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Tag: conza press

Tre Domande a: Henry Beckett

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Vorrei che chi si sente generalmente solo e in lotta perenne con le sfide necessarie a trovare il proprio posto nel mondo possa trovare la compagnia di una voce che racconta e vive situazioni simili. Lo immagino come un incontro casuale che può avvenire in un viaggio in solitaria mentre si riflette su se stessi ponendosi tante domande ma trovando poche risposte. Incrociare qualcuno con cui condividere alcune delle proprie preoccupazioni può essere un momento per sentirsi meno allo sbando, prendere un profondo respiro e trovare un po’ di forza per proseguire con più decisione. Vorrei che le mie canzoni riuscissero a essere questo anche solo per una persona. Un incontro simile è capitato anche a me quando a quindi anni ho iniziato a drogarmi di musica scoprendo tanti nuovi cantautori. È questo che mi ha portato a produrre la mia.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Some People Get Lost: è la più rappresentativa del mio presente, anche se l’ho scritta tanti anni fa. Parla di come ci si perda nel tentativo di riconoscere e trovare la propria natura e di come si debba sempre trovare la forza di rialzarsi ad ogni caduta, purtroppo inevitabile in questa ricerca. Ha la dimensione che più rispecchia il momento intimo in cui mi siedo a scrivere un pezzo e l’ho cantata come se il microfono fosse il mio orecchio a cui sussurrare di non arrendermi. Inoltre, per questo brano ho prodotto anche un videoclip con il regista Nicola Schito che mette in scena diversi personaggi che metaforicamente cadono e si rialzano. Lo potete trovare sul mio canale YouTube! 

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Domanda molto difficile perché credere e investire in un progetto musicale a volte può portare a un totale esaurimento nervoso! Però se non ho mai smesso un motivo sicuramente c’è. Probabilmente la cosa che più mi carica è scrivere nuovi pezzi, trovando parole e frasi che non avrei mai pensato se non avessi abbracciato la chitarra. Ma anche gli step successivi per me sono magia, come quando entri in uno studio e insieme ad altre menti si arrangia e registra quella canzone, donandole un vestito che potrà indossare solo lei. E infine suonare con i miei musicisti, fare squadra, riuscire a condividere con loro gli alti e bassi e sentire di avere un sostegno su cui poter contare. E ovviamente dimostrare tutto questo sul palco in un live.

Tre Domande a: Monna Lisa Blackout

Come e quando è nato questo progetto?

Questo progetto è vecchio e nuovo allo stesso tempo: i Monna Lisa Blackout esistono da qualche mese, ma noi quattro suoniamo insieme da diversi anni.
Leo, Matte e Michele erano nella stessa classe alle superiori, e Matte e Luca erano vicini di casa, si conoscono da quando erano piccoli. Siamo cresciuti insieme, musicalmente e come persone. Leo ha iniziato a cantare in questa band, Luca ha iniziato a suonare la batteria in questa band, Matte ha fondato questa band che suonava da pochi mesi. Abbiamo imparato a improvvisare gli uni intorno alle idee degli altri.
Ci influenziamo a vicenda coi gruppi che ascoltiamo, andiamo a tantissimi concerti, abbiamo tutti un’infinita passione per la musica. Nel progetto Monna Lisa Blackout vogliamo fondere le sonorità rock/stoner con l’hip hop e dare vita a qualcosa, ma è anche una grande scusa per passare le serate insieme.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Se cerchi qualcuno che ti dica “tranquillo, alla fine le cose si sistemano, la vita è un grande prato fiorito” ascolta un’altra band.
La vita non è una costante presa bene, per nessuno, non importa cosa sembra da Instagram. La vita è dura, è davvero dura. Quelli che dicono di aver capito come funziona mentono. Nessuno ci capisce un cazzo, navigano tutti a vista. Tutti quanti sono persi. Tutti quanti devono cercare di capire che sta succedendo e affrontare il drago.
Non è questo periodo, e non sei solo tu: è tutta la vita che è così. Il mondo è un posto grande e complicato. Il male esiste. Gli altri soffrono quanto te e il minimo che possiamo fare è darci una mano a vicenda.
In due parole il nostro messaggio è questo: la vita è dura, a volte è durissima, ma tu ce la puoi fare.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Ce ne sono davvero tanti da cui in questo momento sarebbe fantastico ricevere l’invito per una serata, sia per la possibilità di far sentire ad un nuovo pubblico i brani appena pubblicati, sia per vivere il momento magico che accompagna queste manifestazioni. In un certo senso sarebbe una forma di realizzazione, il nostro progetto si esprime al meglio in queste situazioni live.
I nomi che più ci attirano sono ovviamente Firenze Rocks ed I-Days di Milano, per i gruppi che partecipano, anche se forse saremmo più a nostro agio in situazioni più underground come Balena Festival, Sherwood Festival o Lars Rock Fest.
Il vero sogno irrealizzabile è il Primo Maggio di Roma. Il desiderio di poter suonare anche solo venti minuti in Piazza San Giovanni ci accompagna da un sacco di tempo.
Abbiamo visto che quest’anno sono presenti diverse situazioni interessanti, specialmente con il ritorno dei Verdena. Di sicuro gireremo tanto, anche solo come spettatori.

Tre Domande a: Indastria

Se doveste riassumere la vostra musica con tre parole, quali scegliereste e perché?

Audace: spesso nella nostra musica trattiamo temi che possono essere fraintesi o che possono dare fastidio a qualcuno. È il caso per esempio di Bukkake, Orso Polare Droga, La Suora Afrodisiaca, o Non Valgo Niente, per l’appunto. Noi però siamo così, aperti, sinceri. Corriamo il rischio di non essere capiti, ma preferiamo correre questo rischio, piuttosto che non esprimerci.
Goliardica: nelle nostre canzoni c’è sempre qualcosa che ti fa sorridere. La vena simpatica-divertente deve essere sempre presente anche in quei brani che a un primo ascolto sembrano arrabbiati o tristi. Inoltre dal vivo divertiamo un sacco.
Ottimista: dopo aver assistito a un nostro live torni a casa più felice di prima e più speranzoso verso il futuro. Anche canzoni come Non Valgo Niente non ti mettono depressione, ma ti fanno pensare che quando ti sveglierai domani la vita sarà un pochino più bella.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Ci piacerebbe arrivasse un po’ della nostra energia, nel bene e/o nel male.
Vogliamo che chi ci ascolta in macchina, si ritrovi a 10 km/h in più senza accorgersi. Oppure vogliamo che chi ci ascolta dalla parrucchiera il sabato pomeriggio si ritrovi a muovere il culo o fare head-banging senza volerlo.
Spesso la nostra è un’energia di rassegnazione, sia chiaro, ma è pur sempre energia, e anche se recepisci questa ti senti più vicino a noi.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Beh se dobbiamo sognare ti direi il Coachella, se invece dobbiamo stare con i piedi un po’ più vicini al suolo ti direi il Firenze Rocks, forse il festival rock più importante attualmente in Italia.

Tre Domande a: Martina Di Roma

Come e quando è nato questo progetto?

Qualche anno fa ho iniziato a pensare di voler fare uscire qualche mio brano e farmi scoprire come compositrice e autrice. L’idea dell’EP è arrivata subito dopo: negli anni ho collezionato testi e musiche ed è stato evidente che dovessi fare un lavoro più grande. Nell’EP, che uscirà tra poco, ci sono canzoni scritte tanti anni fa, canzoni che ho stravolto più volte e canzoni nate di getto come Bittersweet che è anche il mio singolo di esordio.

 

Progetti futuri?

Tra qualche mese uscirà il mio primo EP, che è stato preceduto dal mio primissimo singolo Bittersweet. Non vedo l’ora di condividerlo con tutti!

 

Qual è la cosa che amate di più del fare musica?

Creare qualcosa di mio e nuovo senza alcun giudizio. Fare musica mi permette di esprimermi, lasciarmi andare ed entro in uno spazio in cui esisto solo io con la mia musica e le mie parole ed è un flusso continuo di idee.

Tre Domande a: Macadamia

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il vostro modo di fare musica o a cui vi ispirate?

Certamente, ci sono un sacco di artisti che a loro modo influenzano il nostro processo creativo! Sono veramente tanti…qua ne citiamo alcuni:
Tame Impala, album consigliato Currents per synth, atmosfere psichedeliche, trattamento del suono;
Radiohead, album consigliato In Rainbows per sperimentazione, mondo elettronico, impatto emotivo, ricerca del dettaglio, continua evoluzione, voci eteree;
Mac DeMarco, album consigliato This Old Dog per Lo-Fi, indie, immediatezza, detune;
Alice Phoebe Lou, album consigliato Glow per spazialità e leggerezza;
…poi tanti altri come UMO (Unknown Mortal Orchestra, NdR), Man I Trust, MGMT, Beach Fossil, ecc.
Ma anche tutta la scena cantautorale italiana: Dalla, Vasco Brondi, Calcutta, Levante, Verdena, Battiato, De André

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Emozioni e semplice spensieratezza! Ma ogni canzone ha la sua storia… per esempio Pollock in alcuni suscita una malinconica solitudine mentre in altri una fresca e sognante leggerezza; e poi c’è Prendi Fiato che nonostante la sua apparente caoticità suscita evasione e vibes inaspettatamente intime.
Rimaniamo veramente incantati ogni volta che un nostro ascoltatore ci racconta le emozioni che abbiamo suscitato con uno dei nostri brani perchè ci fa capire che il messaggio arriva, e questo non è mai scontato nell’arte! 

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare/condividere il palco?

Ce ne sarebbero parecchi… sicuramente fra gli italiani sarebbe un sogno incredibile collaborare coi Verdena perchè hanno delle idee musicali e dei suoni che ci mettono i brividi ad ogni ascolto! Per quanto riguarda gli stranieri, invece, sarebbe impagabile anche solo andare nelle sale di registrazione di Radiohead o Tame Impala per assistere al loro processo creativo in un meditativo silenzio.

Tre Domande a: Nebbia

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

È sempre una buona domanda questa, a cui non so bene rispondere perché sono consapevole di quanto la musica cambi a seconda di chi l’ascolta. Mi piacerebbe mostrare un mondo interiore che spero sia condiviso da molti, e spero di far entrare chi ascolta in questo mondo, farlo sedere con me in cima a una vetta come in Cime, oppure in un giapponese all you can eat in Texas Ravioli. Insomma credo molto nella musica come dialogo, per questo quello che voglio fare ora è suonare molto dal vivo per trasmettere in maniera diretta alle persone tutto questo.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Dal mio EP Altrove sceglierei forse Vortex per rappresentare un certo mio modo di fare musica: un po’ dark, anni ottanta, new wave, ma anche cantautorale e rappresentativo del mio mondo interiore. Dentro quella canzone c’è molto di me ed è forse quella più vecchia che ho scritto di questo EP. Mi piace pensare di creare un’atmosfera coerente con il mio nome, Nebbia, e con quello che avevo nella testa quando l’ho scritta.

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Il fatto che sia un modo di essere, più simile al respirare che ad una attività conscia. Il fatto che non mi faccia mai stancare di farlo, e che debba sempre trovare nuovi modi per saziare questo meraviglioso Leviatano. E il piacere nel vedere quando tutto questo arriva agli altri, quando vedo che ci si riconoscono e che lo amano.

Tre Domande a: Terrøir

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Terrøir ha iniziato a prendere forma durante la prima pandemia. Avevo appena finito di autoprodurmi il disco Bella Vite per il progetto Mosto, quando mi sono reso conto che ormai mi ero irrimediabilmente appassionato ai sintetizzatori, capendo più o meno come funzionavano. Così, ho iniziato ad assecondare una passione per la musica elettronica che era continuata a crescere in me in modo più o meno latente da quando da bambino avevo visto per la prima volta il video di Hey Boy Hey Girl dei Chemical Brothers. Nel frattempo però, avevo iniziato ad approfondire le tradizioni musicali del mio territorio, i Colli Tortonesi, a loro volta iscritti in un territorio più ampio chiamato delle Quattro Province: un territorio collinare e appenninico a cavallo delle province di Alessandria, Pavia, Piacenza  e Genova, dove si erano conservate, grazie ai canterini (gruppi di canto spontaneo) e ai duo piffero-fisarmonica, canzoni e tradizioni popolari nate oltre 100 anni fa. Così ho provato a unire le due cose ed è nato Terrøir.

 

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

Dal lato della musica elettronica, sicuramente il duo francese The Blaze: il loro stile fatto di crescendo e di parti di piano e voce mi ha affascinato fin dalla prima volta che l’ho sentito. Inoltre, con i loro videoclip, hanno la capacità di trasformare le loro canzoni in soundtrack per raccontare delle storie che hanno come protagonisti una parte di umanità dimenticata (dagli immigrati magrebini, ai ragazzi africani, fino alle comunità rom) che grazie ai quei video ci sembrano molto più simili a noi, anzi, decisamente fichi.
Guardando invece più all’Italia il progetto Gran Bal Dub composto da Sergio Berardo (Lou Dalfin) e Madaski (Africa Unite) mi aveva fatto capire che poteva esserci un punto di incontro tra musiche popolari, in quel caso quelle occitane, e musica elettronica, in quel caso il dub. Così ho cercato nel mio territorio e ho scoperto il duo Stefano Valla e Daniele Scurati, che aveva riportato le musiche delle Quattro Province nelle piazze e persino tra i ragazzi delle valli: sono stati e sono la mia più grande fonte di ispirazione nella riscoperta delle nostre musiche.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Mi piacerebbe fare arrivare il concetto che se scaviamo nella nostra storia e nelle nostre tradizioni non troveremo delle risposte che ci dividono (come spesso traspare dai discorsi di alcuni politici) ma anzi, scopriremo che la storia si ripete sempre, nel bene e nel male. Scopriremo ad esempio con il testo de Il Sirio che eravamo un popolo di migranti che cercava fortuna nella ‘Merica (Argentina e Brasile) e che per farlo rischiava la vita in mare. O che anche i nostri bisnonni erano capaci di innamorarsi, ballare, divertirsi emozionarsi e piangere per gli stessi motivi per cui lo facciamo oggi. Vorrei far nascere la curiosità nei ragazzi e portarli a parlare con i propri nonni, portarli a scoprire le loro origini senza vergognarsene anche se sono provinciali. O semplicemente, farli ballare sulle stesse canzoni su cui hanno ballato i nostri antenati.

Tre Domande a: Pier

Come e quando è nato questo progetto?

È nato quando io sono morto, nell’estate del 2021. Nell’ambito musicale ho sempre lavorato soltanto a canzoni d’altri, perché avevo la convinzione di essere inferiore a tutti. Dicevo di non essere destinato a brillare di luce mia, ma che potevo soltanto assorbire il riflesso di chi aveva il “volto giusto” per mettersi in mostra. Mi consideravo brutto, incapace e mille altre cose. Avevo una considerazione di me stesso talmente infima da credere di non meritare assolutamente nulla di buono, neppure il fatto di stare al mondo. Complice una psicoterapia disastrosa, che negli anni mi ha abituato a comportarmi da vittima e reso un intelligentissimo misantropo, pieno di argomenti per giudicare la società intorno a me come un inferno senza via d’uscita. Ne pago ancora oggi le conseguenze. Nel 2021, dopo il fallimento totale di quel percorso, in cui avevo riposto tutta la mia fiducia, sono rimasto da solo in uno stato di ansia e depressione costanti, e dopo qualche settimana passata con la paura di uscire dalla mia camera, ho mollato tutte le mie aspettative di guarire e ritrovare la felicità. Mi ero totalmente rassegnato: non mi interessava più stare bene, stare male, farcela, non farcela, esistere, non esistere, mi ero totalmente annichilito e avevo mollato tutto. E lì sono entrato in paradosso inaspettato: dentro di me ero morto, ma la vita fuori continuava. Non avevo più nulla da perdere, e in questa disillusione totale mi sentivo allegro, spensierato come quando ero bambino, non davo alcun peso alle cose perché fondamentalmente non mi importava più nulla del mio destino. Così, me ne sono sbattuto di tutto e ho iniziato a far uscire le mie canzoni. So che è una storia assurda, ma si tratta davvero di un riassunto minuscolo rispetto a quello che ho passato, forse un giorno ci scriverò un libro. Per ora, ci ho scritto tante canzoni.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Non ho particolari aspettative: cerco solo di fare quello che mi diverte di più ogni volta come se fosse l’ultima. E mentre lo faccio spero di coinvolgere le persone perché è bello quando durante i concerti le emozioni di tutti sono all’unisono. Vorrei condividere questa esperienza con migliaia di esseri umani, gioire insieme, ridere e piangere insieme, ballare e cantare.

 

Progetti futuri? 

Cercare di essere utile a più persone possibili con quello che faccio, essere felice per ispirare gli altri a fare lo stesso. Trasmettere alle persone che le storie che raccontiamo di noi stessi non sono mai la verità, ma soltanto strumenti a nostra disposizione che ci permettono di sperimentare stati d’animo differenti. Che possiamo cambiarle se non ci piacciono più.

Tre Domande a: Clairemargot

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Sicuramente il percorso creativo. Il fatto di poter esprimere con le parole sulla melodia quello che sento. Mi piace comunicare con musica ed immagini il mio vissuto personale, dato che ho una vita molto movimentata. Scrivo spesso quando guido la macchina, metto una base e registro con il telefono sui memo vocali, è uno dei pochi momenti che ho durante le mie giornate frenetiche tra i vari lavori come shooting, set cinematografici, ed il resto.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale -–in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Mi piacerebbe molto provare ad entrare ad X-Factor l’anno prossimo. Seguo il programma da tanti anni, è un piccolo sogno che ho sempre tenuto nel cassetto! Adoro i live con i costumi e le coreografie pazzeschi, e ora che uscirà la musica a cui ho lavorato questi ultimi anni, e sto continuando ad esibirmi live tra Roma e Milano, mi sento più  pronta a salire sul palco del Forum di Assago.

 

Progetti futuri? 

Lilly, la mia traccia appena uscita il 28 Ottobre, è il primo di quattro singoli che usciranno tra il mese di Novembre e Marzo, saranno poi racchiusi nel mio primo EP. Ne vedrete delle belle tra le grafiche per le cover e gli shooting folli che stiamo creando con il mio super team. I video musicali che trovate già sul mio canale YouTube Clara Margherita Cabassi, come ad esempio Eroine invece li autoproduco, ho una laurea in regia ed il cinema è la mia passione oltre alla musica.

Tre Domande a: Colombo

Come e quando è nato questo progetto?

Wild Nights è il primo singolo di questo progetto che ho definito come “pop neoclassico”, perché nasce dal desiderio di far incontrare alcuni elementi della musica classica con la scrittura pop e l’elettronica. La melodia iniziale, infatti, richiama l’incipit della Sinfonia Dal Nuovo Mondo di Dvořák, che poi si evolve trasfigurandosi.
Nell’ultimo anno ho scritto diversi brani con questa intenzione, tutti legati alle poesie di Emily Dickinson, altro elemento che fa incontrare il passato con la contemporaneità. Nel caso di questo singolo, le poesie utilizzate sono Wild Nights e To love thee year by year: entrambe poesie d’amore, ma la prima legata al desiderio e alla passione, la seconda al sacrificio e alla rinuncia. 

 

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

Un artista che mi ha influenzato molto è James Blake perché nella sua musica il pianoforte ha un ruolo centrale, ma non viene suonato in maniera prettamente pop; oltre al piano hanno molta importanza anche l’elettronica e le armonie vocali. Questo mi ha aperto la strada su come contaminare la mia musica attraverso le mie influenze e attitudini.
Anche Sampha è un artista che ha fatto un’operazione simile e mi piace molto.

 

Progetti futuri? 

Wild Nights è il primo singolo che anticipa l’EP Where Children Strove, interamente dedicato alle poesie di Emily Dickinson e al connubio tra la mia formazione da pianista classico e gli elementi pop-contemporanei ed elettronici. Al momento quindi sono concentrato sulla promozione di questo progetto e spero di avere l’opportunità di presentarlo anche live.

Tre Domande a: Kenai

Se dovessi riassumere la tua musica con tre parole, quali sceglieresti e perché?

Probabilmente definirei la mia musica contaminata, ricercata e personale. Contaminata si riferisce al fatto che i miei pezzi, in particolare il mio ultimo singolo Calzini Bucati, intersecano trasversalmente più generi musicali tra loro anche distanti; il pezzo già citato è propriamente indie, ma sono presenti moltissimi richiami alla musica anni ’80, e lo stesso discorso vale anche per i pezzi in uscita. La mia musica è ricercata perché sia io che Paci Ciotola, il produttore che cura tutti i miei brani, spendiamo davvero tanto tempo nell’arrangiamento, cambiandolo più o più volte e curando anche il minimo dettaglio, perché spesso sono proprio i dettagli a fare la differenza. Per i testi, poi, ogni parola ha un suo perché, non è mai lasciato nulla al caso e, alla fine, il risultato è frutto di una costante ricerca di suoni e significato. L’ultimo aggettivo, personale, è riferito al fatto che racconto, in qualche modo esperienze a me molto vicine e faccio di tutto per creare un legame tra me e ciò che scrivo; questo arriva all’ascoltatore. Vince sempre la verità.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare/condividere il palco?

Questa è una bellissima domanda. Per quanto riguarda la scena internazionale penso subito a Bruno Mars, che per me incarna il prototipo della pop star: canta, performa, danza ed interpreta magistralmente tutti i pezzi che affronta. Diciamo che per il momento i nostri generi sono forse diametralmente opposti, però penso che se avessi l’opportunità di dividere il palco con lui, suonerei anche musica classica. Guardando invece il panorama italiano, mi affascinerebbe dividere il palco con Cesare Cremonini, che ha per me un penna straordinaria oltre ad essere un artista eclettico e sempre al passo con i tempi. In riferimento alla scena indie, mi piace molto il modo particolare di scrivere di Calcutta, ha una voce che arriva diritta al cuore ed è in grado di muovere in me i tasti giusti.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Penso che il sogno di tutti gli italiani sia Sanremo: ha un’atmosfera incredibile, un hype assurdo ed un pubblico vasto capace di raccogliere sia le istanze dei più grandi che dei giovanissimi, basti pensare a Sangiovanni e Massimo Ranieri dell’ultimo festival. È un’opportunità enorme per tutti gli artisti, dai big agli emergenti, e non è necessario vincere o occupare posizioni particolarmente alte per riscontrare il favore del pubblico, vedi Tananai. Per quanto riguarda i festival internazionali, penso che il Lollapalooza sia in pole position in quanto sono presenti i migliori artisti della scena internazionale in uno scenario a dir poco sublime… magari ne avessi l’occasione.

Tre Domande a: Argo

Se doveste riassumere la vostra musica con un tre parole, quali scegliereste e perché?

Confesso di aver avuto bisogno di una chiamata con Trem per ragionare bene sulla risposta a questa domanda.
Abbiamo scelto queste tre parole: istinto, immagine e viaggio.
Sono le tre parole chiave dei principali “sentieri” che scegliamo di percorrere con le canzoni. L’istinto è l’input fondamentale per ogni progetto e, per esempio in “Mi hanno detto che” diventa addirittura protagonista, come se fosse il motore che fa andare avanti la traccia.
Successivamente abbiamo scelto la parola immagine perché spesso, nei testi delle canzoni, riesco a descrivere meglio uno stato d’animo analizzando piccole “fotografie” di contesto, apparentemente circoscritte che caratterizzano un certo tipo di situazione.
Il viaggio è qualcosa che spesso ti fa dimenticare da dove sei partito, per questo è la nostra terza parola. Spesso ci siamo sentiti così lontani dalla nostra comfort zone che abbiamo voluto riportare questo aspetto della nostra vita anche nella musica. In Metà settembre, soprattutto grazie all’andamento musicale del pezzo, abbiamo voluto regalare un piccolo viaggio all’ascoltatore: si decolla dal nostro quotidiano disordine mentale per atterrare sulle nuvole.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare/condividere il palco?

Sicuramente mi farebbe molto piacere collaborare e condividere il palco con gli Psicologi, nella scena italiana attuale li considero i più affini alla roba che sto facendo in questo momento.
Mi ricordo una sera, probabilmente al Traffic, Alessio (Lil Kvneki) fece salire me e Morb sul palco durante una serata con vari artisti della scena di Soundcloud, solamente perché ci avevamo chiacchierato mezza volta, infatti ricordo che era una presa a bene inaspettata.
Qualche mese dopo andai ad ascoltare Diploma, aspettandomi qualcosa di simile a quella serata basata su pogo e lacerazioni alle corde vocali, e rimasi sorpreso dal cambiamento.
Probabilmente sono stato condizionato da quei due ragazzi, involontariamente mi hanno spinto a sperimentare di più e a distaccarmi da quella che, agli inizi, era la mia comfort zone.

 

Qual è la cosa che amate di più del fare musica?

Ci piace sapere che almeno nella musica riusciamo ad avere un equilibrio. Inizialmente scrivo da solo, o costringendo in un silenzio agghiacciante le persone che si trovano vicino a me in quel momento. Successivamente Trem compone e arrangia tutto e, visto da fuori, sembra alienante quanto mistico, è affascinante.
Quando arriva il momento di registrare iniziano ad intravedersi le stelline della magia, sembra di lasciare il corpo in studio mentre la testa si perde nel testo e nell’interpretazione che gli voglio dare. Durante il lavoro di editing, mix e mastering è come se tutto iniziasse a prendere vita e, per quanto si tratta dello step meno emotivo, spesso riusciamo a capire bene se la traccia ci convince o no proprio in questa fase. Nel live, in modo diverso, ci sentiamo comunque guidati da un preciso modus operandi che in altre circostanze non abbiamo, quindi la cosa che più amiamo del fare musica è senz’altro il processo.