Skip to main content

Tag: colonna sonora

Henrik Lindstrand “Builder’s Journey” (One Little Indian, 2020)

Henrik Lindstrand, già membro del gruppo alternative rock danese Kashmir, è un compositore svedese di musica contemporanea neoclassica e di colonne sonore per il cinema.

Builder’s Journey è il suo terzo album da solista: dieci brani composti ed eseguiti al pianoforte, ideati per la colonna sonora di un videogioco, LEGO Builder’s Journey per l’appunto.

Un progetto peculiare, questo, ma al cui richiamo emotivo non ha saputo dire di no: “[lo studio di produzione, NdR] Avevano ascoltato il mio primo album da solista Leken e mi chiesero se fossi interessato a comporre la colonna sonora per il videogioco. Mi sembrò un’idea vincente, e dato che ero stato un bambino costruttore con i LEGO io stesso, aveva anche un forte elemento nostalgico per me.”

Ascoltando l’album si ha la sensazione immediata di entrare nella realtà aumentata di un ricordo dell’infanzia. Puoi rivederti toccare curioso i tuoi giocattoli preferiti ed interromperti ad osservare lo spazio oltre il vetro di una finestra, alla ricerca di nuove trame e personaggi.

Come i LEGO, le tracce di Builder’s Journey si completano dando vita ad un arco temporale sospeso, scandito dalla fine di un gioco e l’inizio di un altro mentre si aspetta il ritorno dei genitori a casa.

Lindstrand alterna gli ambienti intimi di brani come Our House e Kid and Dad Reunited, agli spazi all’aperto ed eterni di Sand Castle e Campfire.

Dad at Work è il brano più dinamico e asincrono, la batteria ti coglie di sorpresa.

Ascoltando Builder’s journey, il brano che ha anticipato l’uscita dell’album, non stiamo sbirciando dal finestrino di un auto una foresta di aghifoglie nel nord Europa?

Il suono delicato del pianoforte, perno centrale dell’album, pervade gli spazi abitabili di Builder’s Journey e restituisce la percezione di un luogo serafico. L’ ambiente sonoro, ricercato ed idillico, che avvolge le tracce suggerisce la visione di una luce diffusa e diurna mentre due mani piccole afferrano quei mattoncini di plastica.

La sensibilità di ogni traccia porta l’ascoltatore lontano ma dentro a qualcosa che ha già vissuto. Così la mancanza di parole viene colmata dal suono dei nostri pensieri a ritroso. A tal proposito, Lindstrand racconta di aver cercato di rendere la musica autonoma ed completa in modo che non risultasse un anonimo suono di background e compensasse la mancanza di dialogo nel gioco.

Builder’s Journey è un album tattile, generativo ed introspettivo. Brani come Gameshow e The factory stimolano un’esigenza creativa che affiora ad ogni nota sospesa. Home alone, Light Brick ne affermano la natura intima e nostalgica.

In conclusione, questo disco non è semplicemente la colonna sonora di un videogioco, ma un’opera che testimonia il grande talento di Lindstrand nel dare respiro ad immagini riconoscibili ed universali.

 

Henrik Lindstrand

Builder’s Journey

One Little Indian

 

Giulia Illari

Stranger Things & the faboulous eighties

Il 4 luglio gli americani festeggiano la Giornata dell’Indipendenza. Noi che in Italia non festeggiamo un bel niente, e boccheggiamo a causa del caldo africano, potremo però consolarci con l’uscita della terza stagione di Stranger Things su Netflix.

Aria condizionata, un televisore e una vaschetta di gelato è quello che ci serve per farci trasportare nelle atmosfere cupe di Hawkins e seguire le avventure di Undici e dei suoi amici nerd, che tanto ci piacciono.

La serie fin dalla prima stagione è diventata da subito un cult tenendo incollate al teleschermo milioni di persone che volevano arrivare il prima possibile all’ultima puntata per avere una risposta alla domanda che li tormentava “Che fine ha fatto Will?”.

Il telefilm creato da Matt e Ross Duffer è riuscito a ricreare al meglio le atmosfere dei Fabolous Eighties e a farci respirare l’aria frizzante di quel periodo storico.

Ma come ci sono riusciti?

Sicuramente grazie alla colonna sonora che mixa in modo convincente brani creati ad hoc con i grandi successi degli anni ’80.

I Duffer Brothers hanno affidato fin dall’inizio della serie la creazione delle musiche a Kyle Dixon e Micheal Stein dei Survive (una band di musica elettronica di Austin). Synth elettronici e musiche un po’ psichedeliche che accompagnano i personaggi nel corso delle loro vicissitudini.

E’ proprio a loro che dobbiamo la ormai famosissima canzone della sigla che, già dalle prime note, ci accompagna nelle atmosfere cupe e un po’ angoscianti del Sottosopra.

Ma Stranger Things non è solo buio e ansia. La serie ci apre una finestra su quella che era la vita in una cittadina americana negli anni ’80 tra amori, amicizie e ovviamente problemi. Ed è qui, nella quotidianità, che trovano spazio quelle canzoni che tutti noi conosciamo e amiamo. 

Africa dei Toto, Runaway dei Bon Jovi, Should I Stay o Should I Go dei Clash e Heroes di David Bowie, sono solo alcuni dei titoli che compaiono nella ricca, anzi ricchissima, soundtrack della serie.

Tutto ciò che è anni ’80 trova nuova vita in Stranger Things. 

E voi siete curiosi di sapere cosa ci attende nella nuova stagione? Per scoprirlo dobbiamo aspettare domani quando le porte del Sottosopra si apriranno per noi per la terza volta…

Laura Losi

Videogiochi in concerto, quando la colonna sonora merita un tour tutto per sé

Dai tempi dei tremolanti e cacofonici cinguettii a 8-bit, motivetti che in molti casi sono comunque riusciti a diventare intramontabili, brevi jingle che ossessivamente si ripetevano all’infinito nelle giovani menti di giovani videogiocatori, da quell’era ormai remota le colonne sonore dei videogiochi, soprattutto dal punto di vista puramente tecnologico, hanno fatto passi da gigante, arrivando a competere ad armi pari con quanto si produce solitamente per TV e cinema.

Se persino un grande artista del calibro di Gustavo Santaolalla, Oscar nel 2006 con I Segreti di Brokeback Mountain e di nuovo nel 2007 con Babel, è stato felicemente coinvolto nella realizzazione della soundtrack di The Last of Us, autentico capolavoro originariamente pubblicato su PlayStation 3 nel 2013, in attesa del sequel che lo vedrà nuovamente tra i protagonisti, significa che il medium anche sotto il profilo musicale ha raggiunto la piena maturità.

Con l’affermarsi di CD-ROM e DVD a formati riferimento, con il progressivo l’abbandono dei MIDI, comodi fintantoché c’erano restrittivi limiti di memoria da rispettare, team di sviluppo e compositori hanno potuto finalmente esprimere liberamente la loro creatività, arrivando al punto di confezionare temi e musiche d’accompagnamento indimenticabili, iconiche, significative tanto più quando accompagnano l’azione di un videogioco particolarmente riuscito ed ispirato.

Era questione di tempo insomma, il necessario per trasformare una generazione di ragazzini con la fissa per i videogiochi in adulti economicamente indipendenti, prima che a qualcuno venisse in mente di imbastire autentici concerti, con tanto di direttore e orchestra al seguito, che riproponessero alcuni di questi splendidi brani.

Eventi di questo tipo se ne organizzano diversi, già da qualche anno, un po’ ovunque nel mondo, Italia compresa. Non mancano iniziative meno ufficiali, con una scaletta che spazia in totale libertà da una saga all’altra. Ultimamente, tuttavia, stanno prendendo sempre più piede proposte monotematiche, sponsorizzate, organizzate e desiderate dagli stessi produttori dei videogiochi di riferimento.

Il caso più famoso, e di successo, è senza dubbio The Legend of Zelda: Symphony of the Goddesses, tour che ha fatto tappa anche nel Belpaese, che pesca a piene mani nella trentennale saga di Nintendo, non lesinando sul mescolare la musica a contributi video che contestualizzano ogni brano con il capitolo di riferimento.

Si tratta, naturalmente, di iniziative dal target estremamente ristretto, specifico, relativamente limitato. Il pieno apprezzamento del live, difatti, non può in alcun modo prescindere da quello che è il personale rapporto del singolo fruitore con l’opera da cui è ispirato.

Per quanto alcuni componimenti possano risultare piacevoli, e persino emozionanti, anche per il neofita, totalmente ignaro della provenienza di ciò che sta ascoltando, solo i fan e gli appassionati, ricordando il preciso istante in cui l’azione è accompagnata dal brano in esecuzione, può carpire appieno lo spirito che anima questa tipologia di concerti, sinceri tributi al videogioco stesso, quando non genuini album musicali di momenti nostalgici in cui crogiolarsi.

Oltre a Nintendo, anche il publisher nipponico Square-Enix, famoso per i suoi giochi di ruolo, è piuttosto attivo in questo senso. Dopo il successo mondiale di Distant World, tour dedicato alle musiche di Final Fantasy, e quello di Kingdom Hearts Orchestra – World Tour, il prossimo nove giugno, presso il Dolby Theatre di Los Angeles, debutterà il monografico Final Fantasy VII – A Symphonic Reunion, evento dedicato ad uno dei più famosi capitoli del brand di Square-Enix, occasione ideale anche per pubblicizzare l’ormai prossima uscita del remake del gioco del 1997, originariamente proposto sulla primissima PlayStation.

Iniziative del genere sono destinate a progredire negli anni, sia per frequenza con cui verranno proposte, sia per numero di artisti, publisher, organizzazioni coinvolte. L’ottimo riscontro dei tour organizzati negli anni scorsi, del resto, parla da solo.

 

Lorenzo “Kobe” Fazio

Le colonne sonore: Friday Night Lights OST

1989, Odessa, Texas.

In una calda giornata primaverile i Permian Panthers della Permian High School di Odessa vincono la finale del campionato statale di Football americano delle scuole superiori.

Lo stesso anno i Permian Panthers verranno premiati anche con il titolo Campioni Nazionali detenuto però in condivisione con i St. Ignatius Wildcats della Saint Ignatius High School di Cleveland.

È così che si conclude il malinconico e impeccabile racconto nel libro Friday Night Lights: A Town, a Team, and a Dream di Harry Gerard Bissinger, a proposito della squadra e delle sue conquiste.

Un libro intenso che percorre i 5 anni di lavoro del Coach Gary Gaines che dal 1986 al 1989 ha accompagnato la squadra in una parabola vittoriosa ascendente quanto improbabile, data l’eterogeneità dei componenti del team e tenendo anche conto delle problematiche economiche e sociali degli adolescenti di quegli anni.

Un libro controverso, iniziato con l’intento di raccontare la peculiare storia di una squadra liceale che finisce però con il ritrarre un quadro ben poco roseo e sereno degli Stati Uniti alla fine del XX secolo.

Da questo libro sarà tratto il film Friday Night Lights del 2004 di Peter Berg con un energico e profondo Billy Bob Thornton nel ruolo del coach Gaines e ne seguirà poi una serie TV (vincitrice di svariati premi tra i quali 5 Emmy Award) ideata dallo stesso Berg assieme ai produttori Brian Grazer e David Nevis.

Nel ruolo ispirato al Coach Gary Gaines troviamo Kyle Chandler, nella serie Eric Taylor e nel ruolo della moglie Tami, la stessa Connie Britton che già era presente nel film del 2004.

Partendo dalla direttiva del libro, la serie si sviluppa autonomamente tratteggiando caratteri e personalità di protagonisti unici che svolgono il ruolo di narratori.

Nella semplicità di una ripresa a spalla, con solo tre telecamere e nessuna prova prima delle riprese, gli attori si muovono liberi sulla scena seguiti passo per passo dagli operatori.

Nell’immaginaria città di Dillon, sempre in Texas, i personaggi raccontando la realtà attraverso il proprio filtro visivo e sociale: la cheerleader, il capitano della squadra, il coach, il padre, la figlia adolescente, l’artista, la ragazza facile, l’anziano con una malattia mentale.

A fare da sfondo è sempre il football, collante principale di una serie TV della quale sentiamo e sentiremo sempre la mancanza e che dal 2006 al 2011 ha fatto scuola in termini di rispetto, giustizia e fratellanza.

Nonostante siano presenti canzoni di artisti del calibro di Adele, The Killers e Pearl Jam, con una storia così e dei personaggi così non poteva mancare una colonna sonora creata ad hoc che accompagna le fragilità, le vittorie scolastiche, personali e sportive con solennità, sottolineandole con un amaro sorriso di una chitarra quasi sussurrata.

La band texana di Austin Explosions in the Sky (quelli di The Lone Survivor OST, ndr) si è occupata di creare interamente la musica di sottofondo di tutte e cinque le stagioni, accogliendo i cambiamenti nel plot e interpretando l’interiorità dei personaggi quasi come farebbe uno psicologo navigato.

Il tema principale della serie però, che prende il titolo dalla fiction stessa, è stato affidato alle mani esperte di W. G. Snuffy Walden (compositore di Houston che ha composto le musiche per The West Wing e Felicity, tra gli altri) che ha composto gli arrangiamenti rispettando le sonorità degli Explosions in the Sky che già avevano partecipato alla colonna sonora del fil di Ross.

Compositori unicamente Made in Texas che hanno descritto in musica ciò che l’occhio vede e il cuore percepisce.

Un telefilm che è impossibile immaginare senza le melodie che a tratti azzarderei a chiamare epiche, di Walden e della band texana e di cui ve ne diamo un estratto nella nostra nuova Playlist.

 

Sara Alice Ceccarelli