Skip to main content

Tag: blindur

Blindur: la musica è una chiave che apre le porte

Blindur, nome d’arte di Massimo De Vita, è un cantautore, polistrumentista e produttore della scena musicale alternativa italiana. In occasione dell’uscita di Exit, il suo terzo album, ci ha raccontato il suo percorso artistico, fatto di simboli, curiosità e condivisione.

 

Ciao, piacere! Conosciamoti meglio: cosa significa fare musica per te?

“È una cosa indispensabile. Scrivo canzoni perché ne ho bisogno, è un’urgenza comunicativa ed è una mia propensione naturale. Negli anni, la musica è diventata il mio lavoro e non solo come cantautore: sono produttore, sono stato musicista per altri. Sono riuscito a far diventare quello che era uno sfogo la mia attività principale.” 

 

Quindi, possiamo dire che ti piace fare musica a 360 gradi?

“Sì!”

 

Ti faccio una domanda che mi piace sempre, per esplorare i percorsi degli artisti: in cosa si distingue Exit, l’album che sta per uscire, dai due precedenti? E in cosa è simile?

“Allora, è molto diverso per certi versi e molto simile per altri. Molto diverso perché è il disco per cui ci è voluto più tempo, mi sono serviti due anni. Per i due precedenti, invece, ci ho messo sei mesi, sono stati fatti in tempi rapidi. È diverso perché, anche se in precedenza ho fatto delle collaborazioni, i primi due album li ho fatti perlopiù da solo. Ho anche suonato gli strumenti e prodotto da solo, è stato proprio un lavoro in solitaria. Questo disco, invece, è un lavoro corale. Ovviamente, ho fatto la mia parte, ma ho avuto tantissimi collaboratori, dalla band che mi accompagna dal 2019, ai produttori. Le cose più simili riguardano l’estetica: il primo disco è molto folk, il secondo è molto rock e nel terzo disco i due generi sono in armonia, hanno trovato un equilibrio. Ci sono state anche altre influenze, come la musica elettronica.”

 

Il prossimo disco chissà come sarà!

“Sono molto curioso, non ho il timore di risultare diverso da me stesso.”

 

Mi racconti qualcosa in più a proposito delle collaborazioni che hai citato? Ho subito notato la canzone Stati di agitazione con Rodrigo D’Erasmo ed è sempre bello quando la musica è fatta insieme.

“Sì, negli anni ho collaborato con tanti artisti e sono prima di tutto amici che si prestano con gioia ed entusiasmo. È successo con il famosissimo pianista Bruno Bavota, con Adriano Viterbini, chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion e degli I Hate My Village e con JT Bates dei Big Red Machine.
Questa volta ho contatto degli amici per creare dei brani e alcuni hanno messo del loro nella musica. È il caso di La festa della Luna, dove ho deciso di accogliere la parte di testo di Monique Honeybird Mizrahi. È successo anche con Rodrigo e con Roberto Angelini, che hanno dato una armonia diversa alle mie canzoni. E poi c’è J Mascis (Dinosaur Jr, NdR) che ha suonato nella canzone Mr. Happytime e che ha totalmente rivoluzionato il brano quando sono arrivate le sue chitarre. Quando è stato in Italia, lui mi ha scelto come apertura dei suoi concerti e abbiamo passato una serie di giorni insieme, backstage, palco ed esibizioni ed è nata un’amicizia. Non ha mai collaborato con una band italiana ed è un artista che, a suo tempo, ha suonato con i Nirvana ed è una roba che…”

 

È tanta roba!

“Eh, è proprio tanta roba!”

 

Ma continuando a parlare di “cose che si fanno insieme”: uscirà anche la versione in vinile del disco, in cui è previsto un gioco da tavolo, giusto? Com’è nata l’idea? È un bel modo per incentivare l’acquisto dell’album fisico.

“Allora, io sono un collezionista di nicchia: colleziono da una vita e sono un grande ascoltatore prima ancora di essere un musicista. Mi sono accorto che, negli anni, anche per lo spazio ridotto in casa, compro sempre meno. E compro principalmente per due motivi: o perché si tratta di dischi di artisti che reputo intoccabili, o perché sono degli oggetti speciali. Quindi, sono un grande ascoltatore di streaming, ha fatto tanto bene alla musica, ma resta il fatto che dal punto di vista economico è un po’ una croce per chi produce musica. L’acquisto fisico è in crisi perché non si può pretendere che l’ascoltatore medio acquisti un oggetto che trova anche gratis, con lo stesso contenuto. 

L’idea del gioco è nata, prima di tutto, dalla fantasia e all’inizio volevamo fare un’app, poi lo abbiamo inserito nel vinile. Il disco non è solo un contenitore di musica, mi verrebbe da dire che è la sua funzione marginale. Lo apri e ci sono dadi, pedine: è a tutti gli effetti un gioco da tavolo e l’ho inventato io, è disegnato a mano in acquerello. Chi compra il vinile acquista un oggetto unico e aiuta sia il disco, sia la stimolazione della creatività.”

 

Bisogna vendere esperienze: è una regola del marketing.

“Sono perfettamente d’accordo ed è il motivo per cui ho pensato che l’ascolto non può dipendere da un disco fisico, a meno che tu non sia un audiofilo.”

 

Passiamo ai testi: il tuo stile di scrittura è raffinato, hai una passione che si nota. Io credo che anche i testi più banali e meno ricercati abbiano la loro funzione e siano importanti, non voglio togliere nulla ad altri artisti. Raccontami qualcosa sul tuo processo creativo.

“Io sono un buon lettore, la parola scritta mi piace e mi stimola e ci tengo tanto. Mi faccio prendere molto quando devo lavorare ai testi. Quando ho scritto il primo disco avevo otto anni in meno e la scrittura era una sorta di diario, era più semplice. Questo disco aveva la necessità di una scrittura più verticale, che non fosse solo una narrazione quotidiana e volevo fornire agli ascoltatori una chiave per aprire delle porte, non solo delle finestre attraverso cui guardare fuori. Ovviamente, per dare delle chiavi e creare delle porte, le parole devono essere più simboliche, più metaforiche: deve esserci la possibilità di leggerle in più modi. Io so esattamente di cosa parlano le canzoni, so a cosa si riferiscono, ma credo che il goal di una canzone sia che ognuno ci veda qualcosa della propria vita. Deve essere sul piano dell’universalità e non credo di esserci riuscito sempre, spero qualche volta. Poi ci sono citazioni da libri, citazioni da film…è molto ricca la parola.”

 

Sono d’accordo con te, in generale l’arte è così e quando realizzi una qualsiasi opera, non dovresti mai essere troppo esplicito. Ma ti sei legato alla mia ultima domanda, perché io ho trovato dei riferimenti mitologici nel tuo album: Atlantide, gli dèi, il labirinto. Sei un appassionato?

“In realtà, più che la mitologia a me interessa la simbologia. Io sono un grande appassionato di simboli, io credo che siano importanti e penso che il simbolismo sia messo in secondo piano nella cultura occidentale. I simboli ci collegano a qualcosa di molto lontano nel tempo e ci danno la possibilità di leggere il presente in maniera più essenziale e sgrossare tutto ciò che non è necessario e andare alla radice delle cose, costruire punti di vista inediti. 

La mitologia è comunque un riferimento, fa parte delle mie letture, ma la mia è una questione legata all’ancestrale. Anche nei concerti ho una visione molto liturgica, io voglio che il concerto sia quasi un rito e per renderlo tale servono i simboli. La ‘A’ in copertina del mio vecchio disco è un cerchio incompiuto, la ‘X’ di Exit ho provato a spiegarla agli artisti che hanno realizzato le grafiche come un simbolo ancestrale, qualcosa che richiamasse l’antichità. E non per un vezzo, ma io credo davvero che i simboli aprano le porte e ne sono un esempio i dadi del gioco del vinile, che sono una consegna all’aleatorio, al fato. C’è un discorso dietro legato al cercare di contrastare le manie di controllo, che sono i padri della paura, la cifra di questa epoca. Quindi, sì: io credo molto nei simboli.”

 

Io avrei finito e ti ringrazio per il tuo tempo.

“Ahah, ho parlato troppo, sono prolisso.”

 

Mi ha fatto piacere! Possiamo anche continuare. E poi anticipavi le mie domande.

“Ahah super! Io spero che ti sia piaciuto il disco. E grazie!”

 

Certo! Grazie mille a te. 

 

Marta Massardo