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Il ritorno di Tota, un cantautore in costante evoluzione

Il ritorno di Tota, un cantautore in costante evoluzione

| Francesca Garattoni

Tommaso Tota, di origini umbre, si è avvicinato alla musica negli anni di studio all’università di Bologna, cominciando a scrivere le sue prime canzoni. Dopo una necessaria gavetta fatta di demo caricate sul web e registrazioni chitarra e voce, ha esordito live in apertura ad artisti come Gazzelle, Carl Brave, Franco 126 e Galeffi. A gennaio 2019 è uscito il suo primo album ufficiale per l’etichetta Grifo Dischi, Senzacera , caratterizzato da sonorità elettroniche ma, allo stesso tempo, in grado di rendere onore alla tradizione cantautorale italiana.

Oggi Tota è torna in grande stile, confermando ancora una volta le sue capacità autorali e alzando l’asticella anche in ambito produttivo con Gli Anni Che Ho è il suo nuovo singolo.

Gli Anni Che Ho segna una netta evoluzione sonora rispetto al passato per l’autore, che si è avvalso di una produzione più a fuoco, capace di mostrare ancora più sfaccettature dell’anima artistica dell’autore. Tota dimostra così di aver intrapreso un percorso di evoluzione e cambiamento, mostrando nuovi lati di sè.

Abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con lui per parlare un po’ di questa nuova avventura e per ripercorrere la sua carriera artistica. Ecco cosa ci ha raccontato. 

 

Ciao Tommaso! Innanzitutto ripercorriamo un po’ il tuo percorso: come ti sei avvicinato alla musica e cosa ti ha spinto poi a diventare un cantautore?

Ciao! Mi sono avvicinato alla musica già nel periodo delle superiori e scrivevo testi su delle basi rap, senza però che mi venisse in mente di pubblicare qualcosa. Sono andato, poi, a vivere a Bologna per studiare all’università e un giorno ho voluto imparare a suonare la chitarra. Me la sono fatta prestare dalla mia ex ragazza e ho cominciato ad esercitarmi sempre di più, finché non mi sono venuti degli spunti di scrittura e di canto. Da qui in poi hanno cominciato a nascere delle mini-canzoncine, con accordi molto semplici, finché la scrittura è entrata a far parte della mia quotidianità.

 

Quali sono stati gli ascolti che ti hanno maggiormente influenzato nel corso della tua carriera?

Non vorrei essere banale dicendo che ascolto un po’ di tutto ma sicuramente spazio tra cose molto diverse tra loro. Il mio cantautore di riferimento senza dubbio è il grandissimo Fabrizio De Andrè. Sono comunque capace di passare dal rap a Enrico Ruggeri, da Adriano Celentano ai Beatles, che ultimamente sono diventati un mio ascolto quotidiano. Quindi ho influenze molto varie ma se devo sceglierne solo uno ti posso dire che De Andrè è sicuramente colui che mi ispira di più quando è il momento di scrivere.

 

Oggi esce Gli anni che ho, il tuo nuovo singolo. Ci racconteresti come è nato e di cosa parla?

Il brano è nato quasi tutto in un pomeriggio di malinconia, non dettata da una delusione amorosa, ma frutto di una riflessione sullo scorrere del tempo e degli anni: infatti, ogni giorno mi accorgevo che le giornate trascorrevano inesorabili e mi sto avvicinando anche io ai 30 anni. Dunque il brano è una considerazione sul tempo che passa e sull’eccessiva importanza che diamo alle cose futili rispetto alle vere difficoltà. Quando abbiamo un problema lì per lì a noi sembra enorme per poi accorgerci che in realtà non lo è poi così tanto.

 

Rispetto al tuo primo album è evidente una netta evoluzione nelle sonorità, che qui si fanno ancora più raffinate e mature. Come ti sei approcciato stavolta alla fase di scrittura e di produzione?

Per quanto riguarda la scrittura, avvenuta chitarra e voce, il mio approccio è stato simile a quanto ho sempre fatto. La vera novità sta nella produzione artistica del pezzo e nel lavoro in studio. Per il mio primo album non avevo alle spalle esperienze di registrazioni professionali e, di conseguenza, sembrava tutto bellissimo ed entusiasmante. Avevo anche poca conoscenza di come sarebbe potuto suonare un brano, affrontando il tutto molto genuinamente, mentre in questo caso mi sono approcciato con molta più consapevolezza. Ciò che ha fatto la differenza è stata la scelta di suonare tutto dal vivo, utilizzando anche strumenti “reali” in grado di dare maggiore calore. Nell’album precedente la batteria era totalmente elettronica e programmata al computer, stavolta è suonata e si sente. Anche le chitarre hanno un feeling completamente diverso, molto più naturale, sono quasi grezze e ho, inoltre, cambiato la tonalità del mio cantato rispetto ai lavori precedenti, cercando di osare un po’ di più. 

 

Mi ha colpito molto anche l’artwork del brano, un disegno davvero originale. Come lo hai scelto? 

L’artwork è stato realizzato da Evelyn Furlan, una ragazza molto brava scoperta da Enea di Grifo Dischi, la mia etichetta. Aveva visto queste illustrazioni un po’ strane e particolari, in cui si vedono persone deformate nelle proporzioni del volto, il che è perfetto per accompagnare il tema del brano, il trascorrere degli anni e i conseguenti minimi cambiamenti che nel tempo emergono sulla nostra pelle. C’è una rappresentazione quasi satirica dell’individuo nei suoi lavori e questo mi ha colpito molto. I disegni di Evelyn sono belli e spiazzanti e accompagneranno anche il resto delle mie prossime pubblicazioni future, stiamo lavorando a illustrazioni dedicate ad ogni singola fase, dalle copertine fino a comprendere la scenografia live.

 

Tota Cover

 

Vorrei fare con te una riflessione generale sul panorama musicale indipendente e cantautorale italiano di oggi per quella che è stata la tua esperienza. Quali sono le tue impressioni e com’è fare il cantautore nel mercato odierno?

Quando si parla della musica indipendente che sta avendo successo nell’ultimo periodo io non mi sento di poter essere inserito totalmente in questa categoria. Ho cominciato a pubblicare le mie prime cose quattro anni fa su YouTube, quando gran parte dell’underground oggi diventato popolare si esprimeva lì rimanendo molto più di nicchia, mi viene in mente il primo Gazzelle, ad esempio. Quindi un po’ di gavetta sento di averla fatta, in un periodo in cui mancavano certe strategie di comunicazione che vengono utilizzate oggi. La scena musicale italiana attuale, a mio parere, è composta in parte da persone che lo fanno solo per il successo, cosa che si capisce subito ascoltando i brani, ma anche, fortunatamente, da tante persone sincere. Quando io mi approccio a un pezzo non parto mai con l’intenzione di farlo “indie”, parola che non mi piace molto, invece spesso certi testi sembrano scritti appositamente per essere inseriti nella categoria e non apprezzo questa mancanza di sincerità. La scena per certi versi si sta saturando, artisti che fino a pochi anni fa non erano conosciuti oggi sono arrivati fino ai palasport e adesso è un po’ il nostro turno di far cambiare idea alle persone che pensano che ormai si scriva solo di amori finiti male. In ogni caso se da questo mondo escono cantautori che si esprimono con la propria arte non posso che esserne felice, mi fa piacere vedere che si tratta di un periodo fertile per la musica indipendente. Io sono il primo a non avere un percorso di studi musicali alle spalle, quindi chi sono io per dire “non fatelo”?

 

Che programmi hai per il futuro? Ci puoi anticipare qualcosa sull’album e sui live?

Sicuramente usciranno altre canzoni molto diverse da come il mio pubblico si è abituato, influenzate tutte dal mood presente nell’ultimo singolo. Per quanto riguarda il live ci saranno degli appuntamenti ma non a breve, bisognerà aspettare ancora un po’. Però le cose nuove ci sono, ce le abbiamo pronte e non vediamo l’ora di farle ascoltare a tutti!

 

Filippo Duò