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Luciano Ligabue, l’amore e il “tenere botta”

Luciano Ligabue, l’amore e il “tenere botta”

| Luca Ortolani

Oggi sono chiamata a raccontare, da brava VEZ, la storia del mio cantante del cuore e ho deciso di sentirmi libera di esprimere tutto quello che per me ha significato e se necessario, condividere anche parti di me che non tutti sanno.

È una catarsi e la voglio fare così, sulla testata che ho contribuito a fondare e della quale sono orgogliosa, come lo sono dei collaboratori che giorno dopo giorno regalano un pezzo del loro cuore a questa piccola ma tanto #LoVez realtà.

E se dovesse essere oltremodo necessario, utilizzerò anche quel gergo emiliano-romagnolo che CI appartiene. Appartiene a noi figli della pianura, della bassa, della riviera, della terra dei partigiani, che ancora non abbiamo perso la voglia di ridere e sorridere dei guai (grazie Vasco eh ndr).

È il 1990 e ho dieci anni. Anni ancora abbastanza semplici dove tutto si risolveva attorno alla scuola, il nuoto, i libri, il cinema, Freddy Mercury e Franco Battiato. In classe con me c’è la mia più grande amica d’infanzia, Susanna, che come nella maggior parte dei casi poi ho perso lungo il meraviglioso cammino che è la vita di un adolescente medio. Ha con sé una musicassetta bianca, non ricordo se originale o taroccata. Qualcuno ricorda il walkman della Sony con le cuffie tonde unite dal cerchietto di metallo?

Quel giorno ho fatto conoscenza con Luciano Ligabue. Lo Zio, come lo chiamo da quella volta, e l’album è l’omonimo Ligabue, bianco, con pezzi di testo e un sole azzurro disegnato sulla copertina.

 

 

LIGABUE

 

 

 

Per questo album ho deciso di appuntare sulla mia bacheca magica dei ricordi la canzone Marlon Brando è sempre lui perché <<quel fascio di luce che parte dal proiettore e dal maggiolone>> mi ha sempre fatto pensare ad una serata holliwoodiana dove sentirmi anche io un po’ una star.

Dal 1991 al 1994 vivo i miei felici anni delle medie. Fanno davvero cagare per tutti gli anni delle medie, dove puzzi, non si capisce talvolta se crescerai tendente al brutto, accettabile o addirittura un figo e dove l’abbigliamento è un mix di dubbio gusto tra un’infanzia in fase di abbandono e un’adolescenza non ancora ben interiorizzata. Ad ogni modo, sempre nerdissima e coerente, ho il mio nuoto, i miei libri e il mio cinema in supersconto grazie al DLF (figlia di un ferroviere, eh eh).

E ho la mia musica.

In questo periodo escono tre album dello Zio Lambrusco Rose Coltelli & Pop Corn, Sopravvissuti e Sopravviventi e A che ora è la fine del mondo?

Lo so che Urlando contro il Cielo è la preferita di molti, ma non voglio appuntare sull’immaginaria bacheca quell’energico brano e lascio spazio a Sarà un bel souvenir per il primo album, perché trovo che la frase <<peccato soltanto che ci sarà il tempo in cui dovremo dire adesso è meglio riposare>> riassuma perfettamente la paura della morte che ho da che ne ho memoria.

 

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Con Sopravvissuti e Sopravviventi invece arriva la prima vera canzone che mi ha fatto ridere: Lo zoo e qui. In questo album del 1993 di chicche ce ne sono diverse ma questa canzone rappresenta in strofe le domande esistenziali che già a undici anni mi pongo: perché sono qui? Perché si suppone che io mi debba vestire di rosa, pizzi e merletti? Perché devo giocare con le bambole? Perché devo andare in Chiesa?

Insomma, PERCHE?

Risale a questo momento infatti la decisione di staccarmi dalla Chiesa e di non frequentare il catechismo per la cresima. Ed è da questo momento che mi rendo conto che le persone hanno la necessità di etichettarti per riuscire a trovarti uno spazio nella loro vita e forma mentis.

E se non sei etichettabile, allora non esisti. Succede, sopra ogni cosa durante l’adolescenza.

Per me invece le aggregazioni obbligate e il “perché lo fanno tutti” non hanno senso e <<il cavallo da soma, la scimmia da spalla>> e la mandria di animali improbabili elencati da Ligabue rappresentano la società. Quasi come se non ci fosse bisogno di andare allo zoo per vederli, basta scendere in strada. Grazie Zio, e grazie a quei sopravviventi.

Nel 1994 capisco che effettivamente ai concerti di Ligabue avrei potuto spaccarmi ammerda e sudarmi anche le unghie dei piedi. Fremo dalla voglia di andare ad un concerto dello Zio e sono consapevole che imparare a memoria A che ora è la fine del mondo? mi avrebbe permesso di scannarmi alla transenna come un drago di Game of Thrones. Quindi lo faccio, imparo tutto a memoria e attendo quel giorno, che poi sarà a Pesaro solo due anni dopo.

Il 1995 è l’anno del botto di Ligabue con Buon Compleanno Elvis o almeno così dicono. In realtà per me non è così. Quel botto nel mio piccolo cuore di tredicenne l’aveva già fatto quando avevo ancora il grembiulino.

È Leggero a farmi sentire bene. È leggero che mi dice <<Leggero, nel vestito migliore, nella testa un po’ di sole ed in bocca una canzone>> e quindi si, va tutto bene. Un inno a quella leggerezza che è molto lontana dalla superficialità ma necessariamente vicina al cuore svuotato dopo una lunga battaglia e che decide di volersi riempire di nuovo delle piccole cose che portano felicità.

<<E ti attacchi alla vita che hai>> mentre alla fine di ogni concerto, lo Zio presenta la propria band sulle ultime note di questo meraviglioso inno alla vita.

Trascorrono 4 anni prima che Ligabue faccia uscire un nuovo attesissimo album dopo il clamoroso successo di Buon Compleanno Elvis, e c’è da chiedersi se non sia perché incapace di produrre un qualcosa di tale caratura o perché appunto per la qualità ci vuole tempo.

 

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Nel 1999 esce Miss Mondo e la critica si divide.

C’è chi lo considera un capolavoro denso di significato, chi lo distrugge come un’accozzaglia di insensatezza e chi lo ignora. Da questo momento nasce la spaccatura tra coloro che si definiscono “veri fan” e quelli come me, che invece abbracciano il cambiamento nella sonorità e si lasciano accompagnare da Luciano verso il nuovo millennio con la consapevolezza che il cambiamento in fondo è positivo.

Questa diattriba che ancora oggi procede ha in sé una religiosità che è facilmente accomunabile allo Scisma d’occidente tra ortodossi e cattolici, o tra gli sciiti e i sunniti dei paesi arabi. Da sempre indifferente a tutto questo, riassumo questo momento di velata crisi del fan club con un avete sdrinato tre quarti di palle.

Nel 1999 dicevamo esce Miss Mondo.

Nel 1999 ho 17 anni e muore una persona che assieme a mio padre, mia madre e ai miei nonni materni ha contribuito a crescermi. La perdita di mia zia paterna ha contribuito a scavare quel buco nero, divenuto ormai voragine, aperto da mio nonno quando avevo 5 anni e ampliato successivamente dalla scomparsa di mia nonna, solo 3 anni prima di mia zia.

Questo album lo temo e lo amo.

Apre ferite e poi le cicatrizza.

Solleva il velo della mia apparente durezza e mi si avvicina dolcemente con sei braccia che mi stringono. E mi sento sola e in compagnia. Vuota e piena.

Questo album rappresenta quello che ero, che sono e che tento di essere. Il riassunto di tutto l’album è quella meravigliosa Sulla mia strada che con umiltà ci sprona a vivere a modo nostro, nel bene e nel male. Ricordandoci di sorridere.

Decisamente la canzone di Ligabue che preferisco. Quella che ha scritto per quelli come me, i sopravvissuti.

Questo è il modo in cui Luciano Ligabue mi ha detto che non sarei mai più stata completamente sola ed è così che compare all’improvviso alla radio nel momento preciso del bisogno.

Ligabue c’era nel 2002 con Fuori come va? Il settimo album in studio nonché primo album del nuovo millennio dove in qualche modo tenta di tornare alle origini del proprio sound preparando così la strada al fatidico 2005 e all’uscita dell’album Nome e Cognome. Album che viene anticipato dalla data del 10 settembre al Campovolo, all’epoca primato europeo del numero di partecipanti per un concerto tenuto da un solo artista.

 

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Ligabue c’era appunto anche nel 2005 quando ho preso coscienza di avere necessità di un supporto psicologico per affrontare una realtà solitaria che per tanto tempo avevo tentato di nascondere a me stessa, raccontandomi costantemente che bastasse colmarla con tanta musica e concerti, libri, film e il mio amore per gli animali.

Realtà che però se tenti di nascondere torna a galla sempre più prepotente e quello che ti manca, le persone care che non ci sono più, devono servirti per costruire rapporti nuovi e solidi e non per vivere nel passato.

Realtà che, come dice lui <<è più forte di me, in questo gioco d’amore si può solo guardare come va a finire>> ed impegnarsi ogni giorno per migliorarla.

E se la critica mossagli dei tre accordi in croce che si ripetono è vera e lo dice lui per primo con il testo di In Pieno Rock’n’Roll <<gli accordi migliori sono sempre quei tre>>, Luciano Ligabue ha comunque la capacità di farti coraggio in mille modi differenti, con un infinito dizionario di emozioni e parole che sembrano inanellarsi senza ripetizioni.

Arrivederci, mostro! (2010), Mondovisione (2013), Made in Italy (2016) e Start (2019) sono gli ultimi album dell’artista, che oltre ai 12 lavori in studio dei quali fanno parte, vanno a comporre un più ampio spettro di attività che passa dal cinema alla scrittura, dalle raccolte agli album live.

Ligabue è stato un compagno di vita e continuerà ad esserlo.

E lo vorrò con me quando avrò di nuovo l’occasione di poter diventare madre.

 

Sono qui per l’amore, e per tutto il rumore che vuoi

E i brandelli di cielo che dipendono solo da noi,

per quel po’ di sollievo che ti strappano dall’ombelico,

per gli occhiali buttati, per l’orgoglio spedito,

con la sponda di ghiaia che alla prima alluvione va giù

ed un nome e cognome che comunque resiste di più.

Sono qui per l’amore per riempire col secchio il tuo mare,

con la barca di carta, che non vuole affondare.

 

 

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Testo di Sara Alice Ceccarelli

Foto di Luca Ortolani