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Jack Savoretti “Singing to Strangers” (BMG, 2019)

Jack Savoretti “Singing to Strangers” (BMG, 2019)

| Francesca Garattoni

«Ci ho preso gusto ad essere italiano. Quando vado in giro, saluto con “Ciao!” o “Buongiorno!” nemmeno fossi Roberto Benigni. Ho riscoperto la mia italianità.» – ha dichiarato Jack Savoretti, artista nato da padre italiano e madre tedesco-polacca, in merito alla sua vita nella campagna inglese, dove si è trasferito ormai da tempo con moglie e figli, lontano dalla caotica Londra. E questa italianità ritrovata contribuisce alla riuscita del suo sesto lavoro in studio, Singing to Strangers, pubblicato per BMG il 15 marzo e caratterizzato da un’atmosfera vestita di un doppio ed elegante abito: quello pop della nostra tradizione e quello soul anni ’50, tanto francese quanto d’oltreoceano. 

Registrato proprio a Roma al Forum Music Village, lo studio fondato da Ennio Morricone, Piero Piccioni, Armando Travajoli e Luis Bacalov, il disco, nella produzione di Cam Blackwood, si ispira ai preziosi arrangiamenti della forma-canzone del bel paese. L’impalcatura sonora si erge su una duplice struttura costituita dalla band e dall’orchestra. Linee di basso massicce si fondono con le dolci armonie degli archi e con la vocalità così intima e riconoscibile di Savoretti. Un timbro rauco e un graffiato dolceamaro che attingono da sorgenti emotive profonde e da una grande tecnica.

«L’idea di Singing to Strangers è nata da mia figlia. Mi ha detto: “Papà perché non parli del tuo lavoro?”. Cantare per sconosciuti, appunto. Il tutto è legato dal tema dell’amore che si sviluppa all’interno di una colonna sonora di un film immaginario. Dell’Italia ci sono anche il cinema e lo scenario di Roma». 

Candlelight, traccia d’apertura e primo singolo estratto, nelle inflessioni rhythm and blues ricorda le liriche dei primi film di James Bond, mentre con Dying for you love, nella chitarra vibrata dell’attacco, ci si ritrova seduti sul divanetto di un caffè retrò ad ascoltare il crooner che canta d’amore. Magari in una scena di una pellicola di Tarantino. What more can I do e Things I thought I’d never do si inseriscono, cronologicamente, in richiami anni ’70, la prima sulla scia di Marvin Gaye e la seconda su quella dei brani più famosi di Elton John dello stesso periodo. Di grande spessore è la titletrack: un monologo recitato sul sottofondo delle corde pizzicate. Una domanda identitaria, una confessione tra la consapevolezza e il grido interiore. Che dire poi di Touchy situation, tra i cui crediti si legge il nome di Bob Dylan, autore di questo dipinto al femminile scritto nella fase di Time out of mind, musicato e sapientemente personalizzato da Jack Savoretti. 

La chiusura dell’album è affidata al potente effetto “live” delle due bonus track registrate alla Fenice di Venezia. Music’s too sad without you, appassionato duetto con Kylie Minogue, potrebbe benissimo rappresentare il brano cardine di un musical romantico, di quelli dal lieto fine, che fanno sognare. Vedrai Vedrai di Luigi Tenco che sfuma in Oblivion di Astor Piazzolla è l’omaggio accorato e definitivo a tutto il panorama melodico e melodrammatico. Su queste note, è come se apparisse il frame di un film in bianco e nero. Film di cui siamo protagonisti o spettatori, in un vecchio cinema dalle poltroncine di legno. Ecco le vie di una Roma notturna, illuminata dalle file dei lampioni. Attraversata, vissuta, mano nella mano con qualcuno. O con un sorriso malinconico, nel suo ricordo.

 

Jack Savoretti

Singing to Strangers

BMG, 2019

 

Laura Faccenda