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Mese: Novembre 2021

Tre Domande a: Michael Sorriso

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Fortunatamente ho passioni trasversali e sfogo la mia verve creativa seguendo da vicino le evoluzioni e il percorso di un brand che ho fondato qualche anno fa, Italia90.
Mi è mancata particolarmente la dimensione live, seppur non avessi dei tour programmati, ma è sempre stata la parte che preferisco e in cui so di potermi esprimere al meglio.
È stato anche difficile e lo è tutt’ora, dover attendere più di un anno per l’uscita delle canzoni registrate precedentemente, ma ho sfruttato l’attesa per iniziare a lavorare a del nuovo materiale. A inizio novembre, per esempio, è uscito il mio nuovo singolo, Pianoforti.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Michael Sorriso nasce artisticamente con lo pseudonimo di Lince nel lontano 2005, anno in cui, quindicenne, feci la mia prima battle di freestyle.
Dopo più di un decennio di concerti, diversi mixtape e un disco pubblicato con un’etichetta indipendente torinese, ho deciso di virare sul mio nome di battesimo e di far coincidere il mio primo disco in Major, da professionista, con l’adozione di questa nuova identità, che poi è la successione naturale di quella precedente.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Rap, anarchia, ricercatezza.
Rap perché è quello che faccio, lo strumento che utilizzo per esprimermi e con il quale mi approccio alla stesura dei testi.
Anarchia perché per me la musica è il luogo in cui potersi esprimere liberamente, senza preoccuparsi di pensieri e costumi imposti dalla società. È un posto in cui, chi ci vive, legifera; senza sovrastrutture e burocrazia.
Rap ed anarchia si alimentano a vicenda, nonostante il genere sia nato nella culla del capitalismo e nonostante prevalgano fenomeni che ne alimentano una visione stereotipata.
Ricercatezza perché odio le cose dozzinali e le cose fatte emulandone altre. Ogni canzone è stata composta con musicisti di grande spessore e con un certo gusto, con la speranza, assolutamente controtendenza rispetto alle necessità attuali e di mercato, che possa invecchiare al meglio e resistere ai segni del tempo, sia dal lato musicale che da quello autoriale.

Viagra Boys @ Link

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• Viagra Boys •

+

Automatic Band

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Bologna // 28 Novembre 2021

 

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It was nice even though we ain’t nice

 

Dopo più di un anno di snervante attesa finalmente la data zero è arrivata: domenica 28 novembre la band svedese dei Viagra Boys si è finalmente esibita a Bologna. Inizialmente il live era previsto nell’intimo Freakout Club, ma a causa delle restrizioni covid e all’enorme richiesta (sui social si è assistiti ad una caccia all’ultimo sangue per avere dei biglietti, nonostante fosse sold out da mesi) l’evento è stato spostato al più capiente Link.

In poche parole, l’hype era alle stelle.

La serata è stata aperta dalle californiane Automatic Band, un gruppo tutto al femminile post punk, a mia detta niente male, ma l’attenzione era poca, tutti aspettavamo con impazienza il noto Sebastian Murphy solcare il palco e sbalordirci tutti.

E così è stato: la band entra e senza fronzoli attaccano con i pezzi dell’ultimo disco, Welfare Jazz, uscito ad inizio 2021, che trasuda critica sociale e surrealismo, marchio di fabbrica degli svedesi. Il pogo parte in maniera istantanea, il pubblico canta e si dimena seguendo il post punk ricco di sfumature jazz, grazie all’aggiunta nella band del talentuoso sassofono di Oskar Carls. 

Sebastian Murphy incarna il leader punk per eccellenza, bramoso di attenzioni del suo pubblico accompagnato da una totale mancanza di attenzione per se stesso e per tutto ciò che lo circonda. Sul palco, a petto nudo, mostra la sua tonda pancia da birra con orgoglio e si diletta in balletti poco aggraziati, come quegli zii avvinazzati che ti mettono in imbarazzo alle feste di famiglia. Beve, bestemmia, rutta, si butta a terra, sputa sul pubblico. In molti lo descrivono come la risposta svedese a Joe Talbot, il leader degli Idles, ma questa noncuranza estrema (NB: sulla fronte ha tatuato la parola Lös, traducibile come perdente) mi ha fatto pensare più al controverso e dissacrante GG Allin.

Il live è stato ricco anche di brani tratti dal disco precedente: in Sports, Worms e Slow Learner, tutti accumunati da testi colmi di denuncia sociale e satira e nonsense che sfiora il dadaismo. Ovviamente, più volte sono stati nominati gli shrimps (gamberetti), un vero chiodo fisso che ha portato la band a fondare un’impresa fittizia dal nome Shrimptech Enterprises. 

Non sono mancati i grandi classici come Ain’t nice, Girls & Boys e Creatures, caratterizzati da quelle sonorità dance punk ma con aggiunte di garage, jazz e basi quasi country. Inserirli in un esatto genere musicale oltre ad essere riduttivo è un’impresa e loro non ne sarebbero contenti: nel video di Girls & Boys appare la scritta: “Middle aged men fight in comments on which band this sounds like”, che ci fa capire senza giri di parole la loro idea a riguardo.

È stata una serata surreale, folle e coinvolgente, con volumi esagerati ed entusiasmo alle stelle. Non potevo chiedere di meglio: tornare ad assistere ai concerti senza distanziamento con una band di matti da legare come i Viagra Boys è un sogno che si avvera.

 

Alessandra D’aloise

Foto: Linda Lolli

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Automatic Band

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The Black Veils @ Covo Club

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• The Black Veils •

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Bologna // 27 Novembre 2021

 

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Tre Domande a: Yosh Whale

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Spontanea: pensiamo che la nostra musica risulti essere spontanea o almeno speriamo arrivi questa sensazione. Abbiamo lavorato molto nel nostro ultimo singolo Ceneresole per cercare di far succedere la nostra musica, cercare di comporre senza filtri, far si che le nostre canzoni siano espressione diretta di ciò che siamo e viviamo.
Sensibile: la nostra è una musica che prende vita dai sensi; la vista, i suoni, gli odori che ci circondano prendono vita e si trasformano nell’immaginazione dando vita ai testi delle nostre canzoni.
Luminosa: è una musica che vive la luce in varie forme. C’è spesso, altre volte non si vede perché la si cerca ma alla fine da qualche parte viene fuori ed è sempre vita. In Ceneresole tutto questo è abbastanza chiaro.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Nulla in particolare. O forse la libertà. Ci piacerebbe che le persone ascoltando la nostra musica non si sentano ingabbiate nel testo ma che siano libere di pensare e immaginare cose diverse da quelle che abbiamo detto noi. Speriamo di donare alle persone la libertà di aggiungere significati nuovi alle nostre visioni, alla nostra musica.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Ci piacerebbe molto collaborare con Venerus. È un artista che per i nostri ascolti è stato come un’illuminazione. Da sempre ci siamo ispirati a musica genericamente internazionale come James Blake, Bon Iver, ma ad un tratto Venerus ci ha fatto capire che alcune trame di quella musica si potevano fare e sopratutto bene e in maniera originale anche in Italia, ci ha suggerito delle nuove strade per un obiettivo che inseguivamo da tempo.

Tre Domande a: Sgrò

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Riorganizzando l’orizzonte di ogni mio desiderio. Non sono padrone del tempo, non posso controllarlo, e programmare ha perso di senso. Quello che cerco ormai di fare, è, appunto, fare, sapendo che ci sono altre mille variabili non direttamente controllabili. Non ne vale la pena rimandare, come ho fatto io per anni.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Non so se ci sia o meno una data di nascita, perché Macedonia è un progetto che mi è salito su su dallo stomaco fin dall’adolescenza. Anche se il mio primo singolo (In Differita) è uscito a marzo 2020, pochi giorni prima del lockdown, io sento che quel filo di voce, se lo seguo, mi riporta dritto dritto alla mia prima stanza e alla mia adolescenza.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Spero arrivi quella cosa che chiamano verità, cioè urgenza. Un’urgenza che non è urlata, ma sussurrata. La voce di questo mio primo disco, Macedonia, è una voce a tratti apatica, stanca, intima e ha il colore delle pareti verniciate l’ultima volta ormai decenni fa. Spero si senta che sono canzoni fatte con lo stomaco, con la testa e con il cuore. Non ho cercato una via d’uscita dal mondo, ma una via d’entrata.

Strappare Lungo i Bordi

Attenzione: questo articolo contiene spoiler

Che cos’hanno in comune Xdono di Tiziano Ferro, Clandestino di Manu Chao e Non Abbiam Bisogno di Parole di Ron? 

All’apparenza niente, e soprattutto niente prima del 17 novembre. Poi Michele Rech, al secolo ZeroCalcare, ha deciso che era una buona idea posizionarle una dietro l’altra in quella che è l’unica opera in grado di mettere d’accordo tutto il paese dai tempi del compromesso storico: la serie animata Strappare Lungo i Bordi.

Dell’attesissima serie se ne sta parlando diffusamente, e – tranne qualche voce fuori dal coro sui social volutamente da bastian contrario – sempre con toni lusinghieri ed entusiasti, perché è oggettivamente un gran bel lavoro, frutto di una cura per i dettagli magistrale. E di conseguenza, altrettanto curata è la colonna sonora, eclettica e trasversale, talmente variegata da mettere anche lei d’accordo tutti, o quasi.

Partiamo dalle basi: esistono film in cui la colonna sonora a volte sembra quasi estranea. Magari decontestualizzata non sarebbe neanche malvagia, ma lì, in quella specifica situazione, in qualche modo stona. Qui invece, in sei episodi per un totale di un’ora e mezza, non c’è una nota fuori posto. Anche la giustapposizione fra Clandestino e Xdono per andare a descrivere i decisamente diversi input musicali di un adolescente nel 2001, per quanto suoni strana e faccia pensare “ma che c’azzecca Manu Chao con Tiziano Ferro”, funziona come la voce di Valerio Mastandrea sull’Armadillo, e cioè alla perfezione.

E poi c’è la varietà. Momenti accompagnati dal pop più ballabile a cui possiate pensare accanto ad altri in cui invece è la base strumentale a fare da padrona, lasciandosi avvicinare solo da qualche rara parola, come nel caso di Wait degli M83. Canzoni nazional-popolari vicine ad altre più ricercate, meno note sulla scena italiana, una su tutte Haut Les Coeurs del collettivo francese Fauve. Più che una canzone sembra quasi un discorso messo su una base; un ritmo incalzante fino a diventare ansiogeno, che poi si stabilizza nel ritornello e invita alla speranza molto più di quanto ci si aspettasse. Nonostante non sia nell’ultimo episodio, questo pezzo del 2013 riassume benissimo, a mio parere, il senso della serie.

“Tu vois, moi aussi j’ai peur, j’ai peur en permanence (Vedi, anch’io ho paura, ho paura in continuazione)
Qu’on m’annonce une catastrophe (che mi venga annunciata una catastrofe)
Ou qu’on m’appelle des urgences (che mi chiamino dal pronto soccorso)
Mais on a la chance d’être ensemble, tous les deux (ma abbiamo la fortuna di essere insieme, noi due)
De s’être trouvés, c’est déjà prodigieux” (di esserci trovati, ed è già un miracolo)

Bisogna poi parlare nello specifico di due pezzi. Il primo è ovviamente la sigla, Strappati Lungo i Bordi, realizzata ad hoc da Giancane. È una canzone potente, che ti si appiccica in testa e non ne vuole sapere di andare via. È una canzone che ti fa sentire giovane ma non incompleto, e mi perdonerà il Signor Italo Calvino, perché a suo modo ti fa sentire parte di un qualcosa e soprattutto ti fa sentire compreso, come se dicesse “Tranquillo che ce sta qualcun altro su ‘sta barca”. Anche altri pezzi strumentali apparsi nella serie sono stati curati da Giancane, che già aveva prestato a ZeroCalcare la sua Ipocondria per i video usciti durante il periodo del primo lockdown, a conferma di come questa collaborazione sia ormai già ben collaudata e fruttuosa.

L’altro pezzo che merita una menzione speciale è The Funeral dei Band of Horses, o come ormai può essere definito, dato il suo utilizzo nel mondo cinematografico e televisivo, “il colpo di grazia”. Fin dalle prime note, chi la conosce può presagire che stanno per arrivare le lacrime, ma in realtà è una canzone così eloquente che può intuirlo anche chi invece non ha familiarità. Ed è proprio questa eloquenza, questo quasi invitarti a piangere con i suoi silenzi e i suoi cambi di intensità studiati, che la rende perfetta per il commoventissimo finale della serie. 

Proprio come la voce dell’Armadillo.

 

Francesca di Salvatore

Pan American @ Tipoteca Italiana

Tundra, Paesaggi Sonori Contemporanei
Cornuda (TV) // 19 Novembre 2021

 

Pan American: un viaggio ad occhi chiusi

Non credo sia ancora stato fatto, almeno non che io sappia, e sta di fatto che al momento non ho voglia di cercare e magari smentirmi, tuttavia credo che qualche giornalista, scrittore, critico musicale, dovrebbe prima o poi scrivere una sorta di apologia per “coloro che chiudono gli occhi durante i concerti (ma non stanno dormendo)”.

Ieri sera, circondata da una leggera nebbiolina padana, la Tipoteca di Cornuda (primo inciso, luogo che meriterebbe una visita, quando incidentalmente doveste passare da quelle parti) ha ospitato, grazie a quegli impavidi di Lynfa, la prima data del mini tour italiano di Pan American (l’indomani sarebbe stata la volta di Jerusalem in My Heart, e sfido chiunque a trovare una doppietta più azzeccata per un festival che s’intitola Tundra – Paesaggi Sonori Contemporanei), il progetto solista di Mark Nelson, già chitarra e voce dei Labradford, ai quali il sottoscritto sarà eternamente grato.

Ero già stato in Tipoteca, almeno un paio di volte, per Chris Brokaw e Julia Kent se non erro, e il piccolo auditorium va pian piano riempendosi quando poco dopo le 21.30 il nostro guadagna il centro del palco, un timido (ma timido timido davvero) saluto al microfono un po’ in italiano, un po’ in inglese, e imbracciata la chitarra le prime note iniziano a diffondersi nell’aria.

Ora, il cappello iniziale non era buttato lì a caso, ma era un pensiero che ho elaborato mentalmente durante buona parte dello svolgimento del primo brano in scaletta, che in realtà trattavasi più di una suite lunga quasi mezz’ora, fatta di synth e arpeggi di chitarra, dilatati, languidi, dove verso la metà fa capolino anche la magnifica Memphis Helena, tratta dall’ultimo disco a nome Pan American, A Son con un sussurrato “I′m away from home / I’m away from home in time / We left it all behind”.

Non c’è illuminazione sul palco, la poca luce che si diffonde sulla scena è data dalla proiezione di una serie di video (riprese dal treno o da un auto durante una pioggia, semafori, palazzoni, campi di girasole, riprese subacquee da una piscina pubblica e a parere dello scrivente non così centrali e funzionali alla narrazione, ma si tratta di certo di un mio limite), e Mark Nelson, escluse la rare volte nelle quali si affaccia dalle parti del microfono, è spesso chino o davanti al laptop o accucciato ad armeggiare con i multieffetti della pedaliera, ed è chiaro che il messaggio che mi sta rivolgendo è “non c’è niente da vedere qui, dirigi il tuo sguardo altrove”; però con tutto il rispetto, non siamo all’interno di una sala rinascimentale rivestita di affreschi e decorazioni, il pur confortevole auditorium offre bianche pareti e lucido legno moderno, è chiaro che il viaggio da fare è più astratto, spirituale direi, e quale modo migliore per farlo che chiudendo gli occhi e abbandonandovisi.

Ed è quello che faccio.

Per oltre un’ora mi lascio condurre e trasportare, il concerto scivola via sorprendentemente veloce, nonostante la musica di Pan American sia lenta, minimale, impercettibile a volte, sfuggevole, dall’andamento e dalla struttura spesso simile eppure mi trovo a pensare che sebbene io abbia l’impressione di ascoltare sempre lo stesso pezzo mi trovi ogni volta in posti diversi, ugualmente affascinanti.

Ed in effetti in vita mia non sono mai stato tanto a nord, la tundra per me è solo una reminiscenza scolastica “tundra, taiga, muschi e licheni” e mi avvio verso casa, la nebbia di prima è ancora lì ad aspettarmi, d’altronde mi pare si sposi bene col contesto generale. 

Am I away from home?

 

Alberto Adustini

Oasis, Knebeworth 1996: questo weekend in TV

Arriva in TV questo weekend il docufilm degli Oasis Knebworth 1996, proiettato a fine settembre nei cinema italiani e raccontatoci dalla nostra Laura Faccenda nel suo articolo Oasis, Knebworth 1996.

Se vi siete persi la proiezione, non disperate!

Potete recuperare a partire da oggi, venerdì 19 Novembre, e per tutto il weekend fino a lunedì 22 Novembre su MTV, MTV Music e VH1.

Venerdì 19 Novembre
ore 20:00 – MTV Music (SKY: canali 132, 704)
ore 23:40 – MTV (SKY: canale 131; in streaming su NOW)

Domenica 21 Novembre
ore 19:00 – VH1 (Digitale terrestre: canale 67; Tivùsat: canale 22; SKY: canale 715)

Lunedì 22 Novembre
ore 22:10 – MTV Music (SKY: canali 132, 704)

The Darkness “Motorheart” (Cooking Vinyl, 2021)

Rock stravagante

Easter Is Cancelled, pubblicato nel 2019, è diventato il quarto disco nella Top 10 della band inglese, ottenendo ottime reazioni da fan e critica musicale; due anni dopo, The Darkness tornano in scena con Motorheart. Possiamo notare, già osservando la coloratissima copertina, come la stravaganza sia ormai una peculiarità, un marchio di fabbrica dei nostri. Ma riusciranno anche stavolta ad unire in modo equilibrato stravaganza e qualità musicale?

Il primo brano della tracklist, Welcome Tae Glasgae, è parecchio carico. È chiaro, nulla di innovativo, le solite cavalcate di chitarra affiancate da acuti incredibili in puro stile Rock anni ’70, certo, ma questo mix funziona sempre, almeno con The Darkness. E in realtà l’intero album non rivelerà chicche o soprese, ma manterrà un tiro piuttosto costante. Alcuni brani sembrano essere perfetti per essere riprodotti durante un viaggio in auto, magari soprattutto in questo periodo autunnale, altri invece una sana carica preallenamento, come ad esempio la title track, con il suo riff di chitarra che ricorda le sonorità tipiche mediorientali, e Nobody Can See Me Cry. Molto suggestiva la mid-tempo Sticky Situations, che spezza l’album prima degli ultimi brani. Eastbound si rivela il pezzo dal timbro più classico, dal ritmo preciso e adrenalinico. Difficile non notare in alcune parti i tratti distintivi dei più grandi pezzi Rock di fine anni ’70 e inizio anni ‘80, in particolar modo quelli degli Asia. Più variegata e ispirata è Speed Of The Nite Time, che chiude il disco in bellezza.

Tirando le somme, Motorheart è il tipico album Glam Rock senza fronzoli che ci si può aspettare da una band come The Darkness. Una band che ormai sa il fatto suo e soprattutto sa cosa cercano i propri fan. Qui troviamo infatti belle atmosfere, chitarre pesanti, voci che più pulite e acute non si può, ma anche stravaganza e divertimento. Un album che senza dubbio non deluderà, ma che non raggiunge minimamente i livelli del precedente e sembra essere parecchio sottotono.

 

The Darkness

Motorheart

Cooking Vinyl

 

Nicola Picerno

SKY ARTE presenta INDIE JUNGLE • Un viaggio nella musica dal vivo con 11 concerti

SKY ARTE
presenta

INDIE JUNGLE
Un viaggio nella musica dal vivo con 11 concerti

AL VIA LA NUOVA STAGIONE

Con Ministri, Motta, Joan Thiele, Fast Animals and Slow Kids, Myss Keta, Francesco Bianconi, Melancholia, Tutti Fenomeni, NAIP, Vasco Brondi, Margherita Vicario

IN ONDA DA SABATO 20 NOVEMBRE ALLE 20.15 SU SKY ARTE,

ANCHE ON DEMAND E IN STREAMING SU NOW

CIASCUN LIVE SARÀ INOLTRE DISPONIBILE PER TUTTI SUL SITO DI SKY ARTE

 

 

La musica dal vivo torna su Sky Arte: dal 20 novembre al via la seconda stagione di INDIE JUNGLE, il programma di approfondimento musicale, che propone 11 puntate monografiche per altrettanti concerti.

Dopo il successo della prima stagione, che ha visto protagonisti alcuni tra i nomi più rappresentativi della scena musicale contemporanea, torna il nuovo format televisivo in cui gli autori della musica indie italiana si raccontano attraverso speciali interviste e si esibiscono in esclusive live session. Una formula dedicata al mondo dei live che propone sullo schermo l’esperienza di un intero concerto dal vivo.

Protagonisti della seconda stagione di INDIE JUNGLE sono: Ministri, Motta, Joan Thiele, Fast Animals and Slow Kids, Myss Keta, Francesco Bianconi, Melancholia, Tutti Fenomeni, NAIP, Vasco Brondi, Margherita Vicario.

Un parterre di voci e storie che rappresentano un importante spaccato della musica attuale. In calendario 11 serate alla scoperta delle sonorità e delle storie degli artisti coinvolti, attraverso un accurato ritratto che rende questi live dei veri e propri mini documentari.

Format dedicato alla musica live, INDIE JUNGLE è pensato come un momento per dare spazio e visibilità a nomi del panorama musicale italiano, focalizzando l’attenzione sull’esibizione dal vivo e sul racconto delle storie che si celano dietro la creazione artistica.

In onda su Sky Arte da sabato 20 novembre alle ore 20.15, INDIE JUNGLE sarà disponibile anche on demand e in streaming su NOW. La puntata integrale sarà inoltre visibile in streaming gratuito per tutti sul sito di Sky Arte https://arte.sky.it/.

Con 11 nuove puntate e nuove storie, INDIE JUNGLE si conferma uno speciale approdo per la musica dal vivo: uno spazio in cui nomi della scena italiana realizzano una esclusiva performance dedicata al pubblico televisivo.

Protagonisti della prima stagione sono stati Frah Quintale, Fulminacci, Calibro 35, Coma Cose, La Rappresentante di Lista, Gazzelle, Ghemon, Eugenio in via di Gioia, Colapesce e Dimartino, Selton, Lucio Corsi, Lucio Leoni. Straordinarie voci che hanno infiammato lo schermo, in un momento che vedeva l’assenza della musica live.

INDIE JUNGLE è un programma scritto da Max De Carolis e Fabio Luzietti e prodotto da ERMA PICTURES in collaborazione con Sky Arte, ATCL e Spazio Rossellini. È in onda dal 20 novembre su Sky Arte (canale 120 e 400 di Sky) e sarà disponibile on demand e in streaming su NOW. Visibile anche sul sito di Sky Arte https://arte.sky.it/.

Tutti i concerti sono stati registrati in studio presso il polo multimediale Spazio Rossellini a Roma.

CALENDARIO PUNTATE

20 novembre 2021 Ministri

27 novembre 2021 Motta

04 dicembre 2021 Joan Thiele

11 dicembre 2021 Fast Animals and Slow Kids

18 dicembre 2021 Myss Keta

08 gennaio 2022 Francesco Bianconi

15 gennaio 2022 Melancholia

22 gennaio 2022 Tutti Fenomeni

29 gennaio 2022 NAIP

05 febbraio 2022 Vasco Brondi

12 febbraio 2022 Margherita Vicario

 

Tre Domande a: Mått Mūn

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Mått Mūn ha rappresentato per me un nuovo inizio, un nuovo focus musicale. Negli anni precedenti avevo spaziato tra molti generi e stili, sempre con delle band, e ad un certo punto, precisamente nel 2018, ho sentito che era arrivato il momento di trovare una nuova forma, un’incarnazione definitiva e totalmente personale, per poter fare un passo avanti, per venire completamente allo scoperto e poter crescere, mostrando tutto ció che avevo dentro in una dimensione più matura, al massimo della creatività.

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Profonde emozioni, caleidoscopiche sensazioni, idee e curiosità per il variegato mondo che ci circonda e per le meravigliose e sconfinate connessioni tra l’essere umano e il cosmo a cui appartiene.
Mi piacerebbe dare qualcosa di originale, di profondo, portando l’ascoltatore su altri mondi attraverso le melodie e le tematiche espresse, cercando di trasmettergli un po’ del mio animo sognante.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglierei proprio il singolo in uscita in questi giorni, Iridescent, primo estratto dal nuovo album LUX. I motivi sono molteplici…Innanzitutto perchè credo che il brano abbia un perfetto mix e una giusta alchimia per quanto riguarda i generi che più amo e che più ho cercato di approfondire negli ultimi anni: l’elettronica, il rock, il synthpop. Inoltre Iridescent è una canzone energetica, positiva, colorata, luminosa, con un ritornello molto orecchiabile, con un tema di base che ritengo interessante e ricco di sfumature.

NAFTALINA – Online il nuovo singolo “Betta 96”

Naftalina

Il Nuovo Singolo

Betta ‘96

 Disponibile dal 16 Novembre
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Inizia un nuovo capitolo per i Naftalina che cambiano decisamente aria.

Peter, fondatore della band, sceglie la strada di un album solista, molto diverso dai lavori precedenti, abbandonando definitivamente il genere Pop-Punk che lo ha contraddistinto per anni, ricercando nuove sonorità più cupe, un sound emotivamente più triste, ricco di atmosfere malinconiche circondate da pianoforti, violini e synth, mantenendo lo pseudonimo originale.

Il nuovo singolo si chiama Betta ‘96 e potete ascoltarlo qui.
ed è un tributo e ricordo del primo concerto dei Prozac+ che vide il cantante dei Naftalina il 12 aprile del 1996 in provincia di Ravenna.
Fin da subito divenne un loro grande fan, poi un amico, seguendoli a più date possibili in giro per l’Italia.
Il testo attraversa l’atmosfera del concerto, ma anche di una giornata tipica della band di Pordenone in Tour, sempre in viaggio su un Van, i vari preparativi, dallo scarico del furgone, il soundcheck, e ovviamente il ricordo di una Elisabetta Imelio al basso, sempre super energica e positiva, con il suo stile inconfondibile sul palco, tra salti e sorrisi e l’inesauribile voglia di parlare a fine concerto con i propri fans.

I Prozac+ furono il progetto musicale più innovativo e brillante di quegli anni ’90 in Italia, portarono sulla scena musicale nostrana una vera e propria ventata d’aria fresca raggiungendo il loro apice con Acido Acida , la Hit che fece storia fino a diventare una canzone Cult tutt’ora suonata ovunque.

 

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Musica, testo, arrangiamenti, voce, piano, chitarra, basso: Peter Torelli
Batteria: David Sabiu
Chitarra acustica: Riccardo Faedi
Quartetto d’archi dell’orchestra sinfonica di Parma:
I violino: Cesare Carretta
II violino: Michela Zanotti
Viola: Aldo Maria Zangheri
Violoncello: Anselmo Pelliccioni

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