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The Black Keys “Delta Kream” (Easy Eye Sound • Nonesuch, 2021)

14 Maggio 2021
di Andrea Riscossa

Finito il tour di Let’s Rock, The Black Keys sono tornati a Nashville, tra le mura amiche dello studio Dan Auerbach, l’Easy Eye Sound. Sarà stata l’aria di casa, saranno i cieli e le notti del profondo sud, sarà il fato e la fortuna ma accade che in un paio di pomeriggi il nostro dinamico duo registra una piccola perla antologica di musica blues. I Black Keys non hanno mai fatto mistero di aver da sempre guardato al Mississippi e alle sue declinazioni di blues come fonte ispiratrice. E in dieci album ci hanno dimostrato di essere piuttosto coerenti.

Ma il Mississippi è uno e trino: il fiume è una rappresentazione geografica e plastica di un movimento musicale che è allo stesso tempo etnografico, storiografico, sociologico, artistico. Una striscia d’acqua lunga quasi 4000 km, che attraversa dieci stati, nasce vicino a Minneapolis, passa per St. Louis, Baton Rouge, Memphis, luoghi dove nacquero ed esordirono personaggi come B.B. King, Johnny Cash, Elvis Presley, Aretha Franklin, John Lee Hooker, Otis Redding, e poi giù, fino a New Orleans, città natale del jazz e di Louis Armstrong. Lo stato del Mississippi è invece il luogo dove il blues ha trovato una sua particolare declinazione o sfumatura: l’Hill Country Blues è il soggetto del lavoro dei Black Keys. Una piccola antologia o, forse, un tributo alla musica che sta dietro i loro grandi successi. E così Auerbach e Carney recuperano alcuni classici di John Lee Hooker, Junior Kimbrough, R.L. Burnside e Big Joe Williams.

Ma il Mississippi è anche una storia, fatta di schiavitù, di canti, di malinconia, di amori, di lavoro.

Il blues nasce a un crocevia. Nasce in una notte storta di Mr. Robert Johnson. Nasce con un patto col diavolo. Nasce da schiavi che diventano americani. Nasce da sudore, sangue, fango e diventa la madre di tutti i generi musicali.
E quindi le storie raccolte in Delta Kream (in cui il delta è, ça va sans dire, quello del Mississippi) raccontano di tormenti notturni e di vendette, di polvere, fughe e sbronze memorabili.

I Black Keys per l’occasione hanno reclutato il chitarrista di R.L. Burnside, Kenny Brown, e il bassista di Junior Kimbrough, Eric Deaton. Di rinforzo anche Sam Bacco alle percussioni e all’organo Ray Jacildo. Ci sono anche autocitazioni tra le citazioni, perché i pezzi Busted e Do the Romp erano già stati inseriti nel primo album dei due, The Big Come Up.

Il risultato è un album elegante, in cui i Black Keys elettrificano un blues ipnotico e notturno, che passa da ritmi lenti come il Mississippi a cadenze da biella-manovella da treno-che-taglia-campi-di-cotone. È una malinconia che scivola su note liquide e su chitarre slide. Il risultato è un album capace di smuovere bacino e nostalgie, a volte contemporaneamente. E no, non sarà un lavoro originale e no, non aggiunge nulla di inedito alla discografia dei Black Keys, ma provate a infilarvi di notte in autostrada con Delta Kream nell’autoradio e comprenderete perché va bene, benissimo, che ogni tanto si guardi indietro con un “back to the roots” da applausi.

 

The Black Keys

Delta Kream

Easy Eye Sound • Nonesuch

 

Andrea Riscossa