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Tag: anna calvi

Syd For Solen 2022

Dice il detto “tra i due litiganti, il terzo gode”.

Così è stato per il Syd for Solen: dopo uno scontro fratricida tra festival danesi la settimana precedente (NorthSide vs. Heartland), il neonato festival di Copenhagen, piazzandosi nel secondo weekend di Giugno, si è potuto accaparrare nomi di tutto rispetto della scena internazionale, liberi anche dagli impegni del Primavera Sound a Barcellona.

Collocato a Søndermarken, cuore verde di Frederiksberg, delizioso quartiere subito ad Ovest del centro della capitale danese, tra casette in mattoni a vista, aiuole ben curate e hygge a palate, il grande prato circondato da alberi secolari è stato calcato da un numero variabile tra dieci e quindici migliaia di persone al giorno, che hanno visto alternarsi su due palchi gruppi emergenti e icone affermate.

Venerdì in particolare, giorno più tranquillo dei tre a livello di presenze, più che ad un festival è sembrato di assistere ad una scampagnata tra amici: gruppetti di persone sparse sull’erba, birra d’ordinanza in mano, la gente si è goduta l’indie rock di Velvet Volume, PRISMA e Goat Girl in completo relax prima che l’atmosfera si iniziasse a scaldare con il rap di Slowthai. È per i Foals che si inizia a vedere quella massa di gente che tanto è mancata di fronte ad un palco, massa che non farà che aumentare per il primo headliner della tre giorni, Liam Gallagher.

Il nostro caro Liam sale sul palco con un grugno che già urlava smaronamento a mille e non arriva neanche alla fine della prima canzone per trovare da dire con i ragazzini in prima fila che sfoggiavano delle maglie da calcio evidentemente non gradite al nostro. Per quanto l’umarèll albionico non si smentisca nell’immobilità delle sue performances, le emozioni che suscitano le hit dei bei tempi che furono targate Oasis scuotono corpi e anime di chi ascolta.

Il picco del festival si ha però nella seconda giornata. Se il buon Sandro Ciotti fosse ancora vivo, vi reciterebbe la lineup più o meno così: “inizia la giornata sul palco principale Anna Calvi a seguire la favolosa Sharon Van Etten per lasciare poi spazio agli eterei Slowdive [respiro] deviamo verso il palco piccolo per l’esordio in terra danese delle Wet Leg per poi ripiegare sul palco principale per il set conclusivo di questa giornata soleggiata e bellissima con The National”. Sabato è stato come gustarsi un vassoio di pasticcini belli farciti, appaganti, da godersi uno alla volta e assaporare fino in fondo il sapore distintivo di ognuno.

Il pasticcino più gustoso è stato, almeno per la sottoscritta, il set de The National: coinvolti e coinvolgenti (a Copenhagen sono di casa, NdA), hanno dato al pubblico uno delle loro migliori performances, con un paio di nuovi pezzi interessanti – anche se non così d’impatto come fu ascoltare dal palco dell’HAVEN KBH Carin at the Liquor Store prima dell’uscita su disco – e un continuum di canzoni tratte da tutta la loro discografia, così densa di titoli meravigliosi da non far rimpiangere quelli lasciati fuori dalla scaletta. Il concerto si chiude con la malinconica About Today, da assorbire nota per nota guardando tra le fronde degli alberi la magia del cielo ancora chiaro delle notti nordiche.

Domenica le previsioni davano una lineup un po’ più varia in termini di sound e rovesci sparsi. Purtroppo l’acquazzone più grosso si è avuto al secondo pezzo dei Parcels che ha costretto il gruppo a battere in ritirata e sospendere il concerto almeno finchè il diluvio non si è trasformato in pioggerella. Sarà stata la musica coinvolgente, la voglia di far festa, ma quando il sole ha bucato le nubi l’ovazione del pubblico è stata assordante. Il pomeriggio procede con il pop svedese delle First Aid Kit e il soul di Leon Bridges per arrivare alla festa conclusiva, il set dei Jungle che hanno fatto saltare e ballare in un rito collettivo di riappropriazione della vita sociale negata dai due anni di pandemia.

Si chiude così questa prima edizione del Syd for Solen, festival che ci auguriamo ritorni il prossimo anno e che, nonostante qualche aggiustamento da fare soprattutto riguardo alla quantità di food trucks presenti, ha saputo coniugare la dimensione cittadina della location con la dimensione internazionale degli ospiti in modo squisitamente impeccabile.

Francesca Garattoni

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Anna Calvi “Hunted” (Domino Recording Company, 2020)

Ma perché, mi chiedo io, perché? Hai fatto un disco pazzesco, uno dei miei preferiti del 2018, e decidi di riprenderlo in mano, riarrangiarlo, e pubblicarlo e nemmeno due anni di distanza…

Perché?

Vediamo, forse perché se ti chiami Anna Calvi ne verrà comunque fuori un gran disco. E se decidi di avere anche compagnia, beh, ancora meglio. 

Scrivere di questo Hunted, avendo nei mesi scorsi consumato il fratello maggiore Hunter mi fa strano, lo ammetto, e partivo un po’ prevenuto. Come spesso mi accade per le ristampe, edizioni deluxe, remasterd, unplugged e via discorrendo. Sono snob. O qualcosa di simile, lo so.

Poi però i fatti amano sorprenderti, anzi, sbatterti in faccia la realtà e dimostrarti una volta di più che certi preconcetti, certi giudizi avventati e aprioristici sarebbe la volta buona di lasciarseli alle spalle e pensare che non sono solo operazioni commerciali, o riempitivi, tappabuchi, uscite senza pretese in periodi di magra ispirazionale (non sono sicuro dell’esistenza di questo termine, avviso).

Prendiamo proprio Swimming Pool, la prima di queste sette rivisitazioni, che si presenta qui in versione scarnita, spoglia degli archi e degli altri orpelli rispetto alla versione originale, con un semplice arpeggio di chitarra che trova sostegno nel controcanto celestiale di Julia Holter, ora solo coro, ora intermezzo, ora seconda voce. Sono già brividi.

Lo aveva annunciato la Calvi stessa che uno dei motivi principali di questo Hunted era, nelle sue intenzioni, quello di riportare questi brani alla loro forma archetipale, un ritorno all’essenza per così dire.

Per una Swimming Pool resa celestiale dal duetto con la Holter, una Hunter nella quale Anna torna ad arrangiarsi, regalandoci una versione più disturbante e notturna ed una successiva Eden che, devo ammetterlo, preferisco qui che su Hunter; saranno i bisbigli di Charlotte Gainsbourg, sarà l’ipnotico finale, non lo so, ma questa è poesia. Alta. Punto.

Away è così ridotta all’essenziale che per lunghi tratti sembra quasi a cappella, con la voce riverberata, una chitarra acustica che compare, si allontana, torna a far capolino, per accompagnarci dolcemente, con garbo, lontano.

Se mi avessero chiesto prima “Abbiamo qui Courtney Barnett, che dici? Quale canzone potremmo farle fare in duetto con Anna?” avrei risposto senza indugio Don’t Beat The Girl Out Of My Boy. Ed infatti. Una chitarra, elettrica il giusto, per una versione che sarebbe stata bene addosso alla PJ Harvey del periodo Dry/To Bring You My Love, un po’ acida, un po’ sporca, un po’ cattiva. Brutta no.

Wish era invece quella che aveva attirato più della altre la mia curiosità, non foss’altro per la presenza, ingombrante, inutile negarlo, di Joe Talbot, voce degli Idles (per i quali confesso avere una grande simpatia. E profondo rispetto. Mi piacciono in parole povere). E nemmeno sta volta riesco a rimanere neppure un pizzico deluso. O indifferente. No. Parte quasi bofonchiando, Joe, ma neanche trenta secondi e ci pare di essere quasi in piena no wave newyorkese, con echi nemmeno troppo lontani di Alan Vega e dei suoi sbalzi umorali improvvisi, infatti d’un tratto ecco il dolce duetto, quasi sognante, ma dura poco, poi è di nuovo ossessivo il riff principale, dal quale emergono fendenti di chitarra che dai Suicide portano dritti ai Velvet Underground, giusto per non cambiare città. Poi torna la quiete, ci pensa Anna, a riportare la calma, a condurci dolcemente in fondo.

Il finale, gran finale, con Indies or Paradise, mi ha portato a fare un parallelismo istantaneo con un video che ho visto qualche tempo fa, con protagonista un’altra guitar hero, ovvero St. Vincent. In questo video parla dei suoi riff preferiti, quelli che avrebbe voluto scrivere, e via discorrendo. Ad un certo punto, verso la fine, inizia a suonare, chitarra e voce, Fort Six & 2 dei Tool. Recuperatelo e poi ascoltate appunto Indies or Paradise e ditemi se non parlano la stessa lingua. A ste latitudini i 4/4 non si sono mai visti, Anna ci propina un campionario di altissimo livello, sembra andare a braccio, ora canta, ora sussurra, poi bisbiglia, esplode, s’inarca e si accartoccia, fa un po’ quello che le pare. Ed è magnifico.

 

Anna Calvi

Hunted

Domino Recording Company

 

Alberto Adustini