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VezBuzz: i Gorillaz e il teasing tecnologico per l’uscita di Humanz

Esiste qualcosa di più coerente di una band virtuale che decide di stuzzicare la curiosità dei fan per l’uscita di un disco, unicamente su web e social network? Questo è quello che hanno fatto i Gorillaz, la band di Damon Albarn, in occasione di Humanz, nel 2017. L’album arrivava dopo un silenzio durato anni e nell’aria si respirava tutta l’elettricità tipica dei grandi eventi, ma andiamo con ordine: i Gorillaz sono nati dall’estro di Albarn e del fumettista Jamie Hewlett.

Il progetto “Gorillaz” è uno dei più riusciti e interessanti della musica pop degli ultimi venticinque anni, il loro primo album uscì nel 2001 e da allora non si smise più di parlare di questa band composta da personaggi disegnati: 2D, Murdoc, Noodle e Russel Horbes.

Già di per sé sarebbero un interessante caso di buzz: una band “animata”, guidata dal genio del britpop, che nei primi anni Duemila ipnotizzava con i loro videoclip, su MTV, me e tanti altri adolescenti e che non si è mai mostrata al pubblico se non dietro a fumetti animati, perfino ai concerti.

Arriviamo all’uscita di Humanz. Il 2017 è stato l’anno di Instagram, con milioni di utenti iscritti in più rispetto al passato. Una crescita verticale e vertiginosa che avrà convinto Damon Albarn e i suoi a coinvolgere proprio questa piattaforma per il lancio del loro ultimo lavoro. Le possibilità offerte dai social, per una band come i Gorillaz, sono ovviamente infinite. Il “semplice” lancio di un album può diventare un’occasione virale irripetibile.

La promozione del disco iniziò molti mesi prima della sua uscita. Su Instagram la band, dopo aver creato un account ufficiale, iniziò a postare con costanza immagini che ripercorrevano la strada fatta, a partire dalla loro nascita. In sole 24 ore si unirono al profilo ben 300.000 followers. Nel mese di Marzo venne annunciato post dopo post, lettera dopo lettera, il nome del nuovo album.

Ma non si sono fermati qui: l’aspetto visual ha guidato anche tutte le successive pubblicazioni, nelle quali venivano date informazioni enigmatiche sul nuovo lavoro.

I Gorillaz, sempre un passo avanti a tutti per quanto riguarda la sperimentazione di nuove tecnologie, hanno ben pensato di accompagnare i quattro singoli estratti dall’album – Ascension, We Got the Power, Saturnz Barnz e Andromeda – con videoclip in realtà virtuale per permettere ai propri fan di immergersi ancora di più nel loro mondo. I video interattivi hanno atmosfere cupe e sono pieni di demoni e case stregate.

Damon Albarn ha spiegato poi, in un’intervista rilasciata all’emittente radiofonica della BBC, di aver scelto questo tema per l’album a causa di una riflessione fatta sulla vita moderna: “gli umani sono in transizione, si stanno trasformando in qualcos’altro” disse, “l’album proviene da questa fantasia oscura. Immagina la cosa più strana e imprevedibile in grado di cambiare il mondo.

Come ti sentirai quella notte? Uscirai? Andrai a ubriacarti? Resterai a casa e guarderai la TV? Ha un’atmosfera interessante questo disco, perché è festaiolo. È un disco da club, ma ha anche questa strana oscurità”. A questo si aggiunge anche la Gorillaz App, una delle prime app ad utilizzare la Realtà Aumentata e gli ambienti 3D in un contesto narrativo.

Tramite l’app all’uscita di Humanz, il 28 Aprile, gli utenti hanno potuto partecipare ad uno speciale “party”: un evento mondiale ed esclusivo che ha permesso di ascoltare per la prima volta e per intero il nuovo album. L’esperienza condivisa tra gli utenti ha dato vita al più grande ascolto collettivo localizzato, che ha messo in contatto fan della band provenienti da 500 diverse location in tutto il mondo.

L’uscita di Humanz è stata anche l’occasione per intrecciare collaborazioni con tante interessanti realtà tecnologiche, ma non solo. Oltre alla Gorillaz App ne viene lanciata anche un’altra, in collaborazione con Electronic Beats: Lenz App. Gli utenti potevano visualizzare contenuti della band puntando con il proprio dispositivo su un qualsiasi oggetto color magenta, oppure con il servizio di streaming musicale, Pandora Premium. Fu infatti creata una playlist di artisti che li hanno ispirati per la scrittura del nuovo disco.

L’iniziativa prese il nome di “Sounds like Gorillaz”. Senza poi dimenticare la collaborazione con Red Bull, che ha organizzato un vero e proprio festival, chiamato Demon Dayz, per celebrare l’uscita del disco, e che per l’occasione ha anche creato un’uscita speciale di Red Bull dal design customizzato.

 

Daniela Fabbri

Summer VibEZ

• La nostra playlist per l’estate•

 

“Oh, when I look back now/That summer seemed to last forever/And if I had the choice/Yeah, I’d always wanna be there/ Those were the best days of my life.” (Summer of ’69, Bryan Adams)

Ogni anno, quando mi aggiro per la città, avvolta nel mio piumino ho un solo pensiero che mi spinge ad affrontare il rigido l’inverno: arriverà l’estate prima o poi.

E mentre tutti contano i giorni che li separano dal Natale io conto quelli che mi tengono lontana dal 21 giugno.

Per me l’estate è una stagione magica in cui tutto diventa più bello; vedo il mondo con occhi diversi perchè i miei ricordi più felici sono sempre legati alla bella stagione.

Nonostante il tempo a nostra disposizione sia sempre lo stesso sembra che si dilati offrendoci maggiori opportunità per stare con gli amici e fare le cose che ci rendono felici.

E finalmente quel momento è arrivato. Oggi è ufficialmente il primo giorno d’estate.

Sole, mare, ferie, gelati e ovviamente concerti e festival.

E’ quel momento dell’anno in cui ci apprestiamo anche a scoprire quale sarà il tormentone estivo che ci accompagnerà da giugno a settembre…entrandoci in testa e perseguitandoci poi fino a Natale.

Enrique Iglesias, Alvaro Soler, Giusy Ferreri, Baby K…chi vincerà il premio quest’anno?

Curiosa di sapere quali fossero i gusti dei miei amici VEZ ho chiesto loro di farmi sapere quali fossero le canzoni che per loro sono sinonimo di estate e il risultato è tutto da ascoltare.

La playlist Summer VibEZ raccoglie musica di ogni genere: rock, dance, indie ce n’è per tutti i gusti (tranne forse che per chi ama il latino americano, scusate amici).

A nome di tutto lo staff vi auguro un’estate meravigliosa che possa regalarvi dei momenti indimenticabili.

#lovez

 

Laura Losi

 

 

 

 

Pixies, una monografia personale

Era il 1986, i Nirvana e l’intera ondata grunge non erano ancora apparsi sulla scena, ma l’avrebbero fatto da lì a breve in tutta la loro devastante potenza deflagratoria e con il migliore arsenale sonoro a disposizione.

Erano gli anni del cosiddetto college rock, da una parte c’erano i REM di Michael Stipe, belli e di sani principi, dall’altra i Pixies, capitanati da uno strano tizio che si faceva chiamare Black Francis, con una voce isterica e qualche chilo di troppo.

Facciamo però un passo indietro. Stava finendo il secolo e io avevo iniziato il liceo. Ai tempi ero una silenziosa e insicura ragazzina di provincia. E chi non è mai stata “la reginetta del ballo” lo sa quanto sia difficile essere adolescenti timidi e abitare in provincia.

Per fortuna, proprio per le persone come me, esiste il rock, con il suo enorme potere consolatorio. Così, visto che oltre ad essere timida e insicura, ero pure incazzata e un po’ stramba, avvicinarsi al grunge fu facilissimo.

Finalmente non ero più sola, eravamo in tanti a sentirci inadeguati, strani e completamente fuori posto. Per tutti noi c’erano loro: i Pixies. Gli alieni della scena garage. Estranei al grunge, pur essendone i padri fondatori.

Oggi, nell’era dell’apparenza, una band come i Pixies non sopravviverebbe un giorno. Troppo originali, troppo menefreghisti, troppo caustici, troppo – apparentemente – normali. Per fortuna però, il loro esordio risale al 1986 e, forse, si badava meno a tutte queste cose.

I Pixies sono una delle cose migliori successe al mondo del Rock, e non sorprende che perfino i Nirvana abbiano cercato ispirazione proprio nella loro musica, alla fine degli anni Ottanta.

Kurt Cobain ammise infatti di essersi ispirato a loro, o come disse lui stesso “di averli derubati” per scrivere Smell Like Teen Spirits. Kurt voleva essere come i Pixies, suonare con loro, o almeno essere in una loro cover band. Ascoltando la musica dei Nirvana si trova la stessa identica onda anomala presente nella musica dei Pixies.

Si parte morbidi, quasi innocui, fino a salire, sempre più rumorosi e duri. Impossibile non essere d’accordo con quello che disse Manuel Agnelli quando affermò che ”i Pixies erano i Nirvana qualche anno prima. Ma più bassi e brutti”.

La storia dei Pixies, come dicevo, inizia nel 1986, quando il cantante Black Francis, all’anagrafe Charles Thompson, incontra il chitarrista Joey Santiago, a Porto Rico. Come nelle migliori storie del rock, i due mettono un annuncio su un giornale: “Cercasi bassista appassionato di Husker Du e Peter Paul & Mary“. Ed è qui che entra in gioco l’affascinante Kim Deal, che porta con sé l’amico batterista, David Lovering. Kim è la regina nera dei Pixies che con la sua personalità ha letteralmente rubato la scena e il ruolo di leader al non convenzionale Francis.

Ma andiamo con ordine: il loro primo album Come On Pilgrim, è un lavoro sicuramente acerbo, ma che dimostra già un enorme potenziale della band di Boston. E’ sufficiente leggere i testi per capire di cosa sto parlando. Sono surreali. Francis Black e i suoi hanno inventato un nuovo linguaggio, lo spanglish. Metà inglese, metà spagnolo. “Non lo facciamo per accattivarci il pubblico latino-americano”, ha spiegato in un’intervista Kim Deal, “è che talvolta lo spagnolo suona più percussivo e riesce a definire meglio quello che cerchiamo di dire”.

Tra il 1987 e il 1992 i Pixies incidono due album incredibili: Surfer Rosa e Doolittle. Ascoltarli, ancora oggi, mi crea un curioso solletico alla corteccia cerebrale. Surfer Rosa viene osannato da critica e pubblico. In tanti lo definiscono l’ultimo capolavoro “post-punk”. Tra i tanti pezzi dissonanti e ossessivi che si possono trovare al suo interno ci sono anche Gigantic e Where is my Mind, che è diventato uno dei loro brani più conosciuti anche grazie a film come Fight Club. La chiusura del disco è la psichedelica Caribou. Si tratta di un lavoro sorprendente che, come un diamante, cambia aspetto ad ogni ascolto.

La loro è musica abrasiva, isterica e, in qualche modo, grottescamente pop. Le canzoni sono corte, in perfetto stile Ramones per capirsi. “Difficile sopportare quei riff cattivi per più di due minuti” dirà una volta Kim.

 

 

 

 

Doolittle invece è un disco che ho letteralmente consumato. Una cavalcata di 12 pezzi, che parte con Debaser e termina con There goes my gun. In mezzo c’è il meglio che la musica abbia prodotto in quegli anni: Here Comes Your Man, Wave Of Mutilation, Monkey Gone To Heaven, Gouge Away e La La Love You, il brano che non ti aspetti, uno dei più assurdi di sempre, che con fischietti, cori femminili e schitarrate ironizza sul concetto di storia d’amore. L’intro di Debaser è indimenticabile: “I am un chien, anda-luuu-sia!”, che fa riferimento al cane andaluso del film di Buñuel, pronunciato in un francese stentato e ridicolo. E non solo, basti pensare al “Rock me, Joe” di Monkey Gone To Heaven. I testi di Debaser parlano di suicidio, di nevrosi, di depressione, di droga, di prostituzione e di disastri ecologici. Siete un po’ smarriti? Pensate a come si sarà sentito chi l’ha ascoltato nel 1989.

Purtroppo però, niente dura per sempre, e anche la verve creativa dei Pixies è destinata all’inesorabile tramonto. Nel 1990 esce Bossanova, l’anno successivo Trompe Le Monde. Due lavori confusi, lontani dai precedenti. Anche a causa di continue tensioni tra Kim Deal e Black Francis, nel 1992 i Pixies si sciolgono. La storia però non finisce qui.

Di solito quando un grande gruppo del passato decide di riunirsi, lo fa partendo da qualche concerto, per poi tornare in studio e produrre materiale nuovo. I Pixies no. Dal 2004 al 2012 hanno fatto concerti, per otto lunghi anni, senza mai entrare in sala di registrazione. Nessun inedito, niente di niente. Il motivo è semplice, quasi lapalissiano, a raccontarlo è Joey Santiago: “suonando molto dal vivo non avevamo tempo di entrare in studio”.

Black Francis aveva bisogno di tempo per scrivere brani adatti al nuovo suono. Nel 2013 arrivano EP1, EP2 ed EP3, con quattro pezzi ciascuno, e infine il tanto atteso Indie Cindy, che unisce al suo interno i brani dei tre EP, senza ulteriori aggiunte. A Giugno 2013 Kim Deal abbandona la band e da quel momento in poi al basso la sostituisce Paz Lenchantin.

Tralasciando gli ultimi lavori, non troppo degni di nota, quello dei Pixies è un universo bizzarro e sconclusionato. All’interno dei loro album si può trovare tutta la psicopatia del mondo del Rock: le nevrosi dei Pere Ubu, l’acidità lisergica dei Velvet Underground, l’isteria dei Violent Femmes. Hanno shakerato tutto insieme e l’hanno servito in un bel bicchiere con l’ombrellino.

Senza i Pixies, con grande probabilità, oggi non esisterebbe quello che viene chiamato “indie”. La loro influenza è stata indelebile. Anche sui miei gusti musicali.

Il linguaggio dei Pixies, il loro modo di scrivere canzoni, ha fortemente influenzato la maggior parte dei gruppi o dei musicisti che ho amato: i Nirvana, Pj Harvey, i Radiohead, per nominarne solo alcuni.

I Pixies per me sono stati un incontro fortuito, quello che quando accade cambia tutto. Fino a quel momento ero una ragazzina timida che guardava film in bianco e nero e passava un sacco di tempo a leggere libri. E’ stato come conoscere per la prima volta qualcuno come me, sfigato e altrettanto perso: “è fatta” mi sono detta, “allora non sono sola”.

 

Daniela Fabbri

Groundation al Parma Music Park

Dopo la recente inaugurazione, entra nel vivo la programmazione del Parma Musica Park, presso la Villa del Fulcino di San Polo di Torrile. A giugno si susseguiranno le date di Cannibal Corpse, Groundation, Capo Plaza, MadMan, Pinguini Tattici Nucleari e I Hate My Village – che recuperano la data rimandata per pioggia – più il festival a tema dedicato a Woodstock e la Fiera del Mistero. I biglietti sono tutti in prevendita sul circuito Ticket One, online e nei punti vendita.

Sul fronte peace and love, sabato 15 festival dedicato a Woodstock e alle sue sonorità, nel cinquantesimo anniversario dell’evento musicale più importante di sempre, e a seguire, lunedì 17, concerto degli americani Groundation – che tornano in Italia per presentare il loro ultimo lavoro “The Next Generation”. Early ticket a 10 euro più prevendita, ancora per poco tempo.

Canzone d’autore, rap, pop, rock, indie, reggae, metal. Ce n’è per tutti i gusti nel programma del Parma Music Park. Per restare sull’ultimo citato, il metal, la parte del leone spetta ai Cannibal Corpse, formazione storica del genere in concerto a San Polo di Torrile martedì 25 giugno con il tour di “Red Before Black”, apertura dei Sadlist. Ingresso 34,5 euro compresa la prevendita.

Giovedì 27 giugno si recupera la data de I Hate My Village rimandata per pioggia. Uno dei gruppi rivelazione del 2019, che nasce dall’incontro tra Fabio Rondanini alla batteria (Calibro 35, Afterhours) e Adriano Viterbini alla chitarra (Bud Spencer Blues Explosion e molti altri), accomunati dalla passione per la musica africana e dall’esigenza di dare voce alla loro ricerca del “groove perfetto”. Ingresso gratuito.

Capo Plaza suonerà dal vivo venerdì 28 giugno con “20”, il suo primo album, pubblicato nel 2018 e insignito con due dischi di platino: un bel traguardo per il giovane rapper salernitano reduce anche da un tour europeo – cosa non particolarmente comune per un artista italiano – che si è concluso con un sold out all’Alcatraz di Milano. Ingresso 23 euro più diritti di prevendita.

Sabato 29 giugno i Pinguini Tattici Nucleari, con il nuovo disco uscito a marzo “Fuori dall’Hype”. Giovanissimi, con oltre 20 milioni di streaming e più di 7 milioni di visualizzazioni su Youtube, Pinguini Tattici Nucleari sono una delle band più interessanti di questi ultimi anni. L’album è anticipato – tra gli altri – dal singolo Verdura, che ha superato il milione di ascolti su Spotify in poco più di un mese. Ingresso 20,7 euro compreso di prevendita.

L’ultimo appuntamento del mese, domenica 30, sarà con la Fiera del Mistero, evento dedicato all’esoterismo e alla magia, per la prima volta nel parmense. Ingresso 7 euro più diritti di prevendita.

WØM FEST 2019

WØM FEST 2019

Nei giorni 7 e 8 giugno nel parco della storica Villa Bottini di Lucca

WØM FEST 2019 – Il tuo genere preferito

Saranno La Rappresentante di Lista e i Fast Animals and Slow Kids gli headliner del WØM FEST 2019, nei giorni 7 e 8 Giugno nel parco della storica Villa Bottini di Lucca.

In questa edizione il festival di primavera, organizzato dall’associazione culturale WOM, vuole puntare l’attenzione sulla parità tra uomo e donna, dedicando la prima giornata a concerti di voci femminili e la seconda a voci maschili.
Saranno infatti 
Emma Morton and the Graces e la giovanissima Boyrebecca ad accompagnare La Rappresentate di Lista il primo giorno, mentre gli esterina e i Metropol saliranno sul palco con i FASK il secondo.

Oltre all’attenzione verso la proposta musicale, il WØM FEST ha voluto sottolineare la cura particolare verso quegli aspetti che potranno rendere migliore possibile l’esperienza del festival per il proprio pubblico.

Scegliere la splendida e accogliente cornice di Villa Bottini, in continuità con le precedenti edizioni, evidenzia l’obiettivo di proporre una location suggestiva, ma anche piacevole e rilassante. Oltre alla Zona Food, con una proposta culinaria variegata e comprendente anche street food di qualità, ci sarà una zona Expo con uno spazio dedicato al vinile e a diverse produzioni artistiche, ad opera di giovani artisti trasversali, tra dipinti e fumetti, stampe e disegni.

L’intenzione del WØM è quella di rendere l’area del festival un luogo ospitale che potrà accogliere il pubblico già dalle ore 18.00, per poter degustare un aperitivo di qualità con la musica selezionata da diversi DJ.

Vi aspettiamo tutti al WØM FEST, da venerdì 7 a Sabato 8 Giugno a Lucca!

Biglietto giornaliero: 12 euro + d.p.
Abbonamento due giorni: 20 euro + d.p.
Prevendita: www.diyticket.it/festivals/9/wom-fest

Gli artisti del WØM FEST 2019

DAY 1
Venerdì 7 Giugno 2019 @ Villa Bottini di Lucca

La Rappresentante di Lista ore 22,00
L
a Rappresentante di Lista è una band che nasce nel 2011 dall’incontro tra la cantante Veronica Lucchesi e il chitarrista Dario Mangiaracina. Il 14 dicembre 2018 è uscito “GO GO DIVA”, terzo lavoro in studio della band pubblicato da Woodworm Label. Progetto che fonde scrittura, teatro e forma canzone, La Rappresentante di Lista prosegue la ricerca avviata con i precedenti lavori “(Per la) Via di Casa” e “Bu Bu Sad”. La band, forte negli anni anche di una costante e urgente attività live, è a oggi tra le nuove realtà più trasversali e interessanti del panorama musicale contemporaneo.
https://www.facebook.com/larappresentantedilistaufficiale/

Emma Morton and the Graces ore 21,00
Emma Morton ha conquistato il grande pubblico durante la sua esplosiva partecipazione all’ottava edizione di X Factor, arrivando in semifinale dove ha presentato il suo inedito “Daddy Blues” pubblicato da Sony Music e conquistando il 2° posto delle classifiche iTunes con oltre 240mila ascolti su Spotify. Da allora la musicista scozzese ha continuato il suo percorso ricevendo premi e riconoscimenti tra cui il “Music is Great Award” conferitole nel 2015 dal governo inglese, e collaborando ed esibendosi con artisti come Olly Murs, Paolo Nutini, Raphael Gualazzi, Glen Hansard, Gary Lucas, Petra Magoni, Alejandro Escovedo e DJ Molella.
https://www.facebook.com/emmamortonandthegraces/

Boyrebecca ore 20,30
Boyrebecca è un progetto musicale rap-fluid che nasce dall’esigenza di riunire vari interessi dell’artista sotto lo stesso tetto. Musica, video, moda e grafica convivono con uno stile kitsch, divertente e arrogante.
24 anni, monella, un po’ femmina un po’ maschio.

https://www.facebook.com/loveboyrebecca


DAY 2

Sabato 8 Giugno 2019 @ Villa Bottini di Lucca

Fast Animals and Slow Kids ore 22,00
I Fast Animals and Slow Kids nascono a Perugia alla fine del 2008: quattro musicisti (Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Alessio Mingoli e Jacopo Gigliotti) frequentano il liceo e suonano in band locali. A febbraio del 2017 arriva “Forse non è la felicità”, il quarto album su Woodworm Label della definitiva consacrazione, che li porta a suonare in un lunghissimo tour nella Penisola, confermando così il loro live come uno dei migliori tra le band rock italiane. Proprio in questi giorni uscirà il nuovo singolo “Non potrei mai”, gustoso antipasto del nuovo su Warner Music Italy e in collaborazione con la consolidata famiglia pluriennale Woodworm Label e Locusta Booking, previsto per prima metà del 2019.
https://www.fask.it/

esterina ore 21,00
esterina è un gruppo indie rock italiano. Attiva dal 2008 è una presenza carsica nel panorama musicale nazionale. La sua produzione, tra post-rock e canzone italiana, è un emblema di biodiversità musicale e di divergenza parallela con la scena indie contemporanea. Un rock autoctono composto di dinamiche estreme, di suoni vintage e di elettronica, appassionato alle parole, alle storie minori, ai dolori personali e ai paradigmi della felicità.
http://www.esterina.it/

Metropol ore 20,30
Sono in quattro e arrivano da Viareggio: i Metropol raccontano la loro generazione e la vita di provincia con le chitarre distorte e la spensierata disillusione della fine dei vent’anni. Con un Ep all’attivo (“Farabola”, 2017) e numerosi live in giro per la Penisola (suonando con artisti quali Gazebo Penguins, Giorgio Canali, Any Other e molti altri), i Metropol daranno alla luce nell’autunno 2019 il loro primo disco “Un Nuovo Inverno Nucleare”, realizzato sotto la produzione artistica di Karim Qqru (Zen Circus) e Andrea Pachetti.
https://www.facebook.com/metropolbandIT/

TICKET


I biglietti per WØM FEST sono in vendita su Do It Yourself, l’innovativo servizio di biglietteria per eventi e spettacoli che semplifica il processo di acquisto a tutti gli utenti, a costi contenuti e attraverso molteplici canali di vendita.
Grazie alla partnership con SisalPay, DIY è presente con i suoi eventi lungo tutto lo Stivale: chiunque, infatti, può scegliere se acquistare il biglietto online su
www.diyticket.it, pagando con carta di credito o prepagata, e stamparlo comodamente a casa propria oppure affidarsi ad uno degli oltre 40.000 Punti SisalPay presenti in tutta Italia (bar, tabaccherie ed edicole), scegliendo il proprio biglietto online e ritirandolo, con pagamento in contanti, in ricevitoria. In alternativa, è possibile prenotare i biglietti chiamando lo 06 0406 e finalizzare il pagamento, in contanti, nei punti SisalPay.


www.womfest.it

www.facebook.com/pg/wommovement

Dale: la rivincita del pop made in Italy

A volte trovare musica italiana dal respiro internazionale sembra essere un vero e proprio rompicapo. Eppure, il nostro bel paese è pieno di giovani artisti pronti ad affacciarsi al mercato d’oltre oceano. Noi di Futura 1993 ne abbiamo scovata una in particolare: si chiama Dale ed è una promettentissima cantautrice pop dalle origini italo canadesi. Il suo nuovo singolo autoprodotto “Yes, I Will”, uscito martedì 30 aprile, ci parla di rinascita tramite sonorità pop che rimandano ai primi anni 2000. Fresca di questa nuova uscita, abbiamo deciso di farle qualche domanda per scoprire la sua storia, la sua musica e le sue ispirazioni.

 

Ciao Dale! È appena uscito il tuo ultimo singolo “Yes I will”, ci racconti cosa significa questo brano per te? 

Ciao! È appena uscito e ne sono molto contenta. Sono stata lontana dalla scena inedita per un anno e questo brano segna il mio “ritorno sulla scena” con conseguente e decisivo cambio di rotta sul piano artistico. Ho variato il team, provato nuove collaborazioni e ho tirato fuori un brano che nessuno si sarebbe aspettato da me con un testo che racconta tutti i rifiuti che mi hanno frenata molte volte e il perché non succederà mai più.

 

E come sta andando l’accoglienza da parte del pubblico?

Con “Yes, I Will” ho deciso di complicarmi le cose: a differenza dei singoli precedenti non ho

potuto contare su collaborazioni o partecipazioni di enti/persone per la diffusione del brano: in questo caso sono solo io e ogni consenso che sto ricevendo per me vale il doppio perché è stato ottenuto con le mie sole forze. È stata una piacevole sorpresa vedere apprezzato questo mio nuovo sound, mi sta permettendo di allargare il mio pubblico e mi ha chiarito ancora di più le idee sulla strada da seguire.

 

Ora parlaci un po’ di te. Quando e come nasce la tua passione per la musica?

Da che ne ho ricordo, sono sempre stata attratta da tutto ciò che avesse a che fare con la musica. Non c’è stato, dunque, un particolare momento che ha segnato l’inizio di questo grande amore. Sin da piccolissima ho sempre ballato e cantato in giro per la casa seguendo il mio personale concetto di “performance” appreso in primis attraverso lo schermo dalle principesse dei grandi classici Disney. Nel corso degli anni ho poi coltivato la mia passione attraverso studi di danza, canto e recitazione.

 

Domanda di rito ma necessaria, quali ascolti hanno maggiormente influenzato il tuo percorso artistico?

Quand’ero bambina, in macchina durante il tragitto casa-scuola, ho sempre ascoltato le maggiori hit anni ‘80 presenti nelle playlist di mio padre e credo di aver assorbito molto da quei brani. Quando ho cominciato ad ascoltare musica per conto mio, mi sono riconosciuta subito nel pop amando poi sopra tutti Britney Spears. Sono influenzata in generale da tutto il pop dei primi anni 2000 sia femminile che maschile (ad esempio Justin Timberlake) e dalle produzioni di Timbaland e Max Martin.

 

Hai un sound decisamente internazionale e scrivi brani in inglese. Sei italo-canadese ma so che vivi in Italia, cosa ha condizionato questa scelta linguistica?

Ho doppia cittadinanza e doppia nazionalità, sono nata in Italia, parlo in italiano, vivo, mangio e penso in italiano, mi piace l’idea di potermi avvicinare alle altre mie radici esprimendo i miei sentimenti attraverso la musica. È una scelta personale, ma non troppo ponderata perché mi è molto più facile scrivere in inglese. Non nego comunque che un domani potrò sperimentare di cantare in italiano o in francese sempre per restare fedele al mio background familiare.

 

E invece come valuti l’attuale settore discografico in Italia? 

Chiuso, improntato quasi esclusivamente sulla lingua italiana e poco incline all’internazionalità. È un settore che rischia poco, che investe solo su progetti identici tra di loro perché ormai si punta solo su ciò che saprai già di poter vendere, che si alimenta solo tramite personaggi (spesso anche validi) che emergono dai talent o contenuti virali. Secondo me si potrebbe fare molto di più e con ottimi risultati.

 

Con chi ti piacerebbe collaborare, sia in Italia che all’estero?

Sinceramente non saprei scegliere di preciso qualche artista italiano perché non ho ancora

individuato qualcuno che possa avere una visione musicale simile alla mia, in ogni caso sto continuando a monitorare il panorama e magari presto avrò una risposta anche a questa domanda. Per una collaborazione estera… ultimamente mi ha conquistata Ava Max quindi ammetto in tutta sincerità che adorerei collaborare con lei. In ogni caso una collaborazione con una qualsiasi artista pop d’oltreoceano sarebbe sempre e comunque accolta a braccia aperte!

 

Ultima domanda, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo progetto? Puoi anticiparci qualcosa?

Sicuramente un altro brano a breve (credo di aver già deciso quale), sto lavorando a delle demo per un progetto parallelo in cui credo molto e lavorando a un featuring che mi vedrà protagonista di una canzone dove probabilmente non canterò solo in inglese… non vedo l’ora!

 

Alice Lonardi

 

Futura 1993 è il network creativo creato da Giorgia e Francesca che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro. Seguici su Instagram, Facebook e sulle frequenze di Radio Città Fujiko, in onda ogni martedì e giovedì dalle 16.30

 

Diario di una Band – Capitolo Due

“Ma con chiunque sappia divertirsi mi salverò
Che viva la vita senza troppo arricchirsi, mi salverò
Che sappia amare, che conosca Dio come le sue tasche”

Rino Gaetano

 

 

Caparezza disse che è sempre stato contrario ai talent show perché la musica non è una gara. Questo pensiero mi ha fin da subito affascinato, un po’ come un coro da stadio riuscito dopo un gol al 90esimo minuto. Rimasi di stucco appena lessi quelle sue parole, cosi semplici se ci pensiamo, ma cosi terribilmente rivoluzionarie in rapporto allo sterile dominio televisivo che ha gradualmente e capillarmente condizionato il palinsesto musicale.

Qualcuno potrebbe dire “ è facile parlare male del main stream quando non ci sei dentro”, giustissimo.

Però, e sottolineo però, bisogna capire la vera logica di un artista, di una band o di un cantautore. Il tipo di contributo che può dare una forma d’arte quando alla base è semplice gioia di creare, andando oltre ad ogni concetto d’ imposizione, oltre ogni numero di graduatoria e oltre a ogni conto in banca.

In sintesi è libertà allo stato puro, impermeabile da tossine, eretta su di un concetto che sosteneva fino a tempi non sospetti le possibilità e le speranze di giovani e meno giovani sognatori di professione, in balia di un settore che ancora consentiva colpi di scena .

Sembra assurdo come la ricerca della libertà espressiva sia deragliata fuori concorso, un presupposto anacronistico che personalmente destabilizza e preoccupa. Nessuno negli anni ’70 avrebbe pensato che in Italia la figura del cantautore avrebbe raggiunto tale resa, un po’ come il tracollo di Blockbuster per fare un esempio pratico, in fondo chi l’avrebbe mai detto?

Si modifica il corso degli eventi, si riduce al minimo lo sforzo per avere accesso alle possibilità, la gavetta è percepita come un gesto di autolesionismo, il paladino armato di chitarra è stretto tra gli slogan e la pochezza di un movimento denominato “Indipendente” o “Indie”, come preferite.

Vera macchina fotocopiatrice che vomita cloni più o meno bellocci da spremere per quel poco di tempo che serve ad alimentare il motore di un mercato sempre più lontano dalla bellezza della musica per quella che è, per quella che ci ha fatto innamorare e credere di poter cambiare le cose, (per lo meno migliorarle).

Da “pischello” i miti del punk rock erano una sorta di miraggio, idoli che spesso portavano alla frustrazione. La California dentro e fuori , il riflettore, la festa perfetta marchiata post America Pie. Bello, figo e allettante. Impazzivo sognando e sognavo impazzendo.

Si suonava, ci si provava e si cadeva spesso fino al punto che però la musica passava in secondo piano. Quando l’apparire diventò più importante dell’essere, inevitabilmente il giochino si ruppe senza possibilità di rimettere i cocci al loro posto.

Un chiaro segnale, molto tenue, ma palese e lungimirante su ciò il futuro avrebbe riservato, come possiamo toccare oggi con mano e orecchi.

Decisi di mollare la presa, lasciando la penna e la chitarra in un angolo per tre anni. Fino al primo viaggio a Dublino, dove l’assenza di pretese e castelli troppo grandi, mescolati alla scoperta di una cultura musicale e umana molto simile a quella del popolo Romagnolo mi hanno spinto a riprendere lo smalto abbandonato.

Reinventarsi con stimolo, sulle macerie di una passione che ha tracciato una cicatrice profonda e dolorosa. Mescolare le carte del passato e dell’imminente scoperta è stata una sfida troppo allettante. Gli astri poi si sono allineati, i compagni di viaggio arrivati come fossero li pronti a rispondere alle armi, inneschi e propositi incastrati come una partita perfetta a Tetris e condivisi dalla gente che gradualmente, aumentava ad ogni concerto.

E dopo appena tre anni di lavoro ho avuto la soddisfazione di poter suonare in molte occasioni, in Italia e all’estero al fianco di artisti che in giovinezza mi avevano condizionato e riempito di inavvicinabili aspettative solo perché io prendevo quello che non andava osannato, la presunzione.

Situazioni che sono arrivate inderogabilmente dal momento in cui l’assillo di arrivare e di dover eccellere non esisteva più. Aver una mentalità flessibile, che si accontenta ma che non si abitua all’ordinario, combattere la noia e consacrare i propri principi, i propri luoghi d’appartenenza, rapportare alla musica uno stile di pensiero e non ragionare solamente sul pentagramma.

Contornarsi di persone che abbiano la veduta semplice, serena e determinata, che sappia ridere e piangere quando è necessario, che ami la natura e per natura ami la vita.

C’è chi i castelli deve costruirseli per arrivare al cielo e chi in un castello vero e proprio ha la fortuna di creare e personalizzare tutto il tempo utile.

La predisposizione di chi ha scritto le pagine felici della storia non sono da ricercare nelle aspettative o nella scaltrezza di saper cogliere il momento giusto per comporre la melodia giusta, tra tenacia e paura lo scalino è breve. L’assillo di convincere la massa senza prima convincere se stessi è un rischio grosso che porta a conclusioni sterili o comunque a un prodotto fasullo.

Apprezzo chi lo fa, l’ha fatto e lo farà per la causa unica, la ricerca spasmodica di qualcosa di puro e personale che sia degno di essere ricordato e che possa rendere un po più semplice la vita di chi non per scelta è costretto a vivere nelle difficoltà.

Scrivo queste righe da persona libera e suono la mia musica da persona libera, per questo sono sereno di dire sempre quel cazzo che mi pare.

Il mondo non lo cambieremo ma per lo meno proviamo a colorarlo, perché in ogni caso le matite funzionano anche con la punta sbeccata.

Non aspettarsi niente, ma essere consapevole di poter dimostrare tutto.

 

Vasco Bartowski Abbondanza

BIRØ – Episodio 3

Ecco il terzo episodio scritto da BIRØ, cantautore classe 1990 originario di Varese.

Il suo “Capitolo 1: La Notte” (Vetrodischi) è un progetto che mira a coniugare testi propri della tradizione cantautorale italiana con la musica elettronica per raccontare storie attraverso musica e parole. I suoi brani raccontano eventi legati tra loro e come le pagine di un libro seguono uno sviluppo cronologico.

“Capitolo 1: La Notte” è la storia di un uomo che analizza le sue ossessioni, le sue paure e i suoi vizi, ma anche le proprie gioie e fortune, il tutto grazie ad uno stile narrativo personale. Tutti i brani sono ambientati in un’unica notte e questo spazio temporale diventa il filo conduttore tra una canzone e l’altra: i toni crepuscolari dei testi di BIRØ trovano nella commistione tra cantautorato ed elettronica un compagno perfetto per questo viaggio che dura fino all’alba.

Dopo la pubblicazione di “Incipit”, il suo primo EP ufficiale, BIRØ si è fatto conoscere al grande pubblico con un fortunato tour che ha avuto appuntamenti importanti come il Mi Ami 2017 e il Collisioni Festival riscuotendo ottimi feedback di pubblico e critica, candidandosi di diritto quale nome su cui puntare per il futuro.

Biro ci racconta, attraverso tre racconti brevi e inediti, il significato delle sue canzoni in maniera più ampia.

Il racconto è come un’espansione dell’universo narrativo del personaggio protagonista del disco. Mentre nel disco vengono presi in dettaglio certi punti e aspetti, nel racconto questi dettagli vengono messi sotto la lente d’ingrandimento.

La necessità era quella di raccontare il punto di vista del protagonista a partire soprattutto dalla sua solitudine e dalle sue dipendenze. Il disco sicuramente fa ben capire questi aspetti e penso riesca a riportarne una chiara immagine, mi sembrava che però ci fosse l’esigenza di spiegare anche il perché lui si sia ritrovato, le cause e le circostanze. E magari quali potrebbero essere le sue prospettive.

 

Buona lettura e correte ad ascoltare il suo album!

 

3 EPISODIO

 

Suono il citofono. Chi me l’ha fatto fare? Perché?
Potevi evitare di fermati a berne un paio prima di arrivare qui.

Sono già brillo e una volta superata la soglia so già che mi butterò a capofitto sul banchetto degli alcolici.

Potresti anche cercare di fare conversazione anziché presentarti ogni volta in queste condizioni.

Che poi con chi parlo? Non parlo con nessuno in ufficio figuriamoci in una situazione così.
Oltretutto saranno tutti ben vestiti, io sono qui con una bottiglia di vino presa in offerta e una camicia che ho stirato seguendo un tutorial di You Tube. Non è nemmeno la più bella che ho. Lei me ne avrebbe dette di tutti i colori, mi avrebbe detto…

Non ci pensare.

Ma che importa? Non ha più importanza lei cosa avrebbe detto.

Guardo nel mio pacchetto di sigarette e constato che ho tredici sigarette in tutto. Tredici. Ne ho fumate tre solo da casa a qui. Non riuscirò mai a sopravvivere.

E’ come la storia della bicicletta.

Mi viene in mente quella storia di Pierino e della bicicletta.
In sostanza Pierino vuol chiedere in prestito la bicicletta a Gianni, il suo vicino. Mentre imbocca vialetto per andare a casa di Gianni comincia a pensare che gli verranno fatte mille raccomandazioni, che le gomme sono appena state gonfiate, che la catena è nuova e che è un ricordo, e che deve trattala bene, di chiudere bene il lucchetto ecc ecc
Così quando arriva a citofonare il vicino si affaccia e tutto quello che Gianni riesce a dirgli è: “Senti Gianni, vaffanculo te e la bicicletta”. E se ne torna a casa.

Ecco, io mi trovo nella situazione: “Vaffanculo te e la tua festa, io me ne torno a casa”.

Sei proprio uno stronzo.

Si, sono uno stronzo. A parte il fatto che avranno messo dell’impegno per organizzare la festa, in fondo il matrimonio dovrebbe almeno essere uno dei momenti di massima felicità per un uomo e io invece me ne sto qui come se non me ne importasse nulla. Anzi, non me ne importa proprio nulla. Io vado con camicie stropicciate alle feste eleganti.

Ad ogni scalino sento il naturale impulso di voltarmi e andarmene, mi dico che sono ancora in tempo, che possono fare tranquillamente a meno di me ma come è ovvio che sia mi trovo davanti alla porta dell’appartamento. Un coglione tutto agghindato mi apre la porta con un sorriso smagliante.

Vaffanculo te e la tua festa        
“Ciao! Come va? Auguri, ho portato una bottiglia di vino non so se…”

“Oh grazie mille, sei stato gentilissimo!”
Hai visto? Sei riuscito ad essere gentile, ti sei presentato proprio come un ometto

“Vuoi qualcosa da bere?”

No grazie, sono a posto

“Volentieri!”

Bravo, bevine ancora quattro o cinque che diventerai l’anima della festa.

Certo che non è il mortorio che pensavo, in sottofondo sta suonando qualcosa che sembra musica da ascensore che si mescola al chiacchiericcio degli invitati, ciò nonostante l’atmosfera sembra molto vivace. Noto un gruppo di colleghi del reparto grafico intenti a parlare tra di loro, uno mi guarda e alza la bottiglia di birra come a proporre un brindisi accompagnato da un flaccido sorriso. Poi ributta la testa nella conversazione.
Testa di cazzo.

Non è che puoi pretendere…

E basta che cazzo, stai zitta pure te.
Chiedo e mi informano che per fumare bisogna uscire sul balcone. Raccomandano di usare il posacenere.
Tutto quello che ho sono tredici sigarette, tasto le varie tasche della giacca in cerca dell’accendino.
Passo due dita sul livido ingiallito ma ancora decisamente gonfio.

Solo ora mi rendo conto di che immagine potrebbe essersi formata questa gente di me. Uno che non parla mai con nessuno, che tendenzialmente sta seduto al suo computer scorrendo dati di fatturato e che un bel giorno arriva con un ematoma gigantesco sulla mascella.

Sei stanco di mentire     
Sono stanco di mentire, soprattutto a me stesso. Non riesco a dirmi e ad accettare le cose come stanno, nascondo la testa come uno struzzo pensando che poi il resto del mondo non mi veda.

Tutto ciò che vorresti è diventare invisibile.

Senza lasciar tracce, fare come se non fossi mai esistito. Senza aver mai fatto del male.

Improvvisamente diventa un ping pong tra le birre e il balcone, parlo poco e ascolto anche meno, guardo le labbra muoversi e semplicemente annuisco con la testa, secco la bottiglia e con una scusa mi allontano per prenderne un’altra che stappo ed esco sul balcone a fumare.

Ripeti l’azione svariate volte. A poco a poco le parole inciampano l’una sull’altra se provi a parlare, le voci attorno si mescolano e anche l’atmosfera sembra più calda. Non sopporti più questo cazzo di jazz in sottofondo, non sopporti più le chiacchiere, non sopporti il fatto di sentirti come se ti avessero fatto l’elemosina, averti invitato qui quando nessuno ti conosce per davvero, nessuno sa chi sei.

Urto contro qualcuno e vengo riportato alla realtà. Cerco di dire semplicemente “scusami”, ma quello che esce sono sostanzialmente solo le consonanti. Non capisco bene cosa mi dice o cosa dice in generale, sento la sua mano che mi batte sul braccio, il suo sorriso che si apre e gli altri attorno a lui che si mettono a ridere. Le loro risate suonano come se fossero moltiplicate per cento.

Vattene, tu non c’entri con tutto questo.

Io non faccio parte di tutto questo.

Vorresti mutare completamente la stanza.          
E poi c’è sempre questo cazzo di jazz di sottofondo.

Prendo la giacca e saluto frettolosamente il padrone di casa.

Non mi sento molto bene, ci vediamo lunedì al lavoro.

Esco dall’appartamento. Barcollo. La discesa in ascensore mi sembra eterna e non appena le porte si aprono mi scaravento fuori dal condominio vomitando nella prima aiuola che trovo.
Eccolo.

Finalmente, il silenzio mi piomba addosso e per un attimo, per un brevissimo attimo tutto sembra veramente in equilibrio. Forse non necessariamente nel posto giusto ma in equilibrio.
Dura un qualche secondo prima che io alzi la testa.

Prendo un lungo respiro, chiudo gli occhi e mi rendo conto che l’aria è fredda, è gelida. Tiro fuori l’ultima sigaretta. Butto via il pacchetto.

Mi ritrovo a camminare per strada, da solo, cercando di smaltire la sbornia. Sono stanco, veramente stanco. Trascino le gambe, le strade sono deserte. Passa solo un tram che porta qualcuno chissà dove.

Il cellulare vibra.

E’ un messaggio del mio collega che mi chiede se va tutto bene.

Non è mai lei.

Ma vorrei che lo fosse, anche se per mandarmi affanculo, per dirmi che sono stato uno stronzo o anche solo per chiedermi se sto bene e le direi che si sto bene ma cazzo no, non è vero, io non sto bene per niente.

La verità è che ti aspetti una qualche salvezza che ti venga dal cielo.       
Si.

E ti aspetti che accada all’improvviso, che come per magia le cose cambino di punto in bianco

E’ così sbagliato?

E’ anche peggio dell’essere sbagliato. Non è possibile.

Credo di non avere più il controllo, né sui pensieri e nemmeno sulle mie azioni. So quello che faccio ma non riesco a fermarmi.

Vorresti dare la colpa a qualcuno…

ma non c’è nessuno a cui dare la colpa.
Sento ancora di dover vomitare. Mi appoggio alla ringhiera del Naviglio e guardo giù, verso l’acqua buia e silenziosa. Non ne posso più.

Tiro fuori il cellulare e passo il pollice sullo schermo, buio e silenzioso. Come sempre.

Basta, smettila di aspettare

Ma non voglio

Devi. E’ semplice

Davvero è così semplice? Volevo solo essere felice con quello che avevo, e invece ora sembra che tutto quello che avevo è proprio ciò di cui devo liberarmi. Non ci capisco più niente.

Non c’è nulla da capire. Non pensare.

E in fondo….cos’ho da perdere?

E’ questione di un attimo. La mano si apre e non fai in tempo a battere le palpebre che è già successo. Senti solo il rumore del tuffo nell’acqua e se ci provi puoi vederlo scendere verso il fondo mentre il Naviglio inonda la memoria e cancella tutto. L’unico appiglio che avevi oltre ai tuoi ricordi se ne va. Non tornerà più e non tornerai più indietro. Per un attimo ti rendi veramente conto di quello che hai fatto, di quello che è successo e forse di quello che succederà. E’ come un dolore molto forte unito ad un sollievo altrettanto forte. Ti senti come un bimbo che da domani farà i primi passi trascinando un macigno e col tempo ti renderai conto che non è mai stato reale.

Adesso resti solo tu.

E la notte.

Jess e Lobina – Video intervista

Con il nostro Semprepiùpoveritour facciamo entrare la gente nella nostra musica

 

Però, ad entrare letteralmente in casa delle persone, in verità, sono proprio loro. Si chiamano Chiara Lobina, in arte Lobina e Jessica De Pascale, detta Jess, e sono le protagoniste del nuovo appuntamento con le scoperte artistiche della Liguria.

Ci troviamo a Genova, dove la splendida cornice della Claque – importante teatro e punto di riferimento per la musica genovese – mi ispira e mette in soggezione allo stesso tempo.

Qui le ragazze mi raccontano di loro, della forte passione per la musica e di quella voglia instancabile che le spinge ogni giorno a lottare affinché quella passione diventi un giorno un vero e proprio lavoro a tempo pieno.

Jess e Lobina sono due giovani e talentuose cantautrici genovesi, diverse e simili al contempo. Che non sono un duo, ci tengono a sottolinearlo: “Abbiamo due progetti differenti – racconta Lobina – e continuiamo a portali avanti singolarmente, ma qualche tempo fa, forti della situazione in cui oggi si trovano moltissimi musicisti, abbiamo deciso di unire le forze per trasmettere un messaggio importante. Basta con questa stupida competizione: siamo artisti, facciamo musica, abbiamo bisogno di collaborare e sostenerci a vicenda”.

Ed è proprio quello che, in modo naturale e spontaneo, stanno facendo le due ragazze attraverso la loro musica. “Ci sono tanti artisti che ce l’hanno fatta – mi spiega Jess – e tanti che sono ancora acerbi. Poi, proprio nel mezzo, c’è una grande quantità di persone brave, determinate e con prodotti molto validi che però, per chissà quale motivo, non riesce a fare il salto di qualità. E se da soli è un viaggio troppo difficile da affrontare, perché non farlo insieme?

Ora, tra tanti modi per trasformare una critica sociale in qualcosa di unico e divertente, questo rientra sicuramente tra le genialate dell’anno. Stanche dei locali che vedono gli artisti come dei carillon da salotto, stanche di quella considerazione becera e irrispettosa che tanti hanno nei confronti dei musicisti, Jess e Lobina si sono rimboccate le maniche e hanno deciso – in un certo senso – di boicottare e ribaltare completamente la struttura dello show tradizionale che, ad oggi, si riduce meramente in burocrazia spicciola: Quanto dobbiamo pagarvi? Quanta gente portate? Quanto casino fate? E la migliore, che resta l’evergreen per eccellenza, valida un po’ per tutti gli ambiti artistici, nientepopodimeno che l’intramontabile Ti pago in visibilità. Ma come, non lo sapete? La visibilità è la moneta del futuro. Altro che bitcoin!

La loro idea, dunque, è semplice quanto originale: portare fisicamente all’interno delle case di sconosciuti la propria musica, ma non solo. Un secret live di nicchia, dedicato a pochi, sempre diverso e irripetibile. “Siamo esseri umani – mi spiega Chiara – e come tali vogliamo essere…umani! Vogliamo essere compresi, noi con la nostra musica. Quando entriamo a casa delle persone non vogliamo semplicemente suonare, ma instaurare con quei pochi e intimi ascoltatori un rapporto umano, entrando in sintonia con loro”.

Un tour indoor che racconta la situazione dei musicisti emergenti, pieno di difficoltà ma anche di soddisfazioni, un modo per raccontare la competizione e combatterla – metaforicamente, per carità – a colpi di chitarra. Una musica diversa, umana e autentica, un modo per trascorrere del tempo tra una canzone e un bicchiere di vino e, perché no, qualche confidenza. Nessuna interpretazione, nessun filtro, nessuna messinscena.

Il semprepiùpoveritour è, di fatto, una trovata simpatica per sottolineare in modo intelligente la difficile condizione in cui si trovano oggi molti musicisti: da soli, in un mare di squali assetati di sangue, dove chi prima suonava in una fabbrica abbandonata e ora riempie i palazzetti, allora è un figo. Ebbene, nel 2019 – all’alba di un futuro gestito da intelligenze artificiali, macchine che si guidano da sole, assistenti domestici e Auto-Tune che trasformano i cantanti da doccia in pop-star, siamo ancora al punto di contare. Contare qualsiasi cosa: persone ai concerti, visualizzazioni, ascolti, click, like, cuori, case, libri e fogli di giornale. Ma sticazzi non ce li mettete? Eddai regà.

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

 

BIRØ e la scrittura: un artista fuori dagli schemi

BIRØ è un cantautore classe 1990 originario di Varese.

Il suo “Capitolo 1: La Notte” (Vetrodischi) è un progetto che mira a coniugare testi propri della tradizione cantautorale italiana con la musica elettronica per raccontare storie attraverso musica e parole. I suoi brani raccontano eventi legati tra loro e come le pagine di un libro seguono uno sviluppo cronologico.

“Capitolo 1: La Notte” è la storia di un uomo che analizza le sue ossessioni, le sue paure e i suoi vizi, ma anche le proprie gioie e fortune, il tutto grazie ad uno stile narrativo personale. Tutti i brani sono ambientati in un’unica notte e questo spazio temporale diventa il filo conduttore tra una canzone e l’altra: i toni crepuscolari dei testi di BIRØ trovano nella commistione tra cantautorato ed elettronica un compagno perfetto per questo viaggio che dura fino all’alba.

Dopo la pubblicazione di “Incipit”, il suo primo EP ufficiale, BIRØ si è fatto conoscere al grande pubblico con un fortunato tour che ha avuto appuntamenti importanti come il Mi Ami 2017 e il Collisioni Festival riscuotendo ottimi feedback di pubblico e critica, candidandosi di diritto quale nome su cui puntare per il futuro.

Biro ci racconta, attraverso tre racconti brevi e inediti, il significato delle sue canzoni in maniera più ampia.

Il racconto è come un’espansione dell’universo narrativo del personaggio protagonista del disco. Mentre nel disco vengono presi in dettaglio certi punti e aspetti, nel racconto questi dettagli vengono messi sotto la lente d’ingrandimento.

La necessità era quella di raccontare il punto di vista del protagonista a partire soprattutto dalla sua solitudine e dalle sue dipendenze. Il disco sicuramente fa ben capire questi aspetti e penso riesca a riportarne una chiara immagine, mi sembrava che però ci fosse l’esigenza di spiegare anche il perché lui si sia ritrovato, le cause e le circostanze. E magari quali potrebbero essere le sue prospettive.

 

Oggi pubblicheremo appunto il primo di questi.

Buona lettura e correte ad ascoltare il suo album!

 

1 EPISODIO

 

Esco dal bar ciondolando. Appallottolo la schedina persa e cerco di fare canestro in un cestino vicino. Inutile dirlo, la pallina di carta cade molto prima del cestino.
Faccio fatica a stare dritto figuriamoci riuscire a fare canestro.
Accendo una sigaretta e mi incammino verso la macchina.
Milano di notte mi sta simpatica. E’ come se improvvisamente ci fosse un filtro che lascia emergere un’atmosfera più vibrante, tranquilla eppure sempre sull’attenti, come se potesse sempre succedere qualcosa anche dove il silenzio regna sovrano.

Le pozzanghere lungo la strada riflettono le insegne blu dei bar e le luci dei lampioni, sento qualcuno in sottofondo parlare della partita e all’improvviso penso che almeno su quello avrei potuto avere un po’ più di fortuna. Tre pali su quattro tiri. Un gol poteva scapparci, sbancavo un 200 euro che mi avrebbero fatto comodo

E in cosa li avresti spesi?

Magari avrei potuto organizzarle una cena.

Sii almeno onesto con te stesso.

Portarla fuori, non so cucinare.

Avresti comprato del vino.

Qualche bottiglia di vino per festeggiare.

Festeggiare cosa?

Ma festeggiare cosa? Cosa c’è da festeggiare? Anche riuscissi a parlarci sarebbe un gran successo e cosa farei per festeggiare?

Compreresti del vino.

Comprerei del vino. La causa di tutto.

Non ricordo quando ho cominciato a bere, non che esista veramente un punto preciso in cui si inizia, ma non riesco a ricostruire le circostanze per cui ho cominciato a bere così tanto. Non ci riesco, sono troppo ubriaco.

Metto le chiavi nella macchina e mi accorgo che l’ho lasciata aperta.
Sei veramente un coglione.

Un vero e proprio coglione. Ti accorgi anche tu che non è possibile? Si, per tante persone potrebbe essere una dimenticanza ma per te comincia a diventare un abitudine.

La moka.

L’altro giorno hai fuso una moka dimenticandoti il fornello accesso. Devi darti una regolata.
Ti serve una regolata.

La macchina è glaciale, dò un giro di chiave e dopo un lungo borbottio il motore parte.

Sei troppo ubriaco per guidare.

Devi stare calmo, tranquillo.

Prendi una cicca.

Cerco una cicca nel portaoggetti, c’è un pacchetto che sarà lì da chissà quanto ma lo prendo comunque. Sembra di masticare un sasso. Nel portaoggetti ci trovo anche un cd degli Smiths che non ricordavo assolutamente essere lì. E’ un “The Best Of”, quindi so esattamente a cosa vado incontro ma dò un’occhiata rapida alla tracklist.
Ti ricordi?

Era bello discuterne, a lei facevano schifo. Proprio schifo, non ne capivo la ragione ma lei diceva che la voce di Morrissey è una tortura. Schifo, usava proprio questa parola.

Apro la confezione e dentro trovo un piccolo biglietto che recita

Balli sopra un bacio tra le pieghe di un letto.

Che frase stupida, avrò avuto vent’anni quando l’ho scritta. Ecco, questa è una frase che fa schifo, ma allora ero tutto esaltato dallo scrivere e dallo studiare che mi sembrava una gran figata, mi sembrava di essere Morrissey.
Vuoi chiamarla.

Prendo il cellulare e scorro la rubrica.

Non farlo.

Squilla. Poi metto subito giù il telefono.

Non puoi averlo fatto veramente.

E invece si, cazzo, lancio il cellulare sul retro del sedile e tiro un pugno al volante della macchina. Mi sento un vero coglione. Lei magari adesso guarderà la chiamata e cosa penserà? Avrà paura?
Hai fatto una cazzata, fermati qui al semaforo, mastica la cicca e respira.

Si, mastica la cicca e respira.
Non ti manderà un’altra denuncia.

MASTICA LA CICCA E RESPIRA. Non c’è bisogno di agitarsi, adesso vai a casa e non succede nulla, bevi un goccio di birra, fumi una sigaretta e vai a letto e ti fai una bella dormita. Nulla di più semplice. Lei non ci farà caso, se ne starà col suo nuovo ragazzo e domani forse qualcosa cambierà.

Questa non è la strada giusta.

Forse, chissà. Le cose a volte non cambiano per niente, o se cambiano è in peggio.

Devi ritornare sulla circonvallazione per tornare a casa tua.

Ma io cosa ci posso fare? Mi sento in balia di tutto questo, degli eventi e di quello che lei ha scelto. Non capisco e non riesco ad uscire dalla convinzione che se valeva qualcosa allora valeva la pena anche lottare e non mi sembra giusto che mi sia rimasto così poco dopo tutto quello che ho dato.

Dai torna a casa, non ci pensare. Non fare cazzate, vuoi andare lì ubriaco come sei per fare cosa? Pensi che ti troverà cambiato?

Intanto parcheggio. Spengo il motore e all’improvviso è come se tutta la strada si fosse stata mutata. Il silenzio è ovunque. Riguardo l’ingresso di casa sua che per dieci anni è stata casa nostra. E’ una strana sensazione, vedere ciò che hai amato e che poi invece diviene qualcosa di estraneo. Inavvicinabile addirittura.
Sento dei passi, qualcuno sta chiacchierano. Una donna ride. I passi si fanno sempre più vicini, mi volto per guardarli.

E’ lei.

E’ lei.

Resta qui in macchina, aspetta che entrino e poi vattene. Nessuno ne se accorgerà.

Scendo dalla macchina, quando la portiera sbatte si voltano entrambi e se all’inizio sembrano non riconoscermi in breve capisco dalle loro espressioni che hanno capito benissimo chi sono.

Lei è spaventata, cerca le chiavi nella borsa compulsivamente, come se fosse la cosa più importante nel mondo e striscia contro il muro verso la porta.

Lui si avvicina a me con passo deciso. Cerco di spiegargli che va tutto bene, non voglio far niente, ma non appena alzo le mani in segno di resa le sue mi spingono forte sul petto buttandomi a terra. L’alcool amplifica la sensazione, mi gira la testa, se provo a rimettermi in piedi scivolo sul selciato.

Non faccio in tempo a rendermene conto che lui mi prende il bavero e mi assesta una centra sulla mandibola.

Ricasco a terra. Ci rimango. Fischia tutto.

Mentre resti steso per terra e un il sangue comincia ad invaderti la bocca senti voci in lontananza: “Sta bene?” “Starà bene!”. La porta sbatte, a poco a poco riesci a rimetterti in piedi con non poca fatica. Passi le dita sul colpo e constati che sta uscendo un po’ di sangue. Probabilmente domani si gonfierà e sarà un livido. Risali in macchina, giri la chiave e il motore torna a disturbare il silenzio della via. Torna a casa.

 

 

Un anno di VEZ musica

Ogni anno mi trovo nei giorni che precedono il Natale a pensare alla classifica delle migliori canzoni che ho ascoltato nell’anno che sta volgendo al termine.

Mi rendo conto che, soprattutto recentemente, è molto difficile come operazione perché escono sempre meno dischi leggendari, cosa che porta di conseguenza alla malinconia degli anni passati.

Una malinconia che non è solo tale dal punto di vista musicale, a mio avviso.

Ma la musica, così come la vita va avanti.

La musica come procede, però?

La musica, attraverso nuove forme di espressione e mediazione rimane sempre la compagna della nostra vita e così come la tecnologia, cambia anche la modalità di fruizione.

 

Si dice poi che si comprano sempre meno dischi e si ascolta molta meno musica nuova. Tutto questo nonostante la musica sia gratis e facilmente raggiungibile per tutti.

Ma è proprio vero?

Vorrei con questo articolo, smentire il luogo comune ormai diffuso che vede additare la musica attuale come una produzione di scarsa qualità, perché penso che di buona musica ne esca ancora. Basta cercarla.

C’è chi per voi qualcosina ne ha scovata, perché se una volta si andava dal negoziante di musica per chiedere dei consigli, oggi il vostro “genius” si chiama VEZ Magazine.

Quando ho pensato a questo articolo mi sono chiesto: “ma faccio la solita classifica o cerco di coinvolgere tutti i collaboratori di VEZ?”

Lo sport e la vita mi hanno insegnato che è sempre meglio condividere le proprie emozioni per cercare di poter migliorare me stesso e chi mi sta a fianco.

Tutto questo ha portato ad un articolo che sembra banale ma che alla fine reputo un grosso lavoro di squadra.

Il bello di lavorare per una rivista come VEZ è quello di vivere tra tante teste pensanti con diversi gusti dal punto di vista musicale.

Il mio lavoro è stato solo quello di unire tutte le forze del gruppo per estrapolare una compilation molto varia in modo da esprimere in musica l’anno che è stato per VEZ .

Non ci sono spiegazioni per l’inserimento di una canzone rispetto ad un’altra, la musica parla da se.

Ogni canzone di questa playlist rappresenta un momento ben preciso del 2018 per tutti noi.

Questo è il nostro modo di dirvi grazie per tutto il sostegno che ci date e che ci permette di crescere e migliorare.

In questo periodo di festa spero possiate trovare un momento per ascoltare questa Playlist, da soli o in compagnia, magari in viaggio.

Vi propongo un estratto da un film che spiega in pieno il mio pensiero su cosa deve essere una playlist perfetta.

 

Non mi dire che non hai mai fatto un viaggio da solo in macchina! Ma dai, tutti quanti dovrebbero fare un viaggio da soli almeno una volta nella vita! Solo tu e un po’ di musica!”

 

Carlo Vergani

 

 

Ma quanto siete VEZ?

Sono le 20.15 di un uggioso lunedì sera di Maggio, il cielo è fosco e cinereo, l’aria è fredda, rigida, quasi autunnale e tra me e me penso a quanto sono arrabbiata con il meteo per averci dato solo un lieve assaggio d’estate, illudendoci miseramente. Sono appena arrivata a casa della mia amica Sara Alice, stasera ho il piacere di cenare con lei e il suo socio Luca, che incontro per la prima volta. Si crea immediatamente un’atmosfera super friendly, apparecchiamo e cuciniamo insieme come se fossimo coinquilini da una vita, parliamo di lavoro, di musica, ci raccontiamo aneddoti divertenti e ridiamo insieme, tanto.

VEZ Magazine è il protagonista assoluto delle svariate conversazioni. Perché oltre ad essere qui come amica, stasera sono qui anche come collaboratrice: ho il compito (e l’onore) di intervistare le colonne portanti di questa grintosa rivista, nonché ideatori e fondatori. Tra una battuta e l’altra, ma anche con un po’ di imbarazzo (solo iniziale), ci buttiamo a capofitto in un’impetuosa raccolta di racconti, informazioni, aneddoti, un appassionante e fresco approfondimento su come tutto è venuto alla luce e sia poi diventato quello che è.

Mi rivolgo in primis a te Luca, dato che non ti conosco, non so nulla di te. Puoi dirmi com’è nato questo è progetto? Soprattutto: come avete fatto a trovarvi, considerando che Sara è di Rimini mentre tu sei di Forlì?

Tutto è cominciato l’anno scorso al concerto di Levante, frequentavo la scena “Sullasabbia”, “Bayfest” e “Rimini ParkRock” come fotografo freelance e per caso ho conosciuto Sara. Poi l’ho rivista ai Biffy Cliro, Jax & Fedez, Bayfest, ho pensato fosse una sorta di manager di LP Rock Events (la società che organizza questi eventi, ndr) o un qualche personaggio importante e non nascondo che inizialmente ero un po’ intimorito – sono stato sempre un ragazzo molto timido, soffro di balbuzie da quando ero piccolo, fatico a lasciarmi andare e trovare subito confidenza con le persone – mentre lei con il suo fare allegro, espansivo e disinvolto mi ha inizialmente incuriosito e successivamente conquistato.

Ci siamo fatti foto, mi ha presentato alle sue amiche. Mi ha fatto sentire importante, speciale. Siamo diventati amici sin da subito. Ci siamo raccontati, mi ha detto di essere una giornalista. Poco dopo, grazie a lei, abbiamo ottenuto l’accredito per il concerto del Liga (Luciano Ligabue, ndr). Proprio li è nato tutto. Lei giornalista, io fotografo. Le ho espresso il mio sogno di creare un magazine e in quel momento è come se fosse scoccata una scintilla. E’ nata la magia. Il mio sogno era anche il suo. Due settimane dopo avevo già creato il sito.

E Sara continua.

Ho sempre scritto. Ho scritto un libro, sono anni che scrivo sul il Ponte e mi è capitato spesso di trovare persone che volevano collaborare con me, ma non lo dicevano mai sul serio. Io avevo l’idea, ci lavoravo intensamente, cercavo contatti, miglioravo il progetto, gli altri invece si lasciavano trasportare, si adagiavano, non ci mettevano passione, non si adoperavano. Le persone parlano tanto ma non mettono mai in pratica nulla.

Con Luca è stato diverso. Luca  ci credeva veramente. Luca era convinto, autentico, pratico. Mi sono fidata di lui e lui ha dato fiducia a me e alla mia concretezza. Ci siamo trovati. Noi non abbiamo paura, siamo folli, ci buttiamo tanto, siamo disinvolti, ostinati, spregiudicati, anticonformisti. Siamo LIBERI. E VEZ ci da la possibilità di esprimere ciò che siamo in modo genuino, spontaneo. Il primo concerto ufficiale, quello che ci ha “iniziato” a collaboratori e pionieri di VEZ Magazine è stato Lali Puna. Se ci penso mi viene quasi nostalgia. Sembra passata una vita e invece sono solo pochi mesi.

E il nome VEZ com’è nato?

Per un’estate intera gli epiteti più amichevolmente utilizzati nelle realtà Bayfest e varie sono stati Regaz (ragazzi, ndr) e Vez (vecchio, ndr).

Quando ci chiedemmo quale nome avremmo potuto dare al nostro magazine, dopo averci pensato un po’ e aver buttato lì qualche nome a caso, Sara mi disse. “E se lo chiamiamo Vez?” Ci convinse subito. Scegliemmo “VEZ Magazine” per dare un’identità, un’essenza al sito. Perché appunto attualmente è un magazine ed è nato per questo, seguire concerti. Poi l’ambizione è grande, potrebbe diventare VEZ Service o VEZ Agency, chi lo sa.

Quindi possiamo ufficialmente dire che è Luca Ortolani che si occupa dell’aspetto fotografico e artistico del sito. Sara Alice Ceccarelli, invece, di cosa si occupa?

Bella domanda. Sono felice che tu me l’abbia fatta. In tanti spesso mi chiedono se faccio parte dello staff di VEZ, perché di primo acchito, chi visita VEZ vede solo il lavoro di Luca. Sembra quasi che io non esista. E questo mi fa male perché mi sento inutile, subisco tanto il non sentirmi partecipe all’interno di un sogno e progetto che è anche il mio. Ora finalmente ho il piacere di poterne parlare.

Principalmente mi occupo di intrattenere i rapporti con le varie agenzie, management, uffici stampa ed è estremamente intenso e fervido poiché è un lavoro di scambio, interazione e condivisione. Loro mantengono aggiornata me su concerti ed eventi – dandoci anche la possibilità di parteciparvi con accrediti stampa e foto – e noi offriamo loro visibilità creando una sorta di storytelling, approfittando della straordinaria potenza dei mezzi comunicativi per connetterci direttamente alle emozioni dello spettatore, donando popolarità a tali emozioni e aumentandone la richiesta. Un concerto non è solo fatto di band, strumenti e musica. C’è ciò che viene trasmesso, ci sono le persone, le loro espressioni ed è lo stesso motivo per cui non richiedo mai l’accredito stampa sulle tribune ma prediligo sempre il parterre. Voglio stare a contatto con il pubblico, vivermi il calore umano, l’entusiasmo, il delirio, l’ebbrezza, il sudore, le grida, i sorrisi, le lacrime.

Sia io che Luca siamo alla spasmodica ricerca di passione, in qualsiasi veste si manifesti. Insieme a questo, l’umiltà, la disponibilità e il rispetto sono i nostri capisaldi e le fondamenta su cui VEZ si erge. La nostra professionalità non è dovuta solo alle competenze ma anche a tali principi. Tutto questo viene percepito e apprezzato e ci permette di ricavarne tantissimi feedback positivi. Inoltre, il fatto che io sia una donna è certamente ottimizzante. Ho notato che in questo settore c’è molto aiuto reciproco tra donne ed è una cosa fantastica a mio parere, perché non è affatto scontata.

Mi pare di capire che questo è solo l’inizio di un lungo percorso. Cosa vorreste diventasse VEZ, un giorno?

“Io una casa chiusa” risponde Luca. Scoppiamo a ridere.

A parte tutto – continua Luca – Non sappiamo di preciso cosa vorremmo diventasse. So che ci piacerebbe che partisse inizialmente come trampolino di lancio per i nuovi gruppi. Sarebbe bellissimo avere un roster nostro di gruppi, che trattiamo e che la gente può seguire solo da noi e magari averne anche l’esclusiva. Gruppi che ci hanno dato fiducia e ai quali noi abbiamo dato fiducia sin dall’inizio.

Ci piacerebbe tantissimo che qualcuno credesse in VEZ a tal punto da darci la possibilità (e il sostegno economico) di poter girare l’Italia per scovare e dare voce ai nuovi piccoli gruppi. Darci la possibilità di stupirci. Lo troviamo estremamente arricchente. VEZ non vuole arrivare ovunque e chi visita VEZ non si può aspettare di trovare tutto. Ma sicuramente può aspettarsi di trovare la nostra passione e il nostro cuore. Cuore che vorremmo mettere nell’aiutare le piccole band, i gruppi spalla, quelli a cui hanno promesso tante cose senza poi mantenerle, quelli che nonostante tutto non si sono mai arresi. Quei gruppi che vanno avanti con le loro forze e che ancora credono nella straordinaria energia e dirompente potenza della musica, fatta e trattata con onestà ed umiltà  e continuano a crederci come il primo giorno. Un pochino come noi.

E poi altre mille idee. Che non spoileriamo, un po’ anche per scaramanzia.

In ogni caso qualsiasi cosa sarà noi lo faremo con impegno, convinzione ma soprattutto divertendoci.  E con amore. Perché amore sembra una parola sopravvalutata, invece no, l’amore in questo lavoro è fondamentale. Anche nel prendere la macchina, guidare di notte, farti millemila chilometri per andare ad un concerto, senza nemmeno avere la certezza che si siano ricordati di accreditatarti. Quando magari non è una cosa che avresti fatto, perché sei in piedi dalle 7 di mattina, hai lavorato tutto il giorno e sei stanco morto, ma tu sei li, ci metti del tuo, ti piace, ti diverti e offri un servizio agli altri. Questo amore si è perso nel tempo. Si è perso nel giornalismo come nella fotografia, nelle arti. E VEZ vuole essere anche questo. La riscoperta del lavoro come passione. La riscoperta e la valorizzazione di sentimenti e principi spesso offuscati e dimenticati.

Proprio come farebbero due veri VEZ.

 

Federica Orlati