Skip to main content

Mese: Aprile 2021

Dropkick Murphys “Turn Up that Dial” (Born & Bred / PIAS, 2021)

L’Irlanda a casa tua

 

Classico Pub Irlandese: profumo di legno intriso di birra, umidità, chiacchiericcio. Tutti appicciccati col naso nella pinta. Musica Live.
Ecco quello che ci manca, quello che la quarantena c’ha portato via: il pub non solo come posto in cui bere, ma soprattutto un luogo dove socializzare e ascoltare buona musica.
Ecco dove ci trasporta il nuovo lavoro dei Dropkick Murphys Turn Up That Dial, decimo album per la band americana più irlandese che ci sia.

Band proveniente da Boston, fin dal 1996 calca la scena musicale internazionale a colpi di Celtic Punk; famosi anche per aver partecipato alla colonna sonora di The Departed, film diretto da Scorsese del 2006, le loro sonorità palesemente celtiche hanno sempre attirato skinhead (di destra e di sinistra), dai quali si sono sempre discostati. Hanno sempre affrontato temi sociali, mai sfociando nella politica, per evitare di influenzare i fans, ma sono molto attaccati alle lotte della classe operaia, e appoggiano i sindacati.

Gli anni trascorsi non hanno cancellato la loro voglia di far musica e di comunicare tramite essa. Con il loro stile inconfondibile hanno presentato, (non a caso il giorno di San Patrizio) alcuni brani del nuovo album, in un concerto live stream secondo le regole anticovid vigenti. “Pugni in alto e alza il volume” è il messaggio insito in questo album che la band, con 25 anni di esperienza vuole diffondere la sua gratitudine ai fans, sfornando un album tutto da ballare.

Con brani come Middle Finger, col suo ritmo celtic punk è un invito alla ribellione, a non abbassare mai il dito medio, a combattere per ciò che riteniamo giusto. Strofe indiavolate che sfociano nel ritornello figherrimo “I could never keep that middle finger down”.
Teppistelli attempati che non hanno perso il vigore dei primi anni: è una rarità che una band conservi l’energia vitale per così tanti anni, non cambiando minimamente, anzi progredendo nel loro personalissimo modo di fare musica.

Il singolo che da il nome al loro album, Turn Up That Dial, è un’ode, un ringraziamento alle band che li hanno accompagnati nell’adolescenza, che, urlando rabbiosi nei loro walkman, sono riusciti in un’opera di catarsi con la giovane collera tipica dei teenager.
Pezzi come Good As Gold, L-EE-B-O-Y, ritmo serrato, schitarrate pesanti e batterie battenti sono fatte per pagare sotto palco o, in questo particolare periodo, per fare le faccende di casa con uno sprint in più.

Per la prima volta, spiega Ken Casey fondatore dei Dropkick Murphys, hanno deciso di chiudere un loro album con una canzone decisamente più lenta e evocativa. Un tributo al padre di Al Barr, una malinconica e toccante marcia arricchita dalla fisarmonica e dalla cornamusa, che dona al pezzo una solennità unica.

L’Irlanda è più vicina di quel che pensiamo. L’Irlanda è sentirsi a casa, non importa quale sia il tuo paese di provenienza. L’Irlanda ce la portano un gruppo di “boomer” americani, che possiedono più energia e voglia di far casino dei ventenni.

FUN FACT: il13 marzo 2013 Ken Casey, durante un’esibizione al Terminal5 di New York ha aggredito un tizio per aver fatto il saluto nazista, ha preso il microfono e ha detto:
“NAZIS ARE NOT FUCKING WELCOME AT DROPKICK MURPHYS SHOWS!”

 

Dropkick Murphy

Turn Up that Dial

Born & Bred / PIAS

 

Marta Annesi

Tre Domande a: Stefanelli

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

La canzone che sceglierei sicuramente sarebbe CONTROCORRENTE. È un po’ il manifesto della poetica nonché dell’estetica di tutto il progetto. Credo che nel verso “La bassa qualità, lo specchio della mia onestà” si rifletta tutto quello che sono, la voglia e la ricerca di cose semplici che ci permettano di vivere con serenità nelle comunità di cui facciamo parte, Il ruolo sociale che abbiamo e la quotidianità da vivere sempre con stupore e mai con rassegnazione.

 

Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Mi verrebbe da dire che oggi puntare sui social è l’unica possibilità concreta che un’artista ha per farsi conoscere. Oggi con la situazione che stiamo vivendo tutti, non c’è più la possibilità di organizzare delle tournée e conquistare fette di pubblico live dopo live. Bisogna reinventarsi e i social credo che lo permettano. Quello che più fa la differenza oggi però sicuramente è il modo in cui vengano utilizzati.
Odio lo spam e la ricerca costante del colpo di scena. Mi auguro sempre di fare un percorso artistico onesto e coerente e quindi vorrei che lo siano anche tutte le cose che mi riguardano come i miei account social.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Vorrei partecipare sicuramente a tanti eventi, ma soprattutto come pubblico. Ho il sogno di suonare allo Sziget da quando praticamente ho iniziato a suonare, ma oggi mi basterebbe poterci andare come pubblico.
Mi manca tantissimo suonare non vedo l’ora che questa cosa ritorni ad essere possibile.
In Italia ci sono tantissimi eventi organizzati da persone validissime. Penso al _reset! festival o al MI AMI, ma su tutti mi farebbe tantissimo piacere partecipare all’ YPSIGROCK.

Tre Domande a: Gintsugi

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto vero e proprio è nato durante il primo periodo della pandemia. Avevo iniziato a comporre nel 2019 e mi sono ritrovata a non poter lavorare da marzo 2020, e ad avere un’organizzazione del tempo molto diversa. A volte ho composto per due, tre giorni di seguito senza mai fermarmi, neanche per mangiare!
Nel frattempo un’idea anche concettuale era maturata, anche attraverso diverse ispirazioni, ovvero creare canzoni a partire da zone d’ombra e di vulnerabilità. C’è tanta esibizione di persone nel senso di maschere o ego nella nostra società e volevo scrivere qualcosa che non partisse da quella parte forte, costruita, ma da una zona vulnerabile, poco esposta, trattando anche di stati emotivi un po’ tabù, magari fonte di vergogna. Questo per me è abbastanza catartico nel momento in cui scrivo, ma poi esporlo è fonte di disagio, e mi interessa stare in quella zona poco confortevole perchè penso che lì si può trovare qualcosa di interessante.
Dal punto di vista musicale all’inizio componevo molto con ableton live, invece poi mi sono spostata sempre di più verso il pianoforte e la chitarra, per poi andare ad aggiungere degli elementi elettronici eventualmente in un secondo tempo. Il mio gusto è evoluto verso qualcosa di sempre più scarno ed acustico.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Per questi pezzi in particolare mi sono ispirata dal punto di vista letterario e musicale a Placebo, Nick Cave, PJ Harvey per la capacità di andare in fondo nel lato un po’ nascosto ed estremo dell’animo umano.
Dal punto di vista musicale sicuramente Kate Bush, c’è anche una mini-citazione a Billie Eilish, ed un’artista giovane, Broken Twin, che ha fatto uscire un album nel 2014, alcune delle canzoni sono incredibilmente toccanti e strutturate in modo perfetto. Questa zona tra la musica pop e la musica classica mi interessa in termini di composizione, anche perchè ho una formazione classica.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Vorrei entrare in comunicazione a partire da quella stessa zona di vulnerabilità che espongo, e che le persone possano essere toccate da un testo, da un suono o da una voce ad un livello sensoriale ed emotivo piuttosto che razionale. Credo che sia questa la potenza della musica, anche pop; non è solo il testo o la composizione o lo strumento a comunicare, ma è tutto l’insieme e non passa per una comprensione cerebrale, ma da corpo a corpo. E poi, anche se questo implica che io stia a disagio nel mostrarlo, far arrivare a delle persone che non importa quanto in alcuni momenti si sentano disperate, folli o sole, questi sono stati da cui passano la maggior parte degli esseri umani, a volte dietro la facciata che presentano al mondo.

Tre Domande a: Jaguar Jonze

How have you been doing during these hard times for music in general?

It’s definitely a challenge but a welcomed one too. It allowed me to step away from comfortable patterns and think outside of the box. I think you can only take on a positive mindset in situations like this to keep moving forward, and through that, we are able to innovate. The strength of humanity I guess!

 

What about your future projects?

I’m currently working on a short film to tie all of my Antihero songs together, which was the plan from the start of me creating this EP. After that, I will go into writing and writing to figure out where I will go in sound next.

 

If you were to choose just one of songs to introduce yourself to those who don’t know your music, which one would you choose and why?

Eeeeeeeeekkk!! That’s such a good, hard question! Depends on my mood, if I wanted to show my softer side it would be Astronaut and if I wanted to show my harder side it would be Deadalive.

 

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

È sicuramente una sfida ma una sfida in qualche modo benvenuta. Mi ha permesso di allontanarmi da abitudini assodate e spinta a pensare fuori dagli schemi. Penso che puoi solo affrontare queste situazioni con una mentalità positiva per poter andare avanti e, grazie a questo, poter essere in grado di innovare. La forza dell’umanità, immagino!

Progetti futuri?

Al momento sto lavorando ad un corto per legare insieme tutte le canzoni di Antihero, che per me era il piano fin dall’inizio per questo EP. Dopodiché, mi butterò a scrivere e scrivere per capire dove andrà il mio sound.

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non conosce la tua musica, quale sceglieresti e perchè?

Eeeeeeeeekkk!! Questa è davvero una bella domanda difficile! Dipende dal mio umore, se volessi far vedere il mio lato più delicato sarebbe Astronaut e se volessi far conoscere il mio lato più duro sarebbe Deadalive.

Sam Eagle and the need of not repeating himself

Leggi questo articolo in Italiano qui

Sam Eagle is an unstoppable force of nature and after only five months from the release of Something Out of Nothing, he’s out again with a new EP She’s So Nice (Cooking Vinyl). To mark the occasion, we had a chat with him and he told us how his songs come to life.

 

You are just 21 but you already have a strong and heterogeneous release history: can you tell us about your artistic journey?

“Sure, well I started out doing solo stuff when I was 16, having only been in bands up to that point. I wanted to make something super simple and just for fun, just to try out the process. I loved it, and haven’t looked back. I have a strict rule that every song has to be unique to itself in my catalogue. So that every song speaks for itself and I don’t repeat myself. This is really important to me as an artist, and if something doesn’t meet that criteria it won’t be released. People say that writing as many songs as you can is the way to go, but I disagree personally — for me I much prefer taking longer to write a song, and just focus on making it the best it can be, allowing the song to form naturally before moving on.”

 

What do you prefer about your latest EP?

“I think the range of styles, emotions and sounds. That’s another thing that’s very important to me — having as wide a range of feelings as possible across a project. I’d like to think there’s something in there for everyone.”

 

How does its content differ from your previous releases?

“It’s more produced I would say. The last EP Something Out of Nothing and this one She’s So Nice were both made together, so they’re very much a pair, or a body of songs. Before these two EPs though, I used to take a lot more influence from jazz. Now I take more influence from hip hop.”

 

What do you get inspired by?

“Nature has always been a massive inspiration to me. Growing up by the sea and in the countryside of England has definitely influenced me to keep things natural, and not to process the instruments or my voice too much. Other inspirations can be anything from a song, a book, a fun experience, a conversation or anything really! Just trying to have new experiences — which granted has been very difficult over the past year.”

 

You are one of the artists of the year for 2020, a great achievement given the current circumstances. How are you living these challenging times?

“I’ve been very lucky to have put together my own studio to record these EPs before the pandemic. It’s been a real life line as I can keep making music and working on projects without any cost. It’s something I’d really recommend to anyone who can do it, to try and get together some kind of set up so that you’re self sufficient as an artist. It’s been difficult to stay inspired, and the amount of content flying around everywhere has been quite exhausting. I’m certainly ready now, and looking forward to moving forward into whatever the future holds.”

 

Marta Massardo

Sam Eagle e la necessità di non ripetersi

Read this article in English here

Sam Eagle è un’irrefrenabile forza della natura e dopo soltanto cinque mesi dall’uscita di Something Out of Nothing, è arrivato il nuovo EP She’s So Nice (Cooking Vinyl). Per l’occasione, abbiamo chiacchierato con lui, che ci ha raccontato come nascono e si formano le sue canzoni.

 

Sei appena ventunenne ma hai già all’attivo una serie di pubblicazioni solida ed eterogenea: puoi raccontarci del tuo percorso artistico?

“Certo, ebbene… Ho cominciato a fare cose da solista quando avevo sedici anni, essendo stato solo in gruppi fino ad allora. Volevo fare qualcosa di super semplice e giusto per divertimento, per provare a vedere com’era il processo produttivo. Mi è piaciuto tantissimo e non mi sono più voltato indietro. Ho una regola molto severa che ogni canzone del mio repertorio deve essere unica. In questo modo ogni canzone parla da sé e io non mi ripeto. Questo è molto importante per me come artista e se qualcosa non soddisfa questo criterio non viene pubblicato. Molti dicono che scrivere quante più canzoni puoi è l’approccio giusto, ma personalmente non sono d’accordo — preferisco di gran lunga metterci più tempo a scrivere un pezzo, e fare in modo che sia il miglior pezzo che può essere, permettendo alla canzone di formarsi da sé in modo naturale prima di andare oltre.”

 

Cosa preferisci del tuo ultimo EP (She’s So Nice, NdR)?

“Penso l’assortimento di stili, emozioni e suoni. Questa è un’altra cosa molto importante per me — avere la più ampia gamma possibile di sentimenti attraverso un progetto. Mi piacerebbe pensare che ci sia qualcosa per tutti.”

 

In che cosa il suo contenuto si distingue dalle canzoni precedenti?

“Direi che è più prodotto. L’ultimo EP Something Out of Nothing e questo She’s So Nice sono stati fatti insieme, perciò sono fondamentalmente una coppia, o un unico corpo di canzoni. Prima di questi due EPs, comunque, ero solito farmi influenzare molto dal jazz. Adesso mi faccio influenzare di più dall’hip hop.”

 

Che cos’è che ti ispira?

“La natura è sempre stata una forte fonte d’ispirazione per me. Crescere vicino al mare e nella campagna inglese mi ha decisamente influenzato a tenere le cose più naturali possibile e a non processare troppo gli strumenti o la mia voce. Altre fonti di ispirazione possono essere qualunque cosa da una canzone, un libro, un’esperienza divertente, una conversazione o veramente qualsiasi cosa! Provo solo a fare nuove esperienze — che bisogna ammettere essere stato davvero molto difficile durante lo scorso anno.”

 

Sei uno degli artisti dell’anno per il 2020, un grande traguardo dato il periodo in cui ci troviamo. Come stai vivendo questi tempi non facili?

“Sono stati molto fortunato ad aver messo in piedi il mio studio per registrare questi EPs prima della pandemia. È veramente stata un’ancora di salvezza in quanto posso continuare a fare musica e a lavorare su progetti senza alcun costo. È qualcosa che davvero raccomando a tutti quelli che possono permetterselo, di provare e mettere insieme un qualche cosa in modo da essere autosufficienti come artisti. È stato difficile rimanere ispirato e la quantità di contenuti che giravano ovunque è stata davvero sfiancante. Adesso sono decisamente pronto e non vedo l’ora di andare avanti verso qualsiasi cosa il futuro riservi.”

 

Marta Massardo

Tre Domande a: Ianez

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Ianez nasce appena due anni fa al tavolo di un locale in compagnia di un paio di birre e due amici: Fabio Tumini e Lorenzo D’Annunzio. Un incontro fortuito, niente di pianificato, volevamo farci una chiacchierata dato che non ci vedevamo da tempo. Io e Lorenzo per un bel periodo avevamo suonato insieme in una cover band locale per poi prendere direzioni diverse, io sono uscito con un romanzo, Sette foglie di Oleandro, e lui si è dato allo studio del contrabbasso. Fabio invece aveva avviato la Satellite Rec e probabilmente gran parte del merito è suo se oggi Ianez non è solo l’argomento di una serata. Il giorno dopo siamo andati da lui in studio ad ascoltare i beat, le basi che stava producendo ed erano pazzesche, la collaborazione è nata spontaneamente. Così nascono le cose belle, per caso.
Siamo stati noi il brano che dà il via al progetto lo abbiamo registrato più o meno una settimana più tardi e la cosa più difficile è stata raggiungere il giusto sound, la miscela che accontentasse tre paia di orecchie abbastanza differenti tra loro.
Alla fine i nostri diversi modi d’interpretare la musica si sono rivelati un valore fondamentale per definire le sonorità, lo stile dei brani.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Artisti in particolare no, non di proposito almeno. Ascolto tantissima musica di generi diversi, da Bill Evans ad Achille Lauro, dai Talking Heads agli Zen Circus ma se dovessi dire un artista di riferimento non saprei proprio cosa rispondere. Prendo ispirazione più da un periodo o da una corrente. Nei brani si possono percepire gli anni ’80, c’è un’influenza elettronica britannica, testi tra il cantautorato e il rap e ancora altre dimensioni. Questo arriva da un frullato di tutto, da ascolti sparpagliati nel tempo. 

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Questa è una domanda complessa.
Nei miei testi descrivo delle scene, dei momenti cercando di rendere le parole immagini, come tante fotografie che vanno a formare la trama del racconto, quindi posso dire che fotografica è una giusta definizione.
Nei pezzi c’è sempre qualche suono ipnotico che si ripete costantemente, nel caso di Minerva ad esempio è una specie di sirena che rafforza il messaggio della canzone. Quindi ipnotica.
Intima per ultima. Nei testi c’è del personale anche quando non lo faccio trasparire, anche in quelli che sembrano diciamo distratti c’è nascosto un ricordo, un trascorso bello o brutto che sia. Alcune volte uso delle metafore per parlare d’altro come per le canzoni d’amore che in dei casi si scostano dall’idea canonica del sentimento senza perdere di significato. 

Le Endrigo “Le Endrigo” (Garrincha Dischi, 2021)

Manifesto post punk per disagiati

 

25 marzo 2021
“Oggi muoiono Gli Endrigo.
Oggi nascono Le Endrigo.
Perché?
In un mondo in cui un articolo determinativo fa ancora la differenza e comporta privilegi, noi scegliamo di liberarcene e unirci al coro e alle battaglie di chi li vuole sradicare.”

Questo l’annuncio ufficiale che hanno lanciato Le Endrigo ad un mese dall’uscita del nuovo disco Le Endrigo, anticipato dai singoli Infernino, Smettere di fumare, e la dolcissima e malinconica Anni Verdi.

Le “sorelline” Tura (Gabriele voce, Matteo chitarra, basso e tastiere) e la loro amichetta Ludo (Ludovico Gandellini alla batteria) sono la risposta umana sensata a er Faina: sono i Guerrieri dei nostri tempi, cavalieri senza mantello né destriero, pronti a difendere il più debole con una sola arma: la musica. E cercano di abbattere gli stereotipi sulla musica stessa, abbracciando davvero l’idea punk: la protesta. 

Disapprovano una società prevalentemente maschilista, omofoba, razzista, e non hanno paura a dire ciò che pensano.

La lotta contro l’omofobia e la mascolinità tossica è espressa al meglio in due brani. 

Il primo, Cose più grandi di te, con uno stile Verdena, un basso favoloso, frasi tipo “Piangere è da gay” è un attacco aperto alla mascolinità tossica, che ripudia ogni sentimentalismo, e punta ad una società dove “i ragazzi fanno i ragazzi”, dove ognuno ha il suo ruolo prestabilito.

L’altro brano è Stare Soli, una ballata sfrontatamente ritmica, e con la frase “La mia debolezza è uno stile di combattimento” distrugge l’idea dell’uomo “che non deve chiedere mai”, del prototipo maschile duro e privo di emozioni.

Manifestano la loro volontà di esprimersi. Il fatto è questo. Quando avevamo quindici anni eravamo convinti che essere ribelli significasse urlare e spaccare cose. Arrivati ai trenta ci siamo (quasi) stancati di urlare, e abbiamo solo voglia di dire quello che pensiamo, nei modi che riteniamo più giusti. 

Le Endrigo si prendono la libertà di essere sé stessi, senza la pesantezza di sentirsi incasellati dentro ad un genere musicale in cui ci si aspettano sempre lavori molto heavy, pesanti e punk. 

L’eterea malinconia nella voce di Gabriele (già nota nel singolo Anni Verdi, Infernino) è alternata a pezzi vecchio stile, sia nei titoli (Standard rock per chi ci ascoltava prima…; Il cazzo enorme di chi suona) che nelle sonorità. Un lunghissimo errore, sesto brano dell’album, è energia allo stato puro. Qui ci odiano tutti e a casa non apro a nessuno… Un pezzo che ti fa venire voglia di pogare. (per ora, col divano…).

La vera chicca dell’album è la prima canzone, Io non sono capace. Più che una canzone è un’ammissione di colpa. Il manifesto di una generazione disagiata, con evidenti problemi relazionali. Ci ritroviamo a festeggiare trent’anni senza capire come cazzo ci siamo arrivati. Quelli che sentono di non essere adatti alla vita e che soprattutto non si riconoscono negli obiettivi che ci prefissa la società. Quelli che hanno tanti amici, e nonostante tutto la solitudine li accompagna sempre.

Questo album rappresenta l’evoluzione non solo musicale di questi baldi giovani, ma anche quella spirituale, cercando di staccarsi da quello che la società vuole imporci come standard di comportamento. 

Le Endrigo sono disagio, urla, poesia, emozioni, cuore.

 

Le Endrigo

Le Endrigo

Garrincha Dischi / Manita Dischi

 

Marta Annesi

Tre Domande a: Luzee

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto nasce nel 2016 e si ufficializza poi nel 2017 con la pubblicazione del primo album Waterdrops.
La mia è una formazione da musicista, inizio a suonare il basso elettrico nel 2000 e da allora ho sempre suonato nelle band ma a un certo punto ho sentito l’esigenza di uscire dal ruolo di bassista e cercare di esprimermi attraverso composizioni che fossero realizzate da me. La spinta a fare questo passo me l’ha data la scoperta del campionamento che mi ha letteralmente risucchiato nel mondo del beatmaking. A questo sommaci il fatto che mi è sempre piaciuto molto anche l’aspetto legato alla tecnica del suono ed al mixaggio, quindi la produzione è diventata subito una bella sfida che metteva insieme tante parti di me.
Ho poi iniziato a sviluppare un suono che cercasse di rappresentarmi e rappresentare ciò che provavo.
È stato uno dei periodi più belli della mia vita, una sorta di rinascita in cui scoprivo continuamente cose nuove che mi entusiasmavano e questa energia positiva mi ha portato anche a incontrare tante persone stimolanti durante questo percorso.

 

Progetti futuri?

Parlando di futuro prossimo spero di poter suonare dal vivo questo disco e poi se dovessi proiettarmi in avanti sento l’esigenza di alzare i bpm e far ballare di più, soprattutto ai live, perché dopo questo periodo infame credo che avremo tutti voglia di sfogarci e di ballare, io per primo. Sul fronte della produzione invece sto lavorando insieme a Subconscio alla realizzazione del suo secondo disco. Chiaramente con tutti i rallentamenti dovuti al COVID, ma siamo molto contenti del sound che sta venendo fuori.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Con la gente appiccicata sotto al palco che si prende bene, balla, beve, si abbraccia e si bacia. Almeno questo è quello che spero perché è difficile immaginarsi come saranno le cose post-pandemia ma me la voglio immaginare così.

Tre Domande a: Nicholas

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto è nato in modo completamente  inaspettato. Esattamente due anni fa ho deciso insieme a Filippo Colombo e al produttore e chitarrista Andrea Brussolo di registrare alcune mie canzoni, senza un obiettivo preciso ma solo con l’idea di riascoltare tra 30/40 anni qualcosa che rappresentasse la mia infanzia.
Una sera del Novembre 2020 per caso navigando su internet ho trovato la pagina di una piattaforma chiamata Indieffusione, dedicata alla promozione della musica emergente. Così ho deciso di postare delle canzoni che avevo registrato l’anno precedente. Dopo meno di una settimana sono stato contattato da Francesco Tosoni, ideatore di Indieffusione, il quale era rimasto positivamente colpito dalle mie canzoni, in particolar modo da Parole poco libere. Insieme abbiamo deciso di apportare alcune piccole modifiche alla canzone e così è nata la versione attuale del pezzo.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Ci sono degli artisti che ascolto spesso e che ammiro per la loro capacità di trasmettere emozioni, tra cui Tiziano Ferro, Marco Mengoni, Mia Martini, e altri di cui invece apprezzo molto l’abilità di scrittura, come Ultimo, Ermal Meta e Federica Abate.
Tuttavia, in generale non traggo mai ispirazione dai singoli cantanti, ma dalle canzoni in cui trovo qualcosa che mi colpisca e mi emozioni, tentando una sorta di emulazione.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Un artista con cui mi piacerebbe molto collaborare è Marco Mengoni. Personalmente, ritengo che il vero valore aggiunto di Mengoni sia la sua capacità interpretativa, di trasmettere sul palco sempre un senso di enorme profondità in ciò che canta. Potrebbe cantare anche una sigla di cartoni animati e riuscirebbe comunque a trasmettere forti emozioni.