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Tag: anfiteatro del venda

Cristiano Godano @ Anfiteatro del Venda

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• Cristiano Godano •

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Anfiteatro del Venda

Galzignano Terme (Padova) // 30 Luglio 2021

 

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Daniel Blumberg @ Anfiteatro del Venda

Una magnifica follia

Anfiteatro del Venda (Galzignano Terme) // 13 Settembre 2020

 

Praticamente c’è sto tizio, vestito in maniera leggermente eccentrica di scuro, cappellino da baseball calato sul viso a nascondere lo sguardo, che sta seduto al piano, e tamburella, giochicchia, insiste in maniera seriale, quasi ossessiva, su un paio di note gravi, le quali escono dall’impianto effettate e stridenti, completamente snaturate. 

“Starà facendo il sound check”, presumo sia stato il pensiero mio e dei (non moltissimi) presenti, comodamente sdraiati sul prato inclinato che circonda il palco del Venda, mentre il sole lentamente prosegue il suo tragitto verso ovest, tuttavia ancora troppo alto sull’orizzonte per lasciar spazio allo spuntare delle luci della pianura padana, fondale naturale per le esibizioni da queste parti.

Tra una chiacchiera, un bicchiere di vino ed un paio di risa poco alla volta tutti si convincono del fatto che quella figura longilinea e vagamente “strana”, china sul piano, deve essere lui, dai, il signor Daniel Blumberg, trentenne inglese che in questa domenica settembrina porta in Italia, unica data nella penisola, in una location con pochi eguali, il suo recente On&On….

Il di cui sopra musicista non pare dare molta importanza alla situazione che lo circonda, intento com’è a guardarsi intorno quasi smarrito, a stuzzicare la tastiera, bofonchiare qualcosa in un microfono, accennare un paio di note sull’armonica, veder correre senza sosta una biondissima bambina (che ancora non so se potesse essere sua figlia o comunque appartenente all’entourage), sorseggiare del vino, alzarsi a far nulla in particolare per poi risedersi al piano, sistemare un libretto sul leggio. 

In questo clima tra il bucolico dell’ambientazione, l’informale della domenica pomeriggio orario aperitivo, il surreale del vedere il motivo stesso del tuo pellegrinaggio in cima a queste colline intento a cazzeggiare in mezzo al palco che quasi per caso ti accorgi che gli ultimi due accordi di piano somigliano davvero molto a quelli di Madder, pezzo tratto da Minus, prima gemma regalata al mondo da Daniel Blumberg, risalente al 2018. Quando, diversi minuti dopo, si avvicina al microfono e con il suo timbro inconfondibile scandisce “It’s my morning answer” non ci sono più dubbi, è lei; semmai ti resta qualche perplessità per il semplice fatto che non sai ancora se sia effettivamente iniziato il concerto o meno, ma tant’è, inutile continuare a crucciarsi, meglio assumere una posizione più adatta e rispettosa verso quello che, e non lo dico solo io, è l’autore di uno dei migliori dischi del 2020 ed i cui concerti, e io non lo dico perché è la prima volta per il sottoscritto, sono sempre delle esperienze magnifiche.

Prendendo come assioma dunque che Madder sia stato il primo brano in scaletta, quello che emerge subito, senza troppi fronzoli, è la continua, incessante necessità, il bisogno che Blumberg sembra di avere di alterare, portandoli quasi fino al rumore vero e proprio, quasi fino alla cacofonia, i suoi brani; i quali, beninteso, sono dei capolavori, dei veri miracoli cantautoriali.

Daniel Blumberg ha una facilità e creatività espressiva e compositiva imbarazzante da quanto è sfacciata, brani come Minus, terzo brano in scaletta quest’oggi, o la title track On&On, che ha trovato spazio verso la fine del live, sono composizioni che la stragrande maggioranza dei cantautori al giorno d’oggi pagherebbe per riuscire a comporre, farebbe carte false per avere qualcosa di simile a Permanent in repertorio, credetemi. 

Un incrocio tra Mark Linkous e Keaton Henson ed un pizzico di Sufjan Stevens (con sfumature nella voce di Ben Sollee aggiungerei) sotto il quale scorre una vena rumorista di pura avanguardia, motivo per il quale più che a veri e propri concerti, quelli di Daniel Blumberg somigliano ad esibizioni  che potreste vedere in qualche MoMa o Guggenheim o in qualche galleria d’arte moderna, come quando in un momento di passaggio tra Family and On&On, unite da lenti, lentissimi tocchi di piano e vaneggi di armonica, ha passato svariati minuti a creare un fastidiosissimo rumore con un microfono, o come prima di Teethgritter, quando i minuti sono trascorsi nel guardarlo far cadere all’infinito nella coda del piano diversi oggetti metallici (monete forse?). 

È la struggente, severa carezza di The Bomb a chiudere quest’esperienza così trasversale, così vera; il sole ora sì è giunto a destinazione, dietro alle colline e al contempo le luci del mondo, mai così distanti, disegnano un tappeto intermittente alle spalle di quest’uomo, questo concentrato di creatività e stupore, di dolcezza e frastuono, che stranito, spaesato, si alza dal pianoforte, un abbozzo di inchino, non una parola, due passi a lasciare gli assi del palco del Venda, si siede poco lontano, “Minus the intent to feel, I’m here”.

 

Alberto Adustini

Let the Music Play @ Anfiteatro del Venda

Anfiteatro del Venda (Galzignano Terme) // 16 Giugno 2020

 

Alla fine è successo. Prima di quando sperassi(mo). Meglio anche di quanto sperassi(mo).

È stato bello, è stato vero.

Siamo tornati ad un concerto. Un concerto reale, con i crismi che deve avere. Niente drive in, niente ologrammi, niente streaming né altre diavolerie. 

Un pubblico, coi distanziamenti e le misure previste, un palco — e che palco… esagero nel dire che in Italia ci sono pochi luoghi che possono reggere il confronto con l’Anfiteatro del Venda, con quel palco affacciato sulla pianura Padana e le sue mille luci? —e gli artisti su di esso. 

Tutto bello. Tutto perfetto.

Cioè non proprio tutto, come sostengono i rappresentanti delle Maestranze dello Spettacolo del Veneto, che ad inizio serata si prendono la scena, espongono uno striscione e fanno capire senza grandi giri di parole che la ripartenza tanto sbandierata è effimera, quando non proprio inesistente, soprattutto per certi settori, quali ad esempio la cultura. Sono parole importanti, dure, come giusto che sia, perché se la facciata ci appare stia tornando ad essere bianca, nasconde dietro ancora un sacco di sporco, che sarà difficile eliminare. Ad ogni modo un in bocca al lupo a tutti loro, sperando che presto possano ritrovare un po’ di serenità. E di diritti.

È la volta poi della musica, quella suonata, quella che ci ha spinto in cima al monte Venda, sfidando il maltempo che sta trasformando questo giugno in un novembre inoltrato, e ad aprire le danze tocca a Ricky Bizzarro, rocker trevigiano, una vita sul palco, da solo, in teatro, soprattutto coi Radiofiera, che hanno un disco pronto in uscita, prodotto da Giorgio Canali, e che questo virus ci costringe ad attendere. Ricky scherza “ho scritto un libro, ma ne ho una sola copia qui”, canta, suona, coadiuvato dal Maestro Sergio Marchesini, che con la sua fisarmonica fungerà da trait d’union della serata. Con l’occasione Bizzarro presenta anche un paio di brani in anteprima, mostra la sua enorme classe con una commovente In Meso Al Prà Dea Fiera, trascina con la sempre bella Me ciamo fora, si congeda felice quanto noi di essere tornato su di un palco.

Il testimone passa ad Erika Boschiero, col suo delicato folk, in bilico tra Joni Mitchell e la canzone popolare mostra (a me personalmente, che non la vedevo dal vivo da diversi anni…) un livello artistico ed una padronanza della voce e della chitarra non comuni e che strappano applausi ed urla di approvazione da tutta la collina. Salta con una naturalezza disarmante da un toccante omaggio a GianluigiGianniSecco, ad una dolcissima Cucurrucucù Paloma, alle tradizioni bellunesi de L’omo nero.

Il giro delle province venete si chiude con il veneziano Iacampo, che non pare aver risentito di questi mesi di stop forzato e si esibisce in una deliziosa Le mie Canzoni con il suo cantautorato così personale e figurativo, per poi annunciare che “ho comprato io il libro di Bizzarro, è all’asta”, e respingere al mittente Marchesini che aveva sbagliato ingresso e strappare risa e applausi al bel pubblico.

La serata scivola via in maniera così piacevole e naturale che accetto di buon cuore di lasciare lo spettacolo anzitempo (accogliendo tra i primi per altro l’invito di Simone, il padrone di casa, di non ammassarsi all’uscita), ma la cinquenne tradisce qualche segnale di stanchezza e pur avendo apprezzato il tutto (in particolar modo l’invito di Erika Boschiero ad accendere le torce dei cellulari per creare un po’ di scena) reclama un letto, per cui sì, è un report senza finale, senza il gran finale che posso solo presumere ci sia stato, con i quattro moschettieri assieme sul palco, distanziati il giusto, ma uniti dal grande abbraccio della musica.

Sopra il Venda ci sono le nuvole, ma noi siamo tornati a riveder le stelle, già. 

 

 

Alberto Adustini