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Mese: Aprile 2019

Videogiochi in concerto, quando la colonna sonora merita un tour tutto per sé

Dai tempi dei tremolanti e cacofonici cinguettii a 8-bit, motivetti che in molti casi sono comunque riusciti a diventare intramontabili, brevi jingle che ossessivamente si ripetevano all’infinito nelle giovani menti di giovani videogiocatori, da quell’era ormai remota le colonne sonore dei videogiochi, soprattutto dal punto di vista puramente tecnologico, hanno fatto passi da gigante, arrivando a competere ad armi pari con quanto si produce solitamente per TV e cinema.

Se persino un grande artista del calibro di Gustavo Santaolalla, Oscar nel 2006 con I Segreti di Brokeback Mountain e di nuovo nel 2007 con Babel, è stato felicemente coinvolto nella realizzazione della soundtrack di The Last of Us, autentico capolavoro originariamente pubblicato su PlayStation 3 nel 2013, in attesa del sequel che lo vedrà nuovamente tra i protagonisti, significa che il medium anche sotto il profilo musicale ha raggiunto la piena maturità.

Con l’affermarsi di CD-ROM e DVD a formati riferimento, con il progressivo l’abbandono dei MIDI, comodi fintantoché c’erano restrittivi limiti di memoria da rispettare, team di sviluppo e compositori hanno potuto finalmente esprimere liberamente la loro creatività, arrivando al punto di confezionare temi e musiche d’accompagnamento indimenticabili, iconiche, significative tanto più quando accompagnano l’azione di un videogioco particolarmente riuscito ed ispirato.

Era questione di tempo insomma, il necessario per trasformare una generazione di ragazzini con la fissa per i videogiochi in adulti economicamente indipendenti, prima che a qualcuno venisse in mente di imbastire autentici concerti, con tanto di direttore e orchestra al seguito, che riproponessero alcuni di questi splendidi brani.

Eventi di questo tipo se ne organizzano diversi, già da qualche anno, un po’ ovunque nel mondo, Italia compresa. Non mancano iniziative meno ufficiali, con una scaletta che spazia in totale libertà da una saga all’altra. Ultimamente, tuttavia, stanno prendendo sempre più piede proposte monotematiche, sponsorizzate, organizzate e desiderate dagli stessi produttori dei videogiochi di riferimento.

Il caso più famoso, e di successo, è senza dubbio The Legend of Zelda: Symphony of the Goddesses, tour che ha fatto tappa anche nel Belpaese, che pesca a piene mani nella trentennale saga di Nintendo, non lesinando sul mescolare la musica a contributi video che contestualizzano ogni brano con il capitolo di riferimento.

Si tratta, naturalmente, di iniziative dal target estremamente ristretto, specifico, relativamente limitato. Il pieno apprezzamento del live, difatti, non può in alcun modo prescindere da quello che è il personale rapporto del singolo fruitore con l’opera da cui è ispirato.

Per quanto alcuni componimenti possano risultare piacevoli, e persino emozionanti, anche per il neofita, totalmente ignaro della provenienza di ciò che sta ascoltando, solo i fan e gli appassionati, ricordando il preciso istante in cui l’azione è accompagnata dal brano in esecuzione, può carpire appieno lo spirito che anima questa tipologia di concerti, sinceri tributi al videogioco stesso, quando non genuini album musicali di momenti nostalgici in cui crogiolarsi.

Oltre a Nintendo, anche il publisher nipponico Square-Enix, famoso per i suoi giochi di ruolo, è piuttosto attivo in questo senso. Dopo il successo mondiale di Distant World, tour dedicato alle musiche di Final Fantasy, e quello di Kingdom Hearts Orchestra – World Tour, il prossimo nove giugno, presso il Dolby Theatre di Los Angeles, debutterà il monografico Final Fantasy VII – A Symphonic Reunion, evento dedicato ad uno dei più famosi capitoli del brand di Square-Enix, occasione ideale anche per pubblicizzare l’ormai prossima uscita del remake del gioco del 1997, originariamente proposto sulla primissima PlayStation.

Iniziative del genere sono destinate a progredire negli anni, sia per frequenza con cui verranno proposte, sia per numero di artisti, publisher, organizzazioni coinvolte. L’ottimo riscontro dei tour organizzati negli anni scorsi, del resto, parla da solo.

 

Lorenzo “Kobe” Fazio

An evening with Manuel Agnelli @ Teatro Fabbri di Forlì

Abituata ai concerti degli Afterhours, in piedi, schiacciata alla transenna, è strano pensare di ascoltare le canzoni che hanno fatto da colonna sonora alla mia adolescenza comodamente seduta su una poltroncina di velluto rosso, in un teatro.

Mentre cammino per le strade che mi portano al Teatro Fabbri di Forlì, in occasione di An Evening with Manuel Agnelli mi chiedo che pubblico troverò. Chi, come me, che ha iniziato ad amarlo durante la sua militanza nelle file del rock indipendente italiano oppure persone che lo conoscono soprattutto per i suoi ultimi trascorsi televisivi? Questa cosa mi spaventa un po’.

Mentre mi accomodo nel mio posto numerato, tiro un sospiro di sollievo. Il pubblico di Agnelli è cresciuto, è diventato più trasversale, ma il clima che si respira è lo stesso che ho incontrato in passato ai suoi concerti. Ci si scambia opinioni sull’ultima volta che lo si è visto live e mi accorgo che in tanti non hanno la minima idea di cosa aspettarsi da questa inedita serata concerto-evento.

La modalità d’impianto teatrale per alcuni musicisti non è però così nuova. Penso alle “Conversations with Nick Cave”, che tanto amo e che probabilmente anche Agnelli segue con interesse. Impossibile credere che non si sia ispirato a lui per questo format che tocca diversi ambiti, dalla conversione al concerto, passando per il reading.

Anche solo la vista del palco fa intuire quale sarà l’atmosfera della serata: un appendiabiti, alcune valigie, due poltrone, un giradischi, dei vinili, un plotone di chitarre pronte per le esecuzioni acustiche.

Rodrigo D’Erasmo e Manuel Agnelli arrivano sul palco alle nove e mezza passate, entrambi indossando un cappotto. Se lo tolgono e senza dire niente partono con il primo pezzo, una cover della canzone The Killing Moon di Echo and the Bunnymen, seguita dal primo dei tanti ringraziamenti al pubblico.

Agnelli sembra rilassato, “con la musica ho trovato il mio linguaggio. Ho iniziato a fare rock contro tutto e tutti, ma ad un certo punto ho perso l’obiettivo. Combattevo per qualcosa, ma non ricordavo più per cosa, così ho scritto questo pezzo“. È Padania la canzone che usa per iniziare a parlare di sé.

 

Manuel Agnelli Nicola Dalmo 2019 002

 

 

Tra una chiacchiera e l’altra si arriva a Male di Miele. Agnelli quando parla dell’album “Hai Paura del Buio?” che li ha consacrati alla storia della musica italiana, racconta con ironia di quei tempi, tutt’altro che facili per gli Afterhours.

La band era indebitata con lo studio di registrazione, nessuno voleva comprare il nastro, Manuel aveva perso il lavoro e la sua ragazza l’aveva lasciato. A quei tempi viveva sopra un negozio di animali che, quando passava davanti, parevamo ridere di lui.

Nonostante questo “ho iniziato a preoccuparmi solo quando i pezzi sono diventati allegri“. La versione di Come Vorrei al pianoforte è ancora meglio di quella in studio. Un pezzo dalle sonorità dolci, ma dal testo disperato.

Anche il successivo, Pelle, viene eseguito al piano, con l’accompagnamento del violino di Rodrigo. Il risultato è un’esecuzione ariosa del brano originale. Ammetto di aver temuto l’effetto nostalgia, ma tutti i brani rieseguiti durante An evening with Manuel Agnelli acquistano una nuova identità, senza per questo tradire quella che già conosciamo.

L’ironia non manca mai, nemmeno quando tocca alcuni dei momenti più difficili della sua vita. È il caso di “Folfiri o Folfox”, l’ultimo album di inediti che racconta della morte del padre. Un lavoro catartico, dove “la musica è venuta in soccorso, per buttare fuori le tossine“.

Curioso pensare che proprio un disco così difficile e pesante, sia arrivato primo in classifica. Quando Agnelli e D’Erasmo eseguono Ti cambia il sapore il palco si tinge di verde e di blu, come se fossero imprigionati dentro un acquario, a fare i conti con il dolore. L’esecuzione è da brividi.

Si apre il momento “miti”, con una cover di The Bed di Lou Reed, tratta dall’album “Berlin“. Questo brano era la colonna sonora dei primi viaggi in giro per l’Europa di Agnelli, e dei suoi primi approcci con il sesso.

Come può un album come questo fare da sfondo a dei rapporti sessuali di un ragazzino di sedici anni? Manuel ha la risposta: “ci si nasce con questa sensibilità. Il sesso allegro non mi è mai interessato. E chissà, forse sono proprio io l’inventore del sesso emo“. Probabilmente l’aneddoto più divertente tra i tanti che Agnelli condivide con il pubblico, e proprio questi racconti sono uno dei tanti elementi che arricchiscono il live.

Bianca ottiene una piccola ovazione. Al termine del pezzo i due vanno a sedersi sulle poltroncine in fondo al palco e mentre bevono un bicchiere di vino Agnelli legge un brano di Ennio Flaiano.  Poi a ritmo serratissimo, eseguono una cover irriconoscibile dei Joy Division. Il pezzo è più simile a come l’avrebbe suonato Nick Drake, che ai suoni graffianti e caustici della band di Ian Curtis.

Uno degli aspetti più interessanti di questo concerto-evento è sentire parlare Agnelli dei suoi miti musicali e riferimenti culturali. E di quelli che, inaspettatamente, non l’hanno mai influenzato nonostante con la loro musica abbiano sancito un periodo storico. È il caso di Kurt Cobain, che oggi sarebbe quasi coetaneo di Manuel.

Erano gli anni Novanta, cadeva il muro di Berlino e in Italia imperversava Mani Pulite. Sembrava che l’onestà e la verità, stessero per vincere su tutto il resto. Il mondo poteva cambiare, finalmente tutto era possibile, nella società, nella Musica, ovunque. Poi, Kurt si suicidò e mise il sigillo a quel periodo storico. Tutto cambia per rimanere uguale.

L’abilità di Agnelli, spalleggiato dal fondamentale Rodrigo D’Erasmo, è di aver messo in piedi uno spettacolo intimo e toccante, delicato e profondo, carnale e leggero. Si passa da una lettura a un aneddoto personale, da una cover a un pezzo storico degli Afterhours, senza quasi accorgersene.

Come quando si è tra amici veri, quelli a cui si vuol bene, che tra un bicchiere di vino e il consiglio di un buon libro o un disco, si finisce a tirare tardi.

La cover di State Trooper di Springsteen è una delle meglio riuscite di tutta la serata. Tra l’urlo riverberato di Agnelli e il violino di Rodrigo, che sembra riprodurre il suono del sistema nervoso, non viene tradita la forza del pezzo che parla di chi non è mai riuscito ad integrarsi, di chi vive ai margini, dei diversi.

Il concerto scivola via, una diapositiva dopo l’altra, con Manuel che si racconta molto anche nel privato, dalla prima telefonata di Mina arrivata quasi per caso nel 1995 agli inevitabili talent. Agnelli dice di essersi liberato, durante quell’esperienza televisiva.

Di aver capito che molta della musica che viene prodotta oggi è “musica di merda“, ma che in mezzo a tutto questo ci sono pezzi interessanti e che, spesso e volentieri, è proprio sua figlia a farglieli conoscere. È il caso di Lana Del Ray. La cover di Video Games è il pezzo che non ti aspetti, eppure sembra essere tutto al posto giusto. Il pubblico ascolta incantato.

Sono passate più di due ore dall’inizio del concerto, ma il ritmo è ancora sostenuto. Nell’ultimo “encore” infila Ballata per la mia piccola Iena, Ci sono molti modi e Non è per sempre con il pubblico che canta – male – insieme a lui il ritornello. Mi scoppia il cuore.

È il momento dell’ultimo pezzo che “servirà a togliervi quello stupido sorriso ingiustificato dalla faccia“, ci dice Manuel con un’espressione da gatto. Parte Quello che non c’è.

Al termine del concerto il pubblico si alza in piedi, Agnelli e D’Erasmo se ne vanno tra gli applausi.

Quello che si è visto sul palco del Teatro Fabbri è un nuovo Manuel Agnelli, più leggero, più risolto forse, che non ha tradito quello che è stato. È una nuova versione che ha portato il musicista ruvido e puro, tutto nervo e rabbia, a una nuova dimensione, colta, irriverente e autoironica.

 

Manuel Agnelli Nicola Dalmo 2019 003

L’impressione che ho avuto è che Agnelli abbia voluto rompere con un certo passato che forse gli stava stretto da un po’. Quello dell’ambiente “indie” che spesso, in Italia, fa rima con snob e autoreferenzialità.

Probabilmente stanco di quel clima asfittico, pieno di limiti, di barricate e di regole, Agnelli durante questa serata ha rivendicato più volte il desiderio e il diritto di fare quello che vuole, di essersi guadagnato la propria libertà.

Anche quella di non prendersi, finalmente, troppo sul serio.

 

Testo: Daniela Fabbri

Foto: Nicola Dalmo

Mahmood @ Venticinque Aprile

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• Mahmood •

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Dimartino | Radiodervish feat. Massimo Zamboni

Piazza Garibaldi (Parma) // 25 Aprile 2019

 

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La pioggia non ha fermato l’entusiasmo dei festeggiamenti per il 25 aprile a Parma. In attesa di diventare la capitale della cultura del 2020, la città ha ospitato il concerto-evento organizzato dal Comune in collaborazione con il Barezzi Festival.

L’occasione perfetta per elevare la musica a bandiera di libertà, affinché l’arte sia l’unica arma di lotta per il riconoscimento e il rispetto dei diritti.

Sul palco di Piazza Garibaldi si sono susseguiti importanti nomi del panorama musicale italiano.

Dimartino, sulla scia del rilevante successo del nuovo album Afrodite, ha introdotto il brano Niente da dichiarare con una preghiera: “Che i confini possano essere solo montagne e non dogane”. 

L’applauso di tutto il pubblico ha poi accolto Mahmood, che ha scelto Parma come data zero del tour Gioventù bruciata. Il neo vincitore del Festival di Sanremo, visibilmente emozionato, ha ringraziato la piazza gremita: “Che bello vedervi qui, così tanti! Ci esibiamo per la prima volta in palchi così grandi… Siamo abituati a contesti molto più piccoli… quindi grazie!”

A chiudere il set, l’atteso ritorno dei Radiodervish che, con Massimo Zamboni come special guest alla chitarra, hanno presentato in anteprima nazionale l’inedito Giorni senza memoria.

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Grazie a SIDDARTA PRESS

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Testo: Laura Faccenda
Foto: Luca OrtolaniMirko Fava

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Dimartino

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Radiodervish feat. Massimo Zamboni

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Concerto del Primo Maggio 2019, a promuoverlo e raccontarlo ci pensa un videogioco

L’iniziativa, non senza una briciolo di sincera ingenuità ed un pizzico di genuina illusione, tenta di enfatizzare ed individuare un punto di congiunzione tra vecchio e nuovo, tra i nostalgici irriducibili della prima ora ed il giovane pubblico irrimediabilmente ed incolpevolmente slegato alle tradizioni e, soprattutto, agli ideali che costituirono e costituiscono le fondamenta, le basi, il carburante che ancora oggi motiva organizzatori ed artisti a rendere realtà un evento complesso e mastodontico come lo è il Concerto del Primo Maggio.

L’edizione di quest’anno del fiero e famoso evento nostrano, come avrete intuito dal titolo e dalla breve introduzione dell’articolo, si fregia dell’originale ed inaspettata promozione di un piccolo videogioco, Primo Maggio: The Game, gratuitamente fruibile direttamente via browser.

Si tratta, in soldoni, di una breve visual novel interattiva, un’avventura grafica all’acqua di rose per dirla in altri termini, che verte sullo scontro generazionale tra due personaggi che confrontano le diverse, e per molti versi opposte, visioni del mondo che posseggono, utilizzando come campo di contesa proprio il Concertone.

Utilizzando le frecce direzionali della tastiera, potrete muovere il protagonista del gioco all’interno di contenute ambientazioni con grafica 16-bit, giusto per dare quel tocco di irrinunciabile nostalgia al tutto, a caccia di oggetti che daranno il via al successivo dialogo, effettivi protagonisti dell’azione, se così si può dire, nonché fulcro attraverso il quale la produzione si prende la briga non solo di affrontare diverse tematiche, tutte ovviamente votate a sottolineare ed esplicitare i valori fondanti dell’evento, ma anche di introdurre progressivamente cantanti e band che si alterneranno effettivamente sul palco nell’ormai prossima edizione del concerto.

Primo Maggio: The Game, difatti, è un videogioco diviso in episodi, destinato ad aggiornarsi con una certa regolarità, con tanto di concorso a premi annesso. Scoprendo alcuni segreti celati tra i dialoghi del gioco, e comunicandoli via mail, come specificato sullo stesso sito ufficiale, gli utenti avranno la possibilità di vincere pass per il backstage e diversi gadget.

Primo Maggio: The Game non vuole certamente imporsi come un’avventura grafica travolgente, ma riesce brillantemente a mettere a confronto tradizione e trap, senza rinunciare, al contempo, a promuovere il Concertone in modo innovativo, intelligente, piacevole.

 

Lorenzo Kobe Fazio

MARLENE KUNTZ + SKIN • “BELLA CIAO”

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‘BELLA CIAO’

un’inedita versione di un canto popolare, un inno di Libertà e Resistenza umana, sociale e civile

una canzone interpretata da:

MARLENE KUNTZ + SKIN

su 45 giri vinile colorato e numerato in edizione limitata

In doppia versione:
lato A – Marlene Kuntz + Skin lato B – Marlene Kuntz

label: ALA BIANCA distribuzione fisica: WARNER music / digitale: FUGA

Data di uscita: vinile 45 giri > 10 maggio 2019 / digitale > 25 aprile 2019

 

Un video integralmente girato a Riace

 

 

Pochi artisti oggi in Italia possono scegliere di interpretare un canto così conosciuto e profondamente significativo come Bella Ciao e riuscire nell’intento di creare un’opera allo stesso tempo nuova e intensa come hanno fatto i Marlene Kuntz. La loro versione è infatti una canzone che conserva tutta la forza e l’urgenza dell’originale, così come è cantata e amata in tutto il mondo, ma allo stesso tempo si rivela un brano del tutto attuale e profondamente radicato nel tempo presente, sia dal punto di vista musicale che artistico, sociale e culturale. Ne è prova la scelta di Riace come luogo reale e ideale dove girare il video che accompagna questa nuova interpretazione.

Che i Marlene Kuntz abbiano voluto lanciare un segno forte e preciso, così legato ai tempi che viviamo, è evidente. Un segnale all’insegna di senso etico e civico. Ma la loro è anche e soprattutto un’operazione artistica, destinata a rimanere nel tempo.

In trent’anni di carriera la band capitanata da Cristiano Godano ha già dato ampiamente prova di saper arrivare in modo forte e memorabile al pubblico, spesso proprio grazie a singoli che sono penetrati sotto la pelle di una platea che va ben al di là di quella dei fan di più lunga data.

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Lungo il cammino che li ha portati alla pubblicazione di ‘Bella Ciao’, i Marlene Kuntz ritrovano anche la straordinaria collaborazione con Skin. La partecipazione convinta dell’artista britannica al progetto, la sua interpretazione e la sua voce accanto a quella di Godano aggiungono al brano una profondità, un’atmosfera e un impatto ancora più forte, coinvolgente, unico e memorabile.

«Bella Ciao è un canto per la libertà, il canto di tutti. Noi invitiamo le persone ad abbracciarsi, non a dividersi, e la libertà è il presupposto principale per avere lo stato d’animo positivo e buono per farlo. Non si tratta di buonismo, e nemmeno di avere soluzioni in tasca a problemi enormi destinati a diventare sempre più complessi, ma di avere la mente predisposta a sentimenti di pace, a comprendere gli altri, a cercare soluzioni umane per tutti, a mantenere la calma.

“Bella ciao” dunque è l’emblema della resistenza nei confronti di una deriva che consideriamo portatrice di tensioni. E, dal nostro punto di vista, di valori ben poco poetici.
E siccome la poesia piace a tutti, facciamo in modo di essere coerenti con questo slancio poetico insito nell’essere umano.

I Marlene Kuntz hanno sempre voluto contribuire alla diffusione del fare e del vivere poetici, e chi ci segue lo considera un nostro valore riconosciuto e stimabile. Per noi è dunque particolarmente importante sottolineare la radiosa bellezza di un mondo che sia vario, armonioso e melodico, perché varietà, armonia e melodia, sono requisiti essenziali della poesia.

I muri reali o ideologici che vogliono dividerlo di questi tempi paiono voler distruggere queste premesse: pienezza e varietà di volti e parole che nella loro abbondanza creano, ciascuno nel loro ambito, un risultato magnifico e poetico.
Per noi il mondo è magnifico perché è vario, non perché è chiuso in sé stesso e diviso in spicchi non comunicanti fra loro.

Se si guarda il video che ne abbiamo fatto, e che con forza abbiamo voluto girare proprio a Riace, si può arrivare a una conclusione: la successione di volti che esso propone è varia, e rende il tutto armonioso, concorde, melodioso. E’ un mondo ideale, laddove quello reale è più complesso, e lo sappiamo bene, ma vale quanto detto poco sopra: avere lo stato d’animo positivo, mantenendo la calma. Sono volti che raccontano dell’umanità nella sua splendida varietà, fatta di colori diversi, di emozioni diverse, di storie diverse, di sensazioni, odori, sapori, sentimenti, passioni, ognuna preziosa e fondamentale. Questa è poesia. Non può salvare il mondo da sola, ma può contribuire a farlo. Lo pensiamo da sempre. Nel nostro piccolo, devolveremo il ricavato a Riace, che costituisce tutt’ora un modello funzionante di coesistenza fra le genti.».

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MARLENE KUNTZ stanno ora organizzando un importante tour in location prestigiose per celebrare i 30 anni di attività:

MARLENE KUNTZ – TOUR del Trentennale

11.07 Parma, Parma Music Park
12.07 Roma, Teatro Romano di Ostia Antica
14.07 Firenze, Cavea del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino 16.07 Nichelino (To), Stupinigi Sonic Park
18.07 Milano, Carroponte
19.07 Udine, Castello
20.07 Villafranca (Vr), Castello Scaligero
22.07 Bologna, Botanique
24.07 Pescara, Teatro Gabriele d’Annunzio
26.07 Ragusa, Castello di Donna Fugata
18.8 Grottaglie (Ta), Cinzella Festival

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MARLENE KUNTZ

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Dimartino: cantami, o Afrodite.

Dimartino: cantami, o Afrodite.

Il suo esordio da solista risale a quasi dieci anni fa. Il suo atteggiamento non è mai cambiato. Antonio Di Martino è l’artista che attinge dall’autenticità e dallo sguardo attento al mondo che lo circonda. È il cantautore sincero che approfondisce i temi legati alla fragilità umana, ai suoi contrasti e alla possibilità di conciliarli, nei contorni di personaggi estremamente reali. Un’intervista, un viaggio, nei luoghi e nel tempo. Dalle vie di Palermo, al Mar Mediterraneo. Dal tempio di Afrodite alle colonne dell’Olimpo che risuona di melodie dal respiro tanto anni Settanta quanto energico e internazionale.

A due anni dall’ultimo disco, il 25 gennaio è uscito Afrodite. Come è nato l’album soprattutto in riferimento alla dea della bellezza e perché è così diverso da tutti gli altri?

Nei due anni in cui sono stato in tour per il disco precedente ho raccolto molte idee e ne ho sviluppate altre che avevo già per alcune canzoni. Altre sono nate all’improvviso. Riconduco tutto a un’urgenza personale probabilmente. Degli spunti derivano anche da viaggi e dall’avvicinamento alla cultura messicana. I miei dischi nascono così, da stimoli che mi creo e da altri che arrivano fortuitamente. Non dietro a contratti discografici ma per urgenza espressiva, per volontà di raccontare. La diversità, invece, riguarda la produzione. Volevo che pezzi e testi molto intimi fossero prodotti in modo più estroverso, più fosforescente. Poi ho scelto il titolo Afrodite perché, innanzitutto, mi piaceva la parola, il rimando a qualcosa di antico ma allo stesso tempo molto legato al contemporaneo: il collegamento con la dea della bellezza in un mondo dove la bellezza brucia, non viene tutelata o curata. O peggio, viene data per scontata. C’è anche in rimando ad un fatto personale perché la notte in cui è nata mia figlia, dalla finestra dell’ospedale di Trapani si scorgeva il tempio di Afrodite, sul monte Erice. E l’ho visto illuminarsi, in una specie di visione.

Nei testi vengono descritti personaggi, storie, esperienze di vita quotidiana. Come si inserisce in questo contesto il personaggio, il musicista e l’uomo Antonio Di Martino?

Molte volte, quando scrivo, pur utilizzando la terza persona in realtà sto parlando di me. Tutte le canzoni che scrivo mi riguardano…sarebbe difficile il contrario. Altre volte inserisco nei testi momenti e immagini che ho vissuto e che ho visto per strada. La scena del bingo su La luna e il bingo l’ho vista davvero a Palermo. Oppure un pezzo come Daniela balla la samba parla di un frame quasi cinematografico a cui ho assistito: questa ragazza che ballava sul tetto di una macchina con un ritmo che ricordava quello della samba. Dentro quest’ultimo brano, però, penso di esserci anche io in qualche modo. È legato a un senso di sensualità a cui volevo aspirare. In quei personaggi mi ci rivedo molto… Ci sono forse talmente affezionato da immedesimarmi.

Afrodite è anche la dea della navigazione. Tutto l’album si ascolta come un’onda di emozioni contrastanti. Esiste un modo per conciliare la “ricerca dell’amore nel dramma di una vita normale”?

Eh…bella domanda! C’è sicuramente un modo per conciliare la ricerca dell’amore nel dramma di una vita normale. Io sono ottimista in questo. Il problema sta nel fatto che l’uomo contemporaneo non si accontenta più di una sola forma di amore. È come se avesse continuamente desiderio di cambiare, di innamorarsi di nuovo, probabilmente per una insoddisfazione insita nell’essere umano di oggi. Avere mille possibilità non lascia la libertà di apprezzare davvero… e si sfocia sempre in un sentimento vicino alla sofferenza.

Palermo e, in un’ottica più ampia, la Sicilia rappresentano due sfondi costanti della tua musica. Qual è il volto attuale della tua terra?

Palermo è una città molto cambiata, soprattutto negli ultimi cinque o sei anni. Il volto e l’atteggiamento dei palermitani sono mutati in meglio. C’è sicuramente una voglia di riscatto. Le stragi degli anni Novanta hanno provocato talmente tanto dolore fra i miei concittadini che ci son voluti quasi vent’anni per elaborare il lutto. Adesso ci si sta rialzando. Anche la parola antimafia ha assunto altri significati. All’inizio, era un concetto a cui ci si avvicinava per dovere. Oggi, i ragazzi nascono già con una coscienza antimafia, non ci sono dovuti arrivare. Hanno già una visione con gli anticorpi del loro ruolo all’interno della città. Tengo a sottolineare, poi, che Palermo è stata una delle prime città ad aprire i porti. È una prerogativa che risiede nella sua natura, da quando è stata fondata. L’idea del porto aperto rimanda all’antico nome, Panormus, città tutto porto. Un luogo in cui approdavano e convivevano greci, turchi, spagnoli. La città che sogno in questo momento è una Palermo tutto porto.

Mi ha colpito il tema del sogno. Canti di “sogni perduti”, di “sogni da adolescenti”. Che cosa può sognare un musicista all’interno del panorama italiano oggi?

Oggi, un musicista deve sperare di non dover mai scendere a compromessi per andare avanti. Deve fare il suo percorso attraverso la sua arte. Io sono molto legato a quegli artisti con una forte identità e con una grande capacità di mantenerla. Un artista dovrebbe aspirare al racconto del mondo attraverso i propri occhi e, nello stesso tempo, non tentare di cambiarne la visione per attirare più pubblico. Dovrebbe cercare invece di attirare il pubblico alla propria visione.

Per quanto riguarda la dimensione del palco… Come è stato portare Afrodite live?

Questo tour è stato una somma di tutti i dischi precedenti. Oltre ad Afrodite, ho scelto altre dodici canzoni da tutti e quattro gli album. Essendo trascorsi quasi dieci anni dall’uscita del primo lavoro in studio, ho voluto fare una specie di riassunto. Ho guardato queste fotografie in musica e mi sono chiesto se sono invecchiate, come sono invecchiate, se ha ancora senso cantare una canzone del 2010 o se quella canzone non parla più ai ragazzi. È stato bello sceglierle perché, selezionandole, mi sono accorto anche di come sia cambiato il mio modo di vedere il mondo… o di come non sia mai cambiato. Ci sono delle canzoni di dieci anni fa che esprimono gli stessi concetti che vorrei esprimere in questo momento. Da un lato, questa caratteristica mi spaventa perché ho sempre considerato necessario mettere in discussione le proprie idee. Dall’altro, però, mi rincuora perché mi sento una persona che ha portato avanti la propria coerenza.

L’ultima domanda è più una curiosità. Se potessi scegliere un personaggio della mitologia greca, sia divinità che non, chi vorresti essere?

I personaggi che mi vengono in mente sono tutti tragici (ride). Sono tutti veramente tragici. Così, senza pensarci, come scelta inconscia, ti dico Achille.

 

Intervista a cura di Laura Faccenda

Grazie a SIDDARTA 

Elisa @ Teatro Valli

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• Elisa •

 

Teatro Valli (Reggio Emilia) // 23 Aprile 2019

 

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Foto: Mirko Fava

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Grazie a Friends and Partners | Mn Italia

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Cage the Elephant “Social Cues” (RCA Records, 2019)

C’è una buona e una cattiva notizia sul ritorno dei Cage The Elephant. La buona notizia è che Social Cues è un bel disco. La seconda è che per qualche giorno, da quanto è orecchiabile, sarà impossibile ascoltare altro.

L’ultimo e quinto album della band del Kentucky è uscito il 19 Aprile 2019 per RCA Records. Ad averci messo le mani sopra, questa volta, il Re Mida della produzione: John Hill, già celebre per aver lavorato con Florence + The Machine e Santigold.

I Cage the Elephant hanno alle spalle una carriera decennale, ma sono diventati grandi senza mai farsi notare troppo. Nella loro produzione non esiste qualcosa di assolutamente eccezionale in termini di scrittura o audacia sonora, ma la loro formula è rimasta comunque fortemente caratteristica e piacevole.

Dal 2008 ad oggi hanno attraversato un’enormità di generi: dal blues al garage, passando per il funky con una punta di elettronica. Nelle tredici tracce che compongono Social Cues la metamorfosi sembra finalmente essersi compiuta: dal rock più sporco e viscerale degli esordi ad un suono più elegante e sofisticato, per un disco di certo meno rumoroso dei precedenti.

Broken Boy è l’urlo iniziale dell’album. Non poteva esserci apertura migliore. Un pezzo abrasivo, con una produzione lo-fi, che piacerà ai fan della prima ora. Tutto il disco sembra convergere sul tema dell’alto prezzo del successo, che spesso viene pagato dagli artisti in termini di ansia, esaurimento nervoso, senso di inadeguatezza e psicopatie varie.

Tutto questo unito a una buona dose di automedicazione messa in pratica da Matthew Shutlz, in seguito al recente divorzio dalla moglie. “Tell me why I’m forced to live in this skin, I’m an alien”, canta Matt. E preparatevi: è solo l’inizio.

Infatti, il testo della canzone successiva che porta il nome dell’album Social Cues recita “sarò nel retro, dimmi quando è finita”, con Shultz che canta “non so se posso interpretare questa parte molto più a lungo”.

Black Madonna, insieme a Ready to Let Go, è tra i pezzi più pop. Eccessivamente elaborata, ma allo stesso tempo più apatica rispetto al resto. Lo stesso vale per Love’s the Only Way e What I’m Becoming, che sembrano pezzi già sentiti altre volte dai Cage the Elephant. Quello che si avverte è un fastidioso senso di familiarità che contribuisce solo a renderli meno brillanti rispetto al resto dell’album.

Uno dei pezzi migliori è Night Running, con Beck. La canzone ha una vena reggae, sia nel suo backbeat che nella produzione, oscura e con effetti sonori simili a quelli della dub. Il suono è pieno e arioso, e anche il cantautorato richiama alla mente quello più tradizionale dei Cage the Elephant.

Skin and Bones è seducente e sembra perfetta per diventare un singolo radio.

La vera bomba a mano dell’album però è House of Glass, che al primo ascolto potrebbe essere un pezzo cantato da Tricky. Qui la progressione della chitarra di Brad Shultz, fratello del cantante, sembra abbracciare alla perfezione i testi di Matt sull’isolamento e la mutilazione, e sostenere i suoi continui tentativi di convincersi dell’esistenza dell’amore.

L’album termina con Goodbye, una delle canzoni più tristi e spettrali del disco. “Non piangerò, il Signore sa quanto ci abbiamo provato”, si tratta di una ballata accompagnata da un pianoforte echeggiante, in continuo crescendo.

“Tante cose che voglio dirti, così tante notti insonni ho pregato per te” recita il testo, ed è in questo preciso momento che i Cage the Elephant svelano il loro grande potenziale nel toccare le corde più fragili e commosse della nostra anima.

In Social Cues il suono è molto stratificato, complesso, ma compatto. Tutto ben amalgamato con la voce di Matthew Shultz. I testi sono più oscuri rispetto al passato, complice anche il recente divorzio del cantante, ma nel complesso i Cage the Elephant rimangono gli stessi ragazzoni spavaldi di sempre.

Non siamo di fronte ad un lavoro rivoluzionario o che passerà alla storia, ma allo stesso tempo, di certo, Social Cues non deluderà i fan. Questo album è da intendersi più come colorare fuori dalle righe, anziché inventarsi un disegno nuovo, ma bisogna ammettere che i Cage the Elephant hanno dimostrato di essere, una volta in più, una band tra le più ecclettiche e divertenti in circolazione.

 

Cage the Elephant

Social Cues

RCA Records, 2019

 

Daniela Fabbri

I Hate My Village @ Supersonic

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• I Hate My Village •

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Supersonic Music Club (Foligno) // 20 Aprile 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

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001

 

Grazie a Fleisch Ufficio Stampa

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Machete Mob @ Rock_Planet_Club

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• Machete Mob •

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 𝗡𝗜𝗧𝗥𝗢
𝗗𝗔𝗡𝗜 𝗙𝗔𝗜𝗩
𝗝𝗔𝗖𝗞 𝗧𝗛𝗘 𝗦𝗠𝗢𝗞𝗘𝗥
𝗟𝗢𝗪 𝗞𝗜𝗗𝗗
𝗗𝗝 𝗦𝗟𝗔𝗜𝗧
special guest
𝗟𝗔𝗭𝗭𝗔
𝗛𝗘𝗟𝗟 𝗥𝗔𝗧𝗢𝗡

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Rock Planet Club (Cervia) // 20 Aprile 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Mattia Celli

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Finley @ Campus_Industry

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• Finley •

 

Campus Industry Music (Parma) // 19 Aprile 2019

 

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Foto: Mirko Fava

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Grazie a Barley Arts

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Supereroi di Simone Scrivani

In un pomeriggio di inizio aprile, mentre il sole brilla su Piacenza e un bel venticello rinfresca l’aria, ho appuntamento con Simone Scrivani. 

Una vita all’insegna della musica: dai karaoke ai musical fino al cantautorato. La storia di un ragazzo che vuole raccontare delle storie, facendoci riflettere ma con ironia.

Classe 1990 è un piacentino DOC estremamente legato alla sua città, ai suoi luoghi e ai suoi concittadini. 

Ed è proprio da qui, da Piacenza, dai suoi vicoli e dalle sue valli che prende l’ispirazione per le sue canzoni (per chi non lo sapesse Hemingway ha definito la Val Trebbia la più bella del mondo) .

Da cantante di karaoke a cantautore. Raccontaci un po’ la storia che ti ha portato su questa strada.

E’ stata la voglia di lasciare qualcosa di mio alle persone. Cioè è bello anche fare dei karaoke, bisogna pur iniziare da qualche parte.

Prima si inizia con i lavori manuali poi, però, bisogna andare oltre.

Mi piace vedere la costruzione del personaggio musicale come un artigiano della musica. Noi siamo artigiani della musica: ci creiamo, partendo dalle linee base.

Era bello avere il riscontro delle persone che ci ascoltavano e si divertivano. Alla fine non era solo un karaoke. 

Ad un certo punto però, facendo musical, mi sono avvicinato di più al mondo dell’arte musicale. Ho incontrato un gruppo di persone molto bello e positivo che mi ha aiutato molto a credere in me.

Avevo già in mente da un po’ di tempo di fare qualcosa di bello con la musica e allora ho pensato di mettermi in gioco. E lo ho fatto con una mia amica, Elisa Dal Corso.

Mi sono messo alla prova e ho scritto una canzone che ha avuto un riscontro abbastanza positivo; è stato un inizio.

Successivamente ne ho scritta un altra Buon Natale per davvero, però che non c’entra nulla con il Natale. E’ una vicenda che mi sta molto a cuore: è dedicata ad una mia amica che ha avuto una storia d’amore un po’ brutta e quindi ho cantato di lei.

E alla fine sono uscito con Supereroi, perché ho pensato fosse ora di mettermi nel sociale. Perché è questo che fa questa canzone: traccia una critica ironica della società attuale.

Supereroi, è il tuo terzo singolo, e si discosta musicalmente dai tuoi lavori precedenti: come mai questo cambio di rotta?

Mi sono dato un nuovo sound perché lo trovo più mio. Mi sono fatto molto influenzare dai cantautori del passato; penso che da loro abbiamo solo da imparare.

Ma in realtà la musica come si sta sviluppando ora, con le sonorità indie e pop è molto bella, da la carica.

E’ una musica non “melensa” alla Venditti o alla Baglioni, che sono i miei idoli, ma riesce comunque a trasmettere moltissimo.

La musica di oggi ha dei messaggi bellissimi nonostante i suoni viaggino e quindi ho deciso di buttarmi su questo stile perché mi da più allegria, riuscendo comunque a trasmettere qualcosa attraverso le parole.

 

1 min

 

Di cosa parla supereroi? E chi è questo Paolo, che citi più volte all’interno della canzone?

Tutti mi chiedono chi è Paolo…

Supereroi è una visione ironica della nostra società, una società in cui viviamo nel più totale analfabetismo sentimentale.

Siamo in totale crisi di emozioni e di sentimenti e questo va a ripercuotersi sulle scelte politiche e sulle critiche che muovono le persone, spesso non avendo le competenze per farle.

Questi giudizi di solito non hanno una valenza costruttiva. Io sono molto critico di  mio ma penso che ci sia modo e modo per muovere una critica. Se è costruttiva è una cosa positiva e bella; ma se è fatta per screditare, per insultare, è una forma di repressione.

Io credo che tutti abbiamo qualche repressione nella nostra vita, è una cosa umana e normale, ma non è positiva. Dobbiamo accorgercene e lavorarci su. Quando questo non viene fatto si tramuta in odio verso qualunque cosa proprio perché non c’è un contatto tra i propri sentimenti e quello che accade fuori. Deve essere ricreato questo ponte.

E’ di questo che parlo in Supereroi, criticando in modo ironico, e spero costruttivo, queste persone. Cerco di dare una forma a questo mio ragionamento, e questo sarà anche il mio cd. 

E Paolo?

Paolo è il mio migliore amico. Quello con cui sono sempre in giro a fare i bagordi. Ho scritto questa canzone pensandomi con lui in un bar. 

Ho visto la società di oggi come un grande bar dove ognuno ha il diritto di parlare. E alla fine mi sono visto con

Paolo a brindare insieme a tutte queste persone, alzando il calice “alla vostra”.

 

DSC 4854 min

 

In che modo, e in che misura,  la tua vita, le tue esperienze e la tua città entrano nei testi che scrivi?

Sempre. Io e Paolo eravamo in un bar di Piacenza, il bar che frequentavamo di solito, quando ho scritto questa canzone. Io mi sono visto li con lui. E’ ovvio che questa cosa ci sia in tutta Italia e in tutto il mondo ma Io mi sono visto qua e mi sono immaginato qua. 

Quando scrivo mi rinchiudo sempre al Caffè del Tarocco (un bar di Piacenza). E’ in una posizione, in uno scorcio, da cui vedi il centro eppure sei lontano. E’ appartato e c’è un pezzo di cielo, in alto, che si vede sempre…ed è bellissimo.

Oppure scrivo nella Val Trebbia. Ci sarà una canzone, del cd, che parla di una ragazza ed è ambientata proprio in Val Trebbia. 

Per me la mia città è importantissima, non solo come ispirazione. Poi mi piace andare in giro eh? Però quando torno a casa sono contento.

Sei la prima persona che sento parlare così di Piacenza…

Credo che sia tutto nel riconoscere un posto come casa. Non solo per il luogo in se ma anche per tutte le cose e le persone che ci sono legate.

Ho visto, sulla tua pagina Facebook, che hai creato una gallery dedicata ad una serie di persone con #supereroiprimaopoi. Com’è nata quest’idea?

Dietro a grandi progetti ci sono grandi squadre. Ho diverse persone che mi aiutano sia per la parte grafica che per quella social.

Sono due mie grandissime amiche, anzi una è mia cugina ma, prima di tutto è la mia migliore amica. Con loro ci troviamo regolarmente a discutere e parlare di come muoverci e promuovere le mie iniziative.  

Supereroi è una canzone bella, critica ed ironica verso la società. Però volevamo anche lanciare un messaggio costruttivo e quindi ho cominciato a raccogliere testimonianze e storie di persone che sono davvero supereroi per la nostra città.

Qual è la mia idea di supereroe? E’ chi ha il coraggio di essere normale in una società che impone il contrario.

Quello che racconto è di persone così normali che ci fanno pensare di avere dei superpoteri perché hanno il coraggio di trasmettere le loro emozioni, in quello che fanno, senza avere paura di farlo, senza temere il giudizio degli altri.

E’ nato tutto dalla volontà di valorizzare queste persone per il bene che fanno a tutti.

 

DSC 4915 min

 

Cosa rappresenta la musica per te?

La musica in qualche parola…è una domanda molto vasta.

Potrei dirti un banalissimo è la mia vita…ma è vero. E’ una passione che mi tiene vivo.

Il mio sogno sarebbe di vivere di questo ma ora come ora non è così. La musica mi tiene vivo nella monotonia di tutti i giorni, e non è poco.

E’ il mio gancio in mezzo al cielo, come direbbe Baglioni, che è il mio idolo. Sai che è una domanda che mi ha messo in difficoltà? E’ la mia vita, stop.

Come definiresti il tuo stile musicale?

Pop vecchio stile quando la musica non era ancora in 4 K, io dico sempre di me.

Sono sonorità vecchie, ho ripescato un po’ i sint degli anni 80 e li ho rimessi in chiave moderna con delle basi programmate sotto di percussioni. Il vintage è bello però se modernizzato…quindi faccio vintage.

Il 9 aprile uscirà il video di Supereroi. Dicci qualcosa su quello che vedremo, com’è stato girarlo?

E’ stata una delle esperienze che mi ha emozionato di più nella mia vita, per il tema trattato.

E’ un video che ha riprese in due punti. Uno è dentro una sala, con la band, ed è stato girato nella sala prove in cui sto incidendo il disco e da cui è partito tutto. 

Qui ho trovato una famiglia, la mia terza famiglia. La seconda sono i Viaggiattori e la prima è la mia: è bello avere diverse famiglie. 

Poi ho fatto un evento con dei bambini di una scuola materna. Mi sono presentato da loro vestito come un supereroe, e li ho fatti disegnare.

Gli ho chiesto che cosa farebbero se fossero dei supereroi, che cosa farebbero per Piacenza e quale sarebbe il loro potere per salvare la città.

Era anche per fare un po’ di pressione sulla loro coscienza, che è ancora pulita. Volevo fargli capire che i supereroi fanno del bene a livello base.

E alla fine erano tutti contentissimi di essere anche loro dei supereroi. Ho passato la giornata con loro: li ho fatti volare, li ho fatti disegnare, si sono divertiti tantissimo.

E’ stato bello, mi hanno riempito il cuore.

In questo frangente c’era anche un video maker, Michele Groppi, che ha colto i momenti più belli della giornata. Non era li per fare il video, volevamo creare un documentario di questo evento…alla fine però è diventato parte del video.

Ha molti messaggi secondo me, ma vanno colti.

 

DSC 4825 min

 

In supereroi dici Ma l’amore non è un post-it, non è rosa rossa, tonica e gin. Che cos’è allora l’amore?

Prendo in prestito la frase di qualcuno più famoso di me che ha detto questa cosa Tutto quello che ci serve è amore. All you need is love, Beatles.

E’ vero, senza l’amore non c’è niente. Non c’è la passione, non c’è famiglia e non c’è una storia.

Ho iniziato il mio progetto partendo dall’idea che c’è più amore. Ma amore non è solo quello che può esserci tra me e una ragazza, o tra un uomo e un altro uomo, o tra una donna e un’altra donna.

L’amore è quello per me stesso, per quello che faccio, per la mia famiglia e per i mie amici. Ci vuole quello e senza quello non c’è nient’altro. L’amore è importantissimo.

 

Laura Losi