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Le Luci Della Centrale Elettrica @ Teatro Massimo

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• Le Luci Della Centrale Elettrica •

Teatro Massimo (Pescara) // 02 Dicembre 2018

 

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino, della caduta un passo di danza, della paura una scala, del sogno un ponte, del bisogno un incontro.Fernando Sabino.

Domenica 2 dicembre è andata in scena sul palco del Teatro Massimo di Pescara la quinta data di quello che sarà l’ultimo tour de Le Luci della Centrale Elettrica, dopo dieci anni di attività.

La scelta solenne dei teatri, appunto, per celebrare un anniversario importante e per ripercorrere le tappe di un progetto musicale, culturale, artistico, intrapreso nel 2008. Tra la Via Emilia e la Via Lattea.

È stato proprio Vasco Brondi a leggere la citazione con cui ho scelto di iniziare. La sintesi perfetta dello spettacolo a cui ho assistito. La lancetta segna le nove quando si alza il sipario su una scenografia essenziale, arredata unicamente dagli strumenti.

Ecco entrare ad uno ad uno i musicisti e posizionarsi: Rodrigo D’Erasmo al violino e al piano, Andrea Faccioli alle chitarre, Gabriele Lazzarotti al basso, Daniela Savoldi al violoncello e Anselmo Luisi alle percussioni. In prima linea, Vasco Brondi che, subito dopo aver eseguito Coprifuoco, saluta il pubblico del capoluogo abruzzese, instaurando quel profondo dialogo che ha contraddistinto il live.

Il tema che ha unito il susseguirsi di canzoni, aneddoti, racconti, poesie e letture è stato il viaggio. Primo fra tutti, quello che i brani de Le Luci portano inevitabilmente a fare.

Una commistione di immagini universali e particolari, scenari interspaziali che deflagrano, in uno zoom, su attimi di vita quotidiana, anche nei suoi risvolti più amari e dolorosi. Sinestesie, metafore, senso di identificazione.

Appaiono i parchi della città, i palazzi grigi, i sogni infranti sulle pareti. Una generazione in preda a domande sul proprio futuro, sul proprio destino. Risposte che talvolta si spezzano nella droga, nel senso di isolamento, nella dispercezione di se stessi.

E allora si prova a immaginare come possa essere la vita al di là, distante da lì. Fuori da un bar della Via Emilia che si trasforma nella Via Lattea. Lontani dal paese natale.

Si sale su un’auto, su un aereo, su una nave o su un gommone in balia delle onde.

<< Sapete… in questi anni sono giunto ad una conclusione che mi ha arricchito molto. Non sempre la soluzione migliore è quella di abbandonare la propria città. Io l’ho capito dopo aver girato tanto. E l’ho capito, in particolare, grazie a quelle persone che io chiamo maestri. I CCCP. Il loro motto era: “Non a Berlino ma a Carpi, non a New York ma a Modena”. Un giorno, con un paio di regionali, io e un mio amico siamo andati a Carpi. Volevamo capire cosa ci fosse di così speciale. Invece era quasi peggio di Ferrara…! Ecco, io ho capito che potevo fare qualcosa anche a Ferrara >>.

Il viaggio è anche interculturale. La letteratura, la poesia che prendono per mano la musica. Brondi legge dei passi di Roberto Bolano, scrittore cileno della metà del Novecento che ha narrato alcune vicende legate al Centro e Sud America, tra emisfero nord e emisfero sud, immergendole in una dimensione onirica.

Si ricollega così, alla canzone di De Gregori, ispirata dalla versione di Bob Dylan, Una Serie di Sogni.

<<Da un po’ di tempo a questa parte, prima dei concerti ascolto sempre questo brano. È una ricorrenza, una fissa, non lo so. Ma mi fa pensare esattamente a quello che provo quando sono qui >>.

Il tutto è amplificato dalla maestria degli arrangiamenti: il lamento malinconico del violino e del violoncello, il ritmo cadenzato delle percussioni e del basso, le chitarre che, da sempre, fanno da collante.

Non ne poteva mancare una, poi. La chitarra acustica consumata e vissuta, ridipinta chissà quante volte, con su scritto Le Luci Della Centrale Elettrica.

Ed è abbracciando solamente la sua chitarra che Vasco Brondi torna sul palco per l’encore.

<< Il pezzo che sto per eseguire l’ho scritto dieci anni fa. Si intitola La gigantesca scritta COOP ed era contenuta nel nostro primo disco che registrai in un container nelle campagne ferrarese dove di solito registravano solo gruppi metal. C’erano solo gruppi metal a Ferrara >>

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<< In quel momento ero fermamente convinto di quello che stavo facendo. Per me quelle canzoni erano qualcosa di importante. Allora partecipai anche a un concorso a Monselice. Uno di quei posti dimenticati da Dio, per uno di quei concorsi tipo alla Vanna Marchi. Dovevi pagare per partecipare. Ebbene, io anche pagando non riuscii a superarlo. Lì alcune delle mie certezze iniziarono a vacillare >>.

Il picco emozionale raggiunge le stelle con Per Combattere l’Acne. Si è creata una vibrazione potentissima tra palco e pubblico. C’è chi ha iniziato a cantare. C’è chi, vicino a me, ha percepito la scarica elettrica generata da quei fili scoperti che si ripetono nel testo.

Ed è stato un regalo grandissimo. Infine, il viaggio raccontato è quello dell’uomo, e non solo dell’artista, Vasco Brondi.

Prima di concludere, prende in mano l’ultimo disco, prodotto con l’artwork e le sembianze di un libro. Lo sfoglia, fino all’ultima pagina, sulla quale sono riportati tutti quei ricordi e quelle esperienze senza i quali non sarebbe stato l’Essere Umano di oggi.

Scorrono scene precise, simili a quelle delle sue canzoni: la prima volta che sua madre è andata ad un concerto e lui era ubriaco fradicio. Il messaggio di lei, a fine serata, “Sei stato meraviglioso”. Cantare con Manuel Agnelli, come nei suoi sogni.

Una sua frase su un muro di Catania. Riconoscere, tra i visi presenti, suo fratello che canta a memoria i suoi brani. Le luci che si accendono, il boato del pubblico che lo travolge tanto da spingerlo indietro, in uno spazio vuoto.

Quel vuoto che sta sempre lì, quello da cui escono le canzoni e che, in quel momento, è stato riempito.

Ieri sera Le luci della Centrale Elettrica e Vasco Brondi hanno illuminato quel vuoto. Lo hanno riempito di musica, di vibrazioni, di sogni, di energia positiva, di voglia di andare avanti.

La caduta è diventata una danza, la paura una scala, il sogno un ponte, il bisogno un incontro. Un incontro davvero indimenticabile.

 

Testo: Laura Faccenda
Foto: Davide Orlando[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9979,9981,9982,9983,9980,9984″][/vc_column][/vc_row]

le luci della centrale elettrica, Live, Music, vasco brondi