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Sospensione causa virus: il lockdown dei Protomartyr

Sospensione causa virus: il lockdown dei Protomartyr

| Francesca Garattoni

I Protomartyr sono quattro, sono di Detroit, si sono formati nel 2008, suonano un viscerale post punk e con il loro Relatives In Descent del 2017 hanno riscosso unanimi consensi dalle principali riviste e siti musicali americani ed europei. In uscita in questi giorni, ritardata causa Covid, il loro ultimo attesissimo disco, Ultimate Success Today, che con ogni probabilità riscuoterà ancor più gradimento. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il cantante, Joe Casey, per capirne qualcosa di più e sentire come si sopravvive chiusi in casa quando si sarebbe dovuti essere in pieno tour mondiale.

 

Ciao Joe, grazie per la tua disponibilità. Innanzitutto come stai?

“Beh, mi sono appena svegliato, quindi bene!”

 

Beato te! Ascolta, qui in Italia le cose stanno lentamente tornando alla normalità, lentamente… Si inizia ad organizzare qualche concerto, in luoghi piccoli, distanziamenti, mille accorgimenti e via dicendo. Coi Protomartyr avete dovuto posticipare l’uscita del disco che era prevista per maggio, sareste dovuti essere in tour proprio in questi mesi, quindi ti chiedo: come hai passato questo periodo? Hai ascoltato qualcosa di nuovo? Hai guardato film? Ti sei messo a scrivere?

“In tutta sincerità non ho fatto davvero niente di che in questo periodo… Proprio oggi (3 luglio, NdA) i nostri amici Cloud Nothing hanno pubblicato il disco nuovo, che hanno registrato durante la quarantena e che mi fa davvero incazzare perché a me non è venuta nessuna scintilla (creativa). Questo periodo mi ha ricordato di come vivessi prima di essere in una band, e non è stato il periodo migliore della mia vita diciamo… sto ingrassando di nuovo, guardo robaccia in TV, non riesco a leggere perché proprio non riesco a concentrarmi… non si tratta di un momento particolarmente creativo per la band, ecco. Sfortunatamente viviamo in America, e l’America non pare aver ancora capito come convivere e ridurre questo contagio, e francamente sono preoccupato perché non so quando potremo di nuovo suonare in giro…”

 

Ma sei a Detroit al momento? Perché alcuni amici in America mi dicono che la situazione cambia radicalmente da zona a zona…

“Sì, sono a Detroit ma il virus ha colpito in maniera molto più violenta proprio la parte di città nella quale vivo io. Per dire il più giovane decesso per Covid d’America viveva accanto a casa mia. Per un periodo la gente ha fatto quello che doveva, ma adesso hanno ricominciato a girare di nuovo senza mascherine e quindi non so che pensare… Poi, non so se da voi sia uguale ma qui i concerti saranno l’ultima cosa che permetteranno, quindi mi auguro sarà possibile tornare in tour nel 2021.”

 

Beh, lo speriamo tutti davvero, abbiamo tutti un gran bisogno di tornare sotto ad un palco. Ad ogni modo, parliamo di questo nuovo lavoro, Ultimate Success Today; l’ho ascoltato e riascoltato diverse volte in questo periodo e temo sia addirittura meglio di Relatives in Descent. Complimenti davvero. Possiamo dire che questo disco rappresenti una sorta di continuazione di Relatives ed anche dell’ultimo EP, Consolation?

“Allora, intanto grazie mille, sono contento ti sia piaciuto. Ti dirò, a livello di scrittura è stato direi grossomodo simile, ovvero Gregg (Ahee, chitarra) e gli altri realizzavano il pezzo e alla fine io ci mettevo sopra il testo. Ciò che è cambiato è stato che Gregg ha avuto il tempo per dire “ok, in questa canzone credo ci stiano bene gli archi, o su quest’altra il sassofono”, quindi rispetto al passato non potevi sapere come sarebbe stata la canzone finita fino all’ultimissimo secondo. Io personalmente non scrivo mai i testi fino a che non ascolto la canzone chiusa, finita, e non so quindi come mi fa sentire, cosa mi suscita. Per certi versi direi che mi ha ricordato un po’ quando registrammo il nostro primo disco.”

 

In effetti ho trovato semplicemente fantastico l’uso, l’introduzione del sax e del clarinetto, penso a Processed By The Boys o a Tranquilizer. Dicevi che l’idea è stata di Gregg ma pensi che la cosa possa avere un futuro, che possa diventare un’evoluzione nel suono dei Protomartyr o la possiamo considerare una parentesi, assai felice a mio avviso?

“L’idea è tutta di Gregg, sì, e principalmente perchè credo iniziasse ad essere un pò nauseato dal suono della band e dal dover incidere cinque o sei chitarre ogni volta e credo sia il motivo per cui ha deciso di esplorare nuove strutture, anche perchè ultimamente stava ascoltando un sacco di jazz. Personalmente sarei davvero entusiasta se il suono dei Protomartyr potesse espandersi in futuro ancora in maniera più marcata.”

 

Credi sia corretto sostenere che Ultimate Success Today rappresenti una sorta di continuazione di Relatives in Descent e dell’EP Consolation?

“Direi di sì. Consolation in realtà è più una collaborazione con Kelley (Deal, ex The Breeders) che ci è servita molto in quanto ci ha mostrato come accrescere, arricchire il nostro suono e che ci ha mostrato che inserire un oboe nel mezzo di una nostra canzone non era di per sè una brutta idea. Dal punto di vista dei testi c’è sicuramente una continuità. Se prendi il brano finale di Relatives, Half Sister, termina con le parole “She is trying to reach you / Trying to reach you”. Il primo brano di Ultimate recita “I could not be reached”. Quindi direi che i due lavori sono strettamente collegati.”

 

E tra le tracce, esiste un comune denominatore? Che so, un’immagine, una parola?

“Vedi, è strano perchè solitamente capisco, scopro di cosa parla davvero un disco quando sono in tour, ripetendo i versi ogni sera, ed è una cosa che non abbiamo ancora potuto fare con questo disco. Il titolo del disco è nato molto presto in effetti, perchè volevo spostare l’attenzione sull’ora, sul momento, “today is the day”. Passiamo troppo tempo a pensare a come sarà il futuro o a com’è stato il passato. Probabilmente è questo il trait d’union.”

 

Una curiosità. Conosci il detto “squadra che vince non si cambia”, che in inglese suona tipo “you never change a winning team”. Possiamo dire che nel vostro caso non funzioni proprio così? Mi spiego, ho notato che cambiate produttore ad ogni disco, e se penso che ci sono band che registrano con lo stesso team per tutta la loro carriera non posso non pormi la domanda…

“Credo che la cosa proceda di pari passo alla nostra voglia di sperimentare continuamente e non fossilizzarci. In realtà abbiamo lavorato con lo stesso produttore per il secondo e il terzo album ed in entrambi i casi probabilmente non siamo riusciti ad avere un pieno controllo ed una piena gestione del tutto, quindi ci siamo detti proviamo a lavorare con gente nuova, vediamo cosa possono portarci, in aggiunta. Anche con Sonny DiPerri (produttore di Relatives in Descent) abbiamo passato dei momenti fantastici, ma poi hai sempre voglia di vedere se c’è qualcuno in grado di portare il tuo suono ad un livello diverso e che sia disposto ad assecondarti. Di sicuro non ci piacciono troppo i produttori che tengono troppo le redini, “and no assholes””

 

protomartyr cover

 

Joe, volevo chiederti questo adesso, perchè è una cosa che ho notato l’altro giorno e mi son detto “non può essere un caso”. Tutte le copertine dei vostri dischi sono primi piani…

“Beh, per il primo disco c’era questo flyer che avevo fatto per un concerto e lo abbiamo usato perchè ci stava bene. Arriva il secondo e “oh shit” dobbiamo pensare ad una nuova copertina così ne ho preso un altro. Poi però mi son detto che volevo assolutamente che questa cosa continuasse e ti dirò che questo aspetto di curare e pensare all’artwork mi dà gratificazione e gioia tanto quanto registrare i brani. Anche se cerco sempre di non creare copertine troppo potenti, che rischino di schiacciare il disco. Credo però che se ascolti per diverse volte il nostro disco, alla lunga tu riesca davvero ad immaginarti quel mulo”.

 

Mi pare di capire che come band vi piaccia essere coinvolti e attivi non solo per quanto concerne la musica in sè, ma anche come si diceva con le copertine o con i video. Ne avete fatti di splendidi e sembra che ci diate davvero un grande peso.

“Fino a qualche anno fa era semplicemente un problema di soldi, nel farli o meno. Adesso che possiamo curare anche questo aspetto le cose si son fatte davvero eccitanti e ultimamente davvero interessanti. A parte il video di Processed By The Boys (ambientato in un coloratissimo set di uno scadente show brasiliano, merita di essere visto…), gli altri due (Worm In Heaven e Michigan Hammers) sono stati fatti durante il lockdown e quindi abbiamo dovuto essere in un certo senso più creativi. Spesso ho sempre ben chiaro in mente come vorrei venisse fatto un video, l’idea di fondo, ma a volte è bello lasciare anche carta bianca al regista e vedere quale idea gli suscita un determinato brano e scoprire che è totalmente distante da come lo immaginavi o l’avevi pensata tu. In realtà adesso abbiamo in progetto di fare un video per ogni brano del disco; è piuttosto dura da realizzare, soprattutto in questi tempi, ma ci stiamo provando”.

 

 

Parliamo un attimo dei vostri concerti. Stefano Solventi, una delle maggiori penne musicali in Italia, raccontando un vostro live di un paio di anni fa, introduce un interessante concetto di quarta parete, quella che separa il palco dalla platea, e dei vostri concerti usa l’espressione “teatro rock”. Sappiamo che ad un vostro live non ti vedremo mai fare stage diving, rotolare, saltare ed altre attitudini da rocker? Credi che abbia centrato il punto? Perchè personalmente non vi ho ancora visti dal vivo, però credo sarei un pubblico perfetto in quanto non canto, raramente batto le mani, non sono molto attivo ecco (risa diffuse).

“Allora, quando salgo sul palco solitamente sono estremamente nervoso. Ad ogni modo la cosa che più di tutte voglio evitare e che vedo costantemente accadere specialmente a band molto più grosse di noi, è che le stesse esatte cose da intrattenitori accadono non dico il 100% delle volte ma quasi, ogni sera, ad ogni concerto, in maniera quasi seriale. Quindi è l’esatto opposto del concetto di vivere ed immergersi nell’istante. Cioè ogni volta, in quel preciso istante di quella canzone, io cantante sento la necessità di dovermi sdraiare in mezzo al palco… Personalmente non mi piace vedere band che esagerano con gli atteggiamenti e replicare la stessa cosa, nello stesso momento, l’indomani in un’altra città. Mi sembra una grande commedia, una finzione. Se la canzone mi fa stare in piedi completamente immobile scelgo di rimanere in piedi, completamente immobile, capisci? Non voglio costringermi a dover replicare le stesse scenette ad ogni sera. Mi sembra quasi di insultare il pubblico, di essere irrispettoso. Quando vedevo concerti con frequenza non sopportavo quando qualcuno dal palco saltava giù, quindi perchè dovrei farlo io adesso… Rispetto gli spazi personali (risate sparse)…”

 

Ok, ultima domanda e poi ti lascio. Rispondi solo se vuoi: cosa credi accadrà in Novembre negli Stati Uniti?

“In Novembre? Ah le elezioni! Non ne ho idea! E tutto ciò mi terrorizza perchè vedi, negli ultimi quattro anni, ogni giorno mi sveglio e accendo il telefono e le notizie sono sempre più ridicole, orribilmente divertenti. Quindi non so, davvero. Ma sono terribilmente preoccupato”.

 

Direi che siamo a posto Joe, non ti rubo altro tempo. Grazie mille. Di cuore.

“Grazie a te. A proposito, dimmi dove abiti, che vediamo di venire a suonare dalle tue parti la prossima volta!”

 

Perfetto. Una bella data nel ridente nord-est e con l’occasione vi invito anche a cena allora.

 

Alberto Adustini