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Tag: banana

ReCover #6 – The Velvet Underground “The Velvet Underground & Nico”

• La banana sospesa nel tempo •

 

“È solo l’ennesima provocazione”.

Queste sono le parole di chi cerca una logica nell’opera dell’artista contemporaneo, e anche di chi rimanendone spiazzato rimpiange i bei tempi dell’arte contemplativa, quella “vera”.

Perché qua si tratta solo di una banana decontestualizzata e c’è sempre qualcuno che ripete con sdegno “lo so fare anch’io”.

Un attimo, ma di quale banana sto parlando esattamente? 

Beh, liberi di scegliere il soggetto, visto che nonostante siano passati più di 50 anni il dibattito si ripropone sempre uguale a se stesso.

Lo scorso dicembre Maurizio Cattelan ha esposto Comedian su una parete dello stand di Emmanuel Perrotin ad Art Basel Miami Beach, ovvero un’installazione costituita da una banana incollata alla parete con del nastro adesivo.

Nel marzo del 1967 The Velvet Underground debuttarono con The Velvet Underground & Nico che sarà ricordato come il “banana album” proprio per la sua iconica cover realizzata da Andy Warhol. 

L’album non fu un gran successo al momento dell’uscita, ma si guadagnò un posto nella storia col tempo, e i Velvet Underground furono d’ispirazione per la nascita di generi come il punk, l’alternative rock, la new wave, il noise rock, e molti altri ancora.

Testi irriverenti, tematiche scandalose per l’epoca e le sonorità ben lontane da ciò che si trovava in cima alle classifiche: uno spirito provocatorio che ben si concilia con la cover creata da Warhol, che nelle prime copie in edizione limitata presentava una banana adesiva che poteva essere sbucciata veramente, come invita a fare la scritta “peel slowly and see”, rivelando una banana rosa poco equivocabile.

Purtroppo come spesso succede nei progetti più ambiziosi i costi erano eccessivi, per cui solo i più fortunati possono vantarsi di poter veramente interagire con l’artwork.

È curioso come il re della Pop Art abbia prodotto una band underground, e proprio come con qualsiasi altra sua opera d’arte si sia limitato a metterci una firma sopra, intervenendo il mimino indispensabile: è proprio grazie a questa libertà che il gruppo poté esprimersi appieno, e godere della visibilità data dal proprio mecenate.

Dunque abbiamo un frutto che viaggia nella storia dell’arte, diventa un pezzo d’immaginario collettivo, icona pop, rimando palese ad un tabù e quindi trait d’union fra cultura bassa e alta: un significante estremamente ricco di significati insomma, rivisitato nel corso della storia dell’arte da Botero e De Chirico, per citarne alcuni, e come abbiamo visto il mese scorso particolare folle aggiunto all’illustrazione di Grandville nella copertina di Innuendo dei Queen.

Warhol e Cattelan hanno in comune alcune caratteristiche: entrambi giocano con gli strumenti forniti dai mass media, e sono perfettamente consapevoli della percezione che ne hanno le persone.

Entrambi icone pop che in quanto tali mettono in crisi i concetti stereotipati di arte e artista, proponendo al mercato dell’arte opere che chiunque può trovare al supermercato, e fondendo insieme l’idea di merce con quella di opera.

Entrambi considerati da molti quanto di più lontano e superficiale ci possa essere nel mondo dell’arte, ma entrambi specchio della contemporaneità ed esponenti di un nichilismo totalizzante.

Opere d’arte, esseri viventi, oggetti d’uso comune, animali in tassidermia: tutti simulacri senza referente, tutti allo stesso livello, tutti sospesi nel tempo grazie all’Arte.

È difficile guardarsi allo specchio ed essere sinceri con se stessi, ed è proprio questo che fa la Pop Art: ci descrive senza mezzi termini o censure.

Ma, chi più chi meno, cerchiamo di proteggerci da questo ritratto troppo schietto da digerire, troppo vuoto e senza un fine ultimo. La dismorfofobia è una brutta bestia.

Molto più semplice crearci sopra dei meme, ironizzare sull’assurdità dell’intera vicenda, fuggire dal disagio latente che ci provoca per poi accendere la TV o qualsiasi social, e farci tutti insieme una bella risata: qualcuno su cui ridere si trova sempre, ci fa sentire migliori di quanto sappiamo di non essere realmente.

O come ha fatto l’artista David Datuna, diventato un “meme nel meme”, che ha dato sfogo al desiderio di molti nel mangiare la banana da 120.000 dollari di Cattelan in quella che ha definito una performance artistica, Hungry Artist.

D’altronde si riduce sempre ad una dimostrazione di potere, no?

 

velvet underground recover

 

Cinzia Moriana Veccia

Genova e la musica: un pomeriggio con i Banana Joe

Il 13 dicembre prossimo al Mikasa di Bologna, suoneranno per la prima volta i Banana Joe, band tutta genovese fresca di secondo posto al Rock Contest 2018.

Noi di VEZ abbiamo già conosciuto i ragazzi e ne abbiamo anche recensito l’album Supervintage (uscito il 26 ottobre, Pioggia Rossa Dischi, ndr), un freschissimo primo lavoro che travolge e talvolta, commuove, per quel sound grunge anni ’90 che, shakerato, non mescolato, fa breccia nel cuore di noi amanti del moderno/passato e della psichedelia dei fantastici sixties.

E poi li abbiamo conosciuti durante il Concerto per Genova quando ci hanno accolto sorridenti a concerto ultimato. Disponibili e gentili, con quell’attitude seria ma rilassata di chi ama seriamente il proprio lavoro e lo fa con passione, ci hanno salutato con la promessa di rivederci presto.

Oggi abbiamo intervistato Andrea, frontman e voce del gruppo.

 

Andrea, una domanda al volo, su due piedi: ma quanti anni avete? Siete davvero giovanissimi!

Beh, io di anni ne ho 25, Emanuele ne ha 30. In verità chi abbassa la media è Fulvio, il nostro chitarrista: ne ha 24.

 

E come vi siete conosciuti?

Fulvio e io ci siamo conosciuti ad una grigliata estiva sulle rive del Varenna a San Carlo di Cese (dei nostri amici ci hanno addirittura scritto sopra una canzone). Una festa dove si è mangiato tanto e si è anche bevuto, diciamo (ride). Abbiamo iniziato a jammare con batteria e chitarra e abbiamo capito che in qualche modo sarebbe stato bello poter lavorare assieme.

Era però il caso di trovare un vero batterista, perché appunto Fulvio suona la chitarra. Abbiamo invitato Lele, che già conoscevamo, al nostro primo live quando abbiamo aperto la data dei Combine, gruppo tedesco di origine iraniana.

E così siamo riusciti ad avere il nostro batterista, mentre prima c’erano solo turnisti.

 

Chi scrive la musica e i testi?

Ogni pezzo ha una scrittura a sé. Talvolta sono io che scrivo la musica e Fulvio magari scrive i testi. Oppure Lele il testo e Fulvio la musica. Oppure è un lavoro fatto assieme, in contemporanea. In realtà è molto difficile capire chi ha scritto cosa.

La risposta giusta sarebbe: “Musica e testi li scrivono i Banana Joe. Assieme”

 

E i Banana Joe, hanno un luogo del cuore, un luogo che amano e dal quale sono ispirati?

Ah per prima cosa i vicoli di Genova. Tutti i vicoletti di Genova.

Girando la movida genovese siamo sempre lì, tra i suoi caruggi e sicuramente questi hanno avuto una grande importanza nella scrittura dei pezzi e dei testi.

La periferia poi riveste per noi un ruolo davvero basilare. Genova Bolzaneto e Genova Sampierdarena sono due quartieri che siamo soliti frequentare poiché il primo è dove abbiamo il nostro studio di registrazione e poi in entrambi ci sono dei piccoli bar che somigliano tanto a quei baretti di periferia che amiamo tanto.

Una menzione in particolare va anche ai Giardini di Plastica, che in realtà si chiamerebbero Giardini Baltimora.

È uno spazio che dà il nome ad un pezzo che andrà nel nostro prossimo album ed è una zona che ci è rimasta molto impressa. Quando eravamo piccoli era uno spazio degradato anche se in realtà era nato come luogo per far giocare i bambini.

Sai quei parchetti dove le famiglie alla domenica portano i bambini a giocare, e dove appunto ci sono tutti questi giochi in plastica? Ora è in riqualificazione.

 

Noi ci siamo incontrati al Concerto per Genova, esperienza che per me da emiliano-romagnola è stata molto toccante. Come l’avete vissuta questa tragedia da “errore umano” e con che spirito avete partecipato al concerto?

Abito vicino a dove è successo il crollo del ponte (Ponte Morandi, ndr). Ero fuori a fare la spesa, pioveva a dirotto e ho sentito un boato. In quel momento pensi a tutto ma sicuramente non ad una cosa come questa.

All’inizio infatti non ci credevo. Mi sembrava una cosa impossibile. Per andare alle prove ci passavamo sotto ogni giorno. Lele infatti era a 300 metri dal luogo del crollo.

Ogni volga che passiamo di là, perché ora hanno aperto nuovamente la strada, viene un po’ di magone perché non sembra vero. Non vedere più quel ponte è una cosa sulla quale non fai mai l’abitudine.

Suonare a questo evento è stato bello, poiché Genova è una città attiva, ma solo in determinate situazioni. A livello culturale sembra molto provinciale, e questo anche per quanto riguarda la musica e i locali. Sembra quasi chiusa.

In questa circostanza invece abbiamo notato che le persone si sono attivate per far capire che la popolazione c’è. E così ci si rialza dal basso, e si va avanti.

 

Ma parliamo del Rock Contest 2018. Un bel secondo posto….

Sì, bellissimo. Il Rock Contest io l’ho conosciuto tramite il cantante del gruppo Lo straniero, gruppo piemontese di La Tempesta Dischi. È un contest molto ben organizzato e con un livello molto alto delle band in gara.

I live sono gestiti nel migliore dei modi e mi è stato riferito che molte band vogliono partecipare. Delle circa 800 domande pervenute, solo una trentina sono state selezionate.

La finale è stata bellissima e in giuria giudici del calibro di Maria Antonietta e de I Ministri. Presenti anche etichette come Woodworm. Una gran bella vetrina per noi genovesi competitivi e anche se avremmo desiderato il primo posto, siamo davvero orgogliosi.

E scherzi a parte, fosse stato per me avrei fatto vincere tutti. Ottimo livello e ottimi compagni di avventura.

 

Qual è il vostro rapporto con la stampa e più in generale con tutti i media?

Se non ci fosse la stampa non si conoscerebbe la musica.

Noi con i giornalisti ci siamo sempre trovati bene ed è veramente piacevole sapere che ci sono persone interessate a te e che vogliono conoscere la tua storia.

L’informazione in Italia rispetto agli altri paesi è comunque ad un livello piuttosto basso. E per questo va protetta e incentivata, non di certo fermata.

 

Ultimissima domanda, qual è la cosa che amate di più fare quando non vi occupate di musica?

A me piace tanto il cinema, Fulvio si dedica alla cucina perché è un cuoco provetto e di Lele posso dirti che ama tantissimo fare il papà. Ha un figlioletto di 6 anni e quando ne ha tempo, anche lui ama andare al cinema come me.

Una cosa che invece ci lega come gruppo, togliendo appunto la musica, è il fatto che siamo dei cazzoni! No seriamente, le nostre prove in studio sembrano puntate di Zelig. Lavoriamo con impegno e serietà, ma l’umorismo è uno dei nostri collanti principali.

 

7b

Banana Joe & Me, Concerto per Genova, 17 novembre 2018

 

Grazie mille Andrea e grazie ai Banana Joe.

Ci vediamo il 13 al Mikasa di Bologna.

E lì, ci andremo a bere una birra.

 

Sara Alice Ceccarelli

Banana Joe e il loro Supervintage

Aprite il calendario del cellulare o, se siete dei nostalgici come la sottoscritta, tirate fuori l’agenda e segnate come data da ricordare il 26 ottobre.

Questo perché uscirà Supervintage, il cd d’esordio dei Banana Joe.

La band, che prende il nome dal celebre film di Bud Spencer, è composta da tre ragazzi di Genova che, nonostante la giovane età, si sono fatti conoscere suonando al fianco di artisti del calibro di Omar Pedrini e i Punkreas.

Supervintage è un album variegato in cui si intrecciano diverse tonalità appartenenti a generi apparentemente incompatibili ma che vanno a creare un mix sorprendente.

Come si può evincere dal titolo dell’album il cardine che lega insieme le canzoni sono le atmosfere vintage, in particolare quelle un po’ psichedeliche degli anni ’60.

Il tutto però è condito da toni rock e grunge, tipici degli anni ’90, che uniti insieme vanno a creare una sorta di vintage-moderno, se mi passate l’ossimoro.

Otto brani da ascoltare tutti d’un fiato per immergersi in un’atmosfera un po’ d’altri tempi ma anche estremamente attuale perché va a toccare tematiche e situazioni in cui ci siamo ritrovati tutti.

Come succede in Neve, una metafora della vita in cui si riflette su come, con il passare del tempo, cambiamo il modo di percepire le cose.

E quindi la neve che da bambini era una cosa quasi magica con l’arrivo dell’età adulta non è null’altro che una scocciatura.

Abbiamo l’immancabile  canzone d’amore, Polvere, che forse proprio per la semplicità e la linearità del testo ti rimane in testa e ti ritrovi a canticchiare il ritornello.

Per il loro cd d’esordio i Banana Joe hanno provato a mischiare sonorità distorte a groove dal sapore vintage e il risultato è tutto da ascoltare.

Un pugno di canzoni che lasciano il segno, come un cazzotto di Bud Spencer.

 

Laura Losi