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Tre Domande a: Aligi

Tre Domande a: Aligi

| Redazione

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto di questo nuovo disco è nato circa due anni fa durante il primo lockdown. Ero a Milano e avevo da poco ricavato un piccolo studio di registrazione nel ripostiglio degli attrezzi che avevo sul terrazzo di casa. Quella è diventata la mia tana che poco tempo dopo ho soprannominato “la nave”: intere mattinate e nottate a suonare, a scrivere e a scartare materiale per poi affacciarmi dalla finestra e assistere a quei momenti dilatati e così inaspettati. Ho imparato ad avere fiducia nei primissimi momenti di scrittura, quando è tutto nella tua mente, ma tu già lo vedi e vorresti come per magia essere al punto in cui stai rifinendo le ultime cose. E invece ero soltanto all’inizio e stava tutto a me, così ho iniziato a tirare fuori suoni da un nuovo synth analogico che avevo comprato da poco, collegato a una drum machine e, sempre presente, la mia chitarra. Ricordo poi con precisione un momento successivo, un’intuizione, la visione sonora di come sarebbe stata effettivamente la strada del mio nuovo percorso creativo. Ho cominciato a unire un suono più acustico e dalle influenze indie-rock con l’elettronica, il sapore psichedelico e sognante delle armonizzazioni dei cori e delle slide guitars a un’atmosfera più clubbing, dove linee di synth bass e arpeggiator si incastrano perfettamente con drum kit caldi e potenti. Infine, la voce. La voce quasi come uno strumento, dove più linee vocali si sommano e armonizzano così da creare un impatto deciso e delineato. Volevo poi poter descrivere quelle sensazioni di incertezza e di mistero che si respiravano in quelle giornate di primavera così insolite e a volte tragiche. Direi che quel periodo è stato davvero decisivo per la realizzazione dell’EP che uscirà, sia nei contenuti dei testi che nelle sue sonorità.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Con la mia musica cerco di portare chi ascolta (e me stesso in primis) verso una dimensione sonora capace di guidare in atmosfere spesso sognanti. Vorrei far ballare, perché anche io amo ballare, e vorrei che le persone potessero sentire quella stessa esigenza che sento io di scavare sempre più in profondità nella vita, di ricercare l’energia che spinge ad andare avanti, a stupirsi, a non demordere, a sfidarsi, a credere in se stessi e credere che ogni essere umano abbia appunto “una luce sua”, una luce interiore. A volte c’è una velata nostalgia nel mio processo creativo, sia per quanto riguarda le musiche che i testi; altre volte c’è un fuoco dirompente di estasi e di voglia di festa e leggerezza, senza fine. Come sempre luce e ombra coesistono, devono esserci, mi piace tantissimo quest’aspetto delle cose che si ripercuote in tutto, in natura così come nell’arte e nella musica. Esporre il lato più sensibile e autentico di quello che vedi e poi saper accoglierne le sue oscurità più improvvise. A questo proposito, cito Il Piccolo Principe perché penso sia un grande esempio artistico e letterario, una grande guida per molti di noi (e a volte, io mi rivedo un po’ in lui).
Dal punto di vista sonoro, mi piace invece pensare e comunicare che la mia musica sia un mix tra le armonizzazioni psichedeliche e taglienti dell’album Revolver dei Beatles e le incessanti e aggressive drum machines dei Chemical Brothers, dove il Cosmo dei giorni nostri è sicuramente un artista da cui prendere esempio per stile e inventiva.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Uno dei miei sogni sarebbe quello di poter conoscere e collaborare con Josh Homme, frontman e leader dei Queens of the Stone Age. Amo il suo sound e le cose che ha creato, anche nelle produzioni che ha fatto separatamente con altri artisti, c’è qualcosa di mistico e spirituale nella sua musica che sento molto vicino e mi incanta sempre. Mi piacerebbe poter andare insieme nello studio che ha nel Joshua Tree che si chiama Rancho de la Luna e registrare qualcosa, magari un nuovo EP o delle Desert Sessions. Spesso fantastico su quanto potrebbe essere stimolante e interessante lavorare al suo fianco, unendo il suo stile ipnotizzante e dal sapore californiano alle mie visioni più elettroniche e “danzerecce”(cantate, perché no, anche in italiano).