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Tag: city slang

Tindersticks “Distractions” (City Slang, 2021)

Allora, chiariamo subito che partiamo male. Molto male.

Sto parlando di Distractions, il nuovo disco dei Tindersticks.

Siamo seri, dai, questa Man Alone (Can’t Stop Fading) è una canzone che, doveste un giorno trovarvi nella situazione di dover riempire una cristalliera di sole gemme della band di Stuart e compagni (e ce ne sono a dozzine), senza dubbio scartereste tra le prime. Che poi mi ricorda un sacco gli LCD Soundsystem, che piacciono a tutti voi, lo so, ma a me non sono mai andati giù, nemmeno quando facevate diventare This Is Happening uno dei dischi imprescindibili della storia della musica tutta.

Fine sfogo.

Comunque stiamo parlando dei Tindersticks, motivo per il quale anche fossero alle prese con una rivisitazione raggaeton di Tiny Tears o Until The Morning Comes ska non si skippa, non ci si allontana dalle casse, non ci si distrae, si sta pazientemente in attesa che passino questi 667 secondi (!), sperando che le cose cambino. Radicalmente possibilmente.

Presto (non tanto, invero) accontentati. I Imagine You ci riporta dove vogliamo stare. O dove io voglio stare. Il recitativo baritonale di Staples è quello di cui avevo bisogno, che meraviglia, con quell’attacco che pare preso in prestito dai Sigur Ros di (), poche note, qualche sussurro, non serve poi molto a creare la magia. 

Poi è la volta di A Man Needs A Maid. Toh, guarda, stesso titolo di quella di Neil Young. Ma ancora quella batteria elettronica dannazione. Ah ma è proprio quella di Neil Young! Ma sai che a dirla tutta non mi dispiace, anche se il paradosso è che sembra più vicina ai Tindersticks la versione del dio canadese rispetto a quella dei Tindersticks stessi.

Altro giro, altra cover, altra drum machine o qualche tipo di artificio. È la volta di Lady With The Braid, originale di Dory Previn del 1971. Mai sentita nominare. Nemmeno la canzone. Ma che testo magnifico! Poi in questa nuova veste viene totalmente dismesso il vestito folk cantautorale in vece di una più austera e composta, che siamo sempre i Tindersticks, ricordiamolo al mondo. 

You’ll Have To Scream Louder fa parte del versante soleggiato della band inglese, addirittura Stuart A. Staples te lo puoi immaginare farla dal vivo e ballarla col suo iconico (non è vero) passo col quale fa scivolare i piedi in un verso e nell’altro, su queste congas e queste chitarre funkeggianti.

Ma basta scherzare, Tue-Moi è il classico pugno nello stomaco che ti manda diritto al tappeto, un toccante, sofferto, sentito brano, piano e voce, in lingua francese, sull’attacco al Bataclan di qualche anno fa. 

Ma ahinoi è già tempo dei titoli di coda su questo tredicesimo capitolo in studio per la band di Nottingham, giunta ormai al trentesimo anno di vita. Ed è un meraviglioso finale, poche storie, questa The Bough Bends, coi suoi quasi dieci minuti di durata, è la perfetta nemesi dell’iniziale Man Alone (Can’t Stop Fading). 

E anche a sto giro, cari miei amori, fate un disco brutto la prossima volta.

 

Tindersticks

Distractions

City Slang

 

Alberto Adustini

Nada Surf “Never Not Together” (City Slang, 2020)

IndieVirus

 

Il vero amante delle serie TV è quello che si affeziona anche alle colonne sonore. E ci sono delle canzoni che ti rimangono dentro tuo malgrado, perché sono legate all’emozione che, empaticamente, ti ha stimolato la scena del telefilm.

Ecco, per me è stato con i Nada Surf in O.C. con If You Leave e in vari episodi di How I Met Your Mother.

Una band che venne inserita nella rotazione di MTV con Popular nel 1996 (brano che rappresentava un’aperta critica verso i giovani, diventata hit estiva) non è mai riuscita a sfondare del tutto, sopratutto dopo che l’etichetta discografica li scaricò per divergenze stilistiche.

Il loro inizio alt-punk-rock simil Sonic Youth si è lentamente avvicinato al pop, tramutandosi nel corso degli anni (e delle mode) in una band indie rock. 

Il loro nuovo lavoro, Never Not Togheter, nono album della band statunitense, esce a distanza di quattro anni dal precedente You Know Who You Are.

Ormai lo spirito dell’indie li ha completamente infettati: alternando saggiamente ritmi rilassati a suoni più accesi, creano un ambient rilassato come in So Much Love, la canzone di apertura dell’album.         

I brani sono caratterizzati dalla presenza di un buon sound, interessanti le chitarre e i rullanti tosti della batteria.                                          

Un ritorno alla parte infantile e ai sentimenti genuini, questo è il frutto di anni di conoscenza, di impegno e sacrificio. La squadra composta da Matthew Caws, Ira Elliot e Daniel Lorça sembra aver trovato la sua vera nicchia.

L’ingenuità con cui inizia Looking For You e l’elettrica alla fine, la dolcezza di Crowded Star e quel riff di chitarra semplice ma ipnotico, sono dei validi motivi per ascoltare questo album.                                                                                            

La voce delicata di Caws, in contrapposizione con chitarra e batteria, crea un mix piacevole e accattivante in Mathilda.                                                                              

Questo loro nono album insegue un’idea di musica abbastanza commercializzabile, un’indie rock sentimentale, delicato, con riferimenti elettropop (come in Come Get Me e Something I Should Do).

Musicalmente preparati, è tangibile il loro feeling, come gruppo e come esseri umani.

Un album piacevole da ascoltare, anche se alcune volte ricade nello scontato. Per noi, nulla di nuovo, ma apprezzabile a livello di musicalità.

Sperando che questa sia la volta buona per questi artisti, che abbiano finalmente trovato il loro equilibrio e la loro vocazione.

Che l’Indie Rock Sia Con Voi.

 

Nada Surf

Never Not Together

City Slang

 

Marta Annesi