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Tre Domande a: Anna Soares

Tre Domande a: Anna Soares

| Redazione

Se dovessi riassumere la tua musica con un tre parole, quali sceglieresti e perché?

Viscerale: per me è essenziale che quel che produco a livello sonoro entri completamente dentro chi ascolta, che lo percepisca a livello fisico, oltre che emotivo. Campionare il suono della cintura che mi percuote, un mio orgasmo o il suono del vento tra gli alberi mi consente di passare delle informazioni puramente fisiche che il solo blend tra ritmica, armonia e melodia a volte non riesce ad esprimere.
Intellettuale: sono consapevole che i miei lavori non siano per tutti e non lo ritengo un problema. Ci sono persone che amano fruire della musica come se fosse cibo, ingurgitando bocconi più o meno grandi, più o meno buoni, sta al mero giudizio personale trarne conclusioni e giudizi. Io amo mantenere l’attenzione alta nel cogliere citazioni filosofiche, antropologiche, legate alla più alta forma della sessualità: la sua culturalizzazione.
Eccitante: sembra quasi scontato, ma dal momento che la mia musica parla di sesso e, nello specifico, di un approccio sacrale alla sfera sessuale, è naturale che chi ascolta e ci si immerge senta quel brivido lungo la schiena, quasi assimilabile alla sensazione del flirt, della seduzione, del gioco di sguardi. Una cosa molto buffa e molto carina che mi è stata detta da più persone è stato il loro sentirsi “esposti” mentre ascoltavano i miei brani in cuffia in pubblico. Quasi come se il loro linguaggio del corpo tradisse un’eccitazione irrefrenabile. È stato molto bello prenderne consapevolezza. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Oh, molte, moltissime cose. Vorrei che le persone potessero percepire e sentire se stesse all’interno di un quadro più ampio, abbracciando chi sentono di essere al di là di quel che è stato detto loro dovessero essere. A partire dal loro aspetto, fino ad arrivare ai loro desideri più profondi e radicati, passando per la consapevolezza del non aver controllo su molti aspetti della realtà e dell’esistenza. Vorrei che si sdoganasse a livello socioculturale un certo approccio ipermorlista rispetto ai temi tabù della nostra epoca, instaurando un dialogo più ampio, e che includa le nuove generazioni e le loro tematiche. Vorrei che le persone fossero in generale più serene rispetto alle aspettative della società, che si concedessero di lasciar andare e di lasciarsi andare, assecondando luoghi interiori che hanno un loro peso specifico. Poi, si, sarebbe anche meraviglioso che in Italia si variasse un po’ con l’estetica musicale di quel che viene proposto da oltre 30 anni, sempre uguale a se stesso tranne per rarissime eccezioni. 

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? Ce n’è uno che usi più di altri?

Penso che i social attualmente siano la vetrina più sensata e più a portata di mano per chiunque voglia proporre un proprio lavoro artistico. Li utilizzo, sono parte di quel frullatore gigante come tutti, anche se vivo il rapporto con i social in modo duale e idiosincratico. Trattando tematiche legate alle sessualità alternative spesso incorro in problemi legati a segnalazioni di persone che apparentemente non apprezzano la mia faccia di bronzo nel dire delle cose in modo chiaro e schierato. O forse non apprezzano la mia autodeterminazione nel rappresentarmi libera e fiera, chissà. Vedo la faccenda in un quadro più sfaccettato, quindi non direi che “punto” sui social per far conoscere il mio lavoro, piuttosto, sento l’esigenza di occupare uno dei pochi spazi che mi sono concessi per creare consapevolezza. Poi, se le persone decideranno di ascoltare quel che faccio, mi prenderò anche uno spazio sonoro. La musica è un veicolo attraverso il quale creare magia, non il fine ultimo. Cheers!