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Paolo Nutini @ Pistoia Blues

L’attesa inizia nel 2014, anno di pubblicazione di Caustic Love dopo il quale passano ben otto anni di silenzio fino alla recente uscita di Last Night in the Bittersweet, progetto con cui ha richiamato i fan attorno a sé, anche se non lo avevano mai scordato. Così, Paolo Nutini, il cantante britannico di origini toscane, ha chiuso l’ultima edizione del Pistoia Blues Festival con un sold out già annunciato e una piazza che lo ha circondato in un abbraccio caloroso di applausi, salti, sorrisi e canzoni cantate o masticate a fior di labbra. Un modo meraviglioso per accogliere chi ha lasciato un segno nel tuo cuore musicale, e per salutare una città che, come ogni anno, ospita vere e proprie esperienze sonore. 

Entrare nella piazza attraversando i controlli della sicurezza è ormai una prassi a cui non faccio più attenzione, tanto il servizio è veloce e professionale, senza intoppi e con tanta cortesia che, ammetto, fa sempre piacere. Vorrei dirvi che vedere tutte quelle persone in attesa mi sorprende, ma non è vero, lo trovo normale quando il palco promette tanta bravura ed emozioni, però ogni volta è come se fosse la prima, e ti fa piacere vedere quante persone hanno voglia di essere lì, come parte viva e pulsante dell’evento. A differenza della serata in cui si sono esibiti i Simple Minds, in piazza non ci sono sedie, ad eccezione dei classici spalti, ma non sembra un problema per nessuno, anzi, c’è un certo piacere a ricominciare a vivere i concerti come succedeva prima della pandemia. L’età è varia, un artista come Nutini riesce a riunire intere generazioni, e le differenze di qualsiasi tipo si annullano per qualche ora. 

Come la sera precedente, anche questa esibizione non è preceduta da nessun opener, Paolo Nutini sale sul palco semplicemente, esibendo una normalissima t-shirt chiara, jeans, un capello folto, forse qualche chiletto che il tempo ha concesso anche a lui, e tutta la voglia di infuocare quel pubblico che non aspetta altro da anni. Il loop rarefatto e potente di Afterneath apre il concerto, tra gli applausi e le voci estasiate del pubblico. Dall’aspetto del cantautore scozzese diresti che stava passando per caso davanti al palco, ha trovato un microfono, ha raccolto amici musicisti in una band e ha iniziato a cantare catturando l’attenzione di tutta la piazza. Non cerca di compiacere l’occhio del pubblico, a lui interessa l’orecchio e tutto ciò che può suscitare suonando, dimostrando di essere uno di quegli artisti talmente capaci che non deve vestirsi come un pagliaccio per riempire il palco. E Nutini sa come muoversi seguendo la propria musica, oppure facendosi seguire da essa, senza strategia, ma solo con la voglia di stare bene con chi lo ascolta. 

Grida i titoli delle canzoni come un regalo lanciato al suo pubblico, mentre lascia che altre parlino da sole con l’attacco delle prime note. Lose It è uno squarcio nell’aria, mentre Scream (Funk My Life Up) si avvale di un ritmo groovoso del funky, ma è con Acid Eyes che arriva, almeno per me, quella sensazione che prende ogni centimetro di pelle, partendo dal basso che sfoggia le sue capacità vocali tra toni alti e bassi, mentre il brano acquista un arrangiamento più rock rispetto all’originale. L’atmosfera sonora è rarefatta, sui monumenti vengono proiettati morbidi giochi di luce, mentre i battiti sono quelli del cuore di un pubblico che all’unisono inizia a cantare, e continuerà a farlo per molti altri brani, tra cui la sperata Candy, che riempie l’aria e il respiro di nostalgica e dolce fatalità. Intanto l’artista non solo canta, ma parla, fa delle battute, alza il bicchiere di birra per brindare con tutti quelli che sono lì, con il corpo, oppure solo col pensiero. Through the Echoes, invece, fa male, arriva con il suo timbro graffiante che ti strazia, non più un canto, quasi una richiesta di ascoltare veramente, prestare attenzione a chi abbiamo dentro di noi. Per Coming Up Easy il palco si popola di una schiera di sei corde che trasfigurano la piazza in un viaggio verso mete lontane, campi di qualcosa che attraversi con la mente, forse campi di quell’amore che la musica, solo lei, ti dà il coraggio di attraversare. 

Con il ritornello di Shine a Light, in pieno bis, coglie l’occasione di omaggiare i Simple Minds che lo hanno preceduto la sera prima cantando Don’t You (Forget About Me) per poi riprendere il suo brano, ma confermando così un legame con il gruppo che, come lui, proviene dal panorama musicale scozzese. L’esibizione dell’artista si conclude con un secondo bis in cui canta Guarda che luna di Fred Buscaglione, quell’omaggio ai grandi artisti del nostro passato che troppo spesso ci scordiamo. La canzone è struggente e inaspettata, come la sua interpretazione che è talmente intensa da rendere emozionato anche lui. In quel brano ci sono tutte le sue origini, tutta la sua sensibilità, la storia musicale che forse il padre si è portato dall’Italia e con cui è cresciuto. Il pubblico ascolta in religioso silenzio. C’è chi balla, chi si abbraccia, non necessariamente sono coppie, alcuni sono amici in piccoli gruppi. La musica quando è bella non ha età, e quando arriva ti scordi dell’alterigia con cui viene catalogata in compartimenti stagni e ti lasci solo trascinare dall’emozione del momento, dai ricordi che può evocare, o semplicemente dalla bellezza che senti far parte di te, anche se non sai come possa succedere. 

A fine serata, dalla piazza usciamo in una città che non ha voglia di dormire e popola il vivace centro mescolandosi a chi ha ancora le note nelle orecchie e nel cuore. Con me c’è Giulia, l’amica che mi ha accompagnata in questo concerto, e ha il sorriso più bello che si possa immaginare, oltre a tutta alla soddisfazione di chi ha vissuto una piccola bolla di sapone dove l’arte ci difende dalla noia quotidiana. In fin dei conti la felicità ha la distanza di un giro di do. Abbracci Pistoia con tutta la settimana che ti ha regalato, la stanchezza del corpo, la forza dello spirito, le luci che popolano ancora gli occhi. Si tratta di un arrivederci, ma già l’atmosfera del festival ti manca, solo qualche video e qualche scatto salvato sul cellulare ti dicono che non è stato un sogno, che è stato tutto vero. Saluti con il pensiero tutti quelli che hanno reso possibile questa bella esperienza, dagli artisti ai fonici, al servizio di sicurezza, perché tutti sono importanti perché un concerto possa essere realizzato. E non rimane altro che aspettare l’edizione del 2023.

 

Alma Marlia

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