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Vanbasten “Canzoni Che Sarebbero Dovute Uscire Tot Anni Fa” (Flamingo Management, 2020)

Vanbasten, nome d’arte di Carlo Alberto Moretti, ha pubblicato Canzoni che sarebbero dovute uscire tot di anni fa, EP d’esordio e chiaro biglietto da visita dell’artista romano.

Vanbasten ha 29 anni e ha alle spalle una carriera calcistica interrotta a 22 per iniziare a fare musica, avvicinandosi al rap in un primo momento e in seguito al punk e al pop.

Canzoni Che Sarebbero Dovute Uscire Tot Anni Fa è un progetto ben articolato, composto da dieci brani dalle sonorità elettro-punk e pop. Le produzioni, curate da Francesco Bellani, riflettono la new-wave e la scrittura dell’artista è semplice e dissacrante, una commistione tra il rap e l’indie.

Kenshiro, il primo brano, ha una ritmica incalzante. Il testo parla di un conflitto in modo diretto e sincero. Il ritornello “Ora che sei in ginocchio, io sono Kenshiro, quanto sei stato stronzo a non avermi capito”, rimane subito impresso. Mascara è una canzone d’amore dal testo elaborato e delicato. La voce di Vanbasten è profonda e mi ha ricordato Vasco Brondi dal primo ascolto: “dimmi cosa dici ai tuoi occhi quando cercano me”.

16enne e Pallonate sono pezzi generazionali. L’artista parla a ragazzi consapevoli, emancipati che vivono serate buttate, spinti dalle pallonate della vita. I testi sono irriverenti e la scelta delle parole è talvolta drastica per il genere: “Veniamo dalla strada come i vizi, siamo fatti per soffrire o per decidere di ucciderci”, scrive Vanbasten in 16enne. 

Eurospin e Sparare Sempre sono indubbiamente i pezzi più belli dell’intero EP. “Proveremo a mangiare 10k di cose, io volevo soltanto giocare a pallone adesso invece non ci gioco più” scrive l’artista in Eurospin. Il brano è nostalgico e dal testo immersivo anche se in questo caso la melodia e la produzione raggiungono l’apice dell’intero progetto per l’originalità dei passaggi tra le strutture della canzone. Sparare Sempre è una bella presa di coscienza, nel ritornello dice: “Continueremo a fare come ci pare, tra gli spari non ci stiamo male (…) Vita normale a chi, vogliamo vivere cosi”.

Canzoni Che Sarebbero Dovute Uscire Tot Anni Fa parla di vita vera, le immagini suggerite dai testi richiamano atmosfere notturne ed ambienti underground. Vanbasten parla ad un target di pubblico facilmente identificabile. La voce per quanto sincera rimane impenetrabile e a tratti ridondante. Le melodie non sono mai troppo incisive ma nel complesso si tratta di un progetto fresco che tocca tematiche semplici ma in modo innovativo. L’ascolto adatto ad un pubblico giovane e attento in cerca di musica audace.

 

Vanbasten

Canzoni Che Sarebbero Dovute Uscire Tot Anni Fa

Flamingo Management/Artist First

 

Giulia Illari

An Early Bird “Echoes of Unspoken Words” (Artist First, 2020)

In punta di piedi

 

Un titolo che è un paradosso e undici tracce che, guidate da un’onnipresente chitarra e una voce calda, esplorano una terra di mezzo tra il folk, il pop e l’indie: così si presenta Echoes of Unspoken Words, il secondo album di An Early Bird, al secolo Stefano De Stefano. 

Le protagoniste sono quindi le parole non dette, quelle più intime e silenziose, ma che spesso e volentieri pesano più di tutte. Ad ogni modo, in questo disco trovano finalmente la forza di emergere grazie all’incontro armonioso e ben congegnato tra chitarre e sintetizzatori, tra acustico e non. 

Echoes of Unspoken Words è un susseguirsi di immagini e toni malinconici, nostalgici ma anche “cinematografici” — se così vogliamo dire — perché ogni canzone potrebbe tranquillamente essere inserita nei titoli di testa o di coda di un film di Greta Gerwig. Non a caso, anche i video che accompagnano i cinque singoli pubblicati dal cantautore in questi mesi, da State Of Play a One Kiss Broke The Promise, raccontano una storia ben studiata e sanno davvero tanto di cinema indie.

Ma, come già è stato detto, è proprio il paradosso, quello già anticipato dal titolo e declinato con varie sfaccettature, ad essere il filo conduttore tra i vari pezzi. 

Abbiamo il guardarsi un po’ masochisticamente da lontano ma senza cercarsi fisicamente in From Afar, la necessità unita alla difficoltà di stabilire una connessione con l’altro in Racing Hearts, il desiderio destinato a rimanere irrealizzato di poter cambiare il passato in Talk To Strangers, in collaborazione con Old Fashioned Lover Boy, o ancora un “heaven in hell”, un paradiso all’inferno in Stay, simbolo che anche nel male c’è qualcosa di buono. Tutte queste piccole, umane e spesso dolorose contraddizioni si dipanano sulle corde di una chitarra e colpiscono chi ascolta nel modo più delicato e dolce possibile. 

Echoes Of Unspoken Words è quindi sì un album onesto, ma che arriva in punta di piedi e ti rimane accanto. 

Ed è una fortuna che sia uscito proprio in questo periodo dell’anno: un’ottima colonna sonora per prendersi del tempo per riflettere su se stessi, magari in una giornata di pioggia autunnale.

Oppure, se preferite, per immaginarsi come i protagonisti di un indie movie di Greta Gerwig.

 

An Early Bird

Echoes Of Unspoken Words

Artist First

 

Francesca Di Salvatore

 

Ghemon “Scritto Nelle Stelle” (Carosello Records/Artist First, 2020)

Ci sono artisti che è più facile inquadrare, attorno ai quali — volenti o nolenti — si creano determinate aspettative e quindi rischiano di sentirsi ripetere la solita solfa del “eh ma non è più quello di una volta” ad ogni tentativo di cambiare rotta. E poi ci sono quelli che sfuggono ad ogni classificazione tradizionale e dai quali non si sa mai cosa aspettarsi. Gianluca Picariello, in arte Ghemon, è sicuramente uno di loro e con il suo ultimo disco ne ha dato ulteriore conferma.

Uscito tre anni dopo il suo ultimo lavoro e anticipato dai singoli Questioni Di Principio, In Un Certo Qual Modo e Buona Stella, Scritto Nelle Stelle fa sentire tutta questa distanza temporale. È un album più sereno, più consapevole e, se la vita fosse un film, sarebbe il naturale sequel di Mezzanotte, quello in cui il protagonista riconosce l’importanza del passato, se lo lascia alle spalle e approda così alla serenità. 

Champagne, terza canzone del disco, parla proprio di come ormai siano stati regolati i conti con il passato e il ritornello recita “Stappo una boccia di champagne / Per il pericolo scampato / Chissà se non mi fossi fermato, dove sarei a quest’ora”. Anche in Inguaribile e Romantico si prende consapevolezza di ciò che si era e si è, ma c’è una persona importante accanto che capisce, sostiene e incoraggia quando sembra di non farcela.

I toni quindi sono più chiari rispetto al passato, ma non mancano la sincerità e la genuinità che contraddistinguono la sua discografia. Anche i momenti della quotidianità più banali, quelli che meno si prestano a diventare canzoni, vengono fissati in una traccia da 3 o 4 minuti. È questo che si vede ad esempio in Due Settimane, che inizia con “Spero che tu non abbia niente in programma stasera / Perché io appena metto il culo sul divano sverrò”. 

Non di soli eccessi vive la musica, evidentemente…

L’onestà dei testi si inserisce su musiche molto diverse tra loro, che vanno dal cantautorato al rap, dal soul all’hip hop, passando per sonorità quasi anni ’80 come in Io e Te oppure per il bellissimo connubio tra pianoforte e voce in Un’Anima, un pezzo incentrato sulla sindrome dell’impostore, quell’autosabotaggio a cui si tende quando non ci si sente all’altezza di una situazione. 

Sicuramente Scritto Nelle Stelle esce in un periodo non esattamente luminoso per nessuno, nemmeno per il mondo della musica. Però, in questi giorni più che mai, sono proprio la musica e l’arte in senso lato ad avere il privilegio – e forse anche un po’ l’onere – di farci sentire meno soli. 

 

Ghemon

Scritto nelle Stelle

Carosello Records/Artist First, 2020

 

Francesca Di Salvatore

THINKABOUTIT “Marea” (Totally Imported, 2020)

È un viaggio musicale, quello che ci propongono i THINKABOUTIT con Marea, il loro nuovo album uscito a quattro anni di distanza dal loro ultimo lavoro in studio. Tutto il tempo trascorso, tutta la fatica e la ricerca stilistica fatti dal collettivo sono tangibili in queste 16 tracce, che un po’ si discostano dalla loro musica precedente. 

Anticipato dai due singoli Arturo Gatti e I Fly High, che già lasciavano presagire il cambio di rotta da parte del collettivo barese, Marea si presenta come un disco decisamente eterogeneo, che passa dall’elettronica alle chitarre, con anche diversi richiami al jazz. 

Tornando alla metafora del viaggio, troviamo tracce come Tokyo o Adriatico che, a dispetto del nome, sembrano voler trasportare chi ascolta proprio in un locale jazz degli Stati Uniti, uno di quelli dove trombe e sassofoni dominano la scena. Al contrario, canzoni come 2008 ricreano un’ambientazione pittoresca del Sud Italia.

Sulla stessa scia troviamo anche Leave This Place, dove invece sono le parole a farci pensare al viaggio, o forse più a una fuga per inseguire i propri sogni. “Grab your dreams and drive away, put ‘em in your suitcase and never look back”, cantano all’inizio del pezzo. 

Il brano più particolare di tutti però è sicuramente Parlesia, realizzato in collaborazione con il pianista e compositore Mario Nappi. Il titolo si riferisce al gergo tipico dei musicisti napoletani e allora, su una base di pianoforte, ad una prima parte in inglese si accosta una seconda in napoletano, senza forzature o stranezze, come se fosse il proseguimento più naturale del mondo.

Un’atmosfera mediterranea si mischia dunque a sonorità internazionali, accentuate anche grazie al passaggio dall’italiano all’inglese nei testi. Una scelta azzardata forse, ma che nel complesso funziona e rende le canzoni quasi “cinematografiche”, nel senso che potrebbero funzionare bene come la colonna sonora di qualche film indipendente. 

Marea è quindi un album decisamente evocativo, che fin dal primo ascolto riesce a trasmettere immagini nitide attraverso parole e musica, che nella maggior parte dei brani tende a fare da padrona. 

Sono proprio queste immagini a funzionare da collante tra canzoni così diverse tra loro; il fil rouge che accompagna l’ascolto.

 

THINKABOUTIT

Marea

Totally Imported, 2020

 

Francesca Di Salvatore

VEZ talks to – Ep. 1 “An Early Bird”

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Abbiamo intervistato An Early Bird occasione dell’uscita del nuovo singolo Talk To Strangers distribuito da Artist First.

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Foto: Luca Ortolani

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PARLARE AGLI SCONOSCIUTI:
IL NUOVO SINGOLO DI AN EARLY BIRD

 

IL RITORNO DEL SONGWRITER CON TALK TO STRANGERS, BRANO CANTATO INSIEME ALL’ARTISTA OLD FASHIONED LOVER BOY

 

Reduce da un anno ricco di live – circa 70 tra Italia ed Europa e al fianco di artisti come Scott Matthews, Stu Larsen e Grant Lee Phillips, torna An Early Bird con il nuovo singolo Talk To Strangers, distribuito il 21 Febbraio da Artist First.

Talk To Strangers, prodotto presso Il Faro Studio di Somma Lombardo da Claudio Piperissa e Lucantonio Fusaro durante le sessions del secondo full length del cantautore, racconta la sensazione di non sentirsi totalmente capiti dalle persone più vicine. Da qui nasce il bisogno paradossale di aprirsi agli sconosciuti sentendosi a volte anche più capiti.

Musicalmente il brano continua un percorso di ricerca che ha progressivamente spostato il cantautore dai suoni indie folk del primo album Of Ghosts & Marvels – uscito nel 2018 – a quelli più scuri dell’EP In Depths, uscito alla fine del 2019 per Ghost Records.

Il risultato richiama un solido songwriting di stampo folk-pop con delle derive dreamy, tra Travis, Ben Howard e Sparklehorse, e vede la partecipazione di Old Fashioned Lover Boy, altro artista appartenente alla scena alt folk italiana.

“La cosa è nata in modo molto spontaneo perché io e Alessandro siamo molto amici: è semplicemente venuto a trovarmi durante le registrazioni e ci abbiamo messo davvero poco a entrare nella dinamica di collaborazione. È la prima volta che lascio cantare qualcun altro parte delle mie canzoni eppure sono felice di averlo fatto perché il risultato mi emoziona molto”.

Il secondo full length di An Early Bird è presumibilmente previsto per seconda metà del 2020.

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I Boschi Bruciano “Ci Pesava” (Bianca Dischi/Artist First, 2019)

Le paure di una generazione urlate al microfono

Ci Pesava: un titolo programmatico per dodici tracce che trasudano energia ed intensità.

Ci sono anima e cuore nel primo lavoro in studio della band alt-rock cuneese I Boschi Bruciano, uscito per Bianca Dischi/Artist First e destinato a seguire il solco già tracciato dai Fast Animals and Slow Kids oppure dai Ministri nella scena rock italiana.

Il perché del titolo ce lo spiega la stessa band su Instagram: tutte le canzoni parlano di cose che, in un modo o nell’altro, a loro pesavano. Da qui nasce l’esigenza di raccontarsi, finendo però, in qualche modo, a raccontare anche un’intera generazione disillusa e spaventata da un futuro sempre più incerto.  

Gli onori di casa fatti li hanno fatti i singoli Odio e Pretese, pubblicati tra il 2018 e il 2019 e che già ci avevano presentato il mood intenso del disco. Tuttavia, Ci Pesava esordisce con Grigio, traccia piuttosto malinconica dove gli strumenti entrano in scena uno alla volta e poi si fondono. Una sola frase viene ripetuta come un mantra e ci interroga: cosa resterà di noi, ora che il passato già sta sbiadendo? 

Si continua poi con altri pezzi dove la perdita di illusioni, le ansie per l’inizio della vita adulta e l’incertezza fanno quasi da padrone e tutte queste sensazioni vengono perfettamente sintetizzate nel ritornello di Mi Spegnerò, che recita “vivere è un po’ come lavorare di domenica”. Non c’è solo pessimismo, ma anche tanta voglia di reagire, come quella che viene urlata verso la fine di Jet Lag oppure in Università, perché in fin dei conti, questo vivere disincantati, non si riesce proprio ad accettarlo del tutto.

Ci Pesava quindi presenta agli ascoltatori due anime contrastanti. Una è governata dalla disillusione, condita con un po’ di rimpianto, ed è lei che serve ad imparare a perdere e smettere di credere alle favole – come la vita adulta ci richiederebbe. L’altra, invece, risulta più decisa e in grado prendere posizione, perché, visto che questa vita non è poi così difficile, tanto vale affrontarla di petto.

Infine, dopo quarantaquattro minuti, I Boschi Bruciano fanno un bilancio delle loro esperienze (ma sono davvero così diverse dalle nostre?) con L’ultimo Istante, canzone meno rock in senso stretto ma sicuramente una degna chiusura per un disco che scava a fondo e mette a nudo. 

Le voci dominano la musica per lasciare un ultimo messaggio.

Affrontare tutto, sempre, fino all’ultimo istante.

 

I Boschi Bruciano

Ci Pesava

Bianca Dischi/Artist First, 2019

 

Francesca Di Salvatore

[Anteprima] I Boschi Bruciano – Ci Pesava

In anteprima esclusiva su VEZ Magazine, ecco a voi Ci Pesava, l’album di debutto de I Boschi Bruciano.

La band alt-rock è pronta a presentare il loro primo album inserendosi perfettamente come una delle realtà più interessanti della scena cantautorale rock italiana, capeggiata da Ministri e Fast Animals and Slow Kids.

 

CI PESAVA

L’ALBUM DI DEBUTTO IN USCITA IL 04 OTTOBRE per BIANCA DISCHI/ARTIST FIRST

 

«La scena rock italiana indipendente sarà pure minoritaria rispetto ai fasti dell’hip hop e del cantautorato indie ma è viva e vegeta. Lo testimoniano band come I Boschi Bruciano» – Billboard

 

 

https://soundcloud.com/bianca-dischi/sets/i-boschi-bruciano-ci-pesera/s-JqDwl


Tracklist: 1. Grigio 2. Pretese 3. Mi Spegnerò 4. Jet Lag 5. Scegliere Un’Indole 6. Interlude 7. Odio 8. Polvere 9. Non Lo So 10. La prossima Volta 11. Università 12. L’ultimo Istante

Ci sono le chitarre, c’è l’energia del punk e la potenza del rock, tutto insieme. Un rock solido, ruvido ma al contempo accessibile. Dodici tracce potenti, di impatto, un suono pieno che ti viene subito addosso.

“Ci Pesava” è così, un concentrato di emozioni che vi farà capire chi sono I Boschi Bruciano. Un disco intenso, carico e diretto che lascia intravedere un live di grande impatto. “Questo disco ce lo portiamo dentro da molto tempo. Sentivamo il bisogno di dare forma concreta alle emozioni e ai frastuoni che uscivano dalle lunghe giornate in sala prove e, in poco più di un anno, abbiamo terminato un mosaico a otto mani che ci porteremo dentro tutta la vita. Questo non è un album semplice e non è stato di certo semplice per noi arrivare a stringerlo tra le mani. Abbiamo dato il massimo ed ora non ci resta che scagliarlo lontano, come un sasso nell’acqua, sperando che rimbalzi.” – I Boschi Bruciano

 

I Boschi Bruciano sono: Pietro Brero – voce e chitarra | Giulio Morra – chitarra | Maurizio Audisio – basso, piano e synth | Vittorio Brero – batteria

 

Credits album:

AUTORI: I Boschi Bruciano

REGISTRATO, MIXATO, PRODOTTO da Paolo Mulas presso V-Studio di Cagliari

MASTERING di Andrea Suriani

CREDITS FOTO: Francesca Sara Cauli

 

Redh “Torneremo EP” (Artist First, 2019)

Torneremo di Redh è un EP di sei brani che strizza l’occhio completamente al pop italiano indie. Sonoritá, riferimenti testuali, riverberi, tastiere: ogni elemento ci porta a pensare che l’obiettivo dichiarato sia finire sulla playlist Spotify “Indie Italia”, o quantomeno sulla playlist “Scuola indie”.

Già dall’apertura del primo brano Dormi veniamo proiettati in atmosfere da tastiere new-anni ’80 stile Thegiornalisti. Poi parte la voce, e ci togliamo ogni dubbio: molto riverbero, voce molto eterea alla Tommaso Paradiso.

Scorrono i brani e le caratteristiche di cui sopra si confermano passo dopo passo. Le canzoni scorrono tra sonorità orecchiabili, synth retro e testi che trattano di amori post adolescenziali-pre ingresso nei 30. 

Tutte e sei le canzoni infatti raccontano storie d’amore (spesso finite male o mal corrisposte) dal punto di un vista di un ragazzo giovane, presumibilmente universitario. I toni non sono mai però drammatici e i riferimenti linguistici che raccontano le sensazioni del cantante sono molto concreti e di facile comprensione.

Da un punto di vista strumentale, vengono elette come protagoniste le tastiere. La chitarra ha un ruolo marginale, usata quasi sempre per aggiungere colore piuttosto che per dettare la linea armonica, eccezione fatta per il malinconico brano Ci credi, in cui le chitarre escono fuori come protagoniste. La parte ritmica delle canzoni è dominata invece dalla scelta di utilizzare la drum machine elettronica al posto della batteria acustica. Scelta condivisibile che rende le sonorità dell’album complessivamente fresche e moderne.

Riguardo alla produzione musicale da un punto di vista tecnico, possiamo affermare, come detto sopra, che la scelta stilistica dei mix e dei master dei brani riflette anche in questo caso la tendenza a volere seguire le sonorità dell’indie italiano. E, quindi, si accentua molto l’utilizzo del riverbero sia nelle tastiere che nella voce, il basso non viene fatto uscire troppo nel mix e le chitarre lavorano molto sulle note singole spesso messe in delay. Ma, se nella parte strumentale questa scelta stilistica è premiante e rende il sound fresco e coerente con il mondo indie italico, nella voce il risultato non è altrettanto apprezzabile. Infatti, la voce risulta essere troppo appesantita da un eccesso di riverbero che le fa perdere un po’ di chiarezza, portandola a non amalgamarsi completamente nel mix complessivo dei brani e nascondendosi tra le frequenze dominati delle tastiere, anch’esse, come già detto, molto riverberate.

Per quanto riguarda la struttura delle canzoni — strofa, ritornello, variazioni — Redh mostra una buona consapevolezza e maturità compositiva: i brani scorrono tutti fluidi e arrivano alla fine con leggerezza, senza cadere in inutili barocchismi. Gli intro durano il giusto, le strofe conducono correttamente ai ritornelli, i quali entrano puntuali e assumono la giusta importanza nell’equilibrio dei brani. Anche da un punto di vista armonico, i ritornelli sono ben valorizzati e spesso risultano essere ben orecchiabili.

Per concludere, Redh ha creato sei brani leggeri, abbastanza maturi da un punto di vista della produzione — eccezione fatta, forse, per la scelta sbagliata nel missaggio della voce — e con un’apprezzabile capacità nel creare melodie orecchiabili e piacevoli accompagnate da un sound moderno ed azzeccato.

La parte debole dell’album sono, invece, i testi delle canzoni: da un lato troppo monotematici (si parla sempre e solo di storie d’amore) e dall’altro lato privi di spunti interessanti nella scelte stilistiche e lessicali. Mancano infatti quelle metafore, quelle parole giuste, quelle frasi apparentemente idiosincratiche che ti fanno dire “wow” mentre le ascolti. Forse, manca anche un po’ di ironia nel modo di raccontarle, queste storie d’amore.

 

Redh

Torneremo EP

Artist First, 2019

 

Michele Mascis