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Mese: Marzo 2019

Mòn @ Monk

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• Mòn •

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G U A D A L U P E   T O U R

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Monk (Roma) // 30 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a L’Eretico Booking

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Simone Asciutti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12760,12761,12767,12765,12768,12762,12770,12766,12759″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551660750403{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12758,12771,12769,12764,12763″][/vc_column][/vc_row]

I racconti al chiaro di luna degli Avantasia

C’era una volta Avalon, un’isola misteriosa avvolta dalla nebbia e dal mistero. Le sue sponde erano abitate da creature magiche e sfuggenti: fate, maghi, cavalieri, re e regine. 

Avalon era la patria di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, di Merlino e Morgana; una terra lontana e incantata che ha sempre suscitato un fascino viscerale tra scrittori e artisti.

Nel 2000 un giovane cantante tedesco Tobias Sammet, frontman degli Edguy, ha un sogno; quello di creare un super gruppo metal che riunisca insieme alcuni dei più grandi nomi del panorama internazionale. Ed è da questa idea e da una crasi tra le parole Avalon e Fantasia, che nascono gli Avantasia.

Nel loro primo album intitolato The Metal Opera Part I, del 2001, Avantasia, traccia numero 9 del cd, viene presentata come un mondo al di la’ dell’imaginazione umana in cui si svolgono le vicende raccontate nei 13 brani che compongono l’opera.

La band nata come un side project degli Edguy ad oggi è forse la creatura più riuscita di Tobias, quella a cui dedica più tempo e sopratutto quella in cui riesce ad esprimere al meglio le sue doti sia di polistrumentista che di autore.

La formazione attuale comprende oltre al cantante Tobias Sammet, Sasha Paeth alla chitarra, Miro Rodenberg alla tastiera e Felix Bohnke alla batteria.
Accanto a loro però nel corso degli anni, e degli album, si sono avvicendati tutti i grandi nomi del panorama metal mondiale: da Alice Cooper a Michael Kiske ( degli Helloween), da Rudolph Schenker (degli Scorpions) a Marko Hietala (dei Nightwish) per citarne alcuni.
Gli Avantasia ci propongono un metal di tipo operistico con brani spesso lunghi, che a volte superano i 10 minuti, e che ci proiettano in un mondo fiabesco e fatato. Ogni concept album ci racconta una storia diversa ed ha un suo filo conduttore.

Quello che li rende un unicum nel panorama musicale mondiale è l’abilità di spaziare da un genere ad un altro regalandoci un carosello di sonorità che vanno dal power metal al symphonic, dal folk all’hard rock, senza però stranire l’ascoltatore.

L’alternarsi continuo di generi infatti si sposa con il cambio di cantanti e di timbriche, con l’introduzione di un coro o di una voce femminile, che va a rendere la musica di Tobias non solo armonica ma anche ipnotica.

Le canzoni dei loro album si susseguono in un turbinio di generi ed emozioni che ti prendono e ti trasportano in un mondo magico al di là dello spazio e del tempo.

Dal 2001 ad oggi gli Avantasia hanno prodotto 8 album l’ultimo dei quali, Moonglow, é uscito lo scorso 15 febbraio ed è accompagnato da un tour mondiale.

Secondo Sammet Moonglow, che è costato alla band due anni di fatiche, sarebbe l’album più dettagliato che abbiano mai prodotto; non solo ambizioso ma ricco di amore per i particolari.

Come si può evincere dal titolo le canzoni prendono spunto dalla luna e dalla notte. Si tratta di 12 tracce piuttosto cupe che si ispirano ai romanzi di matrice vittoriana e che parlano di creature che si muovono nelle tenebre in cerca di qualcosa.

C’è chi ispirato dalla luce lunare abbandona le proprie convinzioni per inseguire i propri sogni, chi aspetta un segno e chi vuole ritrovare se stesso.

La notte e la luna, che dall’alba dei tempi sono fonte d’ispirazione per gli artisti, sono riuscite a catturare l’attenzione del frontman tedesco che con questo album, ha dato il meglio di sè.

Per tutti gli amanti del genere, ma anche per gli appassionati di fantasy, gli Avantasia saranno all’ Alcatraz di Milano il 31 marzo per l’unica data italiana del Moonglow Tour. Un appuntamento da non perdere per chi vuole farsi trasportare dalla loro musica; per chi vuole chiudere gli occhi e immaginare di trovarsi tra le Nebbie di Avalon.

Laura Losi

The André @ Auditorium_Parco_Della Musica

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• The André •

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L A   M U S I C A   A T T U A L E

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Auditorium Parco Della Musica (Roma) // 30 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a OTR Live

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Matteo Cassoni

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Aerosmith, rollercoaster e l’urgente desiderio di parchi a tema musicale

Lo sguardo scettico e il ghigno beffardo, classici di chi ha la certezza di essere in procinto di vivere un’esperienza deludente, tragicomica e trash, si spengono inesorabilmente all’ingresso della struttura che contiene, espone ed insieme cela lo spettacolare Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith, periferica attrazione che fa sfoggio della sua strepitosa scenografia tanto al Disney’s Hollywood Studios di Bay Lake (in Florida), quanto al Walt Disney Studios di Disneyland Paris.

Abituati come siamo ai simulatori di Formula 1, l’iSpeed di Mirabilandia, a quelli di jet supersonico, l’ormai  antiquato Blue Tornado di Gardaland, e a cannoni capaci di lanciarci nel cuore di una battaglia spaziale contro l’Impero di Star Wars, la famosa Space Mountain anch’essa situata nel parco di Topolino della capitale francese, può involontariamente sorgere un sorriso carico d’ironia nel sentir parlare di un’attrazione che tira in ballo la band il cui frontman è l’istrionico Steven Tyler.

Se la musica è un fattore che può incrementare l’adrenalina, e lo fa alla grande, come diremo in seguito, la contestualizzazione di una rock band in un rollercoaster pare ardua, pretestuosa, azzardata.

Nulla di tutto ciò. Per accorgersi dell’errore, per pentirsi del pregiudizio, dicevamo, basta immergersi nel finto studio di registrazione che introduce all’attrazione vera e propria. Una cura del dettaglio made in Disney e una lunga serie di oggetti storici, quali chitarre e dischi firmati da artisti di tutto il globo, non solo distolgono l’attenzione dall’inevitabile fila che si crea sin dall’apertura del parco, ma aiutano il pubblico a calarsi nello scenario, nel mood, nel personaggio imposto dagli artisti ed ingegneri che hanno concepito il Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith.

Finalmente seduti e assicurati al proprio posto, non prima di aver ricevuto un saluto virtuale dalla band stessa, tramite un simpatico video proiettato all’interno di una sala di registrazione perfettamente riprodotta, si intuisce e si accetta l’efficacia e tutta la potenza di un concept nato ormai diversi anni fa, in Florida l’attrazione ha aperto i battenti addirittura nel 1999, inspiegabilmente non cavalcata o riciclata in nessun’altra forma, né contesto.

Ogni carrozza che compone il rollercoaster ha la sua personalissima colonna sonora, una o più tracce che vengono “pompate” dalle casse poste sopra la testa del passeggero. Si tratta, naturalmente, di hit degli Aerosmith, una sorta di medley in onore della loro carriera per intenderci, con testi opportunamente e scherzosamente riadattati per l’occasione. Un esempio? Love in Elevator diventa Love in a rollercoaster.

Non è l’unico elemento musicale dell’attrazione, visto che l’intera esperienza è modellata attorno all’illusione di vivere, in prima persona, le emozioni e le sensazioni di una vera rockstar alle prese con un concerto live. Non appena il countdown raggiunge lo zero, si viene proiettati in un tunnel che avvolge il passeggero con luci abbaglianti. Non fosse per il giro della morte che segue immediatamente dopo, non fosse per l’adrenalinica velocità e spinta con cui si attraversa il passaggio, si potrebbe davvero giurare di aver percorso a perdifiato la scaletta che collega le quinte al palco vero e proprio, un palco che, per l’occasione, si attraversa tutto d’un fiato, da parte a parte, tra avvitamenti, paraboliche e scintillanti giochi di luce.

Complice l’oscurità, che avvolge il resto dell’edificio entro cui è contenuto il rollecoaster, fari e musica, che avviluppano il partecipante alla lisergica festa su binari, incrementano il divertimento, l’euforia, il desiderio di averne ancora e ancora.

Scesi dalla giostra e recuperata la capacità di pronunciare parole di senso compiuto, è inevitabile chiedersi come mai Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith rappresenti un caso praticamente unico nel suo genere, piuttosto che una consuetudine da declinare in decine di modi diversi.

Una casa stregata a tema Iron Maiden? Sarebbe un’idea semplicemente pazzesca. Un cinema 4D in compagnia degli assoli esaltanti dei Dragon Force? Non vediamo già l’ora. Una torre a caduta libera a ritmo con le hit dei Queen? Probabilmente sarebbe troppo, ma saremmo ugualmente curiosi di vederla in azione.

Musica, performer affermati e attrazioni è un connubio che funziona alla grande. Lo stesso Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith ci ha fornito la controprova, quando abbiamo deciso di concederci l’ennesima cavalcata e, per un problema di natura tecnica, la musica di sottofondo era disattivata. Le sole luci, il semplice percorso confezionato dagli ingegneri, non bastava, non era più sufficiente per l’estasi, l’esaltazione, l’apoteosi.

Il ghigno beffardo con cui mi sono avvicinato per la prima volta all’attrazione di Disneyland Paris, qualche settimana fa, al termine del percorso si è tramutato in un sorriso d’ebete stupore. Sì, perché adesso pretendo un parco a tema musicale quanto prima.

 

Lorenzo “Kobe” Fazio

John Mayall @ Campus_Industry_Music

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• John Mayall •

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8 5 t h   A n n i v e r s a r y   T o u r

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Campus Industry Music (Parma) // 29 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Barley Arts

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Foto: Mirko Fava

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FRANCESCO PIU

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Cor Veleno @ Locomotiv_Club

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• Cor Veleno •

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L O   S P I R I T O   C H E   S U O N A   T O U R

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Locomotiv Club (Bologna) // 29 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Zamboni53 Store

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12786,12776,12777,12784,12774,12779,12785,12778,12787″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551660750403{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12775,12783,12788,12780,12782,12781,12789″][/vc_column][/vc_row]

Hokusai Hiroshige: Oltre l’Onda

• Il fascino dell’Oriente da Debussy ai Cavalieri Jedi •

 

Immaginate per un attimo, nei panni di un artista europeo del 1867, di attraversare i grandi cancelli dell’Esposizione Universale di Parigi. In questa edizione gli argomenti trattati sono l’agricoltura, l’industria e le arti.

A costo d’essere scontati, entrando, cercherete con lo sguardo l’area dedicata alle avanguardie artistiche. Incuriositi dal padiglione del Giappone ne varcherete la soglia ignari che, di lì a poco, sarete inondati da qualcosa che cambierà per sempre il modo in cui l’occidentale concepisce l’arte.

Alzando gli occhi li sgranerete entrando in contatto con qualcosa di così extraterrestre, da farvi sentire insieme spaventati e meravigliati: le stampe giapponesi, pregne di un fascino tanto ignoto e misterioso, conquistano immediatamente i nostri cuori e le nostre menti avide di sconosciuto.

 

N1 1
Katsushika Hokusai, “Vento del Sud, Cielo sereno” anche noto come “Fuji Rosso” dalla serie “Trentasei vedute del monte Fuji”.

 

In occidente, vi assicuro, nulla del genere si era mai visto poiché il Giappone, per preservare la sua identità, fino a quel momento visse nel più totale isolamento.

Uno tsunami incontrollabile svegliò voci nascoste nei cuori degli artisti; la rivoluzione creativa fu inevitabile e da questa nacque quel pregevole dono per il quale saremo per sempre debitori all’Oriente: l’Art Nouveau.

 

N2 1
Manifesto dell’Esposizione Universale di Torino del 1902

 

Oggi, nel 2019, dopo secoli di conoscenza ed istruzione, ciò che noi europei potremmo provare davanti alle opere giapponesi dovrebbe tradursi in un sentimento edulcorato e sbiadito.

Invece, entrando nel Museo Civico Archeologico di Bologna, ci ritroviamo tutti con le mani appoggiate sul viso e gli occhi sgranati, mentre ci godiamo quella sensazione aliena che proviamo noi occidentali quando si tratta d’Oriente.

Questa roba fa paura, giuro, perché vorresti capirla anzi, credi di capirla ma non è così, non è possibile, è di un altro pianeta. E questo, irrimediabilmente, ci attira spaventandoci ora come 150 anni fa. 

 

N3 1
Katsushika Hokusai, “Kajikazawa nella provincia Kai”, dalla serie “Le Trentasei vedute del Monte Fuji”.

 

La mostra  Hokusai Hiroshige – Oltre l’Onda si fa traghettatrice di un viaggio attraverso l’arte della stampa giapponese, arte che necessita di una disciplina ed di una concentrazione unica.

L’allestimento è davvero intelligente, non solo perché finalizzato alla comprensione dei due maestri dell’arte Ukiyo-e, ma perché porta il pubblico a confrontarne le opere, individuandone sì le uguaglianze e le differenze, ma anche le motivazioni che hanno portato ad esse. 

 

N12 1
Utagawa Hiroshige, “Ōhashi. Acquazzone ad Atake” dalla serie “Cento vedute di luoghi celebri di Edo”.

 

Ma che cos’è l’arte Ukiyo-e? Letteralmente il termine significa “dipinto del mondo fluttuante” e per i buddisti rappresenta la fugacità e la precarietà delle cose terrene, dalla quale il saggio doveva allontanarsi il più possibile.

Nel Seicento il significato del termine venne rovesciato poiché furono proprio quei desideri effimeri e fluttuanti a rendere preziosa la vita terrena.

La pittura giapponese, infatti, era fatta di attimi fuggenti: immobilizzava con strumenti inspiegabili un istante nel tempo e nello spazio, rendendolo eterno, evanescente e fluttuante.

Il più grande maestro che l’Ukiyo-e conobbe fu Katsushika Hokusai (1760-1849) che definì se stesso “solo un vecchio pazzo per l’arte”. Anche noi siamo pazzi per l’arte, la sua. 

 

N4 1
Katsushika Hokusai, “Nakahara nella provincia di Sagami” dalla serie “Trentasei vedute del monte Fuji”.

 

Nelle sue opere il maestro riesce a creare qualcosa di eccezionale e mai scontato, nonostante lo schema sia sempre il medesimo: in primo piano la vita quotidiana dell’uomo, sullo sfondo la natura potente e spaventosa, seppur spesso silente ed addormentata.

La mostra, dopo averci presentato Hokusai e le sue trentasei vedute del monte Fuji, ci guida davanti alla vera protagonista dell’esposizione: La Grande Onda presso la costa di Kanagawa.

 

N5 1
Katsushika Hokusai, “La [grande] onda presso la costa di Kanagawa”, dalla serie “Trentasei vedute del monte Fuji”.

Una giornata, per ammirarla, non sarebbe bastata.

Per quanto possa essere minacciosa la natura per Hokusai, rappresenterà sempre l’armonia, la pace e l’eterna costante dell’uomo.

Il sentirsi impotenti davanti alla furia della natura, secondo la filosofia giapponese, è una certezza rassicurante. Accanto a lei, in una teca gemella, troviamo una stampa del più giovane Utagawa Hiroshige (17731829) che rappresenta un’onda ispirata a quella del grande maestro Hokusai, chiamata Il Mare a Satta nella provincia di Suruga.

L’Onda di Hokusai, a differenza di quella di Hiroshige, urla, ruggisce e assale le fragili navi con i suoi schiumosi artigli di drago, creando uno spettacolo drammatico. 

 

N6 1
Utagawa Hiroshige, “Il mare di Satta nella provincia di Suruga” dalla serie “Trentasei vedute del Fuji”.

 

L’Onda di Hiroshige, invece, capovolge l’inquadratura portando l’umano sullo sfondo ed il mare in primo piano.

Rappresenta una natura pacifica e materna, nella quale le navi viaggiano serene dove il pericolo è lontano. Entrambi gli artisti, inconsapevolmente, aprirono la strada all’invenzione dei celebri manga giapponesi.

Hiroshige si lasciò influenzare dall’arte occidentale, abbandonò la concezione d’istante fluttuante ed immobile di Hokusai, destando i suoi soggetti, animandoli, rendendoli gioviali ed espressivi, in stampe che paiono appena uscite dagli studi di Hayao Miyazaki.

All’Occidente Hokusai regalò, Hiroshige rubò. In più, è evidente che l’avvento della fotografia colpì fortemente il giovane artista, e lo si legge nelle splendide stampe che trasforma in profonde inquadrature fotografiche. 

Dopo aver sconvolto i sentimenti di Monet, la tecnica di Van Gogh ed il tratto di Degas, l’arte giapponese proseguì la corsa alla conquista del cuore occidentale. 

Anche la musica, arte sempre assetata d’influenze, si fece sedurre dal Giappone in una danza misteriosa e fluttuante.

L’amante più devoto fu Claude Debussy, che rimase tanto coinvolto dalla visione de La Grande Onda di Hokusai da comporre, nel 1905, un’incantevole raccolta di schizzi sinfonici a lei dedicata: la celebre Le Mèr. Sulla copertina della prima edizione, per sua scelta, volle proprio l’immagine de La Grande Onda. 

“La musica è un’arte molto giovane, sia nei suoi mezzi, sia per la conoscenza che ne abbiamo”, disse Debussy al suo editore dopo aver compreso quanto basti poco per cambiare irreparabilmente il  modo di vivere le piccole e grandi cose.

Dopo di lui tantissimi musicisti cavalcarono quell’Onda misteriosa, come Igor Stravinsky e Maurice Ravel, lasciandosi trascinare in un mare di profondi gorghi, di misticismo e di tensione.

Giacomo Puccini scelse di rappresentare in musica la storia di Madama Butterfly, una delle opere ancora oggi più famose, proprio perché come ogni altro artista del tempo era desideroso di toccare e plasmare la cultura giapponese, come argilla tra le sue mani.

Attraversando la classica e quella jazz, ancora oggi la musica occidentale porta i segni dorati delle influenze orientali che, inconsapevolmente, peschiamo in grande quantità anche nella cultura popolare.

Basti pensare al wagneriano John Williams che, dopo 50 anni di carriera hollywoodiana, si lascia ancora influenzare da Debussy e, indirettamente, dall’Ukiyo-e.

Per la colonna sonora della saga di Guerre Stellari, sua figlia prediletta, ha scelto quelle atmosfere ascetiche e vaporose tipiche della musica e della filosofia giapponese. Sulle dune di Tatooine o circondati dai Jawa, è inevitabile sentirne la presenza, il profumo, il tocco. 

 

N10 1
Utagawa Hiroshige e Utagawa Kunisada I, “Veduta con la neve”.

 

La verità è che molto dell’iconica saga di George Lucas abbraccia caldamente l’Oriente. In fondo, cos’è la filosofia dell’Ukyio-e, se non qualcosa di incredibilmente rassomigliante alla filosofia dei Cavalieri Jedi?

Valentina Gessaroli

MALTO BEER EXPO • 6-7 Aprile @ Unipol Arena (Bologna)

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MALTO BEER EXPO

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Malto Beer Expo: un nuovo evento all’Unipol Arena Sabato 6 e domenica 7 aprile 2019 Bologna

Nasce Malto International Beer Expo, il nuovo format di Unipol Arena destinato a diventare la più grande esposizione italiana sulle birre artigianali. Sabato 6 e domenica 7 aprile, sbarcheranno per la prima volta in Unipol Arena le migliori birre artigianali italiane e internazionali.

Malto si pone infatti l’obiettivo di creare un punto di connessione tra i migliori birrifici artigianali, accuratamente selezionati con Brewberry e Ales & Co., e il grande pubblico, passando per le vere star della manifestazione: i mastri birrai.

Saranno più di 50 i birrifici artigianali presenti a Malto, di cui 40 italiani e 12 da tutto il mondo, fra questi anche l’iconico BrewDog; oltre 250 i tipi di birra da poter degustare e oltre 500 le referenze acquistabili allo shop.

Malto sarà anche l’occasione per partecipare a masterclass nell’area Citizens of Every- where by Moor dove i protagonisti dell’arte birraria nazionale e internazionale sveleranno i segreti delle loro più celebri creazioni facendole gustare ai partecipanti.

Per i curiosi ci sarà anche la possibilità di partecipare a tasting experience guidate organizzate a cura di Unionbirrai per scoprire al meglio tutti i diversi aspetti e tipologie di questo prodotto.

Nell’area Cooking Show invece numerosi chef e food blogger si cimenteranno in preparazioni di ricette con le birre protagonista di Malto. Saranno con noi Simone Finetti (Master- chef), Davide Campagna (Cotto al Dente), Irene Tolomei e Tony (Bake Off Italia), Riccardo Facchini (Opificio Facchini) e molti altri.

Un grande percorso gustativo quindi, con un Beer Shop situato poco prima dell’uscita, dove poter acquistare in tutta calma le birre assaggiate durante la visita, e molto altro.

Ma non finisce qui, all’interno di Unipol Arena, si terrà infatti durante i giorni di Malto Beer Expo, un vero e proprio festival: Beered Music Festival.

Non solo birra quindi, ma anche tanti artisti, sabato 6 aprile saliranno sul palco del Beered Music Festival: Atlantico, Claver Gold, Johnny Marsiglia, Osc2x, Sem&Stènn, Teppa Bros (Lo Stato sociale dj set), The Andrè, Viito.

Mentre domenica 7 aprile toccherà a: A Toys Orchestra, Husky Loops, Mokadelic, Pun- kreas, Omar Pedrini in TIMORIA Viaggio Senza Vento, Skiantos, Soviet Soviet, Twist & Shout.

L’ingresso a Malto avrà un costo di 8,00 € + diritti di prevendita, il biglietto garantirà il bicchiere brandizzato con porta-bicchiere, la guida dell’evento, un buono acqua e la possibilità di accedere a masterclass e laboratori.

Tutta la lista dei birrifici e maggiori informazioni su www.maltobeerexpo.com

Biglietti in vendita su www.boxerticket.itmalto-international-beer-expo/

ORARI Sabato 6 aprile dalle 15:00 alle 01:00 Domenica 7 aprile dalle 11:30 alle 23:30

MALTO – contatti [email protected] www.boxerticket.it

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Frank Carter & The Rattlesnakes @ Locomotiv_Club

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• Frank Carter & The Rattlesnakes •

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Locomotiv Club (Bologna) // 26 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]Per molti è stata la rivelazione della scorsa edizione del Firenze Rocks, altri lo seguono dai tempi delle sfuriate punk rock dei Gallows e dalle distorsioni elettriche dei Pure Love. Frank Carter torna in Italia con i suoi The Rattlesnakes, progetto nato nel 2015, in costante ed eclettica evoluzione.

Dopo l’appuntamento alla Santeria Social Club, la data del 26 marzo vede come scenario il Locomotiv Club di Bologna. L’atmosfera familiare e raccolta del locale riceve con entusiasmo la band di apertura.

Sono giovani, sono inglesi, sono i King Nun. I quattro londinesi suonano forte, hanno pezzi di qualità, si divincolano sul palco con scoordinata energia.

Guardandoli, sembra di avere davanti una vecchia foto anni ’70: i classici rampolli britannici di buona famiglia e l’unico neo di aver scelto la strada del rock ‘n’roll. Per fortuna.

Giusto il tempo di posizionare la pedaliera di Dean Richardson, lo sgabello di Gareth Grover e il basso di Tom ‘Tank’ Barclay che il palco è pronto ad accogliere Frank Carter. I tatuaggi in vista dalla canotta traforata, i pantaloni della tuta rossi sgargianti, come i suoi capelli. Ci si scalda sulle note di Crowbar, primo singolo estratto dal nuovo album End of Suffering, in uscita il 3 maggio 2019. Con le sembianze di un folletto gabber, il cantante salta, corre, sorride in ghigni espressivi.

Il pubblico, esaltatissimo, non aspetta altro che uno dei suoi famosi crowdsurfing che arriva già alla terza canzone, finendo con una perfetta verticale sulla folla.

Tra circle pit, teste che si scuotono a ritmo e sudore, il live si infuoca. Un concerto che riecheggia delle note e delle parole di sentite dediche.

Se Fangs è un ringraziamento a Matt Cabani di Hellfire per aver creduto in lui fin dagli esordi, Heartbreaker è l’occasione per manifestare contro ogni forma di violenza, soprattutto contro quella sulle donne.

Il frontman ne ricorda il ruolo fondamentale, si scusa a nome del genere maschile per averle offese in qualsiasi modo e invita le ragazze ad arrivare sino al palco, passando di mano in mano, senza che nessuno si permetta di toccarle.

Anxiety è anticipata da una confessione: “Circa due anni fa, quando ho iniziato a comporre i nuovi brani, stavo attraversando un momento davvero difficile. La musica, le persone care, la mia famiglia, il mio lavoro non riuscivano a farmi dimenticare il mostro che si presentava allo specchio, ogni mattina. Mi sentivo profondamente solo. Poi ho intrapreso una battaglia. Ed è stato anche per merito dei miei amici e compagni di band che ho scelto di lottare. È una fortuna e una benedizione averli al mio fianco. Perché se la depressione appartiene al passato e l’ansia per quello che verrà al futuro, ciò che conta è vivere questo momento, insieme”.

Alla figlia, invece, è dedicata Lullaby, una ninna nanna molto alternativa che precede i ringraziamenti di rito e il gran finale.

Grazie a chiunque si trovi qui, oggi. Grazie a voi che, a miglia e miglia da casa mia, cantate le mie canzoni. Sì, sto parlando a voi, a degli uomini. Uomini che affrontano guerre contro i propri demoni perché siamo costantemente spinti ad essere guerrieri. Sapete, però, che il nobile traguardo di un guerriero è quello di morire? Desidero, invece, che ogni singola persona qui viva una lunga, fottuta vita per i propri genitori, partner, figli e famiglie. Voglio soprattutto che lo faccia per se stessa. Parlate, apritevi. E ascoltate chi chiede il vostro aiuto”.

La chiusura con il classico I hate you, dall’album Blossom, è una festa. I King Nun si uniscono ai Rattlesnakes, in una pioggia di champagne e grida con il poco fiato rimasto.

Sì, perché a un concerto di Frank Carter non si va per l’impeccabilità della voce o per la perfetta esecuzione.

Quello a cui si assiste è l’espressione di un’urgenza artistica ed emotiva che evade ogni assolo di chitarra, ogni colpo di batteria, ogni nota urlata al microfono. Il significato che racchiude va oltre, come quello che custodisce l’inchiostro di un tatuaggio.

 

“If you are struggling with the weight of the world around you, please talk to someone. Embarrassment breeds Shame, shame breeds loneliness and loneliness will kill you if you let it. You are not alone.”

– Frank Carter[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

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frank

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Hellfire Booking Agency

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

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KING NUN

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Lupo “To the Moon” (Riff Records/Grand Tree House Records, 2019)

Lupo è il progetto acoustic-folk di Enrico (Chicco) Bedogni, polistrumentista reggiano ex voce, chitarra e synth della band post-rock AmpRive (Fluttery Records, USA), da cui fu costretto ad allontanarsi per un problema all’udito. Inizia così per Chicco Bedogni un periodo di sofferta astinenza dalla musica che lo conduce proprio alla realizzazione di questo EP solista To the Moon. La paura di non poter più far parte del fascinoso mondo musicale si riflette in queste sei ballad songs, contorniate da un’aurea lenta e malinconica. Tra folk americano e bluesman meravigliosi e tormentati ci si ritrova coinvolti nello sfogo dell’autore, in un lamento disperato ad una luna distante ed assente. 

Il nome stesso del progetto riecheggia il concetto, coinvolgendo gli ascoltatori in questo ululare notturno, cupo ed inquieto, invocato da un’umanità impaurita e troppo sola. Gli individui si ritrovano abbandonati a se stessi in un mondo insensibile che non lascia scampo. L’unica via di fuga sembra essere la musica con il suo immenso potere di infondere la speranza di un riscatto. Un nuovo inizio per gli individui di cui narrano le canzoni e allegoria di una rinascita personale e professionale per l’artista. “La musica era il mio rifugio. Ho potuto strisciare nello spazio tra le note e dare la schiena alla solitudine” (Maya Angelou). 

L’EP comincia proprio con Brother and I, che porta a riflettere su come la condivisione di un’origine e di una fine comuni non basti a rendere gli uomini fratelli. Rimaniamo uomini soli e impauriti, gettati in un mondo privo di compassione. La nostra inadeguatezza e debolezza di fronte alla perfetta immensità dell’universo viene ribadita in Slow Big Crunch. La voce potente dell’artista, accompagnata dalla chitarra e dal suono originale del banjo, si rivolge al cielo colmando un infinito imprevedibile e spaventoso. 

Allo stesso modo The Bluesman Blues toglie dal disincanto giovanile, peccatore ma ingenuo allo stesso tempo, svelando la verità di una vita futura piena di insidie. Il brano, duro e diretto, enfatizza l’essenza folk dell’EP grazie all’energia trasmessa dall’armonica.

Una critica verso la sterilità dell’animo umano prosegue in Whispers To The Wind, in cui si considera come l’altezzosità e l’orgoglio, perseguiti tanto spesso dagli individui, conducano solo a solitudine ed inquietudine. 

Uomini, sempre più distanti tra loro e distratti da una vita troppo frenetica e caotica, caratterizzano il mondo di oggi: emarginazione, superficialità e distacco vengono continuamente giustificati dalla convenienza e dalle circostanze portando ad una società in cui, sempre più, si perdono i veri valori umani. Proprio in questo modo, in Like a Picture, un padre egoista e assente si trasforma in un professionista impegnato e devoto, da rispettare e prendere a modello. Dove ci sta trasportando questa vita frenetica e imperturbabile? Che futuro avrà un’umanità così viziata ed instabile? Un sentimento di insoddisfazione si libra nell’aria, trasformandosi in un lamento cupo e straziante come il pianto di una bambina capricciosa raccontato in Blue Inside.

Le ballate, con grande forza e folklore, conducono l’ascoltatore ad una forzata presa di coscienza e una profonda riflessione sulla condizione umana, nelle sue debolezze e insicurezze. Un EP da ascoltare con una forma mentis aperta a nuovi orizzonti ed interpretazioni della realtà. Accettate la sfida?

 

Lupo

To the Moon

Riff Records/Grand Tree House Records, 2019

 

Martina Boselli

La Vita “Eclettica” di Pietro Falco

Nessun nome d’arte per uno a cui l’arte scorre nelle vene da sempre, perché se è vero che ognuno di noi ha una dote dentro di sé, una sorta di vocazione che ci spinge a muoverci in una direzione piuttosto che in un’altra, Pietro Falco ha scoperto ben presto quale fosse la sua.

Pietro, classe 1990 originario del casertano da insaziabile buongustaio di emozioni ha ben pensato di prendersi cura della propria vocazione senza lasciarsela sfuggire, di alimentare in ogni modo possibile il suo amore per la musica e lo ha fatto senza la presunzione di arrivare in fretta ad un possibile traguardo.

Anzi!

Il suo background artistico spazia da piccole esibizioni live a Festival importanti come quello di Castrocaro al quale ha partecipato arrivando come finalista nel 2015. Da bambino ha scoperto l’esistenza delle note e crescendo ha iniziato a mescolarle e ha continuato ad ascoltare e allo stesso tempo a creare musica, la sua musica.

La passione per la propria musica è quella che ha portato questo giovane talento al 28 febbraio di quest’anno, data di uscita del suo primo disco Vita Eclettica.

Quando mi ha chiesto di ascoltare l’album in anteprima non ho esitato ad accettare e ad immergermi completamente nel suo mondo, perché già ne pregustavo il sapore.

Inoltre sapevo già che non avrei saltato alcuna traccia come spesso accade e che consapevolmente mi sarei riscoperta tra le sue parole, scritte con una penna fin troppo vicina all’anima delle persone (sicuramente vicina alla mia).

Sapevo già che il frutto di mesi e anni di lavoro, sacrifici e determinazione sarebbe stato sicuramente un ottimo frutto, lasciato crescere con i tempi giusti e pronto per essere raccolto e gustato da chi, non riuscendo ad esternare i propri sentimenti e le proprie sensazioni, si affida alle parole di chi invece ha la fortuna di saper trasformare stati d’animo in musica.

La prima cosa che ho pensato una volta ascoltato il disco è stata: “Mi piacerebbe fargli un’intervista!” per andare un po’ a fondo e conoscerlo meglio.

 

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Il 28 febbraio è uscito “Vita Eclettica” un album nato dopo anni di gavetta e mesi di lavoro, non solo materiale in studio, ma stando ai testi delle tue canzoni, soprattutto introspettivo. Come mai hai scelto questo titolo?

Diciamo che più che un disco è il ritratto di questa fetta di esistenza. Ci sono diverse storie, un grande amore, tante serate con i miei amici ad onorare la vita tra euforia e malinconia. Ho scelto questo titolo perché cambio spesso direzione, sia musicalmente che nella vita. Mi piacciono molte cose estremamente diverse tra loro. Forse è anche un modo per assecondare e ironizzare sulla mia instabilità! La prima persona ad attribuirmi l’aggettivo “eclettico” fu la mia professoressa d’italiano. Sto parlando, ahimè, di dieci anni fa… Forse anche di più!

 

In uno dei tuoi brani affermi: “Ascolto ancora i Gallagher…” quali artisti oltre a Liam e Noel hanno contribuito alla tua formazione artistica e in che modo?

Ho una doppia vita musicale. Nasco come chitarrista rock, ma sono cresciuto con i cantautori. In questo disco ho soddisfatto il desiderio di registrare tutti gli strumenti. Volevo essere il Lenny Kravitz della situazione! Mi divido tra il pianoforte e la chitarra. Il primo mi chiama nei momenti in cui mi sento più riflessivo, la seconda, beh, mi fa sfogare in modo unico. Ho ascoltato di tutto, dal pop al metal. Porto i Red Hot Chili Peppers tatuati sulla pelle, ma non posso rinunciare a Lucio Dalla, Vasco, Grignani, Cremonini, Bersani, Venditti. Durante questo percorso musicale, gli Oasis erano sempre lì, anche quando li abbandonavo pensando che la loro musica non potesse darmi più nulla. La brit music é ciò che sento più vicino a me in termini di composizione. Penso agli Stone Roses o ai The Verve. Ah, dimenticavo l’amore viscerale verso quel genio di Richard Ashcroft!

 

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Polistrumentista e cantautore… Raccontaci un po’ come e quando hai scoperto l’amore per la musica e cosa ti ha spinto a scrivere la tua prima canzone?

La musica per me è stata una sorta di richiamo. A casa avevamo un bellissimo pianoforte a coda ed io passavo le mie giornate a percuotere quei tasti bianchi e neri. Per un bambino la musica è magia. In realtà credo lo sia sempre. Ho scritto la mia prima canzone a 16 anni per una biondissima ragazza piemontese che in vacanza rubò il mio giovane cuore. Siamo in contatto ancora oggi e spesso scherziamo su questa cosa. È tutta colpa sua!

 

La musica è una terapia sia per chi la fa che per chi l’ascolta. Quali sono i messaggi che vorresti trasmettere alle persone che ti ascoltano e a cosa pensi possa servire o in che modo pensi possa aiutare la tua musica?

La musica per me è una forma di auto-terapia. Veleno e cura. Sono una persona come tante che vive situazioni e storie come tante. Non sono il primo, né l’ultimo, non sono speciale, né geniale, magari qualcuno si ritrova in questa “normalità.” Mi capita spesso che qualcuno mi scriva su Instagram cose del tipo “Questa l’hai scritta per me, sei un mago”. È sicuramente una delle sensazioni più belle che abbia mai provato. Scrivere di sé e parlare per molti…Questo è quel che più mi piace di tutta questa pazza storia!

 

Se ti venisse data la possibilità di tornare indietro per rivivere un momento, quale sceglieresti e perché? E allo stesso tempo se ti venisse data la possibilità di immaginare un momento da vivere, non ancora vissuto, cosa vorresti?

Potrei dirti che tornerei indietro per non commettere alcuni errori, ma sbaglierei. Gli errori sono fondamentali per il nostro futuro, sembra scontato ma a volte è giusto ricordarlo. Forse correggerei solo un episodio della mia vita, ma è strettamente personale. Posso dirti che le conseguenze di quell’episodio sono state la spinta emotiva di Vita Eclettica. Il momento da vivere? Non è San Siro, né Maine Road. Aspetto che Pierluigi Pardo mi chiami a Tiki Taka. Giuro questo è il mio sogno!

 

Stai promuovendo il disco con dei live molto apprezzati e stai ricevendo tanti feedback positivi, quali erano le tue aspettative a tal proposito, ma soprattutto quali sono le tue ambizioni adesso?

Da musicista adoro il Live e sicuramente lo preferisco allo studio, che ha comunque un fascino unico. I concerti sono una festa. Non voglio barriere tra me e la gente. Mi metto completamente a nudo. Infatti ci sono diversi momenti in cui resto da solo al piano, a 10 centimetri dalle persone. Stupendo! Sono molto contento perché la risposta supera di gran lunga previsione. Ho una band fantastica che mi accompagnerà in giro per l’Italia a promuovere il disco. Di Vita eclettica c’é una seconda parte. Adesso vorrei alzare un po’ l’asticella. Aspetterò pazientemente il momento giusto e cercherò di tenere a freno la voglia di spaccare tutto! Che la Dea musica ci assista. Grazie per questa bellissima intervista. Un saluto a Claudia e agli amici di VEZ.

Buona musica!

 

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E buona musica sia! Sempre! Se vorrete, da adesso in poi sapete dov’é possibile trovarne sicuramente un po’.

Vi ricordiamo che Vita eclettica è disponibile su tutti gli store digitali.

Buon ascolto VEZ!

 

Claudia Venuti

BIRØ e la scrittura: un artista fuori dagli schemi

BIRØ è un cantautore classe 1990 originario di Varese.

Il suo “Capitolo 1: La Notte” (Vetrodischi) è un progetto che mira a coniugare testi propri della tradizione cantautorale italiana con la musica elettronica per raccontare storie attraverso musica e parole. I suoi brani raccontano eventi legati tra loro e come le pagine di un libro seguono uno sviluppo cronologico.

“Capitolo 1: La Notte” è la storia di un uomo che analizza le sue ossessioni, le sue paure e i suoi vizi, ma anche le proprie gioie e fortune, il tutto grazie ad uno stile narrativo personale. Tutti i brani sono ambientati in un’unica notte e questo spazio temporale diventa il filo conduttore tra una canzone e l’altra: i toni crepuscolari dei testi di BIRØ trovano nella commistione tra cantautorato ed elettronica un compagno perfetto per questo viaggio che dura fino all’alba.

Dopo la pubblicazione di “Incipit”, il suo primo EP ufficiale, BIRØ si è fatto conoscere al grande pubblico con un fortunato tour che ha avuto appuntamenti importanti come il Mi Ami 2017 e il Collisioni Festival riscuotendo ottimi feedback di pubblico e critica, candidandosi di diritto quale nome su cui puntare per il futuro.

Biro ci racconta, attraverso tre racconti brevi e inediti, il significato delle sue canzoni in maniera più ampia.

Il racconto è come un’espansione dell’universo narrativo del personaggio protagonista del disco. Mentre nel disco vengono presi in dettaglio certi punti e aspetti, nel racconto questi dettagli vengono messi sotto la lente d’ingrandimento.

La necessità era quella di raccontare il punto di vista del protagonista a partire soprattutto dalla sua solitudine e dalle sue dipendenze. Il disco sicuramente fa ben capire questi aspetti e penso riesca a riportarne una chiara immagine, mi sembrava che però ci fosse l’esigenza di spiegare anche il perché lui si sia ritrovato, le cause e le circostanze. E magari quali potrebbero essere le sue prospettive.

 

Oggi pubblicheremo appunto il primo di questi.

Buona lettura e correte ad ascoltare il suo album!

 

1 EPISODIO

 

Esco dal bar ciondolando. Appallottolo la schedina persa e cerco di fare canestro in un cestino vicino. Inutile dirlo, la pallina di carta cade molto prima del cestino.
Faccio fatica a stare dritto figuriamoci riuscire a fare canestro.
Accendo una sigaretta e mi incammino verso la macchina.
Milano di notte mi sta simpatica. E’ come se improvvisamente ci fosse un filtro che lascia emergere un’atmosfera più vibrante, tranquilla eppure sempre sull’attenti, come se potesse sempre succedere qualcosa anche dove il silenzio regna sovrano.

Le pozzanghere lungo la strada riflettono le insegne blu dei bar e le luci dei lampioni, sento qualcuno in sottofondo parlare della partita e all’improvviso penso che almeno su quello avrei potuto avere un po’ più di fortuna. Tre pali su quattro tiri. Un gol poteva scapparci, sbancavo un 200 euro che mi avrebbero fatto comodo

E in cosa li avresti spesi?

Magari avrei potuto organizzarle una cena.

Sii almeno onesto con te stesso.

Portarla fuori, non so cucinare.

Avresti comprato del vino.

Qualche bottiglia di vino per festeggiare.

Festeggiare cosa?

Ma festeggiare cosa? Cosa c’è da festeggiare? Anche riuscissi a parlarci sarebbe un gran successo e cosa farei per festeggiare?

Compreresti del vino.

Comprerei del vino. La causa di tutto.

Non ricordo quando ho cominciato a bere, non che esista veramente un punto preciso in cui si inizia, ma non riesco a ricostruire le circostanze per cui ho cominciato a bere così tanto. Non ci riesco, sono troppo ubriaco.

Metto le chiavi nella macchina e mi accorgo che l’ho lasciata aperta.
Sei veramente un coglione.

Un vero e proprio coglione. Ti accorgi anche tu che non è possibile? Si, per tante persone potrebbe essere una dimenticanza ma per te comincia a diventare un abitudine.

La moka.

L’altro giorno hai fuso una moka dimenticandoti il fornello accesso. Devi darti una regolata.
Ti serve una regolata.

La macchina è glaciale, dò un giro di chiave e dopo un lungo borbottio il motore parte.

Sei troppo ubriaco per guidare.

Devi stare calmo, tranquillo.

Prendi una cicca.

Cerco una cicca nel portaoggetti, c’è un pacchetto che sarà lì da chissà quanto ma lo prendo comunque. Sembra di masticare un sasso. Nel portaoggetti ci trovo anche un cd degli Smiths che non ricordavo assolutamente essere lì. E’ un “The Best Of”, quindi so esattamente a cosa vado incontro ma dò un’occhiata rapida alla tracklist.
Ti ricordi?

Era bello discuterne, a lei facevano schifo. Proprio schifo, non ne capivo la ragione ma lei diceva che la voce di Morrissey è una tortura. Schifo, usava proprio questa parola.

Apro la confezione e dentro trovo un piccolo biglietto che recita

Balli sopra un bacio tra le pieghe di un letto.

Che frase stupida, avrò avuto vent’anni quando l’ho scritta. Ecco, questa è una frase che fa schifo, ma allora ero tutto esaltato dallo scrivere e dallo studiare che mi sembrava una gran figata, mi sembrava di essere Morrissey.
Vuoi chiamarla.

Prendo il cellulare e scorro la rubrica.

Non farlo.

Squilla. Poi metto subito giù il telefono.

Non puoi averlo fatto veramente.

E invece si, cazzo, lancio il cellulare sul retro del sedile e tiro un pugno al volante della macchina. Mi sento un vero coglione. Lei magari adesso guarderà la chiamata e cosa penserà? Avrà paura?
Hai fatto una cazzata, fermati qui al semaforo, mastica la cicca e respira.

Si, mastica la cicca e respira.
Non ti manderà un’altra denuncia.

MASTICA LA CICCA E RESPIRA. Non c’è bisogno di agitarsi, adesso vai a casa e non succede nulla, bevi un goccio di birra, fumi una sigaretta e vai a letto e ti fai una bella dormita. Nulla di più semplice. Lei non ci farà caso, se ne starà col suo nuovo ragazzo e domani forse qualcosa cambierà.

Questa non è la strada giusta.

Forse, chissà. Le cose a volte non cambiano per niente, o se cambiano è in peggio.

Devi ritornare sulla circonvallazione per tornare a casa tua.

Ma io cosa ci posso fare? Mi sento in balia di tutto questo, degli eventi e di quello che lei ha scelto. Non capisco e non riesco ad uscire dalla convinzione che se valeva qualcosa allora valeva la pena anche lottare e non mi sembra giusto che mi sia rimasto così poco dopo tutto quello che ho dato.

Dai torna a casa, non ci pensare. Non fare cazzate, vuoi andare lì ubriaco come sei per fare cosa? Pensi che ti troverà cambiato?

Intanto parcheggio. Spengo il motore e all’improvviso è come se tutta la strada si fosse stata mutata. Il silenzio è ovunque. Riguardo l’ingresso di casa sua che per dieci anni è stata casa nostra. E’ una strana sensazione, vedere ciò che hai amato e che poi invece diviene qualcosa di estraneo. Inavvicinabile addirittura.
Sento dei passi, qualcuno sta chiacchierano. Una donna ride. I passi si fanno sempre più vicini, mi volto per guardarli.

E’ lei.

E’ lei.

Resta qui in macchina, aspetta che entrino e poi vattene. Nessuno ne se accorgerà.

Scendo dalla macchina, quando la portiera sbatte si voltano entrambi e se all’inizio sembrano non riconoscermi in breve capisco dalle loro espressioni che hanno capito benissimo chi sono.

Lei è spaventata, cerca le chiavi nella borsa compulsivamente, come se fosse la cosa più importante nel mondo e striscia contro il muro verso la porta.

Lui si avvicina a me con passo deciso. Cerco di spiegargli che va tutto bene, non voglio far niente, ma non appena alzo le mani in segno di resa le sue mi spingono forte sul petto buttandomi a terra. L’alcool amplifica la sensazione, mi gira la testa, se provo a rimettermi in piedi scivolo sul selciato.

Non faccio in tempo a rendermene conto che lui mi prende il bavero e mi assesta una centra sulla mandibola.

Ricasco a terra. Ci rimango. Fischia tutto.

Mentre resti steso per terra e un il sangue comincia ad invaderti la bocca senti voci in lontananza: “Sta bene?” “Starà bene!”. La porta sbatte, a poco a poco riesci a rimetterti in piedi con non poca fatica. Passi le dita sul colpo e constati che sta uscendo un po’ di sangue. Probabilmente domani si gonfierà e sarà un livido. Risali in macchina, giri la chiave e il motore torna a disturbare il silenzio della via. Torna a casa.