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Nada @ Bronson

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• Nada •

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Bronson (Ravenna) // 13 Aprile 2019

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Per descrivere il suo ultimo lavoro in studio, nato dalla reiterata collaborazione con John Parish (PJ Harvey, Eels), Nada ne ha parlato come di “dieci canzoni nate dagli abissi del mio nero più profondo, per poi misteriosamente raggiungere i colori e la leggerezza del pensiero, finalmente libero di andare dove portano sentimento e ragione che si uniscono per diventare tutt’uno”.

L’atmosfera che si respira al Bronson di Ravenna, sabato 13 aprile, in occasione della nona data del tour che celebra il disco È un momento difficile, tesoro rimanda un po’ alle parole citate. Il pubblico adulto, rilassato e “in pausa” magari per una sera è avvolto nel buio del locale, illuminato soltanto dal riverbero metallico delle luci sul palco.

Scortata dalla band, la cantante di Gabbro entra in scena intonando Un angelo caduto dal cielo, omaggio indiretto a una delle sue hit storiche, ma ora rinnovata in senso introspettivo, spirituale e cromaticamente in contrasto con le piume nere di cui è vestita.

Buonasera Ravenna! È bellissimo tornare qui e vedere che ci siete. Prima di proseguire, alcune istruzioni per il concerto”. Attraverso un effetto-sdoppiamento della sua voce fuori campo, con la più seria delle ironie e con i gesti propri del personale di volo, Nada spiega che il live sarà finalizzato all’esplorazione della nostra mappa emotiva, diversa in ognuno, ma sempre composta di molteplici parti, di colori che sfumano dal blu, al rosa, al celeste, al verde. Non sempre abbiamo la forza e il coraggio di vederle. Insieme, però, sarà più facile. E sarà più facile continuare a cercare. Perché cercare è l’unica ragione.

Nessun filtro, nessun orpello nella sua timbrica così potente, graffiante e viscerale. La fragilità ruota attorno a una tavolozza di chiaroscuri in Disgregata e Stasera non piove che anticipano un brano dedicato a tutti, agli uomini e alle donne. Una dedica, tuttavia, che si addice più alle donne, alla loro capacità di sgretolarsi per poi rimescolare il sangue, le ossa, i sentimenti in una costante rivoluzione interiore. Una canzone che diviene uno strumento per poter dire: “Ehi brutto stronzo… Chi ti credi di essere? Ma vaffanculo!”. È Guardami negli occhi il contenitore, in musica, di tutto ciò.  Il sound erosivo, il girare vorticoso, le mani che si allungano come per allontanare qualcosa.

Continuiamo a vivere su questa massa incandescente, senza una direzione” – confessa Nada, con il microfono stretto in mano e lo sguardo fisso e premuroso sul pubblico – “Benché la direzione non sia certa, è fondamentale continuare a correre”. Ed è Correre a tingersi della melodia pizzicata del violino e di un arrangiamento che dimostra l’enorme abilità del quartetto di giovani polistrumentisti. Sonorità che trasportano in una dimensione altra, in cui la cantautrice si eleva a sacerdotessa, avvolta nelle sue movenze ipnotiche, come in un rito sciamanico.

Un viaggio in cui lo sguardo rivolto in avanti e la malinconia della strada percorsa non si lasciano mai la mano. Una confessione incentrata sulla tristezza come condizione dell’anima, talvolta straziante, ma meravigliosa e necessaria. “Questa è la mia tristezza, questo è il mio blues”. Questo È un momento difficile, tesoro.

Il picco emotivo, quasi psicanalitico, è affidato al tema toccante della madre. “Può succedere a un certo punto della vita di rivedersi nella propria madre, perdonarle tutto, tutto, tutto. Anche se è difficilissimo. Volersi solo inginocchiare, per rientrare, spingendo, nel grembo. E lì, in quei confini oscuri, trovare l’essenza per rinascere, dando nuova vita a se stessi”. O Madre è un’invocazione, una preghiera, un’esplorazione interiore e fisica, nei movimenti delle mani a toccare le zone del corpo che rimandano all’istinto autentico del ventre e al dolore imprescindibile del parto, in un’esplosione catartica.

Sulla scia della mancanza, Dove sono i tuoi occhi rappresenta la disperata domanda rivolta a chi non c’è più o a chi è rimasto indietro, nella rinnovata consapevolezza che qualunque viaggio si compia, qualunque mappa si disegni, l’aspetto vitale è riconoscere gli occhi di si ha accanto.

Qui, Nada saluta ed esce. Tuttavia nessuno si muove, sappiamo che non può finire così. Insieme al presente, deve essere citato il passato. Eccola, infatti, tornare sul palco per ben tre volte. Ogni encore, ogni applauso è dedicato a una delle sue canzoni che hanno resistito alla prova del tempo. Ti stringerò, Amore disperato, Ma che freddo fa. È come rivedere la ragazza ribelle che negli anni ’60 bucava lo schermo con la sua diversità, con i suoi capelli lunghi, con il volto ombroso, volutamente lontano dalle luci della ribalta.

Una ragazza che ha ballato, nella disperazione di un amore, fra le stelle accese. È tornata sulla terra, ha abbracciato i fantasmi della solitudine, li ha condotti con sé negli abissi.

Risalendo, li ha esorcizzati, trasformandoli in ricordi da accendere davanti a un fuoco o distesa su un prato, in una sera senza pioggia. Un’artista che non vuole gentilezze, solo verità. Una donna che arriva dritta al cuore, proprio per questo.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Big Time

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

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