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Mese: Dicembre 2020

VEZ 2020: riflessioni di fine anno

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Il 2020 è stato un anno difficile per l’industria musicale: il Covid-19 ha condizionato la nostra vita da qualsiasi punto di vista.

Questo si prospettava un anno dalle grandi emozioni: doveva essere l’anno dei Pearl Jam a Imola, quello del gran ritorno dei Deftones a Bologna, sicuramente quello del ritorno del Boss Bruce Springsteen in Italia, i soliti grandi festival nazionali ed internazionali con nomi da leccarsi i baffi, invece è saltato tutto. Annullato e Riprogrammato sono state le due parole affiancate a quelli degli eventi. Sopravvivere e Reinventarsi invece sono state quelle cucite addosso agli addetti ai lavori, band e anche ai magazine di musica.

VEZ Magazine è nato principalmente come magazine fotografico ed è sempre contata tantissimo la qualità delle nostre immagini: negli anni passati quindi si è data sempre più importanza ai fotografi di live e ai loro contenuti, anche perché quasi ogni giorno c’erano concerti, eventi e materiale per galleries fotografiche.
A Marzo, quando abbiamo capito come si sarebbero messe le cose, non ci siamo dati per vinti e, sostenuti dai nostri giornalisti che si sono rimboccati le maniche, abbiamo spostato l’attenzione sui contenuti scritti per cercare di mantenere comunque vivo il magazine e continuare ad offrire la qualità a cui i nostri lettori sono stati abituati.
Alberto Adustini, Andrea Riscossa, Francesca Di Salvatore, Marta Annesi – il nostro quartetto delle meraviglie – insieme agli altri giornalisti, sono diventati i punti fermi di VEZ: grazie ai loro articoli, alle loro recensioni ed interviste, infatti, abbiamo comunque potuto apprezzare il meglio che questo 2020 poteva offrirci musicalmente parlando, in attesa di poter tornare sotto al palco ad imprimere in parole ed immagini le emozioni dei live.

Con l’avvicinarsi della fine di questo 2020 bisesto e decisamente funesto, abbiamo guardato indietro e per cercare di ricordarci com’era la musica prima della pandemia abbiamo fatto una selezione delle migliori immagini dei nostri fotografi, che fino a quando hanno potuto, si sono lanciati sotto palco ad immortalare i vostri cantanti preferiti.

Luca Ortolani

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Dall’alto, da sinistra a destra, foto di:

Editors – Elisa Hassert
Pubblico – Simone Asciutti
Max Gazzè – Siddharta Mancini
Melanie Martinez – Maria Laura Arturi
Soviet Soviet – Siddharta Mancini
Gazebo Penguins – Simone Asciutti
Big Thief – Francesca Garattoni
Zebrahead e pubblico – Luca Ortolani
Niccolò Fabi – Simone Margiotta
The Comet Is Coming – Siddharta Mancini
Kaiser Chiefs – Elisa Hassert
Gio Evan – Luca Ortolani
The Maine – Luca Ortolani
Milky Chance – Annalisa Fasano
Francesca Michielin – Luca Ortolani
Mecna – Alessandra Cavicchi
Calibro 35 – Isabella Monti[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

VEZ5_2020: Marta Musincanta

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Rispondo contenta all’invito di VEZ Magazine di presentare la mia classifica musicale 2020 con cinque dischi da me preferiti o da evidenziare.

Parto dalla mia personale convinzione che le classifiche, per quanto io ami i numeri, sono uno strumento massacrante per qualunque brava persona, redattore da una parte e artista dall’altro. Quindi, questi cinque li pongo allo stesso livello, al pari dell’importanza di tutte le cinque dita in una mano.

Piace l’idea? Mi acconsento da sola e vado avanti. Dunque…

 

Pottery “Welcome to Bobby’s Motel”

Pottery chi? Cercateli. In periodo di immobilità Covid, questa giovane band canadese ci trascina nel ritmo tra atmosfere funky, new wave e deviazioni artistiche varie nell’hotel surreale di Bobby, personaggio dalle mille personalità. Mi piacerebbe andare in quell’hotel per un 24h Party People con i Pottery, mentre ad un certo punto spunta la famiglia Simpson al completo e in un angolino David Byrne e lo trascino a ballare tutti assieme.

Traccia da non perdere: Texas Drums Pt I & II

 

Deftones “Ohms”

È come quando non senti un carissimo amico da tanto tempo e poi, appena dice “Pronto?” ci si ritrova subito a fare una lunga chiacchierata telefonica, azzerando ogni distanza. Chino Moreno è la voce di quel vecchio amico il cui nome è Deftones, con il suo carattere un po’ rabbioso, un po’ melanconico, in quanto mai superficiale. Quindi scatta l’abbraccio, con le orecchie e con il cuore “Sei sempre lo stesso, Def!”.

Traccia da non perdere: This Link Is Dead

 

Idles “Ultra Mono”

Immagino che gli Idles sul palco siano entropia. Purtroppo non li ho ancora visti live, per cui forse mi racconto una favola, in cui i membri della band appaiono come tanti anti-eroi. Sfacciatamente diretti nei testi pregni degli orrori e conflitti scaricati dalla politica sulla società, non evitano anche di esprimersi in quanto individui bisognosi di sentimenti. Adottiamo un Idle.

Traccia da non perdere: GROUNDS

 

Thurston Moore “By the Fire”

Questo gigantesco uomo con la chitarra si sdoppia, poi si sdoppia ancora e infine si risdoppia. Questo album contiene diverse meraviglie, eco dei migliori Sonic Youth e brani con la spiccata sperimentazione nel mondo attuale di Thurston Moore. La sua chitarra cerca la sua chitarra, combatte contro se stessa, poi vince la battaglia ma l’altra battaglia la vince l’altra (sempre) sua chitarra. Ne resterà solo una. O uno.

Traccia da non perdere: Cantaloupe

 

A.A.V.V. “Angelheaded Hipster. The Songs of Marc Bolan”

Cosa succede qui. Avviene una storia vera. Succede che un signore molto noto nella scena musicale mondiale di nome Hal Willner grande produttore, come ad esempio di dischi di Lou Reed e Leonard Cohen, oltre ad essere anche ideatore di progetti one-shot accorpando dei combo artistici inediti, mette in piedi qualche anno fa e conclude questo complesso progetto discografico omaggio a Marc Bolan, Angelheaded Hipster. L’elenco degli artisti da lui coinvolti è corposo. Troviamo Marc Almond, Devendra Banhart, Nick Cave (la “sua” Cosmic Dancer è sublime <3 ), Perry Farrell, Joan Jett, David Johansen, Father John Misty, Beth Orton, U2 con Elton John, Julian e Sean Lennon e molti, molti altri. Al momento della presentazione ufficiale, il Covid porta via Willner nel giro di pochi giorni. Siamo a New York in questo aprile 2020. Racchiude tanti contenuti questo album, l’arte si forma e si trasforma anche prolungando la vita artistica, come nel caso di quella di Bolan, innestandosi nella vita di altri. Ma la vita si manifesta decisiva autonomamente, dimostrandocelo con la sua bruciante imprevedibilità.

Traccia da non perdere: Cosmic Dancer

 

Marta Musincanta

 

Marta Ileana Tomasicchio, parallelamente alla sua professione, per passione si è sempre impegnata su più fronti per promuovere e divulgare cultura musicale nell’ambito del rock e musica d’autore sul territorio riminese. ‘Smiting Festival’ è il festival nazionale della cultura non convenzionale da lei curato. Ideatrice della rassegna musicale ‘JustFor1Day’, è anche tra gli organizzatori del ‘Cold Fest’. Tra le produzioni, autrice anche dei due spettacoli teatrali “Ballate di amore e follia: viaggio tra le Murder Ballads di Nick Cave” e “A Kid A -il cambiamento nella visione dei Radiohead”. Conduce la trasmissione radiofonica “Musincanta” in onda su Radio Icaro a Rimini 92 FM e su Radio Talpa di Cattolica. È stata la prima dj selector al femminile nei rock club in Romagna tra il Santa Monica Boulevard, Kantiere, Caffescuro e Velvet. L’impegno è alimentato dalla volontà di far conoscere e divulgare Musica estranea alle logiche commerciali.

VEZ5_2020: Andrea Riscossa

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Pearl Jam “Gigaton”

Non il loro miglior album, sia chiaro. Ma mentre il mondo si chiudeva su se stesso, implodendo in dati giornalieri, zone rosse, lockdown e autocertificazioni, il 27 marzo, in giorni sempre più difficili, trovavo un appiglio solido e familiare nell’ultimo lavoro dei Pearl Jam.
È la mia wild card per quest’anno. Li salverò, sempre. Quantomeno per restituire il favore.

Traccia da non perdere: Dance of the Clairvoyants

 

Fiona Apple “Fetch the Bolt Cutters”

Si rivede la luce a metà aprile, a maggio riavremo parte delle nostre libertà. Il 17 esce un album sorprendente, mio personal rimpianto per non averlo recensito. Però l’ho divorato. Entrare in casa Apple, con un folletto che canta dello spirito del tempo usando pianoforte, tavoli e isterie. E poi la voce di Fiona è strumento, è espressione, è emozione. Che album.

Traccia da non perdere: I Want You to Love Me

 

Fontaines D.C. “A Hero’s Death”

Il primo ascolto l’ho ritardato. Lo volevo solitario, in un luogo solitario, su un isola solitaria. E il 6 agosto ce l’ho fatta. E nonostante l’estate, nonostante il luogo magico, il disco dei ragazzi di Dublino va preso a stomaco vuoto, e con la giusta dose di tempo per digerirlo. E’ un viaggio oscuro, con lucine sparse verso la fine, ma rispecchia perfettamente la sinusoide dell’umore del 2020.

Traccia da non perdere: A Hero’s Death

 

Idles “Ultra Mono”

25 settembre. Il mondo forse ce la fa, io forse pure, e mi esce un disco che è uno scanzonato vaffanculo al mondo, cantato lanciando peli e amore sulla folla sottostante.
La faccio breve e mi cito: gli Idles sono “post” tutto. Post punk, post rock, post dress code, post etiquette, post igiene intima, post melodici. Eppure.
43 minuti ben spesi 

Traccia da non perdere: MR. MOTIVATOR

 

Bruce Springsteen “Letter to You”

È stato come prendere un’ultima boccata di aria, poco prima di una seconda apnea. Il 23 ottobre arriva la lettera di zio Bruce, che è un messaggio di salvezza ma soprattutto di speranza. E, a sentirlo bene, un signor disco con la E Street Band. È un racconto di tempi andati, di persone che non ci sono più, di momenti che sono diventati ricordi e poi, per nostra fortuna, musica. Ma potevo chiedere di meglio?

Traccia da non perdere: Janey Needs a Shooter

 

Honorable mentions 

Bob Dylan “Rough and Rowdy Ways”. Devo veramente spiegare perchè?

Phoebe Bridgers  “Punisher”. Delicatamente a fuoco.

Mark Lanegan “Straight Songs of Sorrow”. Un disco che fa sembrare il 2020 gaio. E quindi vince lui.

Chris Cornell “No One Sings Like You Anymore”. Ok, seconda wild card.

Viadellironia “Le Radici sul Soffitto”. Quota italiana. Sono giovani, sono intelligenti, prodotte dalla casa madre di Elio.

Stone Temple Pilots “Perdida” Acustico struggente.

 

Andrea Riscossa

VEZ5_2020: Simone Ferrara

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Sault “Untitled (Black Is)”, “Untitled (Rise)”

Coloro che hanno rappresentato di più il 2020 per me, punto.

Traccia da non perdere: Free

https://www.youtube.com/watch?v=QDGkmk23DDY

 

Howling “Colure”

Calde pulsazioni nervose in quest’anno allucinante.

Traccia da non perdere: Healing

 

Sufjan Stevens “The Ascension”

Se non ci si aspettava un disco elettronico da lui, beh è arrivato! 

Traccia da non perdere: Ursa Major

 

Damien Jurado “What’s New, Tomboy?”

Il “ritorno a casa” della vita. Quest’anno soprattutto.

Traccia da non perdere: Birds Tricked into the Trees

 

FONTAINES D.C. “A Hero’s Death”

Il disco “rock” ma soprattutto post punk del 2020.

Traccia da non perdere: Televised Mind

 

Honorable mentions

Caribou “Suddenly”

Architectural “Reprises”

Run The Jewels “RTJ4”

Fleet Foxes “Shore”

Big Blood “Do You Wanna Have a Skeleton Dream”

 

Simone Ferrara

 

Simone Ferrara, classe 1980, nel 2003 da vita a Stereo:Fonica, prima un festival di 3 edizioni 2003/04/05 a Villa Torlonia nel proprio paese d’origine, San Mauro Pascoli, dove veniva organizzata una programmazione musicale ed artistica con live band italiane e straniere, artisti, mostre, degustazioni e dj set. Da questo festival poi Simone continua la propria attività di promoter in ambito musicale, organizzazione di live ed eventi, e dj set nei club e festival della Romagna. Dal Velvet e Grottarossa di Rimini all’Officina49 (gran parte dei live organizzati) a Cesena. In oltre 12 anni di attività con Stereo:Fonica (2003-20015), ha partecipato sia nella parte produttiva che promozionale degli eventi e festival, presentando nel territorio romagnolo nomi e band del sottobosco indie, elettronico, psych rock e sperimentale, sia italiano che internazionale. DJ resident attualmente a Sammaurock festival. Ha collaborato negli anni con Officina 49 a Cesena, Velvet Club a Rimini, Bronson e Hana Bi a Ravenna, Assalti al Cuore festival, Sidro Club a Savignano, Treesessanta a Gambettola, Diagonal a Forlì. Locomotiv Bologna, Retro Pop Live e Acieloaperto festival, Tafuzzy Days a Riccione, Rocca Malatestiana a Cesena.

VEZ5_2020: Isabella Monti

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Funk Shui Project & Davide Shorty “La Soluzione Reboot”

Un giorno di metà giugno apro Spotify per ascoltare La Soluzione, uno dei miei album preferiti del 2019, clicco play e mi rendo conto che qualcosa è cambiato.
Le tracce, di cui conoscevo a memoria ogni passaggio, erano state rimaneggiate, ricostruite, cambiate, arricchite. Insonnia (una delle mie preferite), letteralmente eliminata dalla tracklist. Il collettivo di musicisti torinesi, ad oggi, capitanato dal mio adorato Davide Shorty, ha premuto start > riavvio sull’album precedentemente pubblicato, un vero e proprio ‘reboot’.
Non riconosco le tracce > storco il naso > ascolto meglio > storco il naso > me ne innamoro ancora di più.  Musicalmente eccezionale, vocalmente vero e con una re-interpretazione a base di quarantene e asocialità.
Dopo le glorie degli anni ’90, il collettivo Funk Shui rappresenta un faro di speranza per chi, come me, non può vivere senza funksoul e hip hop all’italiana, quelli veri. 

Traccia da non perdere: Solo con me ft. Johnny Marsiglia

 

Lianne La Havas “Lianne La Havas”

Prince (sigh!) la amava. E come dargli torto. L’algoritmo di Spotify me la propone in pieno lockdown e fa totalmente centro. A 5 anni dall’album della più conosciuta Green & Gold, la cantautrice greco-giamaicana torna a scalare le classifiche britanniche con l’album omonimo Lianne La Havas e il suo sorriso, che già dice tutto.
Si è divertita, è cresciuta, si è trasformata e si sente in tutto l’album. Quando parte la dolce amara Bittersweet dopo una giornata di lavoro impegnativa, il gin tonic delle 19 acquista tutto un altro sapore.

Traccia da non perdere: un avvolgente e travolgente rifacimento di Weird Fishes

 

Calibro 35 “Momentum”

In un anno da dimenticare – anche dal punto di vista della musica live – mi ritengo fortunatissima ad aver potuto assistere (e fotografare!) per ben due volte ad un concerto dei Calibro 35, il primo al Locomotiv di Bologna a febbraio, il secondo alla Rocca Malatestiana di Cesena per Acieloaperto, ad agosto.
Dentro a Momentum c’è tutto. Il funk, il jazz, l’hip hop, la colonna sonora degli inseguimenti polizieschi; c’è la classe di musicisti con la M maiuscola. 

Traccia da non perdere: Fail It Till You Make It / 4×4

 

Jordan Rakei “Origin” (Deluxe Edition)

Un grazie enorme alla clausura forzata e un altro sempre all’algoritmo di Spotify, perché mi hanno permesso di conoscere Jordan Rakei con questo album dalla produzione eccezionale.
Nulla da invidiare a Cloak e Wallflower dopo l’uscita nel 2019 per Ninja Tune, Origin viene ripubblicato in Deluxe Edition a marzo 2020 con l’aggiunta di 10 nuove tracce, tra inediti, live version di alcuni pezzi e collaborazioni importanti come quella con Common nel rifacimento di Signs. Groove come se piovesse. 

Traccia da non perdere: Borderline

 

Tom Misch & Yussef Dayes “What Kinda Music”

Dopo essermi letteralmente innamorata della sua versione di Midnight Mischief di Jordan Rakei, decido di approfondire la nuova fatica di questo giovane chitarrista e producer londinese. Nu soul, progressioni jazz, dinamiche fusion, r’n’b accattivante. Tom Misch, strabilia con un album caldo e intrigante, da godere tutto d’un fiato. Bellissima scoperta.

Traccia da non perdere: Lift Off (ft. Rocco Palladino, figlio del più famoso Pino)

 

Honorable mentions 

Sampa the great “The return” Nonostante sia uscito a fine 2019, lo scopro in pieno lockdown a marzo-aprile, tra un impasto della pizza a tripla lievitazione e l’altro. Freedom mi suona in testa come un mantra, chissà perché. S-t-r-a-o-r-d-i-n-a-r-i-o.

Yazmin Lacey “Morning Matters” Mattine fumose, mattine di sole timido, mattine che contano, con una voce incredibile e una batteria che ti spinge, sempre più avanti.

Aaron Taylor “Icarus” Sulla fiducia. Ora vado ad ascoltarlo, non prima di aver ascoltato per l’ennesima volta I think I love you again (anche se del 2018), ufficialmente il mio brano più ascoltato di quest’anno. Mi rimette sempre al mondo.

 

Isabella Monti

VEZ5_2020: Luca Ortolani

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Neck Deep “All Distortions Are Intentional”

Quarto album in studio per il quintetto Gallese che si riconferma un punto fermo del panorama Pop-Punk/Pop-Rock. Ho letteralmente consumato questo disco, amo le loro melodie e amo la voce di Ben Barlow. Colonna sonora del mio 2020. 

Traccia da non perdere: Telling Stories

 

Girlfriends “Girlfriends”

Ritornelli avvincenti, melodia, potenza e una dose massiccia di puro Pop-Punk. Travis Mills e Nick Gross firmano il loro primo album come Girlfriends, con la produzione impeccabile di John Feldmann. Se non fosse uscito ad Ottobre sarebbe al numero 1 a mani basse.

Traccia da non perdere: California

 

Seaway “Big Vibe”

Una delle band più sottovalutate della storia del Pop-Punk. Genere nel quale sono sbocciati per poi raggiungere una maturità musicale che li ha portati ad avventurarsi nell’alternative rock. Big Vibe è un album che può soddisfare anche gli orecchi più difficili, sicuramente il lavoro più solido della band Canadese.

Traccia da non perdere: Mrs. David

 

Spanish Love Songs “Brave Faces Everyone”

Chi non ha ancora sentito la voce pazzesca di Dylan Slocum dovrebbe iniziare a farlo. Album di cui ci si innamora al primo ascolto. 

Traccia da non perdere: Beachfront Property

 

Knuckle Puck “20/20”

I Knuckle Puck con questo album hanno detto di voler dare alle persone una ragione per sentirsi bene. Un Pop-Punk raffinato con testi giovanili che esplodono di positività ed energia contagiosa, che di questi tempi è proprio quello di cui abbiamo bisogno.

Traccia da non perdere: RSVP

 

Honorable mentions 

Machine Gun Kelly “Tickets To My Downfall”

Goldfinger “Never Look Back”

Silverstein “A Beautiful Place To Drown”

All Time Low “Wake Up, Sunshine”

 

Luca Ortolani

La ricetta degli Zen Circus tra ispirazione e coincidenza

Ad un mese dall’uscita del loro ultimo album, abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Ufo – al secolo Massimiliano Schiavelli – bassista degli Zen Circus, che ci ha parlato de L’Ultima Casa Accogliente, ma anche di carriera e di Ritorno al Futuro.

 

Ciao e grazie per averci concesso quest’intervista! Iniziamo parlando del vostro ultimo lavoro, L’Ultima Casa Accogliente. Avete detto che è un album a cui siete molto affezionati, ma anche che è il vostro disco “meno pensato”. Cosa intendete?

“Siamo senza dubbio molto legati a questo nostro ultimo lavoro, anche per il processo di creazione che c’è dietro. Nasce da un nucleo di brani che avevamo arrangiato a un certo livello già a febbraio scorso e che fortunatamente avevamo avuto modo di “testare” in sala prove, buttando giù dei provini in piena libertà, senza scadenze o preconcetti. Questa occasione è stata fortunatissima, perché a lockdown iniziato avevamo già delle cartelle, dei progetti su cui rimuginare aspettando di poterci riunire nuovamente. Ne è risultato un lavoro a due facce: da un lato è più “ponderato” proprio perché ci siamo presi tutto il tempo necessario per digerire gli spunti e arrangiare ogni cosa, dall’altro è meno pensato nella misura in cui abbiamo seguito l’istinto nel produrlo senza pensare mai al fatto (per dire) che il tal brano fosse troppo acustico, troppo poco acustico, troppo “stile Zen” o troppo poco, o avesse una durata non adatta ai passaggi radio, eccetera.

L’attenzione è stata sulla produzione e l’arrangiamento, suonando i brani come una band e non come un insieme di musicisti chiusi in studio a fare parti predeterminate, se intendi cosa voglio dire. Ci siamo detti in certi momenti “e se la gente non riconoscesse il sound o lo stile di questo brano?” E la risposta era invariabilmente: “che importa?” 

Al momento di ripartire con la registrazione definitiva, Karim è andato al Fonoprint Studio di Bologna (tra regioni non ci si poteva ancora muovere) e ha suonato i brani come se li era immaginati lui, andando avanti o dietro al beat come si sentiva che fosse giusto. Noi da Livorno seguivamo in tempo reale tutto e ci suonavamo sopra. Paradossale, ma ne è risultato appunto un lavoro ragionato ma allo stesso tempo spontaneo. Miracoli dell’era Covid, chissà…”

 

C’è una canzone dell’album che mi ha colpito in particolare, 2050, che sembra quasi la versione futura e post-apocalittica di Viva. Com’è nata l’idea dietro?

“La storia di 2050 è, se si può dire, in tre parti. Avevamo questa traccia strumentale che pareva promettente, ma che aveva qualcosa di irrisolto a livello di giro di accordi e ci ha costretto a riflettere un pochetto. Poi non abbiamo riflettuto più, perché c’è stato un mio casuale intervento in sala prove (è molto probabile che avessi capito fischi per fiaschi e abbia messo una nota a caso) che ci ha fatto ripartire per dare al brano la forma musicale che ha adesso. A seguire Appino ha vomitato il testo tutt’un fiato, non si sa come, e l’abbiamo trovato subito interessantissimo, sembrava un condensato di tante paranoie e riflessioni che avevamo in comune.

Nella terza fase ci siamo accorti che la canzone non aveva un titolo, nemmeno provvisorio. A quel punto ho sparato una data a caso, che gli altri hanno subito approvato. In buona sostanza, un ennesimo prodotto Zen, metà ispirazione metà coincidenza.”

 

Se doveste scegliere una sola canzone della vostra discografia per descrivervi, presentarvi a qualcuno che non ha mai sentito parlare degli Zen Circus, quale sarebbe e perché?

“Questa è una domanda sleale per una band all’undicesimo disco! Scherzi a parte, ma mantenendo per vero che queste canzoni sono un po’ tutte figlie amatissime, e dar loro una priorità è un esercizio difficilissimo, opterei per L’Anima Non Conta, scelta invero paraculissima perché è oggettivamente uno di quei brani che è capitato in un modo o nell’altro fra gli ascolti di persone che non sapevano chi fossimo. Cosa del resto capitata anche a Viva, ma forse in minor misura.”

 

Con vent’anni di carriera alle spalle, la vostra musica è diventata decisamente intergenerazionale: come vi fa sentire sapere di arrivare ad un pubblico così ampio e soprattutto così diversificato?

“Ci fa sentire vecchi in prima battuta. Poi a ripensarci ci fa sentire fortunati. E una cosa compensa l’altra.”

 

L’anno scorso è stato parecchio importante per gli Zen Circus: i vent’anni di carriera, i dieci di Andate Tutti Affanculo, il libro e il festival di Sanremo. C’è qualcosa che vorreste dire oggi ai ragazzi del romanzo?

“Se incontrassi il “me” del romanzo ancora ragazzo, ho la netta sensazione (anche perché ci avevo riflettuto su questa eventualità) che non gli direi proprio nulla. Gli farei fare e dire tutto quello che ha fatto e detto, e gli lascerei tranquillamente l’opzione di darsi tutte quelle zappate nei piedi, perché è giusto che sia così. Sembra scontato, ma, soprattutto nel caso nostro, gli errori, gli svarioni, le esaltazioni insensate e le severe lezioni della vita hanno un loro senso fondante che ha reso unica e peculiare la nostra picaresca scalata al successo (!). E poi bisogna tenere a mente che già Marty McFly ha dimostrato ampiamente che col passato non si scherza…”

 

Francesca Di Salvatore

VEZ5_2020: Massimiliano Mattiello

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Young Jesus “Welcome to Conceptual Beach”

Sono in quattro, sono di Los Angeles e il loro è un disco irregolare ed emozionante che esplora territori prettamente art rock.
In tre quarti d’ora di musica emergono influenze jazz, Talk Talk e post-rock con grande gusto melodico e una creatività compositiva in cui fluttua leggiadra una voce dichiaratamente ispirata a maestri come Antony/Anohni. La loro musica non si pone limiti a proposito di struttura e durata delle composizioni.
L’album lo considero, senza titubanze, una genuina sperimentazione che fa emergere momenti in cui l’ingegno del quartetto californiano incontra il genio.

Traccia da non perdere: (Un)knowing

 

Moses Sumney “Græ”

Statunitense di origini ganesi, Moses Sumney offre un paesaggio sonoro lungo e alieno, complesso e intricato, dove ci si specchia senza pudore e in modo estensivo. Il cantautorato di questi 20 pezzi è stilisticamente liquido e caleidoscopico. Trattasi di un songwriting mutante nel quale fiati, chitarre, violini, archi, arpe, elettronica e tasti vari costituiscono un folklore totalizzante a contrasto di una cornice intimista.
È lampante l’eleganza con cui vengono disposti ingredienti di electro-R&B, tendenze jazz, pop barocco, nu-folk e art-rock.
Moses l’ha chiamato Græ, ma per quel che mi riguarda, i suoni e i temi di questo disco hanno più i crismi dell’esplosione di colori di un Holi indiano convertito in musica. Mai come in questo caso, il grigio diventa un colore carico di riflessi iridescenti di incatalogabile bellezza.

Traccia da non perdere: Bless Me

 

Horse Lords “The Common Task”

Tra colleghi architetti spesso scherziamo definendo alcuni tentativi di minimalismo come una semplice scusa per non fare. Beh, per il quartetto strumentale di Baltimora, il minimalismo musicale è, al contrario, materia molto complessa.
In origine per similitudine accostabile ad una geometria simmetrica, pian piano il disco percorre un’asimmetria come generatrice del tempo musicale nel quale vengono miscelati in un ordine marziale math-rock, matrici afro, e un sapore fortemente kraut rock. Poliritmie angolari definiscono una musica atonale di un’intensità notevole.
Lo trovo un groviglio perfettamente composto di trame e ritmi, nel quale il climax crescendo dell’opera diventa la sublimazione di una sperimentazione lucida e conturbante.

Traccia da non perdere: People’s Park

 

Gil Scott-Heron & Makaya McCraven “We’re New Again – A Reimagining by Makaya McCraven”

Makaya McCraven, talentuoso batterista e compositore della scena di Chicago, crea un progetto dove decide di impiegare il suo estro di arrangiatore, produttore e performer al servizio dell’immaginario del poeta-cantautore di Chicago, “rimaneggiando” I Am New Here, ultimo, folgorante disco di Gil Scott-Heron, cantante e poeta di livello stellare scomparso nel 2011.
Reimmergendo la forza vocale e verbale di Gil Scott-Heron in un rinnovato flusso strumentale, il risultato è un approdo perfetto ad una sintesi fra sonorità elettroniche e acustiche dove il folk diventa rap, il free-jazz, gospel elettronico e molto altro ancora.
Dopo svariati ascolti posso considerare questi 40 minuti scarsi, un remix Jazz-blues contemporaneo pienamente riuscito, in cui un drumming sempre in prima linea e un cut-and-paste chirurgico rendono il disco una scrittura musicale (e feel da presa diretta) dalla forte evocazione culturale afroamericana. Contaminato e contaminante.

Traccia da non perdere: Me and the Devil

 

Adrianne Lenker “Songs / Instrumentals”

Adrianne Lenker dona un folk acustico dall’espressività emotiva coraggiosa. Il disco suona come una dolce confessione nella quale viene esternato un diario intimo di nostalgia e di inquietudine.
Arpeggi bucolici riempiono lo spazio di una musica che scorre in modo fisico, caratterizzata da suoni lo-fi e riverberi quasi naturali di pioggia e vento. Variabili tonali e armoniche della chitarra acustica vengono esplorate in un progetto unitario quanto brutalmente affascinante. La dimensione del disco è coinvolgente e sincera soprattutto nella sua incertezza lirica.
Un disco per anime sensibili, utile alle mie esigenze meditative.

Traccia da non perdere: Anything

 

Honorable mentions 

Yves Tumor “Heaven to a Tortured Mind” Un piacevole schiaffo glamour e smaccatamente pop sui canoni della black music più sperimentale. 

Jeff Parker & The New Breed “Suite For Max Brown” Qui i Tortoise c’entrano poco. Il disco è un percorso in cui un eclettico Jazz astratto viene contaminato dal groove dell’hip-hop e dall’elettronica, in un’epifania musicale impalpabile ma marmorea.

Special Interest “The Passion Of” Una voce male/educata, ritmiche elettroniche compulsive, suoni deflagranti e un espressività post-punk furente quanto necessaria. 

Brigid Mae Power “Head Above The Water” Un coinvolgente folk anglosassone dal respiro antico, un dolce lamento in cui anche la voce si fa strumento.

Protomartyr “Ultimate Success Today” Chitarre stridule e una voce flemmatica definiscono un post-punk in cui incombono pulsioni atomiche. Da non perdere.

 

Massimiliano Mattiello

Tre Domande a: Youngest

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

“Il primo lockdown non è stato facile. All’uscita di Slow Fade, uno dei nostri nuovi singoli, a fine febbraio avremmo dovuto iniziare un mini tour in giro per l’Italia, come opener per Hundredth e Slow Crush. Ovviamente si è dovuto annullare tutto e per noi è stato un grande dispiacere, soprattutto perché avremmo potuto suonare con band che adoriamo e che ci hanno ispirato per la scrittura dei nuovi pezzi.
In ogni caso, nei mesi successivi, abbiamo continuato a comporre nuovi brani, quando possibile vedendoci, ogni tanto a distanza. È stato un nuovo modo per noi di approcciarci alla scrittura, sicuramente ci ha dato la possibilità di ragionare in modo diverso sui nuovi pezzi. Ma la verità è che non vediamo l’ora di tornare a suonare su un palco.”

 

Come e quando è nato questo progetto?

“Siamo nati a inizio 2016 come trio. In quel periodo io (Ivan), Luca e Federico ascoltavamo le stesse band ed è stato naturale iniziare a suonare insieme. Abbiamo subito iniziato a scrivere dei pezzi, che sono usciti nel nostro primo EP We’re Made of Memories, pochissimi mesi dopo. Nel 2017 Noah è entrato come batterista sostituendo Federico e qualche mese dopo Stefano si è aggiunto alla band come chitarra principale e seconde voci. A maggio 2018 è uscito Could Never Be You, il primo disco che abbiamo scritto in quattro, e nei mesi successivi abbiamo diversi mini tour in giro per l’Italia. Da allora sono usciti Ghosting, Slow Fade e Lotus, tre nuovi singoli.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

“Nei nostri pezzi parliamo di noi stessi, delle nostre esperienze personali. Quindi speriamo che qualcuno di chi ci ascolta possa ritrovarsi anche solo un momento nei nostri testi.”

VEZ5_2020: DJ Lappa

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Violent Soho “Everything is A-OK”

Violent So1994. Dritti in cima.

Traccia da non perdere: Lying on the Floor

 

Idles “Ultra Mono”

La nuova declinazione del punk nel 2020.

Traccia da non perdere: Ne Touche Pas Moi

 

Cayucas “Blue Summer”

Spero di tornare al più presto in California.

Traccia da non perdere: Malibu ’79 Long

 

Porridge Radio “Every Bad”

L’album che gli Ash non scriveranno mai.

Traccia da non perdere: Born Confused

 

Róisín Murphy “Róisín Machine”

Mi manca ballare. Troppo.

Traccia da non perdere: Jealousy

 

DJ Lappa

 

DJ Lappa, al secolo Gianluca Nicoletti, inizia a proporsi come djset pop su vinile nella Rimini di metà anni 90. Dopo il millennium bug definisce la sua personale tecnica di mixaggio ed il suo stile di djset che spazia tra l’alternative-rock e l’indie-pop e lo porta ad esibirsi nei migliori clubs e festival come Bronson e Hana-Bi (Ravenna), Velvet (Rimini), Vidia (Cesena), Estragon (Bologna), MTV Sunset Festival (Rimini Cattolica), Bay Fest (Rimini Bellaria Igea Marina), Molo Street Parade (Rimini), Santarcangelo Dei Teatri (Santarcangelo di Romagna), Acieloaperto (Cesena).

VEZ5_2020: Francesca Garattoni

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Muzz “Muzz”

In un periodo dove la pacchianeria sembra essere l’unità di misura delle nuove proposte musicali, l’album di esordio del trio Banks, Barrick e Kaufman lascia il segno per eleganza e raffinatezza. Amore e profondo rapimento al primo ascolto, scelta facilissima come miglior album dell’anno.

Traccia da non perdere: Knuckleduster

 

Doves “The Universal Want”

Dopo undici anni di silenzio dal precedente Kingdom of Rust, tornano i Doves e sfornano un signor album. Solido, limpido, senza troppe stramberie di voler innovare per forza, ritroviamo il sound della band di Manchester come se non fossero passati dieci anni di hiatus.

Traccia da non perdere: Cathedrals of the Mind

 

Nick Cave “Idiot Prayer”

Un pianoforte e la sua voce, è tutto quello di cui le canzoni di Nick Cave hanno bisogno. Già belle con l’accompagnamento de The Bad Seeds, in questa versione scarna ed intimista le canzoni di Idiot Prayer assumono uno spessore e un’intensità da far venire la pelle d’oca.

Traccia da non perdere: The Ship Song 

 

The Strokes “The New Abnormal”

Si, si, lo so: The Strokes non sono più quelli di Is This It e a stento First Impressions of Earth può essere considerato il loro ultimo album interessante, eppure… eppure con questo nuovo The New Abnormal, un titolo che si adatta molto bene a questo 2020 decisamente fuori dal normale, sfornano un album degno di essere ascoltato ancora e ancora e ancora e ci ricordano perchè ci piacevano tanto ad inizio millennio.

Traccia da non perdere: At the Door

 

Deftones “Ohms”

Dei tre album pubblicati quest’anno da altrettanti gruppi major — Deftones, Pearl Jam e The Smashing Pumpkins — solo quello dei primi è degno di una posizione nella mia personale classifica, sia Top 5 che Honorable Mentions. Ancora una volta i Deftones ci tengono incollati allo stereo in bilico tra sonorità classiche e svolte innovative e ancora una volta non deludono.

Traccia da non perdere: Ohms

 

Honorable mentions 

Mark Lanegan “Straight Songs of Sorrow” Quest’album di Lanegan è come mangiare un carciofo: lo si apprezza una canzone alla volta e dopo l’amaro iniziale rimane il retrogusto dolce della bellezza.

Sophia “Holding On / Letting Go” Ennesima riprova della qualità artistica di Robin Proper-Sheppard, un po’ ritorno al rock e un po’ sperimentazione.

Matt Berninger “Serpentine Prison” In un momento di pausa da The National, Matt Berninger si dà al pop e One More Second è una canzone che vale l’album.

Phoebe Bridgers “Punisher” Ascolto/scoperta dell’ultimo minuto, ma brava brava brava.

Adrianne Lenker “Songs” Splendida anche in versione solista senza i Big Thief.

 

Francesca Garattoni

Moltheni “Senza Eredità” (La Tempesta Dischi, 2020)

Ne è passato di tempo, caro Moltheni. 

Dopo undici anni da Ingrediente novus, esce Senza Eredità per La Tempesta Dischi. 

Quest’album recupera, riadatta e completa quelle canzoni che non avevano trovato posto in nessun disco di Moltheni (Umberto Maria Giardini) dal 1998 e rappresenta la chiusura di un progetto senza eredi, senza eredità.

Non è stato affatto facile trovare le parole per descrivere questo ascolto. Lo ha detto Moltheni stesso in Spavaldo: “La mia identità puoi tradurla ma il vocabolario non ce l’hai”, ed è proprio vero.

Questo disco è un tuffo nell’indie-rock e negli anni Novanta ma non solo. Gli organi e il Rhodes piano mi riportano anche più indietro, ai tempi di Stevie Wonder. Così, l’outro funkeggiante di La mia libertà, pezzo in apertura dell’album, trasmette quella sensazione di leggerezza definendo la libertà come “Il dito medio temerario [che] attende tranquillo che arrivi il mio turno con te”.

La stessa leggerezza che ritrovo in Estate 1983. Il ritorno all’adolescenza è dolce come una carezza e fa riscoprire i sapori delle piccole cose. Gli arpeggi sono un treno ed ogni fermata è un ricordo lontano. La destinazione sembra essere la nostalgia, un sentimento che cresce sul finale del brano ma che Moltheni scaccia grazie al mantra: “ignorare il tempo”. 

A dispetto del titolo, Il quinto malumore ha lo sprint necessario per essere considerato il pezzo più rock di questo album. Le chitarre me lo confermano. 

Tutte quelle cose che non ho fatto in tempo a dirti è l’ascolto che chiude l’album. In questo periodo di difficile gestione psicologica, la ripetizione incessante della “follia che abitava abusiva in un appartamento della mente mia” mi abbraccia e si insinua nella mente, tanto da farmi sentire quel disagio.

Questo disco dalle mille sfaccettature affronta una grande varietà di temi: la libertà, l’amore, la verità, il dolore, temi costanti e senza tempo, temi che non si esauriscono. E forse, proprio per questo, non è del tutto vero che la chiusura di Moltheni sia “Senza Eredità”. 

 

Moltheni

Senza Eredità

La Tempesta Dischi

 

Cecilia Guerra

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