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Florence and The Machine @ Unipol_Arena

 

High As Hope Tour

Unipol Arena (Bologna) // 17 Marzo 2019

 

È già primavera all’Unipol Arena per la data bolognese dei Florence and The Machine. A poche ore dal tanto atteso ritorno della band capitanata da Florence Welch, il parterre è gremito di ragazze e ragazzi sorridenti che indossano coroncine di fiori, camicie dalle fantasie colorate, glitter e brillantini. Uno spirito di unione e spensieratezza che, galvanizzato ancora di più dall’energia degli eclettici Young Fathers in apertura, accoglie, intorno alle 21,15, gli otto musicisti che si posizionano ai rispettivi strumenti, su un palco dominato dai toni caldi delle luci e dei lunghi pannelli di legno.

 

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Ed ecco apparire lei, la regina della serata. Florence è vestita di un abito lungo ricamato, color acqua marina, in armonia perfetta con il suo candido incarnato e il rosso dei suoi capelli. Dalle prime note di June e Hunger, brani con cui esordisce anche l’ultimo lavoro in studio High As Hope, la voce eterea, potente, perfetta avvolge il pubblico in un crescendo di emozioni.

Ciao Bologna, è sempre bello tornare qui” – saluta – “Ogni volta che vengo in Italia, è un po’ come tornare a casa. Ora vi chiedo di cantare e ballare con me.  Non abbiate paura!

L’invito viene accettato, la vicinanza è concreta, palpabile. Tra canzoni del nuovo e del vecchio repertorio, l’artista inglese corre, salta, si libra in volo in piroette. Una figura in cui si fondono la libertà, il coraggio, l’istinto di un’amazzone e la grazia, l’eleganza, la delicatezza di una venere rinascimentale.

 

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Se South London forever è dedicata alla sua città natale ed è l’occasione per manifestare contro la brexit e qualsiasi tipologia di divisione in nome di un’Europa coesa, Patricia è un omaggio a Patti Smith, ispirazione costante nel percorso artistico della Welch. “Benvenuta a Bologna” – dice, guardando all’orizzonte, come se la sacerdotessa del rock fosse presente in quell’istante. Per Sky full of song, la scenografia si trasforma in un cielo stellato perché quel brano è sceso dall’alto, come necessità, come salvezza.

Si balla, si salta e, soprattutto, si fa un gesto sempre meno usuale durante i live. Infatti, su Dogs days are over viene fatta una richiesta: “So che è difficile, so che vi sembra strano…Ma, per favore, mettete in tasca per un attimo i vostri telefoni. Su, da bravi! Non condividete. Questo momento è vostro, solo vostro… e, se volete, posso dirlo anche in un inglese più formale… Togliete quei cazzo di telefoni!”.

È così Florence, spontanea, vera, umana. Cerca il contatto, scende le scale attraverso cui il palco arriva sino alle prime file e canta Delilah e What kind of man abbracciata ai suoi fan, aggrappata a loro, perché è grazie a loro che la melodia fiabesca di Cosmic love compie dieci anni. È grazie a loro che i suoi sogni di bambina sono diventati realtà. Ed è una sensazione tanto meravigliosa quanto terrificante, a volte. È una grande responsabilità, confessa, dimostrandosi profondamente riconoscente.

 

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L’encore è affidato alla solenne Big God e alla famosissima Shake it out. “Vi domando un’ultima cosa… cantiamola tutti insieme”. La chiusura perfetta del cerchio che rappresenta la rinascita di cui Florence è stata protagonista. Un inno a scuotere via i propri demoni, a danzare senza il loro peso sulla schiena. La consapevolezza di non poter cancellare mai totalmente il proprio passato ma accoglierlo, anche nel dolore. Lasciare che ciò accada, per liberarsi. Per volare alto, verso il proprio cielo. Per volare alto, come la speranza.

 

Testo: Laura Faccenda

Foto: Luigi Rizzo

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