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Gli AABU e quell’implacabile bisogno di urlare

Gli AABU e quell’implacabile bisogno di urlare

| Francesca Garattoni

Come vi siete conosciuti e come è nato il nome della band?

La band è nata attraverso conoscenze della scuola superiore poi nel tempo la formazione attuale, che è in piedi dal 2013, è cambiata.
Il nome della band, all’inizio, era un acronimo in inglese ma successivamente abbiamo iniziato a scrivere pezzi in italiano, quindi abbiamo deciso di far cadere l’acronimo ma di lasciare il nome AABU. Con questo disco abbiamo poi trovato l’acronimo in italiano: Abbiamo Ancora Bisogno di Urlare.

 

Qual è il processo creativo delle vostre canzoni?

Per quanto riguarda Abbiamo Ancora Bisogno di Urlare, la maggior parte delle idee dei testi delle canzoni veniva da uno di noi cinque.
In studio poi lavoriamo molto insieme, ci piace molto suonare e passiamo parecchio tempo in sala prove, perciò l’arrangiamento delle canzoni è sempre frutto di tutti e cinque.
Nelle canzoni però è necessario che la scintilla iniziale ce l’abbia soprattutto uno, in particolare su quest’ultimo disco avevamo un’idea che era molto personale e interpretata dai singoli in maniera differente; tutti hanno quindi dato il loro contributo a livello testuale.

 

Nell’arco di due anni siete usciti con due album, a quale siete più legati?

Gli album sono come figli.
Dal punto di vista emotivo, per noi l’ultimo disco è importantissimo perché nasce da una serie di nostre riflessioni, sia sul mondo musicale che sul mondo nostro, inteso come esseri umani.
La cosa incredibile è che la direzione di questo disco l’abbiamo trovata nell’arco di due ore, quindi in un arco di tempo molto breve considerando che siamo cinque persone.
C’è stata quindi una comunione di intenti che, per quanto ci sia sempre all’interno dei gruppi, così sviluppata non era mai successo di trovarla.
Il primo disco è sempre il primo disco.
C’è tutta l’incoscienza di approcciarsi ad una cosa completamente nuova, perciò c’è entusiasmo. Dal punto di vista artistico invece, ascoltandolo a posteriori pensiamo che avremmo potuto fare tante cose diversamente.
Abbiamo attraversato molte fasi durante il primo disco e quella attuale è “gli vogliamo bene ma conosciamo i suoi limiti”, non è più quello che ci rappresenta al 100% come lo è invece Abbiamo Ancora Bisogno di Urlare.

 

Quali sono le vostre influenze musicali ed in che modo la vostra musica si differenzia dalle altre band italiane?
Per quanto riguarda le influenze musicali ce ne sono tantissime, veniamo da mondi molto affini, perciò ascoltiamo musica molto simile.
Ci sono quindi gruppi che ascoltiamo tutti e cinque e a cui idealmente ci ispiriamo ma quando ti ispiri ad un artista non è che puoi replicare una formula perché sarebbe molto sminuente per quello che stai cercando di fare.
A noi piacciono in particolare i Biffy Clyro, in Italia i Ministri, che hanno un fascino particolare per noi, come anche Marta sui Tubi, di americano invece i Manchester Orchestra e The Dear Hunter; però più che replicare un certo suono cerchiamo più di inseguire un’idea di scrittura che traspare dai gruppi da cui ci ispiriamo.
Noi siamo una band rock, non abbiamo un carattere di unicità alla David Bowie; noi però possiamo dire che con l’ultimo disco abbiamo fatto scelte sonore che non sentivamo da un pò, quindi principalmente è presente un suono molto scuro, distorto e poco post prodotto.
Quest’ultima questione è stata per noi una sfida, ci siamo dedicati all’analogico, quindi quello che possiamo dire è che in questo disco siamo noi che suoniamo nel bene e nel male.
Quello che ci differenzia è che abbiamo delle cose da dire: ultimamente ascoltare musica è diventato complicato, perché c’è tanta gente che la fa ma non ha niente da dire e poi ti ritrovi ad ascoltare dischi di cantautori che hanno solo una chitarra acustica e un microfono e ti spaccano la faccia con niente, solo perché hanno qualcosa da raccontare.
Quindi noi abbiamo imparato la lezione: non puoi fare arte senza avere urgenza.

 

Giorgia Zamboni