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Sleepwait “Sagittarius A*” (Self Released, 2019)

11 Ottobre 2019
di Andrea Riscossa

L’Album de Loin

 

XII secolo, Francia.
Il poeta e trovatore Jaufré Rudel regala al mondo uno dei primi componimenti su un topos che arriverà intatto, per forza evocativa e diffusione di esperienza, fino ai nostri giorni. Lui lo chiama L’Amour de Loin, ovvero L’Amore di Lontano, quello che un quattordicenne qualunque esperimenta a settembre, quando deve separarsi dalla conquista estiva, sfortunatamente domiciliata in altra regione.

La lontananza, in amore, è un’arma ben affilata. E’ una sana palestra per l’esplorazione del sentimento nella sua essenza, ripulito e alleggerito dal peso di quotidianità, dispiaceri, fatiche. L’assenza è meditazione, la negazione diventa sublimazione.

Partiamo da qui, per parlare di un altro tipo di esperienza, nato e vissuto in e con lontananza. Un progetto che prende vita nel 2015, quando un biologo evoluzionista, Filippo Bravi, e un ingegnere meccanico, Mauro Chiulli, si trovano, rispondendo a un annuncio sul web. Inizia una collaborazione a distanza, di Udine il primo, a Bologna il secondo, che vede i Nostri lavorare al loro primo disco per quattro lunghi anni. La lontananza tra i due però è solo geografica. Hanno un terreno comune, che non ha fisicità e che si nutre di passioni e culture condivise e che è possibile rendere materico, con devozione, con lavoro, con volontà. La stessa forza che Rudel profuse nel raccontare quell’amore lontano, che lui raggiungerà partecipando alla II crociata (e, ovviamente, morendo tra le braccia dell’amata, ça va sans dire).

Qui non ci sono crociate, ma un lavoro ben confezionato, con strumenti e liriche coerenti rispetto ai riferimenti citati dagli Sleepwait nella presentazione dell’album, Tool, Mastodon, Alice in Chains. Ecco, questo disco ha il pregio di essere figlio di quel gusto, di quelle linee matematiche e quell’iconografia musicale. Ha però il difetto di essere in qualche modo chiuso in confini fin troppo definiti. Le prime due tracce ci introducono molto bene in questa strana dicotomia interna, perché se per un lato, per come è stato costruito, questo disco è un piccolo miracolo, dall’altro è a fuoco da subito. Sia chiaro, può essere un pregio, ma il gioco dei riferimenti è fin troppo palese, io amo l’ellissi.

La terza traccia è già la title track, e ci regala una fotografia piuttosto precisa di quello che poi è l’humus cui attinge l’intero lavoro: richiami alle ritmiche dei Tool, anche a livello di cambi e passaggi all’interno dello stesso pezzo. Un sapiente gioco di altalena tra l’aggro e il progressive, giocando sulle sfumature, arpeggi che sono promesse non mantenute e liquidissimi giri di basso. Il cantato passa dalla litania al gridato, giocando a nascondino tra livelli ed emotività. Maynard James Keenan docet. 

Poi accade che gli Sleepwait, dichiarati gli intenti e messe le carte in tavola, inizino a sciogliersi, come fosse un live. Curioso per un lavoro in remoto, però la mia pancia dice che le tre tracce successive, da Virgilio a Istanbul, sono le più interessanti, perché hanno più variazioni, perché sembrano aprire il ventaglio di citazioni. Giuro, ci ho sentito Tyler Bates della colonna sonora di 300.

Il lavoro prosegue poi tornando sui binari cari a Tool, A Perfect Circle, Kyuss. Il disco si appesantisce nella costruzione dei brani, forse si avvita sull’esposizione. Questo però spiega anche perché lavori come Fear Inoculum difficilmente verranno scelti per accompagnarvi in ascensore. Salvo non siate in un condominio di Ballardiana memoria.

Scrivere a distanza un album è impresa ardua, soprattutto per un’opera prima. Ai due autori il merito di aver impiegato il giusto tempo e la necessaria pazienza per confezionare un album con riferimenti chiari e di indiscutibile coerenza. La qualità c’è, si sente, si ascolta, si vede anche, nel gioco di immagini che evocano i testi. 

 

Sleepwait

Sagittarius A*

Self Released, 2019

 

Andrea Riscossa