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Tag: alessandra d’aloise

First Two Pages Of Frankenstein

Avviso per i più sensibili: anche questo disco ti spaccherà il cuore, cosa quasi scontata per i fan de The National ma, se ti stai approcciando per la prima volta a questa band alt rock di Cincinnati naturalizzata Brooklyn, mi sembra doveroso avvertirti.
Bene, ora che hai preparato i fazzolettini, possiamo cominciare.

Esce oggi l’attesissimo ultimo disco de The National, colmo come sempre di feat di una certa importanza, per la celeberrima etichetta 4AD. 

Attesissimo perché il cantante Matt Berninger ha affermato in un’intervista che la band stava avendo diversi problemi: “una fase molto buia in cui non riuscivo a trovare testi o melodie e quel periodo è durato più di un anno. Anche se siamo sempre stati ansiosi e abbiamo litigato spesso durante la lavorazione di un disco, questa è stata la prima volta in cui ci è sembrato che le cose fossero davvero arrivate alla fine”.
Ma, fortunatamente, The National sono stati sempre dei maestri nel saper estrapolare la bellezza anche nella sofferenza e nel dolore, e quindi “siamo riusciti a tornare insieme e ad affrontare tutto da un’angolazione diversa, e grazie a questo siamo arrivati a quella che sembra una nuova era per la band”, afferma il chitarrista/pianista Bryce Dessner.
Il disco inizia con una ballata al pianoforte semplice e romantica, Once Upon a Poolside, che parla della paura di perdersi, emozioni amplificate anche dalla presenza di Sufjan Stevens. Altra canzone da dedicare al proprio partner è sicuramente New Order T-Shirt, singolo che anticipava il disco, con un testo ricco di nostalgia e piccoli dettagli che solo chi è veramente innamorato nota dell’altro. Inoltre, questo singolo, ha portato anche ad una collaborazione con i suddetti New Order per vendere magliette limited edition omaggianti la band di Manchester e donare il ricavato in beneficenza.
Il vero scossone, però, l’ho avuto all’ascolto di Your Mind is Not Your Friend, composta assieme alla cantautrice e chitarrista Phoebe Bridgers, dove attraverso dolci note di piano si parla della paura di affrontare i lati più oscuri della propria mente a causa delle malattie mentali. Altra firma inconfondibile stile National l’abbiamo nel brano The Alcott, caratterizzato da melodie di archi e piano molto scarne e testi introspettivi e quasi brutalmente struggenti. Scritto in collaborazione con la regina dell’Indie Folk Taylor Swift, lei e Berninger interpretano il ruolo di una coppia che cerca in tutti i modi di far rinascere il proprio rapporto ormai finito, ma che nell’ultima strofa sembra aver trovato una nuova luce: “I tell you that I think I’m falling back in love with you”. Dopo esserci disidratati a suon di lacrime, fortunatamente il disco si conclude con un brano positivo e colmo di speranze. Send for Me è caratterizzata da una melodia più strutturata e ritmata, e dalla certezza che c’è sempre qualcuno pronto per te a raggiungerti nel momento del bisogno.

Strazianti ma necessari, The National sono come quel pianto liberatorio che fai a fine di una dura giornata, quello che ti aiuta a superare le ansie e ti dona la carica necessaria per affrontare qualsiasi avversità. Questo nono disco, conferma le enormi capacità introspettive e catartiche della band attraverso melodie semplici che permettono al testo di farla da padrone. Insomma, i Nick Cave americani. E nonostante le due decadi di carriera, la loro capacità di emozionare rimane invariata, anzi ancora più profonda ed viscerale, senza mai diventare ripetitiva.

Alessandra D’aloise

dEUS “How to Replace It” ([PIAS] Recordings, 2023)

Reinventarsi restando sé stessi

Undici anni di attesa sono tanti. Nel frattempo si cresce, si ingrigiscono i capelli, ci si trasforma in persone più mature. Ecco, questo nella musica non sempre succede, nel bene e nel male, e un esempio lampante sono proprio i dEUS. La caratteristica principale della band belga infatti, rimane intatta: essere in grado di sperimentare generi che apparentemente sembrano lontani miglia ma che nelle loro canzoni si amalgamano perfettamente. Dal rock classico a quello più sperimentale, al jazz passando dal blues, con influenze che vanno dai Velvet Underground ai Sonic Youth, fino a Captain Beefheart. Dopo poco più di una decade di assenza, fortunatamente, Tom Barman e soci tornano con un nuovo lavoro in uscita proprio oggi per [PIAS] Recordings.

Reinventarsi rimanendo fedeli a se stessi anche nel trovare nuovi modi per comporre, dato che raccontano di instancabili jam sessions, cinque giorni su sette, che hanno portato una nuova armonia nella band. “Stavo suonando il piano e ho chiesto al nostro batterista Steph (Stéphane Misseghers) di darmi un ritmo da valzer – afferma Klaas Janzoons –, mi sono saltati in testa subito gli accordi principali, Tom ha aggiunto una terza sezione a otto battute e abbiamo ottenuto il cuore del pezzo. Ma, con tipico stile dEUS, c’è voluto poi molto tempo ed energia per arrivare al risultato finale”.

L’album è stato anticipato dal singolo How to Replace It che dà il nome a tutto il progetto e si dimostra una splendida anteprima: delle percussioni profonde e ritmate vengono raggiunte da cori simil gospel che donano un’aria epica e maestosa. Il resto del disco mantiene quella creatività e ricerca costante, con brani sicuramente più tendenti al jazz (Man of the House) e altri più oscuri e ritmati (Dream is a Giver). Loves Breaks Down invece è una ballata profonda e introspettiva, quella che farà tirare fuori gli accendini durante i live e cantare a squarciagola. A chiudere il disco una canzone nella loro lingua madre, il francese, dal nome Le Blues Polaire, che racchiude perfettamente tutta la schizofrenia musicale della band, con un riff di chitarra blues e ritornelli splendidamente pop.

Impossibile definire un genere preciso a cui far corrispondere i dEUS, ma credo che neanche loro sarebbero entusiasti di essere rinchiusi in un unico compartimento stagno musicale. Questo nuovo disco conferma la capacità della band di continuare ad osare e a mettersi in gioco, mantenendo però il loro stile unico ed inconfondibile. Ritengo che specialmente dal vivo si possa apprezzare il caleidoscopio di generi che i dEUS sono in grado di creare – parlo per esperienza personale – e questo disco ha tutte le potenzialità per mettere in luce l’alta tecnica di ogni componente della band e, contemporaneamente, far emozionare e divertire la platea.
Il 29 Marzo saranno ai Magazzini Generali a Milano, nel corso del loro tour europeo, non fateveli scappare. 

 

dEUS
How to Replace it
[PIAS] recordings

 

Alessandra d’Aloise

VEZ5_2022: Alessandra D’aloise

A dicembre scorso, mentre pubblicavamo per il secondo anno di fila le personali top 5 della redazione e degli amici di VEZ, ci eravamo augurati come buon proposito per l’anno nuovo di tornare il prima possibile e in modo più normale possibile ad ascoltare la musica nel suo habitat naturale: sotto palco.
Nel 2022 tutto sommato possiamo dire di esserci riusciti, tra palazzetti di nuovo pieni e festival estivi senza né sedie né distanziamenti. Però ormai ci siamo affezionati a questo format-resoconto per tirare le somme, quindi ecco anche quest’anno le VEZ5 per i dischi del 2022.

 

Viagra Boys Cave World

Probabilmente sarò ripetitiva, perché ogni volta che c’è una classifica da fare li inserisco sempre, ma al cuor non si comanda, e tra me e i Viagra Boys è amore vero. Terzo disco per la band di Stoccolma capitanata da Sebastian Murphy e anche stavolta per me è un grande, gigantesco, sì. Chitarre rumorose, ironia pungente e quella classica aria strafottente di ogni band punk che si rispetti.

Traccia da non perdere: Troglodyte

 

Wet Leg Wet Leg

Album d’esordio per questo talentuosissimo duo britannico, che in poco tempo ha scalato le classifiche mondiali ed è stato prodotto nientepopodimeno che dalla Domino. Testi irriverenti e sarcastici accompagnati da riff di chitarre incalzanti che non puoi fare a meno di canticchiarli per giorni e giorni.

Traccia da non perdere: Ur Mum

 

CLAMM Care

Dopo un anno dal loro debutto, questa chiassosa band australiana torna a far parlare di sé. Quindici brani veloci e furenti, dove traspare tutta l’ansia dei tempi attuali, tra pandemia e cambiamenti climatici. Consigliato a chi piace fare headbanging in cameretta o in macchina verso il lavoro.

Traccia da non perdere: Monday

 

Beach House Once Twice Melody

Un’opera musicale di ben 18 brani, suddivisa in quattro album pubblicati a circa un mese di distanza l’uno dall’altro. Un lunghissimo sogno psichedelico, ma mai ripetitivo. I Beach House dimostrano ancora una volta di saper giocare sapientemente con synth, chitarre elettriche e acustiche, creando quel suono vellutato ed onirico tipico della band.

Traccia da non perdere: Hurts to Love 

 

Crack Cloud Tough Baby

Il collettivo americano nato da un gruppo di aiuto per uscire dalle dipendenze, ha prodotto un disco decisamente fuori dall’ordinario. Le loro origini post punk si sentono ancora, ma ogni brano ha vita a sé, ricchi di influenze post rock passando dal trip hop fino al gospel. Una sorpresa continua.

Traccia da non perdere: Costly Engineered Illusion

 

 

 

Alessandra D’aloise

Lust for Youth @ Locomotiv Club

Bologna, 7 Ottobre 2022

 

Finalmente recuperata la data bolognese dei Lust For Youth, inizialmente prevista a febbraio ma rimandata a causa delle restrizioni Covid.
Il duo danese synth pop è una vecchia conoscenza del Locomotiv Club, ma probabilmente a causa della indaffaratissima movida della città felsinea non ha riempito la sala come la scorsa volta (in città c’è IL FESTIVAL di musica elettronica per eccellenza che ha sicuramente accalappiato una buona fetta di fan, NdA).

Hannes Norrvide e Malthe Fischer, per rendere il loro live più onirico, hanno esplicitamente richiesto di riempire la sala di fumo, ma in maniera quasi eccessiva tanto che a malapena riuscivo a vedermi i piedi. Le loro figure sul palco erano silhouette oscure senza volto, che vibravano a suon dei cupi synth, illuminate solo da violenti fasci di luce colorata che li rendeva eterei, quasi provenienti da un altro mondo.
La scaletta prevedeva quasi interamente il secondo disco omonimo, uscito nel 2019 a cura della celeberrima etichetta Sacred Bones, dal piglio decisamente new wave che ricorda i primi New Order e con derivazioni industrial alla Depeche Mode. 

Infatti da lì vengono eseguiti a dovere, forse anche un po’ troppo, Venus de Milo, Insignificant e New Balance Point, tanto a ricordare completamente l’ascolto dal disco. 

Anche la figura di Norrvide alla voce rimane un po’ piatta e poco coinvolgente durante il live. Il suo ciondolare avanti e dietro sul palco manca completamente di mordente. Il set è breve e senza vitalità. Non so bene cosa mancasse, forse l’assenza della ex membra Soho Rezanejad pesa molto di più sul live che su disco, oppure bastava semplicemente distaccarsi un po’ di più dai cliché del genere e provare qualcosa di diverso, almeno durante il concerto. 

Peccato anche per il loro singolo più iconico, New Boys iniziato e non eseguito del tutto, lasciando un po’ di amaro in bocca. L’amore per il nostro Paese è una costante nella band, infatti viene riprodotto, anche qui alla lettera, il singolo Lungomare con un lungo intro malinconico nella nostra lingua.

Le atmosfere cupe e sognanti dei i Lust for Youth non mi convincono del tutto, nonostante l’ottima tecnica dimostrata dal duo. Mancava il trasporto, il coinvolgimento che un live del genere dovrebbe avere. Ho ballato al suon della dance wave cercando di farmi trasportare nelle loro malinconiche tonalità, ma senza mai sentirle veramente. Peccato.

 

Alessandra D’aloise

foto di copertina Marianna Fornaro

Mudhoney @ TPO

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• Mudhoney •

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CUT THE BAND

THIS IS FERNANDHELL

TPO (Bologna) // 06 Ottobre 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]D’Annunzio sosteneva che “l’attesa del piacere era esso stesso il piacere”, ma direi che il poeta abruzzese non ha mai dovuto aspettare di vedere una band rimandata più volte causa covid.

Ebbene dopo mille peripezie, ieri sera sul palco del TPO di Bologna, grazie ai ragazzi del Covo Club, si è esibita una di quelle band che sono alle fondamenta di qualsiasi gruppo rock esistente. E non è un eufemismo: i Nirvana, i Soundgarden, i Pearl Jam, ed in generale tutto il movimento grunge americano a cavallo tra gli anni 80 e 90 è nato da una costola dei Mudhoney.

Ma procediamo con ordine.

La serata è stata aperta da due band italiane, i Fernandhell e Cut che hanno contribuito a riscaldare la già rovente atmosfera dell’ex teatro occupato gremito di fan sfegatati, quasi tutti con magliette di tour dei Mudhoney risalenti a prima della mia nascita.

Mark Arm e soci salgono sul palco rilassati e sereni, come se si trovassero ad una cena a casa di amici e non di fronte ad una folla accanita ed esplosiva. Ma la loro aria innocente e rilassata era solo una facciata: immediatamente partono chitarre dissonanti e ritmi incalzanti.

Un’ora e mezza di suoni perentori e martellanti, senza quasi una pausa, dimostrazione che la loro fama di zoccolo duro del rock è più che motivata. I grandi classici immancabili che hanno infiammato la platea Suck You Dry, Good Enough e FDK sono stati acclamati da tutti i presenti.

Durante la classica Touch Me I’m Sick ho rischiato di perdere la vita nel pogo violento, ma era una vita che sognavo di potermi dimenare sotto al palco durante quella canzone.

Bis di ben cinque canzoni estratte dai dischi più recenti: da Chardonnay del 2013 a One Bad Actor del disco uscito nel 2019 che comunque la vecchia guardia del pubblico ha dimostrato di apprezzare.

Alla fine del live eravamo una folla sudata e probabilmente con qualche livido addosso, ma tutti con un sorriso a 32 denti stampato in faccia, consapevoli di aver appena assistito ad un vero e proprio concerto Rock and Roll, con le “r” maiuscole.

 

Alessandra D’aloise

foto di Lucia Adele Nanni

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CUT THE BAND

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THIS IS FERNANDHELL

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Black Lips @ Covo Summer 2022

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• Black Lips •

 

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Covo Summer 2022  (Bologna) // 14 Giugno 2022

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]“Portati l’ombrello perché sono soliti sputare sul pubblico”

Queste sono state le parole che mi son state dette quando ho deciso di andare un martedì sera di giugno al Covo Club di Bologna a sentire i Black Lips. Il gruppo garage rock con punte di psichedelia di Atlanta, infatti, è celebre per mettere in scena dei live da squilibrati, nella piena filosofia rock and roll.

Già dai loro outfit sul palco si capisce che sono tutt’altro che bravi ragazzi, come dice la loro celebre canzone, ma piuttosto sembrerebbero la compagnia perfetta per una serata folle, di quelle che magari ti svegli un altro Paese senza sapere come ci si è arrivati. Jeff Clarke, chitarra e voce, si presenta sul palco con quella che sembra una camicia da notte, senza pantaloni e senza scarpe, Jared Swilley al basso con i capelli taglio pompadour, stile Elivs Presley per capirci, che pettina ossessivamente sul palco, e Zumi Rosow al sax, con un corpetto di pelle degno delle migliori serate BDSM. Ad accompagnarli alla batteria Oakley Munson vestito da vero cowboy e Cole Alexander alla voce e chitarra anche se il suo strumento preferito sembrava la bottiglia di bourbon. 

Insomma le premesse erano ottime e ci hanno regalato un live da sturbo. Ritmi folli e sax che la fa da padrone con Angola Rodeo e Cold Hands, sapientemente alternati a momenti più riflessivi come Crystal Night e Georgia. Con Boomerang e Modern art invece, ci portano verso ritmi più folk – country fuzz che hanno sempre contraddistinto la band. Immancabile cover dei Velvet Underground Get It on Time, toccante e riflessiva ma sempre con un tocco di follia marchio Black Lips.

La band si diverte da matti sul palco e si vede, e il pubblico ancora di più: balli scatenati, sudore e follia sprizza dai pori di ogni presente, che sia sopra o sotto il palco a ballare.

Il finale è esplosivo e totalmente inaspettato: concludono con la loro hit, Bad Kids, che, anche se amata dal pubblico e presente in ogni playlist indie rock per eccellenza, difficilmente viene suonata live. 

Niente sputi (e meno male) ma un’energia infinita e follia in ogni dove, i live dei Black Lips non deludono mai.

 

Alessandra D’aloise

Foto: Lucia Adele Nanni
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Thurston Moore @ Nova Bologna 2022

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• Thurston Moore •

+

King Hannah

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N O V A  F E S T I V A L  2022

Dumbo (Bologna) // 11 Giugno 2022

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Seconda serata all’insegna delle buone chitarre in quel di Bologna, grazie a quel gioiellino del NOVA Festival. Stasera una line up di tutto rispetto, dove in apertura al navigato Thurston Moore ci sono i King Hannah, duo di Liverpool nel pieno delle luci della ribalta.

Infatti, già dal gruppo di apertura, la sala è gremita di persone e si respira un’aria di attesa e pungente curiosità. Hannah Merrick alla voce e Craig Whittle alla chitarra, accompagnati dalla classica formazione di batteria e basso, creano un sound ipnotico ed etereo, che spazia da un Trip hop alla Portishead con tendenze folk rock. Viene presentato quasi interamente il loro disco d’esordio, che gli ha fruttato un contratto con la storica etichetta City Slang, con l’aggiunta di una cover emozionante di Bruce Springsteen State Trooper. Il loro live finisce con la tittle track che li ha resi noti alla grande critica e anche la mia loro canzone preferita I’m Not Sorry I Was Just Being Me: una voce ammaliante e magnetica che richiama una giovanissima PJ Harvey. Diventeranno i big di tutti i prossimi festival invernali, ve lo garantisco.

Dalle atmosfere sognanti ed oniriche si passa al muro di suono che ti devasta timpani e anima che solo i Sonic Youth sanno fare e che giustamente Thurston Moore porta avanti in solitaria. La formazione sul palco, poi, è di tutto rispetto: Debbie Googe (My Bloody Valentine) al basso, James Sedwards alla chitarra (Nought) e Jem Doulton alla batteria. All’anagrafe non proprio giovanissimo, ben 64 primavere, ma sul palco il nostro beniamino americano dimostra una carica e un’energia da diciottenne. La maestria, poi, con cui maneggia la sua chitarra è da lasciarti senza fiato: i riverberi e le distorsioni di suono che riesce a creare sono intense e appassionanti, che deliziano tutti i fan di quel noise rock aggressivo e prorompente. La scaletta prevede sia brani dal suo ultimo disco Screen Time, composto principalmente da lunghe canzoni strumentali eseguite ad arte come The Station e The Neighbor, sia canzoni meno recenti, come la celebre Hashish.

Momento di campanilismo: Thurston Moore venne a suonare nella mia piccola città natale, Vasto in provincia di Chieti, nel lontano 2016 e se ne innamorò completamente, tanto da tornarci successivamente sia come turista che da dedicargli una canzone. Infatti ieri sera, prima di eseguire Siren ha elogiato pubblicamente la mia città, rendendo l’esecuzione ancora più emozionante per la sottoscritta. 

Due band diverse sia per il sound che per l’attitudine, ma perfettamente amalgamate che ci hanno regalato una serata emozionante e suggestiva, che ci hanno lasciato per tutta la serata un sorrisetto soddisfatto di chi, per qualche ora, ha saziato la propria fame di live music di un certo livello.

 

Alessandra D’aloise

Foto: Roberto Mazza Antonov
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KING HANNAH

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Italia 90 @ Covo Club

Serata all’insegna della Union Jack in quel del Covo Club di Bologna.

Sabato sera finalmente è stata recuperata la data degli inglesi Italia 90 prevista inizialmente ad aprile 2020 e che la sottoscritta attendeva con trepidazione.

Ma partiamo dall’inizio.

Ad aprire la serata ci sono i Qlowski, band metà emiliana e metà inglese prodotta da quel gioiello di etichetta nostrana che è la Maple Death Records. Post punk più classico con sfumature di noise, che a tratti sfocia in una rivisitazione moderna del kiwi-pop, grazie alla voce pungente di Cecilia Corapi, che si alterna ai toni più bassi di Michele Tellarini. La band presenta il loro LP Quale Futuro e aprirà tutte le date previste nello stivale dei nostri beniamini inglesi dal nome per noi a dir poco nostalgico ed evocativo.

Il quartetto originario di Brighton ma oramai trasferitosi a South London sale sul palco ed è evidente che il pubblico non sta più nella pelle. Subito partono i bassi perentori e assordanti accompagnati da una voce rabbiosa e penetrante, un cantato quasi da hooligan e atmosfere da pub malfamati londinesi. Vengono eseguiti brani da tutti gli EP pubblicati finora, in quanto un disco completo non è ancora uscito, ma di talento ce n’è a profusione. Da citare sicuramente Strokes City e Borderline, che parlano della brutalità della polizia, di violenza e della politica che va a scatafascio nella vecchia e cara Inghilterra. Ovviamente il pogo parte istantaneo e alla fine, neanche il cantante riesce a resistergli: come in ogni concerto punk prende il microfono e si butta nella mischia a cantare e ballare, con una voce ancora più furiosa ed evocativa. Sul palco appare di nuovo la Corapi ed eseguono un brano insieme, dimostrando che la sintonia tra le due band è forte e intensa. Sul finale, per la mia felicità, viene suonata Competition, dal loro primo EP del 2017, con dei bassi potentissimi e rabbia sistemica ed è stata proprio questa a farmi innamorare della band al primo ascolto. 

Il paragone con i primissimi Gang of Four forse è troppo facile ma inevitabile. Se vogliamo poi andare su band più recenti si può parlare anche di IDLES, non solo per il sound ma anche per tematiche politiche e ironia pungente dei loro testi. Lo stile da skinhead, come se fossero appena usciti dal film This Is England, poi, fa tutto il resto. Gli Italia 90 confermano di essere una delle band più interessanti che si affacciano sul panorama inglese e portano freschezza e novità in un genere che sembrava ormai già stato sondato in lungo e largo. 

 

Alessandra d’Aloise

Foto di copertina: FabioBP

Simple Plan “Harder Than It Looks” (Self, 2022)

La musica, si sa, ha un potere magico grandissimo: riesce a farti viaggiare nel tempo. Non si può mica negare che, ascoltato l’album giusto, ci si immagina nel futuro, nei momenti che segneranno della nostra vita (io, a diciassette anni, immaginavo già il mio matrimonio con sottofondo Lovesong dei The Cure). Al contempo, una canzone può riportarti indietro nel tempo, magari nella tua adolescenza e spensieratezza. Ecco, il nuovo disco dei canadesi Simple Plan, mi ha fatto tornare immediatamente nel 2005, quando avevo tredici anni e portavo sempre una cintura con le borchie e un ciuffo di capelli che mi copriva metà volto. Quelli erano gli anni d’oro del pop punk, dove band come Blink 182, Green Day e Good Charlotte la facevano da padrone ed MTV era la bibbia di ogni adolescente.

Cavalcando l’onda nostalgica di noi trentenni, Harder Than It Looks esce in tempo proprio per festeggiare i 20 anni dal disco d’esordio dei nostri canadesi, No Pads, No Helmets… Just Balls, album che, tra l’altro, è recentemente tornato in testa alle classifiche grazie al singolo I’m Just a Kid, diventato protagonista di una challenge di TikTok dove i protagonisti si sfidano nel riprodurre foto di quando erano bambini.

Anticipato dai singoli The Antidote e Ruin My Life, il sound dell’album è quello tipico del pop punk, con chitarre più aggressive ma melodie che strizzano l’occhio al pop più mainstream. Le tematiche, però, sono decisamente maturate: più che confusione adolescenziale e cotte non corrisposte si parla di paura del futuro, incertezza, precarietà, status che caratterizzano tutta la nostra generazione. Ad esempio, il brano Best Day of my life ha un ritornello istantaneamente orecchiabile e un sacco di attitudine di strada, come ogni pezzo iconico del pop punk vuole. Il testo, però, è tutt’altro che scontato: dopo uno sguardo critico sugli errori e sui sensi di inadeguatezza passati, il cantante Pierre Bouvier, afferma, ha la maturità per capire che possiede già tutto quello che serve per essere felice. Anxiety è, invece, quasi una richiesta di aiuto: descrive quell’orribile sensazione di sentirsi così schiacciato dalle aspettative che gli altri ripongono su di noi da non riuscire più  a respirare. In Two si parla della difficoltà di crescere, di lasciare il nido di sicurezza di casa nostra per buttarci in un mondo nuovo e a tratti spaventoso.

I Simple Plan con questo disco vogliono dimostrare che sono tutt’altro che una band da buttare nel dimenticatoio e che hanno ancora molte cose da dire. Insomma, una vera chicca da gustare per i nuovi giovani fan o per chi è rimasto fedelmente ad aspettarli ed è cresciuto con loro. L’uscita di questo disco e il recupero del tour dei My Chemical Romance dopo due anni di attesa (io non sto più nella pelle!!) segnerà il ritorno di quella wave di pop punk-emo che mi ha accompagnato per tutta l’adolescenza? Spero proprio di sì: it’s not a phase, mum!

 

Simple Plan

Harder Than It Looks

Self

 

Alessandra D’aloise

Bee Bee Sea @ Covo Club

Il trio dei Bee Bee Sea nasce nella più sperduta e desolata provincia mantovana, in un paesino sconosciuto dal nome Castel Goffredo dove le attività ludiche da fare per dei giovani scarseggiano. Non a caso, infatti, il loro motto è “When there’s no good shit around you better form a band”. E meno male direi, perchè dalla desolazione della pianura padana i ragazzi sono arrivati ad aprire band di un certo peso, come IDLES e Black Lips, e persino Iggy Pop in persona li ha apertamente elogiati nel suo programma radio.

Annullata e riprogrammata più volte, la band si è finalmente esibita venerdì sera sul palco del Covo Club di Bologna, dove per fortuna passano spesso e si può dire che hanno uno zoccolo duro di fan che li supporta costantemente, tra cui la sottoscritta. La loro peculiarità, infatti, sta nel riuscire a suonare un garage rock fresco e innovativo, ma soprattutto di farlo sembrare come la cosa più semplice del mondo. I giovani mantovani sul palco si divertono, scherzano tra loro, si esibiscono in balletti improbabili con una leggerezza e sfacciataggine che sembra quasi che non stiano suonando per un pubblico, ma che siano a cazzeggiare nel garage di casa. Viene presentato il disco, uscito ormai nel 2020, Day Ripper che ha il classico sound energico e incisivo e viene accolto con danze scatenate e stage diving. Non sono mancate citazioni dai dischi precedenti: Sonic Boomerang, dal ritmo incalzante e ripetitivo che puoi ascoltarla solo ondeggiando la testa ossessivamente avanti e indietro, This Dog Is The King Of Losers dal sound dissonante e veloce. Grande finale con la cover Piangi con Me del gruppo beat The Rokes eseguita a dovere con voce straziante da Damiano Nigrisoli, conosciuto ai più come Wilson Wilson.

A fine concerto ero sudatissima, piena di lividi e con un fischio costante nelle orecchie ma un sorriso a trentadue denti. I Bee Bee Sea rimangono una delle band italiane più energiche e divertenti da vedere dal vivo, se sei un amante del garage rock scatenato e del pogo violento non puoi farteli scappare. 

 

Alessandra d’Aloise

The Lemonheads @ Covo Club

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• The Lemonheads •

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Covo Club (Bologna) // 29 Aprile 2022

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Il gruppo statunitense alternative rock The Lemonheads non ha bisogno di tante presentazioni. Wikipedia li inserisce, assieme ai Nirvana e Dinosaur Jr, come uno dei gruppi più influenti dell’underground made in USA. Tantomeno Evan Dando, leader fondatore del gruppo, ha fatto parlare di sé tanto per i gossip sulla sua vita privata che per la sua musica. Così, durante un mercoledì che odora di sabato sera, i nostri beniamini americani salgono sul palco del celeberrimo locale bolognese Covo Club per festeggiare un compleanno importante: i 30 anni del disco che li ha portati alla ribalta It’s a Shame About Ray. 

La sala è gremita di fan affezionatissimi, forse non esattamente giovanissimi, che hanno cantato a squarciagola tutto il repertorio. Il disco in questione viene eseguito tutto, dalla prima all’ultima canzone, ed esattamente nella scaletta dell’album. Ovviamente il momento apice è stato durante la cover di Mrs Robinson di Simon & Garfunkel, che ha scatenato un sincero pogo nel pubblico. Dando era visibilmente ubriaco emozionato e quindi molto spesso perdeva il plettro durante la canzone, la chitarra non era accordata la sistemava a metà dell’opera, ma poco importa: è decisamente un animale da palcoscenico e il suo pubblico lo adora. Tanto che, a metà concerto, si ferma per fare una videochiamata col cellulare come se non fosse di fronte ad una folla scalpitante. Ma tutto gli viene perdonato. Anzi, in realtà sembrava proprio che non volesse più smettere di suonare: nonostante l’ora di chiusura del live fosse bella che passata, Evan ha continuato imperterrito col suo repertorio, andando a pescare anche qualche brano dal suo disco Car Button Cloth. Alla fine si decide a scendere dal palco ma comunque non demorde: improvvisa una canzone in acustico in mezzo al pubblico sulla via per l’uscita. 

Nonostante le luci e ombre sul suo passato, Evan Dando dimostra di essere ancora un artista carismatico ed instancabile ed i suoi live rimangono sempre una chicca per i nostalgici del rock americano vecchio stile.

Nota di merito per la band di apertura Basement Revolver, un trio canadese dai volumi tellurici tipici dello shoegaze ma alternandolo a momenti più leggeri dettati quasi dal pop. Una piacevole scoperta per la sottoscritta che non vede l’ora di approfondirne la conoscenza.

 

Alessandra D’Aloise

Foto: Lucia Adele Nanni
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BASAMENT

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”22322″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”22311″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”22310″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row]

Bodega @ Covo Club

It’s (not) only post punk and we like it

Endelss Scroll, uscito nel 2018 per la What’s your Rupture, è un disco rumoroso, dissonante e psichedelico. Infatti, non a caso, è stato prodotto da nientepopodimeno che da Austin Brown dei Parquet Courts. Così i Bodega, quintetto newyorkese, ha attirato l’attenzione della critica internazionale ricevendo pareri più che positivi, anche con i lavori successivi. Finalmente, covid permettendo, sono arrivati in Italia per un tour di quattro date che si è concluso sabato sera sul palco del club più avanguardistico della città felsinea: il Covo.

La doppietta Thrown e Doers apre il concerto, e anche il loro ultimo disco Broken Equipment, riscaldando l’atmosfera immediatamente: ritmi serrati e adrenalinici come il più classico del post punk vuole. Il clima cambia, però, quando arriviamo alla più astratta C.I.R.P. che sottolinea un lato più sperimentale e quasi talkingheadsiano della band. Non sono mancate citazioni dai lavori precedenti: How this is Happen?!, dal piglio tendente al garage, che ha portato un timido pogo nel pubblico ma senza esagerare. Una grinta maggiore rispetto alla versione del disco è stata Jack in Titanic, che dal vivo si è dimostrata molto più coinvolgente e danzereccia. Finale agrodolce con Charlie che andava quasi cantata a squarciagola con gli accendini. La band è emozionata ma concentrata, cerca sempre il contatto con il pubblico che risponde entusiasta. Nota di merito va alla batterista Tai Lee, grintosa e talentuosa come pochi, dimostrazione vivente che quello non è assolutamente un lavoro per soli uomini.

La band newyorkese ha dimostrato enormemente che inserirli tra gli innumerevoli gruppi della scia del revival post punk è altamente riduttivo e che, specialmente nel loro ultimo disco, sono maturati molto. Broken Equipment è un disco che affronta tematiche importanti ed intime, con un sound che spazia enormemente nell’oceano di sottogeneri che caratterizza l’alternative rock. Inoltre, l’alternanza alla voce di Ben Hozie e l’ipnotica Nikki Belfiglio ha uno stampo che richiama molto i Sonic Youth, ma anche con citazionismo ai Pixies e, in alcuni tratti, Arcade Fire. Continuate così cari Bodega, che già non vedo l’ora di sentirvi di nuovo!

 

Alessandra d’Aloise

Foto di copertina: Filomena Mascis

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