev’essere una paura in più ma solo l’occasione per un nuovo inizio.

Mi ha insegnato che essere dei sognatori cronici non è poi così male, mi ha insegnato a reagire, a rischiare sempre e comunque, a trasformare le sconfitte in vittorie e le delusioni in lezioni di vita. E’ sempre grazie a lui che ho imparato la bellezza della solitudine, del saper stare sola e prendermi cura di me stessa.

Andrà tutto bene è il titolo di una sua canzone e del suo libro autobiografico ma è soprattutto la frase che ripeto oggi giorno alla Claudia versione FRAGILE.

 

Claudia Venuti

Romeo and Juliet

 

L’amore secondo una millennial attempata

Il suo riff iniziale è una delle colonne sonore più adatte ai mal d’amore, dagli anni ‘80 a oggi. Le storie tormentate o sofferte, gli innamoramenti non corrisposti, le coppie dal destino avverso: tutti possono ritrovarsi nelle strofe di questa amatissima canzone dei Dire Straits, Romeo and Juliet. Uscita nell’ottobre del 1980, non stanca di ammaliare con la sua melodia dolce ma decisa: è una ballad che parla di un Romeo lovestruck, colpito, annientato dall’amore.

La sua Juliet è algida, possiamo immaginarla guardarlo dall’alto, quasi con sufficienza, chiedendosi che cosa mai ci avrà trovato in un tipo del genere. Romeo non ha più alcun ritegno, non c’è dignità che tenga davanti all’amore: continua a implorare la sua Giulietta di ascoltarlo, di ricordare il tempo passato insieme, anche se non sa fare nulla, farebbe di tutto per lei.

Ma tutto quello che può fare è sentire la sua mancanza, ricordare le promesse di amore eterno, maledirsi per la sua pochezza. Ma il suo sguardo è perso nel vuoto, continua a fare i palloncini con la gomma da masticare: non ha memoria dei sogni del passato, è stato tutto uno dei suoi intrighi?

La musica accelera nel ritornello, a sottolineare la disperazione di quel ragazzo perduto in un metaforico labirinto, poi rallenta di nuovo: Romeo continua a parlare, da solo ormai, tiene il ritmo schioccando le dita, affogando nei ricordi. Basta qualche passo fuori dalla luce del lampione, ed è uscito per sempre dalla vita di lei.

Una storia molto diversa da quella che mette in scena Shakespare alla corte elisabettiana. Romeo e Giulietta è una tragedia talmente potente da essere diventata il simbolo dell’amore, l’archetipo degli amanti sfortunati. L’ambientazione italiana conferisce ai personaggi un tocco esotico per gli spettatori, cortigiani rinascimentali, ma credo sia importante sottolineare soprattutto quanto universale sia questa love story.

Un concetto talmente potente da varcare i confini del tempo e dello spazio: dalla Verona cinquecentesca dei Montecchi e dei Capuleti alla New York degli anni ‘80 di Mark Knopfler, dalle strade della Manhattan degli anni ‘60 di Tony e Maria alla Londra di fine 1500 dell’autore dell’opera teatrale.

La canzone dei Dire Straits, infatti, ha un costante rimando a un’altra opera musicale, West Side Story, appunto, la vicenda di due innamorati osteggiati dalle proprie famiglie, moderni Romeo e Giulietta degli anni dei diritti civili e della guerra del Vietnam. È quella del musical la movie song che Romeo non riesce a ricordare, in un gioco di specchi che rimanda ancora una volta all’idea centrale di sofferenza per amore.

Cosa accomuna tutti questi episodi nell’immaginario collettivo? Naturalmente l’amore. Questa forza che secondo i latini vinceva su tutto, questa potenza su cui siamo soliti concentrare tutto il nostro interesse e sulla base di cui ci siamo abituati a costruire le nostre vite.

Nonostante le palesi differenze, alla fine, quello su cui si può riflettere è che le esperienze dei protagonisti si intersecano e si sovrappongono: che sia Maria o Giulietta poco importa, chi ha un amore difficile si rivedrà in questa donna triste, sconsolata, impotente. E chi invece è alla conquista, o alla rinconquista di un amore impossibile, o un amore perduto, non potrà evitare di ritrovarsi nel personaggio di Romeo, pronto a tutto, anche a rendersi ridicolo, a mettersi in pericolo e pure a morire per la sua amata.

Credo che l’amore sia il sentimento più celebrato in canzoni, libri, film, opere teatrali, e in generale in qualunque forma d’arte mai esistita, fin dall’alba dei tempi. Perchè? Beh la risposta è dentro di noi: anche se sappiamo perfettamente che quello “dei film” è stucchevole, sdolcinato, esagerato, assolutamente irrealistico e irrealizzabile, lontano, in una parola, impossibile, non possiamo fare a meno di sognare qualcuno che ci ami così.

 

Irene Lodi

 

Eco Sound Fest 2019: Playlist di Futura 1993

A Caprarola torna l’Eco Sound Fest: ecco la playlist per il festival che guarda all’ambiente

Dal 26 al 28 luglio tanta musica italiana in una cornice suggestiva, per un’esperienza da vivere a 360°

 

L’estate è da sempre il terreno fertile per momenti di aggregazione e serate tra amici e da un po’ di anni il palcoscenico dei più importanti festival musicali. Nel pieno della stagione delle rassegne, non poteva mancare l’Eco Sound Fest giunto alla sua settima edizione e ospitato dal Parco delle Ex Scuderie Farnese di Caprarola (VT) dal 26 al 28 luglio 2019.

 

L’Eco Sound Fest nasce da un’idea della Proloco Giovani con l’obiettivo di unire la promozione della creatività giovanile, in particolare legata alla produzione musicale, al rispetto dell’ambiente: leit motif di questo festival sostenibile, ormai punto di riferimento per chi condivide l’impegno di ridurre l’impatto ambientale, gli organizzatori hanno allestito il parco con ornamenti costruiti attraverso il riciclo creativo e, durante la manifestazione, sono previsti l’utilizzo soltanto di materiali ecocompatibili e una politica corretta di smaltimento dei rifiuti. Bottiglie, lattine, vecchie ruote e biciclette non sono più materiale di scarto, ma risorse preziose con cui decorare le diverse aree del parco.

 

Un palco tutt’altro che convenzionale, immerso tra le bellezze artistiche rinascimentali e i paesaggi incontaminati, vedrà esibirsi nei tre giorni Noyz Narcos, Nada, Canova, Claver Gold, Psicologi, Peter White, Pippo Sowlo e tanti altri, all’interno dell’affascinante terra della Tuscia, scenario perfetto che permetterà al pubblico di godere di un’esperienza a 360°: non solo musica con la sua area concerti, ma anche un’area campeggio attrezzato di docce e bagni, un’area relax, un’area espositiva, un’enoteca e un’area ristoro con piatti locali e stagionali per ogni tipo di intrattenimento e comfort. A pochi passi dalla location del festival, la Villa Farnese, il borgo medievale di Caprarola e la riserva naturale del Lago di Vico, raggiungibile con un servizio navetta.

 

L’ingresso di ogni giornata costa 5€, tuttavia è possibile acquistare un abbonamento che garantisce l’accesso a tutte le serate del festival al costo di 10€ (il prezzo di quest’ultimo aumenterà nei prossimi giorni). Tickets e abbonamenti acquistabili sulla piattaforma Do It Yourself: https://www.diyticket.it/festivals/123/eco-sound-fest-2019.

 

LINE-UP

Venerdì 26 luglio – inizio concerti ore 20,30 – ingresso 5€ (early bird)

T.B.A. / Claver Gold / Noyz Narcos

Sabato 27 luglio – inizio concerti ore 20,30 – ingresso 5€

Pippo Sowlo / Psicologi / Canova

Domenica 28 luglio – inizio concerti ore 20,30 – ingresso 5€

T.B.A. / Peter White / Nada

 

Per ulteriori informazioni: Pagina Facebook http://bit.ly/2rzmRZe – Evento https://bit.ly/2YMLcHS

 

Non perderti la nostra playlist dedicata agli artisti dell’Eco Sound Fest! Sono presenti i successi degli artisti dell’edizione 2019, da quelli dell’ultimo album di Noyz Narcos Casa mia e Mic Check, Domenicamara e Shakespeare dei Canova, inni indie pop al sapore di libertà, fino a Senza un perché della sacerdotessa del rock alternativo italiano Nada anche colonna sonora dell’acclamatissima serie tv The young Pope. Non mancano i progetti musicali protagonisti dell’edizione 2018: il pop romantico d’altri tempi degli Ex-Otago Quando sono con te, la penna visionaria e insieme concreta di Rancore (visto al Festival di Sanremo lo scorso febbraio), l’irriverenza folk e mai scontata di una delle proposte più fresche degli ultimi anni Eugenio in via di gioia Chiodo fisso e Giovani illuminati.

 

GOA BOA FESTIVAL entra nel vivo!

GOA-BOA 2019 ENTRA NEL VIVO:
Dal 18 al 21 luglio sul palco dell’Arena del Mare
CARL BRAVE, MAX GAZZÈ, SALMO, IZI e tantissimi altri.

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Goa-Boa chiama Luna:
a 50 anni dal primo passo dell’uomo sul suolo lunare, torna lo storico festival in scena nel Porto Antico di Genova.

Tra gli appuntamenti cardinali della scena festivaliera italiana, la kermesse in scena nel cuore de “La Superba” prende ufficialmente il via. Dopo le due prestigiose anteprime che hanno avuto come protagonisti Calcutta e Gazzelle, e dopo le due serate di “Goazilla” dedicate ai mostri sacri del rock (Steve Hackett e Jethro Tull), Goa Boa 2019 entra nel vivo della sua programmazione!

Cinque serate (da mercoledì 17 luglio a domenica 21) in cui si esibiranno artisti di diverso genere, da pesi massimi come SALMO e MAX GAZZÈ, ad esponenti delle nuove generazioni della musica italiana come, CARL BRAVE e IZI, sempre in accordo con lo spirito onnivoro divenuto autentico marchio di fabbrica della direzione artistica tracciata nel corso di queste 22 edizioni.

 

 

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  giovedì 18 luglio 2019  

CARL BRAVE
ALFA
DUTCH NAZARI
PNKSAND
GHEMON
DOLA

OLLY
FADI

 

TICKET 18.07.2019

Apertura porte ore 17

Biglietti in prevendita: 26€ + dp

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  venerdì 19 luglio 2019  

MAX GAZZÈ
On the Road Summer Tour

DIMARTINO
ROVERE
EUGENIA POST MERIDIEM
EMMANUELLE
DELLACASA MALDIVE
TERSO
HAN

TICKET 19.07.2019

Apertura porta ore 17

Biglietti in prevendita: 27€ + ddp

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  sabato 20 luglio 2019  

SALMO
Playlist Summer Tour

QUENTIN40
MASSIMO PERICOLO
SPERANZA
DANI FAIV
PSICOLOGI
FUERA

TICKET 20.07.2019

Apertura porta ore 17

Biglietti in prevendita: 35€ + ddp

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  domenica 21 luglio 2019  

IZI
ERNIA
SIDE BABY
PRIESTESS
MAGGIO
IRBIS37
TAURO BOYS
MATSBY

TICKET 21.07.2019

Apertura porta ore 17

Biglietti in prevendita: 25€ + ddp

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GOA-BOA è realizzato da Associazione Psyco
in collaborazione con Comune di Genova, Regione Liguria, Porto Antico di Genova

INFORMAZIONI AL PUBBLICO:
scopri tutto ciò che c’è da sapere su GOA BOA 2019 > CLICCA QUI

INFO e BIGLIETTERIA

È possibile raggiungere l’Arena del Mare del Porto Antico di Genova con estrema facilità. La location è situata a pochi minuti di distanza a piedi dal centro storico e dalle fermate delle linee di autobus che passano per Piazza Caricamento. È possibile arrivare rapidamente a destinazione anche dalla stazione ferroviaria di Piazza Principe (10 minuti a piedi circa e 2 fermate di metro). Per coloro che arriveranno in macchina da fuori città, si consiglia, in base alla provenienza, di prendere l’uscita Ge-Ovest o Ge-Est e proseguire per “centro città”.

All’interno dell’area del Porto Antico ci sono ampie possibilità di parcheggio, coperto e scoperto, comprensivi di posti per disabili, con tariffa oraria forfait dalle 20.00 alle 3.00 (parcheggi Siberia, Cannoniere, Autosilo e Gadda). A poche centinaia di metri in via della Marina c’è inoltre il Marina Park e un’area sosta per Camper.
Per chi già in possesso di biglietto, l’entrata è situata al termine di via Magazzini del Cotone. È possibile acquistare i biglietti in loco, (al termine di via Magazzini del Cotone) a partire dalle ore 19.00, o nei circuiti online e nei punti di prevendita territoriali indicati sul sito www.goaboa.it.

INFOLINE:
+39 377 69 83 574
email

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Diario di una Band – Capitolo Otto

Canzoni che ti salvano la vita Che ti fanno dire “no, cazzo, non è ancora finita!” Che ti danno la forza di ricominciare Che ti tengono in piedi quando senti di crollare Ma non ti sembra un miracolo Che in mezzo a questo dolore E tutto questo rumore A volte basta una canzone Anche una stupida canzone Solo una stupida canzone A ricordarti chi sei

 

Brunori Sas

 

 

Avete presente quei giocattoli degli anni ‘80 ‘90 che tornano come pezzi da collezione introvabili?

Ovviamente parlo come uno che è nato nella precisa metà degli anni 80, quindi perdo letteralmente il senno quando alla visione di certi giocattoli, veri e propri cimeli, riassaporo tempi andati ed incredibili flashback roboanti di scalpore emotivo. Sapori, odori, sensazioni. Come un sottilissimo filo invisibile legato al polso che senza preavviso ti strattona verso una capsula del tempo dall’efficienza immediata. Ricordo i “Masters”, il caschetto biondo discutibilissimo di He-Man e la faccia di mio fratello Mattia quando ci regalarono il castello di Grayskull. Coltivo e rinnovo un affetto smisurato per i “Ghostbusters”, dalla Ecto 1 in bacheca al fucile protonico che sparava cartucce gialle di plastica leggera, il giubbotto di jeans nero con il simbolo intramontabile degli acchiappa fantasmi e la visione a dir poco dozzinale di entrambi i film, capendo solo dopo i trent’anni di sapere a memoria ogni battuta dei lungometraggi. Ci sono le videocassette delle “Ninja Turtles” e la sigla di “Mazinga”, le canzoni (perché erano due e straordinarie entrambe) di “Carletto il principe dei mostri” e “Devilman”, la corsa a scuola cantando “Denver” e l’idiozia della ricreazione imitando “Pingu”. In realtà Pingu tutt’ora emerge in qualche aperitivo lungo con gli amici.

C’era 90°minuto a cena dai nonni e la Domenica Sportiva che sanciva innegabilmente la fine del week end coi gol di Van Basten e Maradona e l’attesa già spasmodica del piccolo spazio dedicato alla serie B con la speranza facessero vedere i gol del Cesena in trasferta. C’era guardare di straforo “Colpo Grosso” e l’harem di Umberto Smaila, c’erano “Bayside School” e “Willy il principe di Bel Air”, c’erano le “Micro Machine” e la fissa per lo “YO YO”… insomma un’infinita officina di ricordi che ora in maniera onesta ma spesso agrodolce vanno giustamente a mortificare l’asettico sviluppo dei nostri calvari giornalieri.

E cosa possiamo dire in merito della musica?

Sono certo che la musica fino all’avvento di internet e dei famigerati masterizzatori avesse un peso umano sicuramente differente, si prendeva con i guanti, ci si documentava per interessi, c’era una cultura del tutto più “paziente”.

Per carità, non scannatemi, adesso è tutto pocket, è tutto smart, è tutto di facile accesso e le possibilità di ricerca sono assolutamente quintuplicate. Il concetto che voglio trasmettere è che forse si è arrivati ad un punto di saturazione tale, ad un livello di possibilità talmente amplio che anche la ricerca verso un genere o una band particolare perde di senso ed efficacia.

Io per primo sono legato come una sorta di schiavo moderno alla magnificenza di Spotify. In casa, sul lavoro, in macchina, appena sveglio, prima di dormire, in campeggio, in vacanza, in tour con la band. Comodità e possibilità ad un prezzo più o meno ragionevole, insomma il costo esatto di due birre medie al pub. Però è chiaro che bisogna diversificare la strada e l’esperienza di come si è arrivati a sto punto partendo da un fulcro generazionale di base e avere la totale cognizione di ciò che non si è perso lungo il cammino.

I cinquantenni ora come ora sono i soggetti più a “rischio” nella giungla di Facebook e dei social network, per l’inesperienza sul campo, non per demeriti intellettuali o cognitivi, ma semplice abitudine di azione. Col serio rischio di demolire sottilissimi argini di decenza con fake news e un mondo nuovo all’apparenza disordinato che scombussola l’ormone ormai indirizzato al declino, si può incappare nella più totale e illogica strumentalizzazione del canale. In maniera speculare, con connotati diversi ma concettualmente similari le nuove generazioni hanno lo stesso tipo di bombardamento, subire delle circostanze senza conoscerne la fonte ne la motivazione. Non generalizzo in merito ma per lo meno una grande fetta non ha la cultura e la sacralità del gestire e manovrare la musica col rispetto che merita. Non è una colpa che si deve additare ai soggetti in questione. La struttura egemonica dei colossi musicali non lascia troppo all’immaginazione, il martellamento mediatico è a prova di scudo e ribellione, la RICERCA MUSICALE non è più tale semplicemente perche è divenuta una RICERCA di MERCATO. Ed è qui che muore la sovranità dell’anima e del passare le notti a guardare il cielo.

E qui arrivo al punto bisogna trovare una soluzione, una speranza, un simbolo.

Su due piedi penso solo a una cosa. IL VINILE.

Cazzo il vinile ancora oggi quanto spinge? Quanto regala? Quanto gusto trasmette tenerlo in mano, sfilarlo con cura e poggiarlo sul gira dischi con flemmatica cura? Impagabile. Potrà sembrare un viaggio anacronistico ma è il vero e unico viaggio della speranza che ci resta. Una forma di contatto coi nostri genitori, una formula alchemica che soddisfa più sensi in blocco, quello della vista, il senso del tatto e il senso dell’udito. Quel fievole saltellare accompagnato da un soffio leggero che esce dalle casse prima che parta l’inconfondibile sonorità che solo il disco può regalare esploda nella sua magnificenza.

Si potrebbe e si dovrebbe fare un discorso di questo tipo a chi vuole approcciare alla musica, raccontare le scorribande in scooter verso la “Sound and Vision” non appena la paghetta entrava nel marsupio della Napapijri e setacciare ogni angolo infausto del negozio di dischi che diventava in quel lasso di tempo una caccia al tesoro troppo importante. Non si poteva tornare a casa con un album scontato e quindi partiva la guerra di chi difendeva il punk all’italiana, chi si faceva paladino del metal, chi con lo skate oramai adottato come un estensione del proprio corpo non vedeva altro che la California in ogni sua forma. C’era dialogo e c’era competizione, sana e genuina, di quelle battaglie costruttive che ora comprendo meglio e ne faccio tesoro come una lezione di filosofia.

Semplicemente non ci siamo accontentati e abbiamo cercato e cercato la nostra strada fino a capire quale fosse il lido giusto in cui approdare, senza però perdere la libertà di scoprire e sperimentare.

Scrivendo queste righe mi accorgo della fortuna che ho avuto, non me ne faccio vanto come una mia conquista, il merito va ai miei genitori che di vinili e musica “buona” sono tutt’ora ghiotti ed è stato forse facile crescere con questa mentalità. Essendo sempre stato libero di scegliere ogni mia mossa, senza che mi fosse recriminato mai nulla anche quando della musica non me ne fregava troppo e pensavo solo a diventare un calciatore.

Insomma non si può recriminare un intera generazione se le cose vanno da schifo, se la politica collassa, se lo sport è un concorso di bellezza e se la parola e il dialogo sono stati soppiantati da uno smartphone. Loro, i giovani, ci sono nati in questo brodo fetido e non possono agire diversamente se non hanno esempi.

Quindi lunga vita a chi ci prova con la forza dell’interesse e della determinazione, a chi spende parole, tempo e penseri affinché vengano presi e coltivati da menti che hanno bisogno di essere plasmate. A chi non resta nelle quattro mura di casa, a chi spalanca le finestre ed alza al massimo volume la propria musica, la colonna sonora della propria vita. Una dedica ai miei colleghi di Vez Magazine, pionieri moderni di una vecchia ed immortale regola di vita, L’amore per la musica, fiero di farne parte al vostro fianco.

 

Vasco Bartowski Abbondanza

 

The Smashing Pumpkins: una storia d’amore

Il primo amore non si scorda mai e il mio primo amore, musicalmente parlando, sono The Smashing Pumpkins.

Il primo vero momento significativo della nostra storia è nel 1998 con la pubblicazione di Adore. Ad essere sincera, non ricordo esattamente il momento del colpo di fulmine che ha iniziato il tutto, forse non c’è nemmeno stato, forse è stato un lento convergere verso questo gruppo che in un momento storico in cui il grunge era allo sbaraglio per la morte di Kurt Cobain e il brit pop non era nelle mie corde, The Smashing Pumpkins erano coloro che avevano qualcosa da dirmi, in cui riuscivo a riconoscermi.

Che cosa, di preciso, mi affascinasse così tanto della loro musica, non riesco ancora a razionalizzarlo dopo più di vent’anni di ascolto: in primis furono le atmosfere gotiche, graffianti e rabbiose del singolo Ava Adore, ma poi fu la dolcezza e la malinconia delle storie raccontate in punta di dita sul pianoforte che mi fecero innamorare.

Adore nel 1998 fu un album innovativo, coraggioso nella scelta di sopperire con synths e drum machines al temporaneo allontanamento del batterista Jimmy Chamberlin – tranne che per un brano, la toccante For Martha, in cui la batteria viene affidata a quel Matt Cameron di Soundgarden e Pearl Jam come a sottolineare che dopotutto l’animo grunge che aveva avviato il gruppo non è stato del tutto archiviato come “passato”.

Già l’anno prima i Radiohead avevano fatto da apripista ad una svolta elettronica nella produzione di un gruppo rock e critici ed ascoltatori avevano accolto Ok Computer osannandolo, mentre Adore provocò frattura tra la band e i fan e tra i fan e la critica. Il coraggio, il genio visionario ed imprevedibile di Billy Corgan non fu capito da chi si aspettava un altro Mellon Collie and the Infinite Sadness, ma per chi come me in quegli anni viveva l’inquietudine della fine dell’adolescenza e l’ansia dell’ingresso nell’età adulta, fu un posto sicuro dove andarsi a rifugiare.

Innamorarsi di un gruppo nel momento più controverso della sua produzione mi ha permesso di approcciarmi a tutto quello che venne prima in modo più critico, forse con meno aspettative, anche se dopotutto, di che aspettative stiamo parlando? Prima di Adore The Smashing Pumpkins erano un gruppo grunge rock, diamante grezzo, dopo Adore una gemma scintillante dalle molteplici sfaccettature, un diamante però, purtroppo, classificabile VS1: inclusioni molto piccole ma pur sempre difetti, che alla lunga si sarebbero tramutati nel disastro e dissoluzione della band come l’abbiamo conosciuta fino al 2000.

Ma torniamo alla nostra storia d’amore: Adore è stato l’innamoramento, Machina l’attesa del ritrovarsi di quando si vive una relazione a distanza ed il primo sentore dell’aspettativa delusa.

Non sono passati neanche due anni da Adore e siamo di fronte ad un nuovo cambio di stile, una ricerca di un’identità difficile da trovare: “Amore mio, sei cambiato, non ti riconosco più”. Da una parte l’hard rock graffiante del primo singolo The Everlasting Gaze strizzava l’occhio a chi amava The Smashing Pumpkins di Tales of a Scorched Earth, il secondo singolo Stand Inside Your Love cercava (e ci riusciva) di abbracciare gli animi decadenti che avevano amato Adore, mentre con Try Try Try si cercava una svolta pop che non è mai per fortuna veramente arrivata. Il risultato? Un guazzabuglio non del tutto convincente. Lo disse la critica, lo sapevano i fan, lo sentiva anche il gruppo che nel frattempo aveva ritrovato Jimmy Chamberlin ma aveva sostituito la bassista fondatrice D’Arcy con Melissa Auf Der Maur delle Hole.

Cosa succede quando uno dei due nella coppia è confuso e non sa più cosa vuole? Amaramente, ci si lascia. In questo caso, l’occasione fu il tour di addio alle scene.

 

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Era il 27 Settembre 2000, al palazzetto di Casalecchio di Reno a Bologna. Era il primo vero concerto che andavo a vedere in macchina da sola. Il biglietto, comprato in un torrido pomeriggio estivo post maturità con la mia migliore amica del liceo, era la materializzazione di un’impetuosa presa di coscienza della nostra nuova condizione di adulti, persone che possono prendere decisioni seguendo le loro passioni per fare esperienze. Quella sera per me fu un’esperienza musicale e di vita: il concerto prima, il fatto di dovermi arrangiare a compilare un modulo di constatazione amichevole per essere rimasta coinvolta in un tamponamento a catena in tangenziale poi.

Di quel concerto porto nel cuore immagini sfocate, ancora non avevo l’abitudine di portarmi una qualche sorta di macchina fotografica con me per aiutarmi a ricordare, ma sul palco The Smashing Pumpkins erano come nelle foto dei booklet degli album: i lunghi abiti neri, la presenza magnetica di Billy Corgan, giovane pelato e schivo, le canzoni che amavo e che speravo di ascoltare, dai singoli mainstream fino ad un paio di oscuri pezzi tratti da Machina II… ma uno su tutti è il ricordo di quella notte, l’ultimo bacio tra due amanti, una memoria così intensa da essere quasi tangibile: un pianoforte a coda sul palco, un fascio di luce che illumina Billy Corgan, Blank Page con i suoi rimpianti, fantasmi, un addio struggente, la speranza di un futuro comunque ancora tutto da scrivere.

Da lì a poco il gruppo si sciolse, ci perdemmo di vista per non trascinare una storia finita, ma non era facile riempire il vuoto lasciato dalla consapevolezza che non ci sarebbero più stati nuovi album e nuovi tour de The Smashing Pumpkins. Certo, nuovi gruppi stavano attirando la mia attenzione e stuzzicando il mio gusto musicale, ma come ogni volta che una storia d’amore si chiude, ci si riduce a guardare indietro ai ricordi, in questo caso ai dischi passati, finché al dispiacere di un futuro che non ci sarà si sostituisce il conforto di quello che c’è stato.

È nei primi anni 2000 quindi che riscopro e creo un legame fortissimo con Siamese Dream facendone la colonna sonora della preparazione all’esame di Analisi I, uno di quei rari album che sono perfetti così come sono, nella loro interezza e allo stesso tempo a livello di singolo brano.

La stessa cosa non mi sento di poter dire invece di quello che per l’opinione pubblica è il loro capolavoro, Mellon Collie and the Infinite Sadness: un’opera magna di due ore di musica ma a cui a distanza di tanti anni e tanti ascolti fatico a trovare un senso, una coerenza stilistica o un percorso concettuale che mi porti dall’intro al pianoforte del primo disco attraverso il picco compositivo di Tonight Tonight alla rabbia di Bullet with Butterfly Wings, dal divertissement di We Only Come Out at Night alle nuances hardcore della già menzionata Tales of a Scorched Earth. Se The Smashing Pumpkins ed io ci fossimo conosciuti nel 1995 invece che nel 1998 e Mellon Collie fosse stato il nostro primo appuntamento, sarebbe stata una di quelle serate in cui parli tanto ma superficialmente di tutto, scattano delle scintille, ci sono baci appassionati, ma poi ci si perde, ci si distrae e qualcosa non porta al secondo appuntamento.

Ad ogni modo, come dicevamo all’inizio, il primo amore non si dimentica mai e nel tempo capita di incontrarsi di nuovo, una visione sfuggente dall’altro lato della strada, un passante con il suo profumo che ti risucchia nel passato. Questi momenti sono stati i tentativi non troppo brillanti di Billy Corgan di riaccendere l’interesse per il suo gruppo con Zeitgeist e Teargarden by Kaleidyscope, passaggi sfuggenti di un’ombra che accarezza la pelle. Mancava qualcosa, mancava qualcuno, mancava il tocco di James Iha, silenzioso quanto incisivo ingranaggio per rendere il meccanismo di nuovo perfetto come una volta.

E poi succede un giorno, il 18 Ottobre 2018 alla vigilia del mio compleanno, che i pianeti si riallineano e il destino riporta me e The Smashing Pumpkins nel luogo in cui ci siamo salutati per l’ultima volta. Sono passati 18 anni, io sono cambiata, loro sono cambiati. Ci ritroviamo per tre ore di concerto in cui mi è passata davanti agli occhi la mia vita da adulta fino ad ora: mi sono rivista diciottenne davanti allo stesso palco, sicura della mia scelta per i cinque anni a venire di studi universitari. Un ricordo flash del 2007, io che esco dal mio primo appartamento in cui ho vissuto da sola, nel cuore di Capitol Hill a Seattle, e vado al negozio di dischi proprio attraversata la strada a comprare una copia di Zeitgeist a scatola chiusa, spaventata e allo stesso emozionata come quando si riceve un messaggio dal tuo ex che non senti da anni, solo per renderti conto che aveva sbagliato numero o che l’edizione speciale dell’album che avevi preso dallo scaffale era, per errore, senza cd. E poi gli anni di ricerca, scientifica, musicale e di vita, attraverso lavori, concerti e persone, accompagnata da nuovi amori, alcuni passeggeri altri più duraturi, fino a convergere di nuovo nello stesso tempo e luogo, a Bologna.

Tre ore catartiche, che sono state un pugno nello stomaco e una carezza, che mi hanno fatto svegliare e capire perché, incrociando lo sguardo limpido degli occhi senza età di Billy Corgan, in questi anni i tanti concerti dei Pearl Jam, gruppo su cui ho trasferito il mio amore più per la loro città di provenienza che per la loro musica, non sono mai riusciti ad emozionarmi fino in fondo come invece riescono The Smashing Pumpkins su un palco: perché il mio cuore non era con loro, perché la mia identità musicale non è rappresentata dai buoni senza macchia e senza paura, ma da un ribelle spavaldo che non ha paura di urlare al mondo, di farsi amare ed odiare in egual misura ed intensità, che oggi sa chi è e si vuole bene per la persona che è diventata, lui a 52 anni, io a quasi 38.

Da quella sera The Smashing Pumpkins ed io abbiamo ricominciato a frequentarci e a vederci più spesso per festival e concerti, come amici ora, che hanno condiviso una profonda passione in gioventù ma che sono cresciuti e che possono guardare al presente, al passato e al futuro con l’affettuosa serenità di chi sa che il primo amore ti accompagnerà sempre.

 

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Testo e Foto di Francesca Garattoni

 

Jova Beach Party @ Rimini

Un po’ come si è chiesto Motta durante un’intervista di qualche giorno fa, anche io mi chiedo se le persone presenti stiano ascoltando o abbiano realmente mai ascoltato o letto le parole di Lorenzo Jovanotti Cherubini nelle sue canzoni.

Si perché le cose sono due: puoi non aver capito nulla o puoi non aver ascoltato, quel che è certo è che se non concordi difficilmente potrai trovarti a tuo agio qui, dove da padrona la fa l’ecologia.

Anche qui al Jova Beach Party di Rimini, il 10 luglio, troviamo un Jova che lotta per l’ambiente e che fa intervenire un astronauta in orbita con un dolce e commovente intervento che si riassume facilmente con la sua frase di commiato “il vero nemico non sono i poveri in difficoltà, ma è il cambiamento climatico”.

L’evento, non il concerto, consta in uno spazio ampio sulla spiaggia adiacente a Riminiterme che ospita ristoranti locali, Street Food e cibi anche per vegetariani e vegani.

All’entrata si percepisce subito l’aria di festa. Impalcature centrali e laterali contengono e regolano un parterre sold out già da diverso tempo, con scenografie “spaziali” e giochi di colori.

Durante il pomeriggio numerosi dj set e Jova che, tra le transenne centrali dove era stato allestito un piccolo palco “sposa” una fortunata coppia che non riesce a trattenere la gioia e fatica quasi a parlare. È come se un abbraccio facesse sentire tutti parte di un micromondo, un piccolo spicchio ritagliato dalla realtà dove finalmente puoi rilassarti.

E poi si entra nel vivo e si diverte lui per primo. Come sempre.

Tra canzoni riarrangiate, vecchie e nuove, e dj set sulle note dei suoi artisti preferiti come Fat Boy Slim, Blur, Bruno Mars, Nirvana, Avicii, Queen, Coldplay e Chemical Brothers tra gli altri, salgono sul palco anche dei vecchi amici.

Christian Ermeti e Elisa Fuchi campioni del mondo di danze Folk salgono sul palco assieme all’Orchestra Casadei e ci salutano solo dopo la rituale Romagna Mia cantata in coro come da tradizione (lo scorso live è stata altrettanto bella e sentita).

Guardando Jova sul palco possiamo definirlo un nuovo hippie, anche se somiglia tanto agli hippie dell’epoca dei miei genitori. L’hippie bello, serio, quello dei fiori nei fucili. Tra un inno all’Europa unita e un messaggio di speranza <<Bisogna dire sì ogni tanto. Non sempre no. No a tutto. Basta, diciamo di sì>> sale sul palco anche Luca Carboni, ospite graditissimo e nostro conterraneo (Bologna è casa, diciamolo).

Assieme riarrangiano Bella in chiave reggae e improvvisano la scaletta, diversa per ogni data del Jova Beach Party in giro per l’Italia.

Poi sul maxischermo appare Soldini <<Il mare è bellissimo perché da lì arrivano tante persone ed è necessario tenerlo pulito>>.

E così la serata, tra sensibilizzazione e musiche di tutti i paesi come il bellissimo Sirtaki, scivola via leggera in tre ore di live che è più uno show che un concerto e c’è stato un momento in cui avrei voluto guardare tutti noi sulla sabbia con gli occhi di Jova: chissà cosa avrà pensato osservandoci con gli occhi pieni di gioia e commozione?

 

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<< Mi sento il vostro babbo e non voglio essere pesante ma è davvero importante. Spero che la nostra generazione sia l’ultima che ha impattato così tanto questo pianeta. Le nuove generazioni ne sanno di più di noi, a scuola stanno facendo un ottimo. Lavoro di consapevolezza. Perché uno possa divertirsi senza sentirsi in colpa. Ultimamente capita che se uno parla di divertimento finisce quasi per sentirsi in colpa, perché usano la nostra rabbia come uno strumento per controllarci. Questo perché l’allegria non la controlli, la voglia di fare non la controlli, la pazzia non la controlli. I progetti non li controlli. E quindi abbiamo bisogno della musica di festeggiare, dell’estate e di sfogarci, perché se vogliamo avere degli obiettivi e l’obiettivo principale della nostra generazione è quello di un mondo a sempre minor impatto, fino a raggiungere il prima possibile l’impatto zero. E chi vi dice che è impossibile vi dice cazzate. Ma possiamo fare dei passi. Il primo passo e raccogliere i rifiuti non disperdere le plastiche e usarle sempre meno e riciclarle. Voglio ringraziare tutta la forza lavoro che appena ve ne andrete si metterà al lavoro per lasciarla meglio di come l’abbiamo trovata voglio ringraziare il WWF Italia, Corona, Coop e altre migliaia di persone. Oggi non so quanti siete qui davanti a me, ma la cosa importante è che ognuno di voi, se riesce, si porti via la spazzatura che ha prodotto e la butti nei posti appositi. Ora vi faccio un’altra canzone e poi ci salutiamo ma vi ringrazio molto, è stato molto emozionante con macchina che abbiamo messo insieme, è andata molto bene e speriamo che tutti per voi abbiano fatto un buon lavoro >>.

 

Amo chi usa la popolarità per giuste cause e Jovanotti si supera anno per anno. Forse un giorno arriverà nello spazio, come una stella che non smetterà mai di brillare.

 

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Testo di Sara Alice Ceccarelli

Foto di Mattia Celli