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Tre Domande a: Novadeaf

Tre Domande a: Novadeaf

| Redazione

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

Mi sono formato con la musica rock e pop inglese e americana degli anni ’70, ’80 e ’90 e ogni band o songwriter che ho amato ha ovviamente lasciato una traccia dentro di me. R.E.M., Nick Drake, Smashing Pumpkins, Joni Mitchell, Depeche Mode sono i primi nomi che mi vengono in mente. Di David Bowie ammiro il mestiere, la lucidità e l’intelligenza con cui ha saputo reinventarsi anno dopo anno, stagione dopo stagione, costruendosi al contempo un percorso artistico coerente e organico. Se poi parliamo di veri e propri modelli artistici trovo che i Radiohead siano stati i Beatles della mia generazione, imprescindibili per chi fa il mio genere di musica. In Rainbows per me è l’album perfetto.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Un bel dilemma! Probabilmente opterei per Four, il primo singolo estratto dal mio ultimo album. Direi che è un ottimo compendio della mia attuale idea di musica, ci sono dentro quasi tutti i miei ingredienti preferiti: una melodia ampia e catchy per parlare a quante più orecchie possibile, un tappeto di archi che dona raffinatezza e profondità emotiva, un ritmo moderatamente dance per stimolare anche il corpo insieme allo spirito. Ci sono synth suonati da un computer e c’è un assolo di chitarra suonato da dita umane. Mi piace giocare con i contrasti, dire una cosa e al contempo dire il suo contrario, mescolare elementi diversi e creare dei piccoli mondi. 

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Creare oggetti sonori che sappiano emozionare e coinvolgere, con la speranza che chi ascolta possa riconoscere dentro di essi un pezzo del proprio vissuto, della propria idea del mondo o della propria sensibilità. In una parola, creare bellezza.