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Mese: Marzo 2020

Claver Gold & Murubutu “Infernvm” (Glory Hole Records, 2020)

Ho recuperato un articolo che avevo letto da qualche parte anni fa di Umberto Galimberti, nel quale viene raccontato di quando il linguista Tullio De Mauro aveva svolto nel 1976 una ricerca per vedere quante parole, conoscesse al tempo un ginnasiale: 1600 circa. Ripeté il sondaggio vent’anni dopo e il risultato fu tra i 600 e i 700. Prosegue Galimberti dicendo che a parer suo al giorno d’oggi il numero potrebbe essere circa 300, se non meno. 

Sull’origine e sulla veridicità di questo studio vi sono pareri contrastanti, per cui non mi va di farne una sorta di assioma, ma di gran lunga più interessante è come prosegue Galimberti nell’articolo, ovvero “come ha evidenziato Heidegger, riusciamo a pensare limitatamente alle parole di cui disponiamo, perché non riusciamo ad avere pensieri a cui non corrisponde una parola. Le parole non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per poter pensare”.

Ora: il rap, per sua stessa natura, per definizione, non può esistere senza la parola. Magari senza musica, ma senza parole proprio no. E solitamente nei dischi rap di parole ce ne sono molte, i testi tendenzialmente lunghi, i risultati a volte opinabili, a volte no.

Non voglio attirarmi nemici (ok, anche io a volte non resisto dal buttarmi nella caciara), ma oggi è possibile imbattersi in “Giuro l’altra notte è stato bello / Non esci più dal mio cervello / Non basterebbe un solo anello / Tu vali più di ogni gioiello”, il cui autore non renderò noto, oppure in “E lui che avrebbe superato ed aspettato / Per millenni per poterla rivedere pure solo un giorno / E si sarebbe, da abbracciati, addormentato fra i capelli / Per potersene portare il suo profumo in sogno”.

È un discorso un po’ antipatico, lo ammetto, ed anche leggermente estemporaneo; voglio dire, esiste Messi ed esiste Candreva, ed entrambi appartengono alla stessa categoria lavorativa, ma un paragone così forte e smaccato mi aiuta nel trasmettere quanto sia maestosa e mirabile l’opera (che di questo si tratta) messa in scena da Claver Gold e Murubutu. Scrivo con la pressione di trovarmi di fronte a qualcosa di così vasto da essere incapace di abbracciarlo tutto, di non riuscire a darne giusto merito e rilievo, ma ormai siamo qui e da qualche parte bisogna pur cominciare. Dunque Daycol Orsini, Claver, e Alessio Mariani, Muru, dopo essersi già incontrati in maniera più o meno episodica in passato, hanno deciso di unire le forze per cimentarsi in una rilettura della prima cantica dell’immortale lascito di Dante Alighieri, la Commedia. 

Infernvm, così s’intitola, si sviluppa lungo undici tracce, dalla minacciosa Selva Oscura (con un ispiratissimo Vincenzo di Bonaventura) al Chiaro Mondo, costituita da soli sample a tema infernale riassemblati da Il Tenente.

È una discesa agli inferi che parte dall’Antinferno (con il contributo di Davide Shorty, che ricorderete in un X-Factor di qualche anno fa) e prosegue grazie all’anziano traghettatore delle anime “Spinge fiero il vecchio legno nell’oscurità”, Caronte. Qui Murubutu, da professore quale è nella realtà, mi costringe a riprendere il dizionario perché le mie reminiscenze liceale naufragano (sic) di fronte a “Ogni devoto qua ha il suo psicopompo / divinità ctonia della verità”.

È poi la volta di Minosse, col suo beat spiccatamente anni ’90 ed un utilizzo squisito dell’italiano che non può lasciare indifferenti. E d’altronde meglio non correre il rischio di risultare irrispettoso nel trattare temi così alti usando un linguaggio non altrettanto elevato. 

E quale argomento migliore se non l’amore, qui affidato a Paolo e Francesca, forse, insieme alla successiva Pier l’empireo del disco, per non cambiare campo semantico. Giuliano Palma fornisce il suo apporto nel ritornello, mentre i due battagliano a chi è più ispirato, Paolo piange mentre Francesca racconta “io che mi esprimerò solo piangendo / e tu parlerai di te come Ginevra”.

Pier ci sbatte in faccia la triste e dura realtà dei suicidi ed in Malebranche troviamo Murubutu a velocità siderale nella sua strofa a presentarci i barattieri; e poi Ulisse, con uno splendido arpeggio di chitarra e la narrazione tra Penelope che aspetta il marito che non farà ritorno: “Cantami o musa dell’Eroe di Grecia e le sue gesta / … / Che sfidò il fato fino all’ultima triste tempesta”.

La dolcezza con la quale una figura come Taide viene calata ai giorni nostri per parlare di prostituzione è commovente, difficile non empatizzare e non calarsi nei panni della protagonista, avvertirne la fatica.

I titoli di coda giungono con Lucifero, in un brano dalle tinte quasi dub, spruzzate di reggae qua e là, che mi portano all’uscita di questo disco con un mix di sensazioni contrastanti, difficili da elaborare: più avanzavo nell’ascolto, più mi addentravo nelle viscere dell’inferno, più provavo sincero stupore e ammirazione verso questi due eroi della parola, per la loro mirabile impresa. Al contempo mi maledicevo per aver sprecato troppo tempo al liceo e non aver seguito le lezioni ed essermene sempre bellamente fregato di mitologia, Dante, figure retoriche, per cui ora devo fare il doppio della fatica per mantenere il passo di Claver Gold e Murubutu. 

In effetti l’alternativa per non sentirmi inferiore c’era… come faceva quella dell’anello / gioiello?

P.S. Piccolo inciso (non del tutto) privo di polemica: anche in Caronte i suoni vanno da una parte all’altra, se la ascoltate con le cuffie… voi e il vostro 8D…)

 

Claver Gold & Murubutu

Infernvm

Glory Hole Records

 

 

Alberto Adustini

Waxahatchee “Saint Cloud” (Merge Records, 2020)

Waxahatchee, che è l’ultimo progetto in ordine cronologico di Katie Crutchfield, deve il suo nome a Waxahatchee Creek, situata negli Stati Uniti, precisamente in Alabama. Se cercate informazioni su questo Waxahatchee Creek, ad esempio su wikipedia per comodità, oltre alle tre righe di contestualizzazione, troverete poco altro, ma che è più o meno (più meno che più) noto per essere zona nella quale vive la Leptoxis Ampla, una specie di lumaca d’acqua dolce, a rischio estinzione, e che ha trovato il suo habitat ideale principalmente appunto in Alabama.

Sulla Leptoxis Ampla potrei star qui a parlare profusamente ma non mi pare né il luogo né il momento adatto, per cui tenderei a concentrarmi su Saint Cloud, ultima uscita sulla lunga distanza (madonna come mi piace sta espressione) di Waxahatchee, sempre per la Merge Records e che segue a distanza di tre anni Out in the Storm. E anticipazione, probabilmente è il mio disco dell’anno, al 27 marzo 2020. Quindi giudizio parziale ma non mi esponevo in maniera così decisa da anni, forse dal 2015 con At Least For Now.

Anziché fuori in mezzo al temporale, riprendendo il titolo dell’ultimo disco, con questo Saint Cloud Katie Crutchfield sembra essere uscita dal temporale, a sentire come suona (bene) già dall’iniziale Oxbow; messe forse temporaneamente da parte le distorsioni e gli echi pseudo punk simil grunge del passato ci troviamo immersi in sonorità quasi soul, dalle parti della Macy Gray di The Id, quando non più spiccatamente in territori americana, quel country che fanno principalmente loro, gli americani. Waxahatchee ci mette sopra una freschezza ed un’irresistibile necessità di usare la voce, giocarci, passare dal falsetto (Can’t Do Much ha degli splendidi echi della Abigail Washburn di City Of Refugee) ad una sorta di indietronica che quasi ti pare di sentirci i Postal Service (Fire).

Lo stato di grazia compositiva della Crutchfield non conosce soste né tentennamenti, è un continuo sorprendersi per una partenza dylaniana (Lilacs) o per la dolcezza di una The Eye che risulta tanto semplice quanto efficace. E siamo solo a metà disco.

L’enigmatica Hell, col suo testo in bilico tra amore e inferno ci porta a Witches, nella quale Katie ci parla delle sue tre migliori amiche, nominandole lungo il brano: la ballerina Marlee Grace, Lindsey Jordam (a.k.a. Snail Mail) e la sorella, Allison Crutchfield, con lei nei P.S. Eliot. E lo fa in maniera tutt’altro che convenzionale, ma al termine di un vero e proprio labor limae, soppesando le parole e scegliendole con cura, creando immagini, per colorare, dipingere sfumature, ritrarre con una vivida naturalezza.

In Arkadelphia c’è spazio per scavare nella memoria, tra ricordi che tornano a galla e coi quali non si è mai fatto pace, poggiati su di una malinconica, struggente melodia, Ruby Falls scorre via, con la sua cadenza fatta di Hammond e batteria, per portarci in fondo, a quella che è la vetta del disco, e forse di tutto quanto la mente di Katie Crutchfield abbia partorito fino ad ora.

St. Cloud si muove tra sparuti accordi di chitarra, poco altro, è la voce a prendersi tutta la scena, torna l’immagine del vestito bianco, “And I Might Show Up In A Wight Dress”, come nell’iniziale Oxbow, un potentissimo “If the dead just go on living / Well there’s nothing left to fear”, ci si sposta tra ombre e luci che scandiscono un ritorno, forse uno svanire. Finisce il brano e in automatico lo faccio ripartire, come un automa, voglio perdermi anche io tornando a casa a Saint Cloud, voglio bruciare lentamente anche io, voglio sentire all’infinito quel “when I go, oh when I go”, voglio provare questa alienante, curiosa, spiazzante, meravigliosa sensazione di perdizione e fine, confortato dai toni caldi e rassicuranti di una voce divina. E se serve, versare qualche lacrima.

 

Waxahatchee

Saint Cloud

Merge Records

 

Alberto Adustini

AVEC “Homesick” (Earcandy Recordings, 2020)

AVEC è una cantante pop-folk austriaca. Giovanissima quanto talentosa, a 22 anni ha già calcato i palchi più importanti d’Europa, affiancando artisti come Sting, Zucchero e The Tallest Man on Earth. All’attivo ha due album, What if we never forget e Heaven/Hell ed è prevista a breve l’uscita del terzo.

Homesick, ovvero nostalgica/o di casa, è il titolo. A pensarci fa quasi sorridere, in un momento storico in cui la maggior parte della popolazione italiana si trova in quarantena.

Dodici tracce “scritte col cuore e senza pretese” come afferma l’artista, dallo stile pop-folk, mischiato ad elementi ambient coerenti fra loro che creano un paesaggio sonoro malinconico e rassicurante.

“Do you wanna know what’s wrong with me? It’s you that don’t give a shit about me now” 

La voce rotta di AVEC accompagna in sottofondo le prime note dell’intro di Runaway, il nuovo singolo appena uscito. L’artista si mette a nudo, instaurando fin dalla prima battuta una forte empatia con l’ascoltatore che, rapito dalla curiosità, non può fare a meno di entrare a piedi scalzi all’interno del brano.

Il ritornello: “I don’t mind staying up all night, runaway”entra subito in testa. È un abbraccio a distanza. A parer mio, Runaway è il brano più bello dell’intero album.

I’ll come back, Dance Solo e Way Out sono brani complementari e peculiari sia nel mood che nei contenuti. Si parla di una relazione finita e delle conseguenti ripercussioni: “Even if we’re worlds apart. You know it breaks my heart” canta AVEC in I’ll come back. 

Il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album è Home, il brano più completo e variegato dal punto di vista strutturale. Il tema ,ripreso anche nel brano Homesick for a day, è quello della nostalgia di casa. O di qualcuno che la rappresenta. AVEC esibisce una magistrale consapevolezza nel creare ritornelli dalle melodie facilmente riconoscibili e persuasive.

Fire e Mona sarebbero la colonna sonora perfetta per una fuga in mezzo alla natura. Riesci a vedere un falò e sentire l’odore di marshmallows sul fuoco. 

Rispetto ad Heaven/Hell, l’album precedente, si avverte un cambiamento nella scelta delle sonorità, in quest’ultimo caso più calde ed organiche. Non sorprende, quindi, che l’album sia stato registrato in una vecchia casa nel mezzo della campagna austriaca in collaborazione con un amico di lunga data. Tutto di quest’album richiama l’atmosfera intima di un luogo ameno.

In Heavy on my mind, l’artista si rivolge a noi paranoici, agli iper-sensibili che sanno esternare le proprie fragilità ed insicurezze, perché in fondo “chi è davvero normale?”

È da ammirare la capacità di AVEC nel comunicare le sue debolezze più recondite, offrendo al contempo un rifugio dove ripararsi agli ascoltatori.

Il brano, inoltre, spezza un cortocircuito di tracce troppo simili, tanto da risultare quasi ridondanti. Personalmente, le sessioni in studio di Home e Under Water, brano appartenente all’album precedente, risultano nel complesso superflue.

In conclusione, Homesick si configura come un album accogliente e rassicurante. A tratti potrebbe risultare ridondante per la sua estrema coerenza e limitata versatilità. Lo stile resta credibile ed organico, dalla prima all’ultima traccia, restituendo accattivanti successioni ritmiche.

AVEC riesce a trasmettere calore e tenerezza, mantenendo un sound incalzante tale da non esaurirsi in una mera cantilena romantica. Nel complesso, l’album restituisce un racconto introspettivo e totalizzante per chi ha il coraggio di percepire la vita attraverso il filtro della sensibilità.

 

AVEC

Homesick

Earcandy Recordings

 

Giulia Illari

Tommaso Mantelli “9 Useless Tunes” (Shyrec/Lesder, 2020)

La settimana scorsa, credo fosse lunedì, ho rivisto Sound City, un documentario diretto da Dave Grohl incentrato su di uno studio di registrazione, per appunto il Sound City Studios di Los Angeles, dove Grohl con altri due musicisti dell’epoca, un certo Krist Novoselic e tale Kurt Cobain, nel 1991 registrò un album intitolato Nevermind. 

Insomma nell’ora e mezza abbondante di durata viene raccontata la storia di questo celeberrimo studio di registrazione, dalla fine degli anni sessanta fino praticamente ai giorni nostri, attraverso immagini e reperti d’epoca e testimonianze dirette di diversi mostri sacri della storia del rock, che non ho intenzioni di citare nella maniera più assoluta perché sono davvero molti. E perché magari così vi vien voglia di vederlo (Dave, avanzo da bere per la marchetta).

L’aspetto più interessante tra i molti è a mio avviso il passaggio che lo studio, ed in particolare il vero protagonista del film, il Neve 8028 (un mixer rigorosamente analogico, prodotto in Germania e fiore all’occhiello degli studi di registrazione – quelli che se lo potevano permettere – del tempo), hanno vissuto nella nascita, sviluppo e diffusione del digitale e la contestuale soppressione, o quantomeno ridimensionamento, dell’analogico.

Un discorso così impostato parrebbe sottendere ovviamente la tesi secondo la quale analogico è bello e digitale è brutto, ma invece non è così, la questione è più affettiva quasi, più di cuore, in realtà quasi nessuno dei musicisti che compaiono rinnegano con forza l’avvento dei PC e della tecnologia, anzi, quasi tutti ne hanno fruito consapevolmente, ma in tutti c’è sempre forte questa necessità quasi ancestrale, primitiva, di tornare al centro, al nucleo, rimuovendo tutto ciò che potrebbe risultare posticcio.

Ora, quando qualche giorno fa ho iniziato ad ascoltare 9 Useless Tunes, la mente non ha potuto non finire lì, a Sound City, non ho potuto non fare questo parallelismo, davvero, troppi punti in comune, troppe fortuite (o meno) coincidenze.

L’autore del disco in questione, Tommaso Mantelli, gestisce per l’appunto uno studio (il Lesder nda), è produttore e ovviamente musicista e, per l’occasione, ha deciso di liberarsi di qualsivoglia orpello e diavoleria, e rinchiudersi nel suo studio da solo, con un microfono ed una chitarra. Come un moderno Thoreau.

È curioso che un’idea, un progetto come questo esca proprio in questi giorni di isolamento e per molti anche di solitudine, ma ciò che ne scaturisce è un disco che trasuda passione e amore per la musica e per la chitarra, dove trova spazio un’ovvia ricerca interiore ed un grado di intimità dove tutti possiamo ritrovarci.

Gli spazi in cui si muove Mantelli sono quelli del cantautorato rock in chiave acustica (ci si sentono echi di Jeff Buckley, anche se di primo acchito la mente è corsa all’Unplugged degli Archive e alla voce di Craig Walker), come nel blues d’apertura Just Around the Bend, o nella fatalmente attuale Bitter Sweet Doomsday.

I Will Learn è un’intima e sussurrata carezza, in questi tempi incerti, mentre Which Game è continuo rincorrersi tra chitarra e voce, in un serrato saliscendi.

È un disco senza trucchi e senza effetti speciali, e nonostante ciò non annoia e non risulta ripetitivo, anzi, il finale di It Can’t Be That Bad è un tocco di magia pura e autentica, che ci porta alla conclusiva I Smile, nella quale si tirano idealmente le fila del discorso, con quel “I’m proud to say I’m happy for what I’ve done, I smile because I’m not afraid anymore, I smile for all the time I’ve spent on this world”.

Nove brani che risultano tutt’altro che inutili, per riprendere il titolo del disco, ma che ci riportano ad una dimensione musicale della quale siamo sempre meno abituati e alla quale fa bene, alle orecchie e allo spirito, di tanto in tanto tornare.

 

Tommaso Mantelli

9 Useless Tunes

Shyrec | Lesder

 

Alberto Adustini

DUA LIPA: la data italiana è riprogrammata il 10 febbraio 2021 al Mediolanum Forum di Milano. Il nuovo album “Future Nostalgia” esce questo venerdì

DUA LIPA 
‘FUTURE NOSTALGIA’
IL NUOVO ALBUM ESCE
VENERDÌ 27 MARZO 2020

IL TOUR È SPOSTATO ALL’ANNO PROSSIMO
LA DATA IN ITALIA È RIPROGRAMMATA
IL 10 FEBBRAIO 2021
A MILANO (MEDIOLANUM FORUM)

 

L’attesissimo nuovo album di Dua Lipa, Future Nostalgia, ha ora una nuova data di uscita: venerdì 27 marzo. L’album contiene la hit in testa alle classifiche di tutto il mondo “Don’t Start Now” ed il nuovo singolo “Physical”. Il disco sarà disponibile per il download su tutte le piattaforme digitali e in diversi formati fisici: vinile pink neon, CD, picture disc, gold cassette e deluxe box set.  Tutti acquistabili qui: https://dualipa.co/official

Ho alcune buone notizie per voi – Ho deciso di pubblicare questo venerdì 27 marzo il mio nuovo disco e non vedo l’ora di condividerlo con voi” – ha rivelato Dua. “Ora sono molto più sicura di me stessa rispetto al passato, non ho più paura di buttarmi, sperimentare e provare nuove cose” – ha raccontato la popstar.
L’artista ha anche ricordato il preciso momento in cui ha deciso di intraprendere questa nuova direzione musicale: “ero appena stata ospite ad un programma radiofonico a Las Vegas e mentre camminavo, schiarendomi le idee, ascoltavo la musica degli OutKast e No Doubt e ho pensato al motivo per cui continuavo ad amare questi brani, che non sembravano invecchiare affatto. Volevo incorporare questi sentimenti e suoni nostalgici che hanno caratterizzato la mia infanzia e il mio background musicale in un suono nuovo e moderno.”

Inoltre, il concerto italiano del 30 aprile 2020 è ora riprogrammato il 10 febbraio 2021 al Mediolanum Forum di Milano.
I biglietti precedentemente acquistati resteranno validi per la nuova data.

Dua ha raccontato che posticiperà il suo nuovo tour mondiale: “Sfortunatamente vista la situazione attuale nel mondo, la priorità è tutelare la salute di ciascuno e abbiamo dovuto posticipare le date inglesi ed europee del mio Future Nostalgia Tour. I biglietti precedentemente acquistati rimarranno validi per le nuove date. Annuncerò presto anche nuovi show in tutto il mondo. Voglio esibirmi in tantissimi Paesi!”.

Tracklist:

1. Future Nostalgia
2. Don’t Start Now
3. Cool
4. Physical
5. Levitating
6. Pretty Please
7. Hallucinate
8. Love Again
9. Break My Heart
10. Good In Bed
11. Boys Will Be Boys

Scarica le foto ad uso stampa qui: https://bit.ly/2JbuUT3

La fine del 2019 ha visto Dua esibirsi sulle note di “Don’t Start Now” agli MTV EMA, ARIAs, AMA’s e all’ultimo Festival di Sanremo. “Don’t Start Now” è stato certificato disco Platino in Italia.
Dua Lipa ha venduto 4 milioni di copie con il suo album di debutto nel 2015 e oltre 60 milioni di dischi con i suoi singoli (inclusi i 500 milioni di stream di “Don’t Start Now”). Il suo album di debutto è stato l’album più ascoltato su Spotify per un’artista femminile solista. Dua è stata inoltre l’artista femminile solista più giovane ad accumulare oltre 1 miliardo di visualizzazioni su YouTube.

VIOLENT SOHO • Nuovo singolo + video “PICK IT UP AGAIN”

IL NUOVO ALBUM EVERYTHING IS A-OK FUORI IL 3 APRILE 2020 VIA PURE NOISE RECORDS

 

 

La rock band australiana, Violent Soho, è in anteprima esclusiva con il loro nuovo singolo e video, Pick It Up Again, tramite Brooklyn Vegan. Guarda qui.

Nel video, il cantante / chitarrista Luke Boerdam condivide “Abbiamo avuto l’idea di scherzare e ogni membro della band ha davvero ” bussato alle porte “, quindi abbiamo pensato che sarebbe stato divertente portare il nostro disco porta a porta. Sembra che ci sia una grande disconnessione con il modo in cui interagiamo con la musica in questi giorni, quindi è stato abbastanza bello suonare nelle case di alcune persone. Sono stato sorpreso di non avere più porte sbattute in faccia! Probabilmente il video più divertente che abbiamo mai realizzato. ”

Questo segue le uscite dei singoli A-OK, Vacation Forever e Lying On The Floor, tutti e quattro i quali escono dal prossimo quinto album in studio della band, Everything Is A-OK, in uscita il 3 aprile 2020 tramite la loro nuova etichetta, Pure Noise Records. L’album è disponibile per il preordine fisico qui.

 

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I Violent Soho sono Luke Boerdam (voce / chitarra), James Tidswell (chitarra), Luke Henery (basso) e Michael Richards (batteria).

Dopo i primi due dischi (We Don’t Belong Here del 2008; omonimo del 2010), i Violent Soho sono tornati con Hungry Ghost del 2013 in una grandinata di riff e “HELL F * CK YEAH” scarabocchiato su braccia, scrivanie e pareti del bagno in tutto il mondo. Il WACO del 2016, nel frattempo – nonostante un debutto in classifica al n. 1, premi ARIA, headliner dei festival e tour sold-out per le più grandi folle della loro carriera – è arrivato in mezzo a sconvolgimenti personali per il batterista Michael Richards, il bassista Luke Henery e il chitarrista James Tidswell.

Ma con Everything Is A-OK, i figli preferiti di Mansfield hanno tracciato una linea metaforica nella sabbia: cinque album nella loro carriera non volevano seguire un libro di regole scritto da altre persone. Questo è tutto ciò che è A-OK: una dichiarazione che QUESTO è chi sono i Violent Soho come band. Come musicisti. Come compagni.

“È onesto”, spiega Boerdam. “Non pretende di essere qualcosa che non è: è apolitico, più lento, cinico e cerca di connettersi con le persone attraverso un’esperienza condivisa nel sottolineare i fallimenti della società e la merda personale che ne consegue.”

A-OK si riflette con una dura riflessione sul modo in cui il mondo è diventato ossessionato dalla creazione di simulacri sui social media in cui ognuno sta ripetendo il proprio “marchio” e in che modo la connessione è fugace e superficiale. Riflette sulle idee di agenzia, emozione e su come vengono vendute per pubblicizzare chi vogliamo che la gente pensi che siamo, non chi siamo realmente. Il produttore Greg Wales (You Am I, Sandpit, tripla J’s Like A Version) ha catturato l’essenza di questo nello studio del New South Wales, The Grove Studios.

Tutto è A-OK uscirà il 3 aprile 2020 tramite Pure Noise Records. Per ulteriori informazioni, visitare: http://www.violentsoho.com/.

 

Everything Is A-OK Tracklisting:

01. Sleep Year
02. Vacation Forever
03. Pick It Up Again
04. Canada
05. Shelf Life
06. Slow Down Sonic
07. Lying On The Floor
08. Easy
09. Pity Jar
10. A-OK

YAEL NAÏM • La cantautrice franco-israeliana pubblica oggi l’album NIGHTSONGS

Ascolta l’album

Guarda la live performance di “Daddyqui

YAEL terrà un concerto dal suo profilo instagram domenica 22 marzo alle 16

 

“Her powerful, operatic voice… steals the show”
(Vogue)

“Ms. Naïm has gone on to a prestigious artistic career” 
(New York Times )

“Anchored in the personal… The songs are sharp, but still playful and poppy”
(ELLE Magazine)

“Yael Naïm is pretty much the textbook definition of a world citizen” 
(Consequence of Sound)

 

La cantautrice, polistrumentista e produttrice franco-israeliana Yael Naïm pubblica oggi, 20 marzo, il nuovo album NightSongs, via Tôt ou tard  e distribuito da Believe.
NightSongs, un album estremamente intimo, libero, quasi etereo, include i singoli ‘How Will I Know’, ‘Shine‘ e ‘She’, a cui si aggiunge oggi il video della live performance di ‘Daddy‘, visibile a questo link.

“A lot of the songs are structured so that they start so we are close to the ear of the listener, almost as if we are whispering things in the dark. Then, suddenly there’s an explosion of music,” spiega Yael. “It’s like moving from pure emotions into the unconscious or a dream-like state where you can fly away somewhere.”.

La perdita del padre Daniel e la nascita del secondo genito sono i temi principali dell’album NightSongs.
Questi due importanti cambiamenti nella sua vita l’hanno condotta verso un nuovo percorso allla scoperta di sè stessa, che ha profondamente modificato il modo di scrivere della cantautrice. I brani, certamente più oscuri e profondi rispetto ai suoi esordi, sono stati interamente scritti, arrangiati e prodotti da Yael. Il risultato è l’album più sorprendente, indifeso e coinvolgente della sua intera carriera.

Dopo il grandissimo successo di “New Soul, volato in cima alle classifiche di Billboard dopo che Steve Jobs lo ha scelto per il lancio del MacBook Air, facendola diventare la prima artista israeliana ad arrivare nella Top Ten americana, e dopo aver vinto diversi premi e riconoscimenti (tra cui Best Female Pop Singer nel 2016) ai Victoires De La Musique – il corrispettivo francese dei Grammy Awards – Yael ha iniziato a scrivere questo album che ha rappresentato un viaggio alla scoperta di sè.
Writing at night, when no one sees you, you can do things that aren’t allowed. I had what I called ‘night feelings’ and songs that I eventually called NightSongs” ha detto spiegando la genesi del disco. “The new album is certainly darker too. But then, I love darkness. Some light can only be heard in the darkness. Some music can only be heard in silence.”

TRACKLIST
1) Daddy – 2)She – 3) How Will I Know – 4) The Sun – 5) Shine – 6) Miettes – 7) Back – 8) My Sweetheart – 9) Familiar – 10) Des trous – 11) Watching You – 12) A Bit Of

 

 

 

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IAMX • L’UNICA DATA ITALIANA SI SPOSTA A OTTOBRE

In ottemperanza ai provvedimenti emanati su scala mondiale per contrastare la diffusione del COVID-19, l’Echo Echo Tour di IAMX si sposta all’autunno 2020. Per annunciarlo, IAMX ha voluto dedicare ai suoi fan un accorato messaggio:

 

Hello lovers,
Obviously it is with a heavy heart that the IAMX acoustic European tour has been rescheduled due to the world as we know it collapsing.
But I’m delighted to announce our management and promoters have worked absolute magic to change all the dates to September – November. It’s done.
This means once the chaos blows over I get a chance to see your beautiful faces and hear your beautiful screams once again.
It’s medicine to me and I will miss it over the next months.
In the in-between please stay safe be vigilant but be calm and I can’t wait to be there with you all on the other side.
– CCX

 

L’unica data italiana non si terrà più giovedì 23 aprile alla Santeria Toscana 31, ma giovedì 22 ottobre allo Spazio Teatro 89, sempre a Milano.

I biglietti già emessi sono validi per accedere al concerto; quelli nuovi sono già disponibili sui circuiti di vendita autorizzati Ticketone e Vivaticket.

 

www.iamxmusic.com

 

IAMX

Echo Echo Tour

 

Giovedì 23 Aprile 2020

Nuova data: Giovedì 22 Ottobre 2020

Milano, Santeria Toscana 31 Nuova venue: Spazio Teatro 89 – via Fratelli Zoia, 89

 

Inizio concerti h. 21:00

 

Posto unico a sedere: € 26,00 + prev. / € 30,00 in cassa la sera del concerto

 

Biglietti disponibili su Ticketone e Vivaticket (online e punti vendita). Diffidate dai canali di vendita non ufficiali!

 

Info: www.barleyarts.com         Tel. +39 02 36751937        FB: @BarleyArts          Instagram: @BarleyArtsReal

BUSH • La rock band multi-platino pubblica il video di “Flowers on a grave” secondo estratto dall’album THE KINGDOM in uscita quest’estate via BMG

La rock band multi-platino pubblica il video di
Flowers on a grave
secondo estratto dall’album THE KINGDOM
in uscita quest’estate via BMG

 

In Italia a giugno per due date da non perdere:

20 giugno – MAGAZZINI GENERALI, MILANO
21 giugno – HALL, PADOVA

Prevendite solo su DICE:
Milano https://link.dice.fm/iy0gZg1Mw4
Padova  https://link.dice.fm/0PqK8KnPw4 

Guarda il video di “Flowers on a grave

 

I BUSH, la rock band inglese multi-platino, svela oggi il video della traccia “Flowers on a grave, contenuta nell’album THE KINGDOM, in uscita quest’estate via BMG.
Il video, diretto da Jesse Davey, è un elettrizzante piano sequenza, visibile a questo link.

Link pre oder album: https://bushband.lnk.to/TheKingdomAlbum

Il singolo, co-prodotto da Erik Ron e lo stesso Rossdale, è stato preceduto dall’inedito “Bullet Holes”, rilasciato a maggio del 2019, singolo contenuto nella colonna sonora del film John Wick 3 – Parabellum, il terzo capitolo della saga action con Keanu Reeves. Il brano, prodotto da Tyler Bates (John Wick 1 &2, Guardians of the Galaxy, Deadpool 2) è stato accompagnato dalla pubblicazione del video, diretto da Jesse Davey, visibile a questo link: https://youtu.be/O33FbbArWjU

La band sarà in tour in Italia con RADAR CONCERTI per presentare il nuovo disco dal vivo per due appuntamenti da non perdere: il 20 giugno ai Magazzini Generali di Milano e il 21 giugno all’Hall di Padova.
Le prevendite sono disponibili solo ed esclusivamente su DICE a questo link:
Milano: https://link.dice.fm/iy0gZg1Mw4
Padova: https://link.dice.fm/0PqK8KnPw4 

Pubblicato nel 1994 e contenente i successi “Glycerine,” “Comedown” and “Machinehead,” l’album dei BUSH Sixteen Stone è stato 6 volte disco di platino ed è stato inserito da Rolling Stone nella lista “1994: The 40 Best Records From Mainstream Alternative’s Greatest Year”.

ABOUT BUSH
With a discography that includes such monumental rock albums as 1994’s 6x platinum-selling SIXTEEN STONE, ’96’s triple-platinum-selling RAZORBLADE SUITCASE and ’99’s platinum-selling THE SCIENCE OF THINGS, BUSH has sold close to 20 million records in the U.S. and Canada alone. They’ve also compiled an amazing string of 18 consecutive Top 40 hit singles on the Modern Rock and Mainstream Rock charts. Eleven of those hit the Top 5, six of which shot to No. 1: “Comedown,” “Glycerine,” “Machinehead,” “Swallowed,” “The Chemicals Between Us” and “The Sound of Winter.” The latter made rock radio history as the first self-released song ever to hit No. 1 at Alternative Radio, where it spent 6 weeks perched atop the chart’s top spot. The song appeared on 2011’s “comeback album,” THE SEA OF MEMORIES, which was BUSH’s first studio album in ten years. That year Billboard ran a story about the band under the headline, “Like They Never Left” – a fitting title as the multi-platinum quartet (vocalist/songwriter/guitarist Gavin Rossdale, guitarist Chris Traynor, drummer Robin Goodridge and bassist Corey Britz) promptly picked up where they left off.  They’ve continued to dominate rock radio and play sold-out shows to audiences around the world ever since. The band is currently working on the follow-up to 2017’s Black And White Rainbows, which People magazine hailed as “a triumphant return.”

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MAVI PHOENIX • 12 Inches è il nuovo video che anticipa il debut album BOYS TOYS, in uscita il 3 aprile via LTT Records

12 Inches è il nuovo video
che anticipa il debut album BOYS TOYS,
in uscita il 3 aprile via LTT Records

Guarda “12 Inches” e lavati le mani con MAVI: youtu.be/vAYVSpCuWIo

Pre-order: https://www.hhv.de/shop/en/item/mavi-phoenix-boys-toys-717113

 

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12 Inches è il nuovo video che anticipa il l debut album BOYS TOYS, fuori il 3 aprile per LTT Records.

Guarda il video e lavati le mani con Mavi: https://youtu.be/F7qLrVkiWEs

 

I concept album sono diventati sempre più rari negli ultimi anni. Un disco con una trama continua è già di suo un’affermazione. Non è solo una serie di hit, c’è qualcosa in più su cui discutere, e Mavi Phoenix ha tanto da dire.

“Mavi remains Mavi because Mavi has always been Mavi” afferma un commento su YouTube comparso sotto il video di “Bullet In My Heart” dello scorso luglio, nel quale l’artista austriaco ha parlato della sua disforia di genere per la prima volta. È stato il primo singolo ad anticipare un debut album basato sul concept artistico della ricerca di sè stesso da parte di Mavi Phoenix.

“I’m a trans guy. I go by he/him now. I’m not on testosteron (yet). My artist name stays Mavi Phoenix, as Mavi is both a girls and boys name (which was important to me when i chose it years ago). I lost over 500 followers after coming out as trans and I couldn’t care less. it’s 2020 and it’s all about that new energy I got a fucking album coming out 😊😊😊
Mavi Phoenix

Boys Toys non è solo il titolo dell’album e del secondo singolo a essere pubblicato, è anche il nome di una persona fanciullesca che accompagna Mavi attraverso le dodici canzoni. Boys Toys è un personaggio creato spontaneamente in studio con una voce alienata, che ci rivela i suoi “Scary Thoughts” e che aspetta con ansia il “Weekend”, o che si sente meglio con l’esperienza di solidarietà che sente intonando insieme un inno (“Who I Am”).

 

 

ReCover #6 – The Velvet Underground “The Velvet Underground & Nico”

• La banana sospesa nel tempo •

 

“È solo l’ennesima provocazione”.

Queste sono le parole di chi cerca una logica nell’opera dell’artista contemporaneo, e anche di chi rimanendone spiazzato rimpiange i bei tempi dell’arte contemplativa, quella “vera”.

Perché qua si tratta solo di una banana decontestualizzata e c’è sempre qualcuno che ripete con sdegno “lo so fare anch’io”.

Un attimo, ma di quale banana sto parlando esattamente? 

Beh, liberi di scegliere il soggetto, visto che nonostante siano passati più di 50 anni il dibattito si ripropone sempre uguale a se stesso.

Lo scorso dicembre Maurizio Cattelan ha esposto Comedian su una parete dello stand di Emmanuel Perrotin ad Art Basel Miami Beach, ovvero un’installazione costituita da una banana incollata alla parete con del nastro adesivo.

Nel marzo del 1967 The Velvet Underground debuttarono con The Velvet Underground & Nico che sarà ricordato come il “banana album” proprio per la sua iconica cover realizzata da Andy Warhol. 

L’album non fu un gran successo al momento dell’uscita, ma si guadagnò un posto nella storia col tempo, e i Velvet Underground furono d’ispirazione per la nascita di generi come il punk, l’alternative rock, la new wave, il noise rock, e molti altri ancora.

Testi irriverenti, tematiche scandalose per l’epoca e le sonorità ben lontane da ciò che si trovava in cima alle classifiche: uno spirito provocatorio che ben si concilia con la cover creata da Warhol, che nelle prime copie in edizione limitata presentava una banana adesiva che poteva essere sbucciata veramente, come invita a fare la scritta “peel slowly and see”, rivelando una banana rosa poco equivocabile.

Purtroppo come spesso succede nei progetti più ambiziosi i costi erano eccessivi, per cui solo i più fortunati possono vantarsi di poter veramente interagire con l’artwork.

È curioso come il re della Pop Art abbia prodotto una band underground, e proprio come con qualsiasi altra sua opera d’arte si sia limitato a metterci una firma sopra, intervenendo il mimino indispensabile: è proprio grazie a questa libertà che il gruppo poté esprimersi appieno, e godere della visibilità data dal proprio mecenate.

Dunque abbiamo un frutto che viaggia nella storia dell’arte, diventa un pezzo d’immaginario collettivo, icona pop, rimando palese ad un tabù e quindi trait d’union fra cultura bassa e alta: un significante estremamente ricco di significati insomma, rivisitato nel corso della storia dell’arte da Botero e De Chirico, per citarne alcuni, e come abbiamo visto il mese scorso particolare folle aggiunto all’illustrazione di Grandville nella copertina di Innuendo dei Queen.

Warhol e Cattelan hanno in comune alcune caratteristiche: entrambi giocano con gli strumenti forniti dai mass media, e sono perfettamente consapevoli della percezione che ne hanno le persone.

Entrambi icone pop che in quanto tali mettono in crisi i concetti stereotipati di arte e artista, proponendo al mercato dell’arte opere che chiunque può trovare al supermercato, e fondendo insieme l’idea di merce con quella di opera.

Entrambi considerati da molti quanto di più lontano e superficiale ci possa essere nel mondo dell’arte, ma entrambi specchio della contemporaneità ed esponenti di un nichilismo totalizzante.

Opere d’arte, esseri viventi, oggetti d’uso comune, animali in tassidermia: tutti simulacri senza referente, tutti allo stesso livello, tutti sospesi nel tempo grazie all’Arte.

È difficile guardarsi allo specchio ed essere sinceri con se stessi, ed è proprio questo che fa la Pop Art: ci descrive senza mezzi termini o censure.

Ma, chi più chi meno, cerchiamo di proteggerci da questo ritratto troppo schietto da digerire, troppo vuoto e senza un fine ultimo. La dismorfofobia è una brutta bestia.

Molto più semplice crearci sopra dei meme, ironizzare sull’assurdità dell’intera vicenda, fuggire dal disagio latente che ci provoca per poi accendere la TV o qualsiasi social, e farci tutti insieme una bella risata: qualcuno su cui ridere si trova sempre, ci fa sentire migliori di quanto sappiamo di non essere realmente.

O come ha fatto l’artista David Datuna, diventato un “meme nel meme”, che ha dato sfogo al desiderio di molti nel mangiare la banana da 120.000 dollari di Cattelan in quella che ha definito una performance artistica, Hungry Artist.

D’altronde si riduce sempre ad una dimostrazione di potere, no?

 

velvet underground recover

 

Cinzia Moriana Veccia

Comunicato stampa RACCOLTA FONDI: la musica difende lo Spallanzani!

HELLFIRE BOOKING
PRESENTA

LA RACCOLTA FONDI 
“CORONAVIRUS: LA MUSICA DIFENDE LO SPALLANZANI”

LANCIATA A FAVORE DELL’ISTITUTO NAZIONALE MALATTIE INFETTIVE LAZZARO SPALLANZANI DI ROMA, IN SUPPORTO ALLA SUA BATTAGLIA CONTRO IL COVID-19

In questo periodo di profonda angoscia ed incertezza, l’umanità è la cosa più importante che abbiamo. Per questo Hellfire Booking Agency si schiera a sostegno dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive «Lazzaro Spallanzani», dei suoi collaboratori, tecnici, medici, infermieri, che stanno lavorando ininterrottamente, sacrificio dopo sacrificio, per proteggere e curare noi e i nostri cari, scrivendo in prima persona il futuro dell’intera nazione.

Con i complimenti più sentiti del team medico cinese atterrato a Roma pochi giorni fa, l’Istituto Spallanzani ha sempre lottato in prima linea per garantire ad ogni malato le cure e le attenzioni di cui aveva bisogno, ma non può affrontare questa emergenza da solo.

Rocker, metallari, punk, rapper: sosteniamo uno degli istituti per malattie infettive più importanti del Paese nella sua battaglia contro il virus.

Con ogni nostra donazione, aiuteremo lo Spallanzani ad acquistare apparecchiature cliniche diagnostiche necessarie per agevolare le cure dei pazienti e strumenti essenziali per gli operatori, facilitando il loro lavoro e migliorando la qualità di vita d’innumerevoli malati, così come aiuteremo a disinfettare gli ambienti e prevenire i contagi, facilitare trasporti e smaltimenti e, ancora più chiave, riqualificare strutture e protocolli per aiutare quanti più pazienti possibile.

Spettatori, musicisti, fotografi, promoter, tecnici, distributori, rider, agenti: è un momento difficile per tutti noi, ma non perdiamoci d’animo.

Ogni donazione fa una differenza.

Uniamoci e facciamo sì che sia quella buona.

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