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Tag: Florence and The Machine

La forza di Frida Kahlo

Da qualche anno a questa parte sembra essere esplosa una sorta di Frida Mania.

Il volto dell’artista messicana sembra essere riprodotto ovunque su magliette, biglietti, scarpe, borse e tatuaggi. Folte sopracciglia, capelli neri e corona di fiori, un profilo facilmente identificabile da tutti.

Frida Kahlo è senza dubbio un’icona ma chi era veramente questa donna che tutti riconoscono ma pochi conoscono sul serio?

Una femminista dal carattere forte e indipendente, un’artista e un’attivista politica. Tutti conosciamo il volto di questa donna dalle mille sfaccettature.

Appassionata, sognatrice ma dal fisico minato.

Frida Kalho potrebbe essere presa come emblema della resilienza: nonostante le difficoltà che la vita ha messo sulla sua strada lei non si è mai fermata, non si è mai arresa. 

La sua arte è un inno alla vita, è quello che le ha dato la forza di andare avanti senza mai arrendersi.

Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderon nasce il 6 luglio 1907, anche se lei diceva di essere nata nel 1910 con la rivoluzione che ha portato al Nuovo Messico. Un legame forte e intenso quello che aveva con la sua terra tanto da portarla a considerarsi una figlia della rivoluzione.

Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo. È in quel fuoco che sono nata, pronta all’impeto della rivolta fino al momento di vedere il giorno.

Malata di spina bifida, erroneamente confusa con la poliomerite, non verrà curata nel modo corretto e dovrà convivere con una deformazione alla gamba destra per tutta la vita. Da piccola questo difetto le varrà il soprannome di Gamba di Legno. Ma Frida non si è mai nascosta. Ci ha insegnato che la cosa più importante è amare noi stessi.

Nel 1925 rimarrà vittima di un terribile incidente: l’autobus su cui viaggiava si scontrò con un tram e Frida venne trapassata dal corrimano del mezzo.

Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro.

Si salvò per miracolo ma riportò diverse ferite gravissime tra cui fratture alla colonna vertebrale e il bacino. Fu durante la sua convalescenza, costretta a letto per diversi mesi, che si avvicinò all’arte.

Sdraiata su un letto a baldacchino, su cui avevano fatto montare uno specchio, inizierà a dipingere degli autoritratti. 

Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio.

I dolori provocati dall’incidente, che la accompagneranno per tutta la vita non riuscirono però a fermarla. 

L’arte di Frida si ispira alla cultura popolare e a quella precolombiana sia per l’abbigliamento delle figure che per gli elementi naturalistici.

Nel 1928 incontra Diego Rivera, uomo di 20 anni più grande e noto donnaiolo, che rimase incantato dallo stile e dalla personalità dell’artista. Conscia dei tradimenti che sposarlo avrebbe comportato l’anno seguente convolano a nozze. 

Ho subito due gravi incidenti nella mia vita…il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego.

Spirito libero ed anti conformista ebbe numerosi amanti di prestigio (uomini e donne) tra cui figurano il  politico Lev Trockij, il poeta Andrè Breton e probabilmente la fotografa Tina Modotti.

 

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Frida Kahlo e Diego Rivera

 

A causa dell’incidente non riuscì mai a portare a termine le gravidanze e questo per lei fu un duro colpo. Nel 1939, a seguito del tradimento con la sorella minore Cristina, lei e Rivera divorziano per poi risposarsi l’anno seguente.

La foro fu una storia all’insegna del tradimento, della passione e soprattutto dell’arte.

E’ stata una femminista, una politica una donna forte e indipendente. 

La sua figura, la sua vita e ovviamente le sue opere hanno ispirato diversi artisti, anche in ambito musicale.

Nel 1954, 8 giorni prima di morire, Frida dipinge una tela dal titolo Viva la Vida: Angurie. Si tratta di un dipinto che rappresenta dei cocomeri. I colori predominanti sono il rosso, il verde e l’azzurro. Un dipinto allegro su cui, in primo piano, inciso nella polpa del frutto spicca la scritta VIVA LA VIDA Frida Kalho.

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Viva la Vida, 1954

Coldplay, per la loro canzone Viva la Vida del 2008, hanno preso spunto proprio da questo quadro

“Come sappiamo lei è passata attraverso tanta di quella merda eppure dopo tutto ciò ha voluto realizzare un grande quadro in cui si leggeva, appunto, Viva la vida. Ho amato il coraggio di questo gesto.”

Con queste parole Chris Martin spiega cosa ha spinto lui e la band ad intitolare così la canzone e l’album omonimi.

Diversa la scelta fatta da Florence and the Machine che in What I Saw in the Water si ispirano al quadro Lo que el agua me dio.

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Lo que el agua me dio, 1938

Il quadro è una visione onirica della vita umana, rappresentata attraverso una serie di corpi che fluttuano nell’acqua di una vasca da bagno. La canzone, invece, traendo ispirazione dai corpi in acqua pone l’accento sui bambini che vengono trascinati via dalla corrente del mare.

Anche il nostro connazionale Marco Mengoni nell’ultimo album Atlantico ha inserito una traccia dal titolo La Casa Azul. 

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La Casa Azul, foto di Valentina Bellini

Il brano erige Frida a simbolo di forza: dobbiamo prendere esempio dalla sua storia per imparare a trasformare le sofferenze in qualcosa di positivo.

La Casa Azul è il luogo in cui Frida è nata e in cui ha vissuto per gran parte della sua vita. Fu trasformata in un museo a lei dedicato per volere di Rivera che però morì prima dell’inaugurazione avvenuta il 30 luglio 1958.

Frida e la sua vita, costellata dal dolore, andrebbero ricordate e studiate affinché la sua figura non sia usata come un semplice oggetto di merchandise.

E’ stata una donna che ha lottato, aggrappandosi alla vita con le unghie e con i denti, e che ci ha insegnato l’importanza di rimanere sempre fedeli a noi stessi senza mai snaturarci. I suoi lavori sono stati in grado di prendere le brutture della vita e trasformarle in gioielli.

Frida ormai non è più solo un’artista, è una donna entrata nel mito. 

 

Laura Losi

Florence and The Machine @ Unipol_Arena

 

High As Hope Tour

Unipol Arena (Bologna) // 17 Marzo 2019

 

È già primavera all’Unipol Arena per la data bolognese dei Florence and The Machine. A poche ore dal tanto atteso ritorno della band capitanata da Florence Welch, il parterre è gremito di ragazze e ragazzi sorridenti che indossano coroncine di fiori, camicie dalle fantasie colorate, glitter e brillantini. Uno spirito di unione e spensieratezza che, galvanizzato ancora di più dall’energia degli eclettici Young Fathers in apertura, accoglie, intorno alle 21,15, gli otto musicisti che si posizionano ai rispettivi strumenti, su un palco dominato dai toni caldi delle luci e dei lunghi pannelli di legno.

 

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Ed ecco apparire lei, la regina della serata. Florence è vestita di un abito lungo ricamato, color acqua marina, in armonia perfetta con il suo candido incarnato e il rosso dei suoi capelli. Dalle prime note di June e Hunger, brani con cui esordisce anche l’ultimo lavoro in studio High As Hope, la voce eterea, potente, perfetta avvolge il pubblico in un crescendo di emozioni.

Ciao Bologna, è sempre bello tornare qui” – saluta – “Ogni volta che vengo in Italia, è un po’ come tornare a casa. Ora vi chiedo di cantare e ballare con me.  Non abbiate paura!

L’invito viene accettato, la vicinanza è concreta, palpabile. Tra canzoni del nuovo e del vecchio repertorio, l’artista inglese corre, salta, si libra in volo in piroette. Una figura in cui si fondono la libertà, il coraggio, l’istinto di un’amazzone e la grazia, l’eleganza, la delicatezza di una venere rinascimentale.

 

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Se South London forever è dedicata alla sua città natale ed è l’occasione per manifestare contro la brexit e qualsiasi tipologia di divisione in nome di un’Europa coesa, Patricia è un omaggio a Patti Smith, ispirazione costante nel percorso artistico della Welch. “Benvenuta a Bologna” – dice, guardando all’orizzonte, come se la sacerdotessa del rock fosse presente in quell’istante. Per Sky full of song, la scenografia si trasforma in un cielo stellato perché quel brano è sceso dall’alto, come necessità, come salvezza.

Si balla, si salta e, soprattutto, si fa un gesto sempre meno usuale durante i live. Infatti, su Dogs days are over viene fatta una richiesta: “So che è difficile, so che vi sembra strano…Ma, per favore, mettete in tasca per un attimo i vostri telefoni. Su, da bravi! Non condividete. Questo momento è vostro, solo vostro… e, se volete, posso dirlo anche in un inglese più formale… Togliete quei cazzo di telefoni!”.

È così Florence, spontanea, vera, umana. Cerca il contatto, scende le scale attraverso cui il palco arriva sino alle prime file e canta Delilah e What kind of man abbracciata ai suoi fan, aggrappata a loro, perché è grazie a loro che la melodia fiabesca di Cosmic love compie dieci anni. È grazie a loro che i suoi sogni di bambina sono diventati realtà. Ed è una sensazione tanto meravigliosa quanto terrificante, a volte. È una grande responsabilità, confessa, dimostrandosi profondamente riconoscente.

 

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L’encore è affidato alla solenne Big God e alla famosissima Shake it out. “Vi domando un’ultima cosa… cantiamola tutti insieme”. La chiusura perfetta del cerchio che rappresenta la rinascita di cui Florence è stata protagonista. Un inno a scuotere via i propri demoni, a danzare senza il loro peso sulla schiena. La consapevolezza di non poter cancellare mai totalmente il proprio passato ma accoglierlo, anche nel dolore. Lasciare che ciò accada, per liberarsi. Per volare alto, verso il proprio cielo. Per volare alto, come la speranza.

 

Testo: Laura Faccenda

Foto: Luigi Rizzo