Skip to main content

Tag: amore

Nesli e quel suo modo di dire che “Andrà tutto bene”

Ho un debole per l’inizio delle storie d’amore e ce n’è una che non ho mai raccontato a nessuno, una di quelle storie che sai quanto siano importanti e cosa rappresentino per te, ma che nessuno ti ha mai chiesto di raccontare e le custodisci dentro per anni. Partiamo dal fatto che come sempre per me non vale la regola del: Il primo amore non si scorda mai.” ma bensì il secondo. I miei primi amori sono sempre finiti nel dimenticatoio.

Questa storia invece inizia nel 2004, quando avevo poco più di 16 anni ed ero una ragazzina ribelle e indisciplinata, odiavo la scuola infatti non studiavo mai e mi ero trasferita da un po’ di tempo in una città, quella che attualmente è la mia città: Rimini. Il mio essere esuberante ed eccessiva praticamente in tutto, camminava di pari passo con il mio essere perennemente introspettiva… Tradotto: mi facevo delle grandi paranoie, accompagnate da grandi paure e grande estremismo nel vivere tutto in maniera totalizzante senza conoscere le vie di mezzo, ma a 16-17 anni ci sta. Il problema è che ho continuato anche a 18, 19, 20, 21 ecc ecc.

Esorcizzavo tutto con due cose: la musica e la scrittura e amavo solo la verità, come sempre, perché ad oggi che di anni ne ho 32 non è cambiato molto il mio modo di esorcizzare i dispiaceri o le cose che mi fanno soffrire, è cambiato solo lo status da negativo a positivo.

Francesco Tarducci credo sia entrato nella mia vita principalmente per questo motivo, perché attraverso le sue canzoni non faceva altro che descrivere i suoi dolori e le sue mancanze con parole vere, nette, sincere e taglienti. Era simile a me ed era tutto quello di cui avevo bisogno mentre ero in conflitto con me stessa e col mondo. Lui cantava Parole da dedicarmi ed io pensavo: “C’è qualcuno uguale a me” lui faceva promesse a sé stesso con Da domani e Un altro giorno e io imparavo cosa fosse la speranza, la fiducia. Era l’unico in grado di capirmi, l’unico in grado di descrivere i miei stati d’animo.

 

23525 347689583514 7413232 n

 

Conosciuto da tutti come il fratello di Fabri Fibra (come se fosse necessario specificare questo dettaglio in tutte le descrizioni esistenti) per me è sempre stato solo ed esclusivamente NESLI. Quello che mi ha accompagnato in uno dei periodi cruciali della mia esistenza e che da quando ha iniziato a farmi compagnia, in realtà poi non ha più smesso di essere il compagno di quest’avventura chiamata vita.

Dal rap al pop, da testi forti a dichiarazioni d’amore, da descrizioni perfette del concetto di abbandono e di assenza allo spremere in tutti i modi possibili tutti i sentimenti e le sensazioni esistenti, io camminavo di pari passo con i suoi cambiamenti, con gli avvenimenti della sua vita descritti nelle sue canzoni.

Viaggiavamo insieme.

Una carriera che ha preso il via con Ego (primo album datato 2003) ed arrivata ad oggi con Vengo in pace (2019) In tutti questi anni c’è stata una costante, una sua costante ed è proprio quella verità che non ho mai smesso di cercare e ricercare ovunque, compreso nella musica, sapendo di poterla trovare puntualmente in tutte le sue canzoni, come se fosse una sorta di certezza per me e mentre il suo pubblico iniziava a dividersi tra quelli che gli davano addosso accusandolo di esser cambiato, di non essere più un rapper ma uno che stava per buttarsi in pasto all’essere “commerciale” io continuavo ad amare ogni suo cambiamento, perché oltre alla costante della verità Nesli ha sempre avuto un’altra costante ed è quella di parlare col cuore in mano, andando a scavare a fondo, facendosi spesso male, ma male davvero.

E’ sempre stato un artista vero, senza filtri, senza veli e senza paura di mostrarsi davvero con tutto il suo bagaglio di errori e di esperienze positive e negative. Ha sempre avuto la poesia nelle vene. I suoi viaggi interiori, le sue fragilità e quella ricerca ostinata di equilibrio e di benessere sono sempre appartenuti anche alla mia persona. Mi sentivo come lui.

Dieci anni fa, nel 2009 bussa alla mia porta per la seconda volta un periodo buio ed è l’anno in cui esce FRAGILE – Nesliving vol. 1 e 2 due album che rappresentano senza dubbio la mia salvezza ed è anche l’anno in cui finalmente grazie ad un tour nei club riesco a conoscere e ad abbracciare Francesco.

L’anno de La fine con “Vorrei che fosse oggi in un attimo già domani, per riniziare per stravolgere tutti i miei piani, perché sarà migliore ed io sarò migliore come un bel film che lascia tutti senza parole.”

L’anno di Se perdi con “Mi hai salvato la vita, sì proprio tu e la vita da quel giorno mi è piaciuta di più” ed è proprio all’interno di questa canzone che sento e mi soffermo per la prima volta sul nome Mia, nome che successivamente è diventato anche quello della protagonista dei miei libri.

Ancora una volta la sua musica diventa un appiglio, ancora una volta tutte le canzoni contenute in quei due album riescono a scrollarmi di dosso le paure e ad accendere in me la speranza di poter tornare a vedere la luce, anche se poco alla volta dalle fessure della finestra della mia camera da letto. Ma è soprattutto l’anno in cui riesco a dirgli GRAZIE guardandolo negli occhi con quel primo abbraccio che non dimenticherò mai.

 

Nesli

 

Da quel giorno ho percorso chilometri e visto decine di suoi live. Era, è stato ed è semplicemente l’artista del mio cuore, quello che lego a tanti piccoli e grandi avvenimenti della mia vita, quello che mi ha fatto compagnia nelle mie notti senza sonno, quello che mi ha accompagnato durante il mio primo viaggio a New York con l’album Nesliving volume 3 che ha segnato definitivamente il suo passaggio dall’hip-pop al pop e ricordo perfettamente di aver ascoltato fino allo sfinimento poco prima di salire sull’aereo il suo singolo Partirò e quella frase che continuava a rimanere impressa nella mia testa “Le parole hanno vita lunga, le paure hanno vita breve.”

E nel 2016 esce il mio primo libro e decido di chiamare la protagonista delle mie pagin Mia e poco dopo l’uscita del libro, come se lui l’avesse letto o sapesse già tutto mi arriva l’ennesimo regalo con il suo nono album Kill Karma che contiene una canzone dal titolo Piccola Mia, cucita perfettamente addosso al mio sogno di mollare tutto e andare a vivere a New York

“Piccola Mia che vuoi così tanto scappare, che vuoi il mondo nella tua stanza e ogni giorno da incorniciare, che sogni una ita da Marilyn che tanto non si può fare, una vita da film che non è qui perché non è reale. Piccola Mia con le valigie dentro quel taxi, che hai voluto ricominciare come se ci mancasse il male perché sapevo che volevi andare, volevi sognare senza legame…”

Ricordo di aver pianto un bel po’ dopo aver schiacciato Play perché è sempre stato puntuale, non ha mai sbagliato i tempi e mi ha insegnato a lasciare andare, con il suo motto “Il bene genera bene” mi ha insegnato a credere davvero che alla fine il bene vinca e che “La fine non esiste” che la parola fine non dev’essere una paura in più ma solo l’occasione per un nuovo inizio.

Mi ha insegnato che essere dei sognatori cronici non è poi così male, mi ha insegnato a reagire, a rischiare sempre e comunque, a trasformare le sconfitte in vittorie e le delusioni in lezioni di vita. E’ sempre grazie a lui che ho imparato la bellezza della solitudine, del saper stare sola e prendermi cura di me stessa.

Andrà tutto bene è il titolo di una sua canzone e del suo libro autobiografico ma è soprattutto la frase che ripeto oggi giorno alla Claudia versione FRAGILE.

 

Claudia Venuti

La forza di Frida Kahlo

Da qualche anno a questa parte sembra essere esplosa una sorta di Frida Mania.

Il volto dell’artista messicana sembra essere riprodotto ovunque su magliette, biglietti, scarpe, borse e tatuaggi. Folte sopracciglia, capelli neri e corona di fiori, un profilo facilmente identificabile da tutti.

Frida Kahlo è senza dubbio un’icona ma chi era veramente questa donna che tutti riconoscono ma pochi conoscono sul serio?

Una femminista dal carattere forte e indipendente, un’artista e un’attivista politica. Tutti conosciamo il volto di questa donna dalle mille sfaccettature.

Appassionata, sognatrice ma dal fisico minato.

Frida Kalho potrebbe essere presa come emblema della resilienza: nonostante le difficoltà che la vita ha messo sulla sua strada lei non si è mai fermata, non si è mai arresa. 

La sua arte è un inno alla vita, è quello che le ha dato la forza di andare avanti senza mai arrendersi.

Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderon nasce il 6 luglio 1907, anche se lei diceva di essere nata nel 1910 con la rivoluzione che ha portato al Nuovo Messico. Un legame forte e intenso quello che aveva con la sua terra tanto da portarla a considerarsi una figlia della rivoluzione.

Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo. È in quel fuoco che sono nata, pronta all’impeto della rivolta fino al momento di vedere il giorno.

Malata di spina bifida, erroneamente confusa con la poliomerite, non verrà curata nel modo corretto e dovrà convivere con una deformazione alla gamba destra per tutta la vita. Da piccola questo difetto le varrà il soprannome di Gamba di Legno. Ma Frida non si è mai nascosta. Ci ha insegnato che la cosa più importante è amare noi stessi.

Nel 1925 rimarrà vittima di un terribile incidente: l’autobus su cui viaggiava si scontrò con un tram e Frida venne trapassata dal corrimano del mezzo.

Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro.

Si salvò per miracolo ma riportò diverse ferite gravissime tra cui fratture alla colonna vertebrale e il bacino. Fu durante la sua convalescenza, costretta a letto per diversi mesi, che si avvicinò all’arte.

Sdraiata su un letto a baldacchino, su cui avevano fatto montare uno specchio, inizierà a dipingere degli autoritratti. 

Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio.

I dolori provocati dall’incidente, che la accompagneranno per tutta la vita non riuscirono però a fermarla. 

L’arte di Frida si ispira alla cultura popolare e a quella precolombiana sia per l’abbigliamento delle figure che per gli elementi naturalistici.

Nel 1928 incontra Diego Rivera, uomo di 20 anni più grande e noto donnaiolo, che rimase incantato dallo stile e dalla personalità dell’artista. Conscia dei tradimenti che sposarlo avrebbe comportato l’anno seguente convolano a nozze. 

Ho subito due gravi incidenti nella mia vita…il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego.

Spirito libero ed anti conformista ebbe numerosi amanti di prestigio (uomini e donne) tra cui figurano il  politico Lev Trockij, il poeta Andrè Breton e probabilmente la fotografa Tina Modotti.

 

Frida Kahlo Diego Rivera 1932
Frida Kahlo e Diego Rivera

 

A causa dell’incidente non riuscì mai a portare a termine le gravidanze e questo per lei fu un duro colpo. Nel 1939, a seguito del tradimento con la sorella minore Cristina, lei e Rivera divorziano per poi risposarsi l’anno seguente.

La foro fu una storia all’insegna del tradimento, della passione e soprattutto dell’arte.

E’ stata una femminista, una politica una donna forte e indipendente. 

La sua figura, la sua vita e ovviamente le sue opere hanno ispirato diversi artisti, anche in ambito musicale.

Nel 1954, 8 giorni prima di morire, Frida dipinge una tela dal titolo Viva la Vida: Angurie. Si tratta di un dipinto che rappresenta dei cocomeri. I colori predominanti sono il rosso, il verde e l’azzurro. Un dipinto allegro su cui, in primo piano, inciso nella polpa del frutto spicca la scritta VIVA LA VIDA Frida Kalho.

66404524 441790349733135 6611576701598040064 n
Viva la Vida, 1954

Coldplay, per la loro canzone Viva la Vida del 2008, hanno preso spunto proprio da questo quadro

“Come sappiamo lei è passata attraverso tanta di quella merda eppure dopo tutto ciò ha voluto realizzare un grande quadro in cui si leggeva, appunto, Viva la vida. Ho amato il coraggio di questo gesto.”

Con queste parole Chris Martin spiega cosa ha spinto lui e la band ad intitolare così la canzone e l’album omonimi.

Diversa la scelta fatta da Florence and the Machine che in What I Saw in the Water si ispirano al quadro Lo que el agua me dio.

66374450 704015753382148 8540823904418004992 n
Lo que el agua me dio, 1938

Il quadro è una visione onirica della vita umana, rappresentata attraverso una serie di corpi che fluttuano nell’acqua di una vasca da bagno. La canzone, invece, traendo ispirazione dai corpi in acqua pone l’accento sui bambini che vengono trascinati via dalla corrente del mare.

Anche il nostro connazionale Marco Mengoni nell’ultimo album Atlantico ha inserito una traccia dal titolo La Casa Azul. 

66374015 361678424511825 6856317110788816896 n
La Casa Azul, foto di Valentina Bellini

Il brano erige Frida a simbolo di forza: dobbiamo prendere esempio dalla sua storia per imparare a trasformare le sofferenze in qualcosa di positivo.

La Casa Azul è il luogo in cui Frida è nata e in cui ha vissuto per gran parte della sua vita. Fu trasformata in un museo a lei dedicato per volere di Rivera che però morì prima dell’inaugurazione avvenuta il 30 luglio 1958.

Frida e la sua vita, costellata dal dolore, andrebbero ricordate e studiate affinché la sua figura non sia usata come un semplice oggetto di merchandise.

E’ stata una donna che ha lottato, aggrappandosi alla vita con le unghie e con i denti, e che ci ha insegnato l’importanza di rimanere sempre fedeli a noi stessi senza mai snaturarci. I suoi lavori sono stati in grado di prendere le brutture della vita e trasformarle in gioielli.

Frida ormai non è più solo un’artista, è una donna entrata nel mito. 

 

Laura Losi

Eels: rock indietronico e musica per freaks

C’è qualcosa di unico in quello che una sola canzone può trasmetterti.

Uno stupido, apparentemente casuale susseguirsi di accordi, in fondo… eppure quando ascolto un qualsiasi brano degli Eels, succede qualcosa di inaspettato: se sono triste, mi ritrovo felice e se sono felice acquieto la mia euforia, diventando riflessiva.

Mr. Oliver Everett ha fatto questa magia, fin dall’inizio: scrivere canzoni tristi sulla felicità e canzoni felici sulla tristezza.

Ho conosciuto gli Eels a 17 anni grazie al mio fidanzatino dell’epoca. Soltanto in un periodo più maturo li ho realmente apprezzati, potendo dire ora che per me esiste una musica adatta ad ogni mio stato d’animo.

Mi spiego: gli accordi e la musica di Mr. E. si appoggiano senza peso su ogni mio tipo di emozione, rendono impalpabili i guai, mi permettono di riderci su, di alleggerire la pressione o di lasciar correre… E penso che ad avere questo effetto siano le origini, la scossa da cui nascono testi e melodie di Oliver Everett. 

“C’è qualcosa in fondo all’Io, che è fatto per non scomparire mai del tutto” dice Everett, conscio della sua continua forza per rialzarsi da ogni duro colpo infertogli dalla vita. 

L’ispirazione del cantante nasce dalla lotta che lui stesso ha dovuto intraprendere contro le perdite, i lutti familiari e lo sconforto di non essere sempre artisticamente compreso.

La sua esistenza è stata complicata fin da subito. Gli Everett non erano dei genitori tradizionali e avevano deciso di non dare alcuna regola ai propri figli, lasciando che fosse l’esperienza ad insegnare loro come cavarsela: “Ho dovuto imparare tutto nella maniera più difficile: andando per tentativi ed errori”. 

roundcube

Forse è per questo che nelle parole di ogni brano sono descritte tragedie raccontate in maniera semplice e diretta. Disarmante.

Scorrere fra le righe dei suoi testi sarà ancora più piacevole per il profondo messaggio di speranza da apprezzare, scrutando da vicino la tenacia che a lui stesso è servita per rialzarsi da ogni dura sfida.

Mentre scrivo, con accanto un bicchiere di birra, ascolto in sottofondo i testi politicamente scorretti, gli arpeggi e la voce roca di Mr. E.: un perfetto mix di rock, pop, beat indietronico, blues cantato da una voce polverosa, degna di un Tom Waits moderno. 

La musica degli Eels è malinconicamente acustica, un manifesto indie degli anni Novanta. E lo è davvero.

Come risposta alle migliaia richieste e proposte di offrire la loro musica a scopi pubblicitari, infatti, Mr. E. risponde:  “Dipende da quanto le tue canzoni significhino per te. Quando ho scritto Last Stop: This Town, non ho pensato ad un profumo, ma alla morte di mia sorella”.

É con questa dose di dignità e coraggio che Mr. E. ha subito messo tutti al proprio posto.

Gli Eels hanno sintetizzato, inoltre, quel suono a metà fra Beck ed Elliott Smith, diventato il loro marchio di fabbrica.

Non è musica che vuole seguire le mode del momento, ma nemmeno una musica “difficile”. Non ha pretese rivoluzionarie, ma è un easy listening dalla freschezza inconfondibile.

Mr. E. è un compulsivo della creazione. Ha sempre tentato, con infinita e ossessiva costanza, di superare sé stesso.

In fondo, è il minimo che ci si possa aspettare dal figlio di uno scienziato che ha dedicato la propria (breve) vita alla ricerca di una teoria sugli universi paralleli. “Mio padre era un genio, io sono solo un gran lavoratore”. 

Mr. E. è un compulsivo della composizione: ” È una tortura: certe sere me ne sto a casa a guardare un film e dopo dieci minuti sento che devo scrivere una canzone e se provo ad ignorarla il pensiero che magari quella canzone sia sfuggita per sempre mi fa diventare matto”. 

La risposta, in un’affermazione, a come gli Eels abbiano totalizzato la bellezza di dodici dischi dal 1996 ai giorni nostri.

Alcuni sicuramente vincenti, altri meno convincenti, ma sempre tutti di gran carattere. E talmente personali che, nel mercato, sono stati considerati dei mezzi flop. 

Ma i fan degli Eels, quelli che li seguono da sempre, li prendono quasi come materiale istruttivo, felici che siano l’anteprima di un nuovo eccentrico ed entusiasmante live tour.

Perché per Mr. E. un concerto non è quella sorta di mortificante “gretaest hits con applausi”, ma è un’occasione sempre nuova per ridipingere i propri brani, riarrangiando e riadattando una canzone di anni prima al presente.

Serio, ma spassosissimo dal vivo, Mr. E. crea delle vere e proprie atmosfere da garage, come se stesse suonando, come se stesse improvvisando per pochi amici. 

Insomma, che tu sia un inguaribile romantico, un cinico indefesso o un nerd in cerca di musica che non hai mai ascoltato prima, la musica degli Eels ti farà vivere la tua dimensione.

Struggente, cruda, pazza, disorientante, geniale, silenziosa o con urla da licantropo. Può farti sentire come ti pare. Non ha limiti, non ha confini. 

Foto e testo di Valentina Bellini

Supereroi di Simone Scrivani

In un pomeriggio di inizio aprile, mentre il sole brilla su Piacenza e un bel venticello rinfresca l’aria, ho appuntamento con Simone Scrivani. 

Una vita all’insegna della musica: dai karaoke ai musical fino al cantautorato. La storia di un ragazzo che vuole raccontare delle storie, facendoci riflettere ma con ironia.

Classe 1990 è un piacentino DOC estremamente legato alla sua città, ai suoi luoghi e ai suoi concittadini. 

Ed è proprio da qui, da Piacenza, dai suoi vicoli e dalle sue valli che prende l’ispirazione per le sue canzoni (per chi non lo sapesse Hemingway ha definito la Val Trebbia la più bella del mondo) .

Da cantante di karaoke a cantautore. Raccontaci un po’ la storia che ti ha portato su questa strada.

E’ stata la voglia di lasciare qualcosa di mio alle persone. Cioè è bello anche fare dei karaoke, bisogna pur iniziare da qualche parte.

Prima si inizia con i lavori manuali poi, però, bisogna andare oltre.

Mi piace vedere la costruzione del personaggio musicale come un artigiano della musica. Noi siamo artigiani della musica: ci creiamo, partendo dalle linee base.

Era bello avere il riscontro delle persone che ci ascoltavano e si divertivano. Alla fine non era solo un karaoke. 

Ad un certo punto però, facendo musical, mi sono avvicinato di più al mondo dell’arte musicale. Ho incontrato un gruppo di persone molto bello e positivo che mi ha aiutato molto a credere in me.

Avevo già in mente da un po’ di tempo di fare qualcosa di bello con la musica e allora ho pensato di mettermi in gioco. E lo ho fatto con una mia amica, Elisa Dal Corso.

Mi sono messo alla prova e ho scritto una canzone che ha avuto un riscontro abbastanza positivo; è stato un inizio.

Successivamente ne ho scritta un altra Buon Natale per davvero, però che non c’entra nulla con il Natale. E’ una vicenda che mi sta molto a cuore: è dedicata ad una mia amica che ha avuto una storia d’amore un po’ brutta e quindi ho cantato di lei.

E alla fine sono uscito con Supereroi, perché ho pensato fosse ora di mettermi nel sociale. Perché è questo che fa questa canzone: traccia una critica ironica della società attuale.

Supereroi, è il tuo terzo singolo, e si discosta musicalmente dai tuoi lavori precedenti: come mai questo cambio di rotta?

Mi sono dato un nuovo sound perché lo trovo più mio. Mi sono fatto molto influenzare dai cantautori del passato; penso che da loro abbiamo solo da imparare.

Ma in realtà la musica come si sta sviluppando ora, con le sonorità indie e pop è molto bella, da la carica.

E’ una musica non “melensa” alla Venditti o alla Baglioni, che sono i miei idoli, ma riesce comunque a trasmettere moltissimo.

La musica di oggi ha dei messaggi bellissimi nonostante i suoni viaggino e quindi ho deciso di buttarmi su questo stile perché mi da più allegria, riuscendo comunque a trasmettere qualcosa attraverso le parole.

 

1 min

 

Di cosa parla supereroi? E chi è questo Paolo, che citi più volte all’interno della canzone?

Tutti mi chiedono chi è Paolo…

Supereroi è una visione ironica della nostra società, una società in cui viviamo nel più totale analfabetismo sentimentale.

Siamo in totale crisi di emozioni e di sentimenti e questo va a ripercuotersi sulle scelte politiche e sulle critiche che muovono le persone, spesso non avendo le competenze per farle.

Questi giudizi di solito non hanno una valenza costruttiva. Io sono molto critico di  mio ma penso che ci sia modo e modo per muovere una critica. Se è costruttiva è una cosa positiva e bella; ma se è fatta per screditare, per insultare, è una forma di repressione.

Io credo che tutti abbiamo qualche repressione nella nostra vita, è una cosa umana e normale, ma non è positiva. Dobbiamo accorgercene e lavorarci su. Quando questo non viene fatto si tramuta in odio verso qualunque cosa proprio perché non c’è un contatto tra i propri sentimenti e quello che accade fuori. Deve essere ricreato questo ponte.

E’ di questo che parlo in Supereroi, criticando in modo ironico, e spero costruttivo, queste persone. Cerco di dare una forma a questo mio ragionamento, e questo sarà anche il mio cd. 

E Paolo?

Paolo è il mio migliore amico. Quello con cui sono sempre in giro a fare i bagordi. Ho scritto questa canzone pensandomi con lui in un bar. 

Ho visto la società di oggi come un grande bar dove ognuno ha il diritto di parlare. E alla fine mi sono visto con

Paolo a brindare insieme a tutte queste persone, alzando il calice “alla vostra”.

 

DSC 4854 min

 

In che modo, e in che misura,  la tua vita, le tue esperienze e la tua città entrano nei testi che scrivi?

Sempre. Io e Paolo eravamo in un bar di Piacenza, il bar che frequentavamo di solito, quando ho scritto questa canzone. Io mi sono visto li con lui. E’ ovvio che questa cosa ci sia in tutta Italia e in tutto il mondo ma Io mi sono visto qua e mi sono immaginato qua. 

Quando scrivo mi rinchiudo sempre al Caffè del Tarocco (un bar di Piacenza). E’ in una posizione, in uno scorcio, da cui vedi il centro eppure sei lontano. E’ appartato e c’è un pezzo di cielo, in alto, che si vede sempre…ed è bellissimo.

Oppure scrivo nella Val Trebbia. Ci sarà una canzone, del cd, che parla di una ragazza ed è ambientata proprio in Val Trebbia. 

Per me la mia città è importantissima, non solo come ispirazione. Poi mi piace andare in giro eh? Però quando torno a casa sono contento.

Sei la prima persona che sento parlare così di Piacenza…

Credo che sia tutto nel riconoscere un posto come casa. Non solo per il luogo in se ma anche per tutte le cose e le persone che ci sono legate.

Ho visto, sulla tua pagina Facebook, che hai creato una gallery dedicata ad una serie di persone con #supereroiprimaopoi. Com’è nata quest’idea?

Dietro a grandi progetti ci sono grandi squadre. Ho diverse persone che mi aiutano sia per la parte grafica che per quella social.

Sono due mie grandissime amiche, anzi una è mia cugina ma, prima di tutto è la mia migliore amica. Con loro ci troviamo regolarmente a discutere e parlare di come muoverci e promuovere le mie iniziative.  

Supereroi è una canzone bella, critica ed ironica verso la società. Però volevamo anche lanciare un messaggio costruttivo e quindi ho cominciato a raccogliere testimonianze e storie di persone che sono davvero supereroi per la nostra città.

Qual è la mia idea di supereroe? E’ chi ha il coraggio di essere normale in una società che impone il contrario.

Quello che racconto è di persone così normali che ci fanno pensare di avere dei superpoteri perché hanno il coraggio di trasmettere le loro emozioni, in quello che fanno, senza avere paura di farlo, senza temere il giudizio degli altri.

E’ nato tutto dalla volontà di valorizzare queste persone per il bene che fanno a tutti.

 

DSC 4915 min

 

Cosa rappresenta la musica per te?

La musica in qualche parola…è una domanda molto vasta.

Potrei dirti un banalissimo è la mia vita…ma è vero. E’ una passione che mi tiene vivo.

Il mio sogno sarebbe di vivere di questo ma ora come ora non è così. La musica mi tiene vivo nella monotonia di tutti i giorni, e non è poco.

E’ il mio gancio in mezzo al cielo, come direbbe Baglioni, che è il mio idolo. Sai che è una domanda che mi ha messo in difficoltà? E’ la mia vita, stop.

Come definiresti il tuo stile musicale?

Pop vecchio stile quando la musica non era ancora in 4 K, io dico sempre di me.

Sono sonorità vecchie, ho ripescato un po’ i sint degli anni 80 e li ho rimessi in chiave moderna con delle basi programmate sotto di percussioni. Il vintage è bello però se modernizzato…quindi faccio vintage.

Il 9 aprile uscirà il video di Supereroi. Dicci qualcosa su quello che vedremo, com’è stato girarlo?

E’ stata una delle esperienze che mi ha emozionato di più nella mia vita, per il tema trattato.

E’ un video che ha riprese in due punti. Uno è dentro una sala, con la band, ed è stato girato nella sala prove in cui sto incidendo il disco e da cui è partito tutto. 

Qui ho trovato una famiglia, la mia terza famiglia. La seconda sono i Viaggiattori e la prima è la mia: è bello avere diverse famiglie. 

Poi ho fatto un evento con dei bambini di una scuola materna. Mi sono presentato da loro vestito come un supereroe, e li ho fatti disegnare.

Gli ho chiesto che cosa farebbero se fossero dei supereroi, che cosa farebbero per Piacenza e quale sarebbe il loro potere per salvare la città.

Era anche per fare un po’ di pressione sulla loro coscienza, che è ancora pulita. Volevo fargli capire che i supereroi fanno del bene a livello base.

E alla fine erano tutti contentissimi di essere anche loro dei supereroi. Ho passato la giornata con loro: li ho fatti volare, li ho fatti disegnare, si sono divertiti tantissimo.

E’ stato bello, mi hanno riempito il cuore.

In questo frangente c’era anche un video maker, Michele Groppi, che ha colto i momenti più belli della giornata. Non era li per fare il video, volevamo creare un documentario di questo evento…alla fine però è diventato parte del video.

Ha molti messaggi secondo me, ma vanno colti.

 

DSC 4825 min

 

In supereroi dici Ma l’amore non è un post-it, non è rosa rossa, tonica e gin. Che cos’è allora l’amore?

Prendo in prestito la frase di qualcuno più famoso di me che ha detto questa cosa Tutto quello che ci serve è amore. All you need is love, Beatles.

E’ vero, senza l’amore non c’è niente. Non c’è la passione, non c’è famiglia e non c’è una storia.

Ho iniziato il mio progetto partendo dall’idea che c’è più amore. Ma amore non è solo quello che può esserci tra me e una ragazza, o tra un uomo e un altro uomo, o tra una donna e un’altra donna.

L’amore è quello per me stesso, per quello che faccio, per la mia famiglia e per i mie amici. Ci vuole quello e senza quello non c’è nient’altro. L’amore è importantissimo.

 

Laura Losi

 

 

Buon VEZ Valentino con la nostra Playlist

San Valentino è una festività che per molti non ha senso di esistere. Per loro si tratta di una ricorrenza stupida inventata probabilmente dalle marmotte che incartano il cioccolato sulle Alpi svizzere per aumentare i loro introiti.

Dall’altra parte troviamo invece gli inguaribili romantici. Tutti quelli che amano il 14 febbraio alla follia, che non vedono l’ora che arrivi questo giorno per festeggiare con il proprio partner.

Che voi vi troviate da una parte o dall’altra però una cosa non cambia: San Valentino è la festa dell’amore.

Troppo spesso secondo me ci confondiamo e pensiamo che sia soltanto la festa degli innamorati ma in realtà se noi ampliassimo i nostri orizzonti potrebbe acquistare un senso nuovo.

San Valentino è la festa dell’amore in tutte le sue forme: quello tra genitori e figli, l’amore tra amici e quello per le nostre passioni. Ognuno in questa giornata che sia single o accoppiato ha almeno una persona o una passione che ama e che riempie le sue giornate.

L’usanza di scambiarsi regali in questo giorno ha origini antichissime e risale, pensate un po’, al medioevo quando era di moda l’amor cortese. Noi di VEZ, che a modo nostro amiamo le tradizioni, quest’anno abbiamo pensato di fare un piccolo dono a tutti voi (anche a te che stai leggendo questo pezzo storcendo il naso).

Siccome la nostra passione è la musica abbiamo unito i nostri cervelli e abbiamo creato una playlist per voi che contiene canzoni di ogni genere: ballate, serenate, canzoni strappalacrime, brani sensuali, grandi classici e anche qualcosa che viene dalla nostra infanzia.

Ma Vez non siamo solo noi della redazione: siete anche, e sopratutto, voi che ci leggete. Ormai fate parte del gruppo e quindi anche i brani che ci avete segnalato via Instagram e via Facebook hanno trovato la loro collocazione nella playlist.

Penso di essermi dilungata anche troppo e quindi vi lascio ascoltare le vostre canzoni in pace.

Buon VEZ Valentino regaz!

 

Laura Losi

 

Ma quanto è puttana questa felicità?

Se ieri sera avessi avuto modo di fermare un attimo Tommaso Paradiso (nella sua totale illegalità estetica, tra l’altro) avrei preteso una risposta chiara e tonda a una mia domanda.

Poiché uno dei miei motti è: la vita è una puttana poi arriva lui e sostituisce la parola “vita” con “felicità” e mi rendo conto che la felicità è puttana davvero, ma davvero tanto. Una felicità “che dura un minuto ma che botta ci da”.

Ieri sono arrivata all’Unipol Arena di Bologna, per la terza tappa del tour dei TheGiornalisti, band che ormai non ha bisogno di grandi presentazioni, perché nel giro di pochi anni è riuscita benissimo a presentarsi e farsi spazio da sola nel panorama della musica italiana.

Sono arrivata a Bologna con la mia compagna di avventure e disavventure, nonché direttrice di questo magazine: Sara Alice Ceccarelli.

Il LOVE tour ha registrato sold out in ogni palazzetto possibile, con l’aggiunta di un secondo giro di date, perché per questo primo giro i biglietti sono andati letteralmente a ruba.

Tutto esaurito, un po’ come me e come i parcheggi intorno all’Unipol Arena (ndr).

Amo la parola LOVE, anche se ieri, appunto, il titolo della mia giornata non era proprio questo, ma la musica aiuta in ogni circostanza.

Alla musica non rinuncerei mai, neanche in una di quelle giornate talmente storte nelle quali la parola LOVE vorresti tipo eliminarla dal vocabolario.

Ma bando alle ciance e si va.

Inizio live previsto per le 21:00 e dalla tribuna est è tutta un’altra storia.

Dopo il classico quarto d’ora accademico inizia lo spettacolo, con un pubblico in delirio e una partecipazione continua, nessuno ha smesso di urlare e cantare. Nemmeno per un attimo.

Un concerto nel concerto, insomma, iniziato con Zero stare sereno e da lì, è stato un andare avanti e indietro nel tempo.

Brani come Fatto di te e Il tuo maglione mio, si alternano a pezzi del nuovo album come Controllo e Una casa al mare.

Non sono mancati neanche pezzi storici storici come Proteggi questo tuo ragazzo e Promiscuità, hit di inizio carriera che non tramonteranno mai, e che per chi segue la loro musica dagli esordi, finiscono per emozionare sempre un po’ di più.

L’unica canzone che avrei eliminato dalla scaletta è Riccione, ma solo perché ho rifiuto per quei singoli super commerciali che non rispecchiano assolutamente lo stile essenziale del gruppo.

A questo live non è mancato nulla. Si è vista una band consolidata e un Tommaso Paradiso in formissima, che tra salti e battute col pubblico, è stato capace di intrattenere andando oltre le solite frasi che si dicono durante i live.

Originali? COMPLETAMENTE.

 

Testo: Claudia Venuti

Foto strappalike anche se non intenzionale: Sara Alice Ceccarelli

Ma quanto siete VEZ?

Sono le 20.15 di un uggioso lunedì sera di Maggio, il cielo è fosco e cinereo, l’aria è fredda, rigida, quasi autunnale e tra me e me penso a quanto sono arrabbiata con il meteo per averci dato solo un lieve assaggio d’estate, illudendoci miseramente. Sono appena arrivata a casa della mia amica Sara Alice, stasera ho il piacere di cenare con lei e il suo socio Luca, che incontro per la prima volta. Si crea immediatamente un’atmosfera super friendly, apparecchiamo e cuciniamo insieme come se fossimo coinquilini da una vita, parliamo di lavoro, di musica, ci raccontiamo aneddoti divertenti e ridiamo insieme, tanto.

VEZ Magazine è il protagonista assoluto delle svariate conversazioni. Perché oltre ad essere qui come amica, stasera sono qui anche come collaboratrice: ho il compito (e l’onore) di intervistare le colonne portanti di questa grintosa rivista, nonché ideatori e fondatori. Tra una battuta e l’altra, ma anche con un po’ di imbarazzo (solo iniziale), ci buttiamo a capofitto in un’impetuosa raccolta di racconti, informazioni, aneddoti, un appassionante e fresco approfondimento su come tutto è venuto alla luce e sia poi diventato quello che è.

Mi rivolgo in primis a te Luca, dato che non ti conosco, non so nulla di te. Puoi dirmi com’è nato questo è progetto? Soprattutto: come avete fatto a trovarvi, considerando che Sara è di Rimini mentre tu sei di Forlì?

Tutto è cominciato l’anno scorso al concerto di Levante, frequentavo la scena “Sullasabbia”, “Bayfest” e “Rimini ParkRock” come fotografo freelance e per caso ho conosciuto Sara. Poi l’ho rivista ai Biffy Cliro, Jax & Fedez, Bayfest, ho pensato fosse una sorta di manager di LP Rock Events (la società che organizza questi eventi, ndr) o un qualche personaggio importante e non nascondo che inizialmente ero un po’ intimorito – sono stato sempre un ragazzo molto timido, soffro di balbuzie da quando ero piccolo, fatico a lasciarmi andare e trovare subito confidenza con le persone – mentre lei con il suo fare allegro, espansivo e disinvolto mi ha inizialmente incuriosito e successivamente conquistato.

Ci siamo fatti foto, mi ha presentato alle sue amiche. Mi ha fatto sentire importante, speciale. Siamo diventati amici sin da subito. Ci siamo raccontati, mi ha detto di essere una giornalista. Poco dopo, grazie a lei, abbiamo ottenuto l’accredito per il concerto del Liga (Luciano Ligabue, ndr). Proprio li è nato tutto. Lei giornalista, io fotografo. Le ho espresso il mio sogno di creare un magazine e in quel momento è come se fosse scoccata una scintilla. E’ nata la magia. Il mio sogno era anche il suo. Due settimane dopo avevo già creato il sito.

E Sara continua.

Ho sempre scritto. Ho scritto un libro, sono anni che scrivo sul il Ponte e mi è capitato spesso di trovare persone che volevano collaborare con me, ma non lo dicevano mai sul serio. Io avevo l’idea, ci lavoravo intensamente, cercavo contatti, miglioravo il progetto, gli altri invece si lasciavano trasportare, si adagiavano, non ci mettevano passione, non si adoperavano. Le persone parlano tanto ma non mettono mai in pratica nulla.

Con Luca è stato diverso. Luca  ci credeva veramente. Luca era convinto, autentico, pratico. Mi sono fidata di lui e lui ha dato fiducia a me e alla mia concretezza. Ci siamo trovati. Noi non abbiamo paura, siamo folli, ci buttiamo tanto, siamo disinvolti, ostinati, spregiudicati, anticonformisti. Siamo LIBERI. E VEZ ci da la possibilità di esprimere ciò che siamo in modo genuino, spontaneo. Il primo concerto ufficiale, quello che ci ha “iniziato” a collaboratori e pionieri di VEZ Magazine è stato Lali Puna. Se ci penso mi viene quasi nostalgia. Sembra passata una vita e invece sono solo pochi mesi.

E il nome VEZ com’è nato?

Per un’estate intera gli epiteti più amichevolmente utilizzati nelle realtà Bayfest e varie sono stati Regaz (ragazzi, ndr) e Vez (vecchio, ndr).

Quando ci chiedemmo quale nome avremmo potuto dare al nostro magazine, dopo averci pensato un po’ e aver buttato lì qualche nome a caso, Sara mi disse. “E se lo chiamiamo Vez?” Ci convinse subito. Scegliemmo “VEZ Magazine” per dare un’identità, un’essenza al sito. Perché appunto attualmente è un magazine ed è nato per questo, seguire concerti. Poi l’ambizione è grande, potrebbe diventare VEZ Service o VEZ Agency, chi lo sa.

Quindi possiamo ufficialmente dire che è Luca Ortolani che si occupa dell’aspetto fotografico e artistico del sito. Sara Alice Ceccarelli, invece, di cosa si occupa?

Bella domanda. Sono felice che tu me l’abbia fatta. In tanti spesso mi chiedono se faccio parte dello staff di VEZ, perché di primo acchito, chi visita VEZ vede solo il lavoro di Luca. Sembra quasi che io non esista. E questo mi fa male perché mi sento inutile, subisco tanto il non sentirmi partecipe all’interno di un sogno e progetto che è anche il mio. Ora finalmente ho il piacere di poterne parlare.

Principalmente mi occupo di intrattenere i rapporti con le varie agenzie, management, uffici stampa ed è estremamente intenso e fervido poiché è un lavoro di scambio, interazione e condivisione. Loro mantengono aggiornata me su concerti ed eventi – dandoci anche la possibilità di parteciparvi con accrediti stampa e foto – e noi offriamo loro visibilità creando una sorta di storytelling, approfittando della straordinaria potenza dei mezzi comunicativi per connetterci direttamente alle emozioni dello spettatore, donando popolarità a tali emozioni e aumentandone la richiesta. Un concerto non è solo fatto di band, strumenti e musica. C’è ciò che viene trasmesso, ci sono le persone, le loro espressioni ed è lo stesso motivo per cui non richiedo mai l’accredito stampa sulle tribune ma prediligo sempre il parterre. Voglio stare a contatto con il pubblico, vivermi il calore umano, l’entusiasmo, il delirio, l’ebbrezza, il sudore, le grida, i sorrisi, le lacrime.

Sia io che Luca siamo alla spasmodica ricerca di passione, in qualsiasi veste si manifesti. Insieme a questo, l’umiltà, la disponibilità e il rispetto sono i nostri capisaldi e le fondamenta su cui VEZ si erge. La nostra professionalità non è dovuta solo alle competenze ma anche a tali principi. Tutto questo viene percepito e apprezzato e ci permette di ricavarne tantissimi feedback positivi. Inoltre, il fatto che io sia una donna è certamente ottimizzante. Ho notato che in questo settore c’è molto aiuto reciproco tra donne ed è una cosa fantastica a mio parere, perché non è affatto scontata.

Mi pare di capire che questo è solo l’inizio di un lungo percorso. Cosa vorreste diventasse VEZ, un giorno?

“Io una casa chiusa” risponde Luca. Scoppiamo a ridere.

A parte tutto – continua Luca – Non sappiamo di preciso cosa vorremmo diventasse. So che ci piacerebbe che partisse inizialmente come trampolino di lancio per i nuovi gruppi. Sarebbe bellissimo avere un roster nostro di gruppi, che trattiamo e che la gente può seguire solo da noi e magari averne anche l’esclusiva. Gruppi che ci hanno dato fiducia e ai quali noi abbiamo dato fiducia sin dall’inizio.

Ci piacerebbe tantissimo che qualcuno credesse in VEZ a tal punto da darci la possibilità (e il sostegno economico) di poter girare l’Italia per scovare e dare voce ai nuovi piccoli gruppi. Darci la possibilità di stupirci. Lo troviamo estremamente arricchente. VEZ non vuole arrivare ovunque e chi visita VEZ non si può aspettare di trovare tutto. Ma sicuramente può aspettarsi di trovare la nostra passione e il nostro cuore. Cuore che vorremmo mettere nell’aiutare le piccole band, i gruppi spalla, quelli a cui hanno promesso tante cose senza poi mantenerle, quelli che nonostante tutto non si sono mai arresi. Quei gruppi che vanno avanti con le loro forze e che ancora credono nella straordinaria energia e dirompente potenza della musica, fatta e trattata con onestà ed umiltà  e continuano a crederci come il primo giorno. Un pochino come noi.

E poi altre mille idee. Che non spoileriamo, un po’ anche per scaramanzia.

In ogni caso qualsiasi cosa sarà noi lo faremo con impegno, convinzione ma soprattutto divertendoci.  E con amore. Perché amore sembra una parola sopravvalutata, invece no, l’amore in questo lavoro è fondamentale. Anche nel prendere la macchina, guidare di notte, farti millemila chilometri per andare ad un concerto, senza nemmeno avere la certezza che si siano ricordati di accreditatarti. Quando magari non è una cosa che avresti fatto, perché sei in piedi dalle 7 di mattina, hai lavorato tutto il giorno e sei stanco morto, ma tu sei li, ci metti del tuo, ti piace, ti diverti e offri un servizio agli altri. Questo amore si è perso nel tempo. Si è perso nel giornalismo come nella fotografia, nelle arti. E VEZ vuole essere anche questo. La riscoperta del lavoro come passione. La riscoperta e la valorizzazione di sentimenti e principi spesso offuscati e dimenticati.

Proprio come farebbero due veri VEZ.

 

Federica Orlati

I Palmaria e quella melodia così fresca… Così anni ’80.

Palmaria è un progetto musicale nato a fine 2017 dall’idea di Michele Mascis e Nicolò Zarcone, amici e colleghi, con l’intento di creare una melodia pop con molte influenze elettroniche. Michele però non è nuovo del mondo musicale, già voce e chitarra del gruppo elettrorock alternativo Frequenza.

Un gruppo, i Frequenza, formatosi nel 2011 con all’attivo un album NIHIL EST (2015) e la partecipazione alla colonna sonora originale della fiction Rai-Cattleya Tutto può succedere con il brano Matrice. A questo proposito Michele ci racconta che stanno ultimando il nuovo album (uscita prevista per maggio 2018, ndr) che ha una forte componente elettronica.

Oggi noi di VEZ incontriamo Michele durante le riprese le riprese del video Amore anni ’80, in Liguria, la terra di origine di questo progetto e dei ragazzi che l’hanno ideato. Sono le 11:30 di domenica mattina, ancora è inverno e il sole che si fa largo tra le nuvole non riesce a scaldare l’aria. Ma qui in Liguria basta guardare il mare, i piccoli golfi e le insenature che con un po’ di immaginazione senti il profumo di agrumi e le risate dei bambini che giocano sulla battigia.

A casa di Michele ci sono tante persone oggi, perché una troupe sta registrando il nuovo video di Palmaria. La prima cosa che sento è il timido miagolio di un bellissimo gattone grigio, un po’ spaventato dalle telecamere ma anche dalle tante persone nuove che affollano la casa. Il dolce gattone è Gastone, timido attore nel video.

1

 

 

Michele, puoi dirci qualcosa di questo progetto? A partire dal nome: ha un significato particolare?

Questo nome è in realtà un po’ una casualità. È un nome che ha una connotazione molto locale, infatti Palmaria è il nome di una bellissima isola sita nel golfo di La Spezia. Tuttavia abbiamo pensato che anche il rimando alla parola “palma” fosse carino. Diciamo che è un po’ una commistione tra le due cose. Inoltre volevamo fosse una cosa nuova, fresca, in stile pop con molte influenze elettroniche. Tutto però di un livello qualitativo alto. Come primo singolo abbiamo scelto Amore anni ’80 perché la riteniamo molto espressiva e significativa rispetto al tema predominante del progetto musicale: un pop elettronico che tratta di una “malinconia dolce”. Questa canzone racconta la fine di una storia, quel momento in cui la comunicazione viene meno e le parole lasciano il posto ai silenzi. Abbiamo girato il videoclip in casa mia, utilizzando sacchetti di carta che coprissero il volto. Il sacchetto di carta, il volto coperto, simboleggiano proprio questa mancanza di comunicazione che predomina nella coppia nel momento del distacco, quando ci si sta avviando verso la fine della relazione.

 

2

 

 

 

Dato che tu sei anche la voce dei Frequenza, non hai pensato di cantare tu stesso le parole che hai scritto?

Sì all’inizio è così che l’avevamo pensata. Abbiamo anche iniziato a cantare le parole della canzone ma c’era qualcosa che non ci convinceva. Una voce femminile sarebbe stata molto più adatta a cantare testi che affrontano il tema della nostalgia (e un po’ anche della malinconia). Una nostalgia però dolce, non disperata. Per questo una voce femminile, delicata, ci è sembrata molto adatta per esprimere questo concetto di “nostalgia dolce”. Abbiamo proposto le nostre canzoni a Rachele Acciavatti cantante e corista originaria di Pistoia conosciuta ad un festival musicale nell’estate del 2016. Rachele ha accolto il progetto con entusiasmo e così Palmaria ha iniziato a prendere forma durante l’inverno del 2017.

 

3

 

Prima mi dicevi che l’obiettivo di Palmaria è stato fin da subito produrre delle canzoni con un livello qualitativo alto. Ed è per questo quindi che  dopo poco tempo dalla nascita del Progetto hai pensato di coinvolgere Nicolo Spinatelli ed Elia Martorini?

Esatto. Infatti Nicolò, membro dei Frequenza, è un mago dell’elettronica ed è anche un fonico esperto della fase del mixing e master delle canzoni. Ha uno studio di sua proprietà “NK STUDIO”,  in cui collabora anche Elia. Elia, altri non è che D.E.L.I, il rapper che si è occupato della parte di featuring. Proprio poco tempo fa, Elia e Nicolò hanno fondato l’etichetta discografica BeatGarden, che ha quindi messo il suo marchio sulla produzione Palmaria. Inoltre i Frequenza avevano già collaborato con Elia durante l’estate, producendo la canzone 0187, brando che parla in maniera ironica della città di La Spezia. è una canzone che ha avuto un discreto successo nella nostra città, con numerosi passaggi in radio (Radio Nostalgia) e una notevole distribuzione sui social Network.

Al momento della nostra conversazione, il video ha raggiunto le 7,000 visualizzazioni, 1,000 solo durante il primo giorno di pubblicazione. Questo progetto non solo ha già preso forma nonostante sia relativamente giovane, ma sta anche riscuotendo un certo successo.

Ha preso forma giorno dopo giorno. All’inizio eravamo in due, e ora è diventato un progetto “collegiale”, un team nel quale io e Nicolò Zarcone ci siamo occupati della fase autorale e compositiva mentre Elia Martorini e Nicolo Spinatelli della fase di produzione e mixaggio. E Rachele Acciavatti, ovviamente, è la “voce”. Palmaria è un progetto totalmente indipendente con un budget praticamente pari a zero: abbiamo fatto tutto unicamente con le nostre forze, registrando la canzone, mixandola, masterizzandola e girando il videoclip. Un budget molto limitato che quindi ha visto la necessità di unire le forze. Ci abbiamo davvero messo tutte le nostre energie e speriamo raggiunga quante più “orecchie” possibile.

 

 

4

 

Che differenza c’è tra questo tipo di esperienza e l’esperienza che hai fatto in precedenza con il gruppo? 

Beh, i Frequenza sono una band vera e propria, nel senso “classico” del termine, con un chitarrista, un bassista, un cantante e così via. Palmaria invece non lo è. Poi c’è anche la fondamentale differenza che Palmaria è un progetto essenzialmente online. Abbiamo scelto di uscire solo su canali Social e in Streaming, uscendo con tre videoclip consecutivi e poi, successivamente, fare uscire l’album. Anche l’album solo in streaming su Spotify.

Per il futuro avete già in mente qualcosa di nuovo?

Abbiamo in cantiere 6-7 canzoni. il nostro obiettivo è quello di uscire dai confini di La Spezia. A fine maggio uscirà il nuovo videoclip con il secondo brano: Venditti Beach. La “malinconia dolce” sarà protagonista anche questa volta. Ma se prima gli interni e claustrofobici (talvolta) muri di casa erano lo scenario del video, questa volta la protagonista sarà LA SPIAGGIA.

La spiaggia con le palme di Palmaria 🙂

Sara Alice Ceccarelli