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Tag: fotografia

The Clash: white riot, black riot

Se parliamo di punk la mente corre a Londra, sul finire degli anni ’70, quando le strade della capitale britannica erano piene di giovani che volevano fare sentire la loro voce.

Il periodo storico non è dei più rosei: il razzismo è all’ordine del giorno e, in prossimità delle elezioni, il National Front il partito di estrema destra rischia di risquotere un grande successo.

Qua e la si fanno sempre più forti i richiami alle ideologie naziste e per questo motivo iniziano a nascere associazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema.

E’ grazie a Rock Against the Racism e l’Anti Nazi League che il 30 maggio 1978 viene organizzato un grande concerto al Victoria Park di Londra ed è forse grazie a questo evento che la musica punk abbandona le tendenze nichilistiche degli albori per politicizzarsi sempre più.

Un gruppo più degli altri è riuscito a far sentire la sua voce, a usare la musica come un arma per combattere le proprie battaglie: The Clash.

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The Clash in Belfast – 1977 ©Adrian Boot

Forse, proprio per questo motivo, Ono Arte Contemporanea, nella sua sede di Bologna, ha deciso di ospitare una rassegna dedicata a Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon.

La mostra dal titolo Clash: White Riot, Black Riot racconta la band attraverso gli scatti di Adrian Boot e sarà possibile visitarla da 12 giugno al 15 settembre.

Nonostante siano passati più di 30 anni da quando i Clash incendiavano le scene musicali mondiali, da quando London Calling ha invaso le radio, oggi più che mai la loro musica e la loro ribellione sono attuali.

I Clash hanno fatto la storia, hanno messo a ferro e fuoco il mondo, incitando le persone a portare avanti le loro battaglie.

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The Clash – London Westway Photosessions – 1977 ©Adrian Boot

Fin al loro primo dingolo White Riot appare chiara la loro ideologia e la loro missione: dare una voce a tutti. Non si tratta solo di una canzone ma di una sorta di inno che incita i giovani a portare avanti una rivolta personale e collettiva.

Ma i Clash non sono solo punk, sono un misto esplosivo di generi diversi.

“Vorrei che non si dicesse che i Clash sono stati solo un gruppo punk. Il punk è uno spirito molto più ampio della musica grezza e semplice che solitamente si identifica con quella parola. I Clash sono stati un gruppo di fusione, non una band di genere. Abbiamo mischiato reggae, soul e rock and roll, tutte le musiche primitive, in qualcosa di più della somma dei singoli elementi. Soprattutto in qualcosa di pù del semplice punk di tre accordi.”

Strummer ci teneva a sottolineare questa cosa e quando la loro musica si è allontanata dal punk tradizionale i fan non sempre lo hanno apprezzato.

Non tutti, fin da subito, si sono resi conto della portata rivoluzionaria della loro musica. Eppure in 10 anni hanno lasciato il segno.

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The Clash ©Adrian Boot

La mostra ospitata a Bologna il cui ingresso è gratuto racconta i Clash visti dall’obiettivo non solo di Boot, fotografo che li ha seguiti nel corso della loro carriera dagli esordi al successo, ma anche di Syd Shelton e Pennie Smith. 

I 40 scatti in esposizione a Bologna ci raccontano questa band che ha fatto della musica un arma e ha smosso, e continua a farlo ancora oggi, la coscienza di milioni di persone. Ognuno deve farsi sentire, la voce di chiunque è importante.

“Questo è il lascito che i Clash hanno trasmesso alle generazioni che sono venute dopo: lo spirito, l’impulso a cambiare, per continuare a guardare in faccia al futuro.”

Questa per Mick Jones, il chitarrista della band, era l’eredità che i Clash hanno lasciato ai posteri.

E noi non vogliamo essere ricordati come la generazione che non ha colto il loro lascito.

Laura Losi

Heroes- Bowie by Sukita

•Un uomo dai mille volti•

 

Nella suggestiva cornice di Palazzo Medici Ricciardi di Firenze, dal 30 marzo 2019 al 28 giugno, sarà allestita una mostra, curata da Ono Arte Contemporanea, dedicata ad una delle figure più poliedriche della storia della musica mondiale: David Bowie.

Heroes- Bowie by Sukita racconta attraverso 60 scatti un sodalizio artistico, ma anche una profonda amicizia, che ha legato il camaleontico cantante al fotografo giapponese.

La mostra ci restituisce un ritratto di Bowie nel suo momento di gloria, un viaggio tra le sue trasformazioni, tra i suoi outfit memorabili e le sue stravaganze. 

Le foto sono scattate da Masayoshi Sukita, fotografo giapponese, che ha immortalato l’artista nel corso di tutta la sua carriera. Sukita, grazie al rapporto che ha creato con il cantante, ci ha regalato foto più intime e personali di Bowie. Dobbiamo a lui la copertina di Heroes, uno dei brani più conosciuti ed iconici del Duca Bianco.

David Bowie oltre che per le sue doti di musicista è famoso per la sua abilità continua nello stupire e nel rompere gli schemi tradizionali. 

Se per molti artisti tracciare un profilo può essere facile, per lui non è così. 

Una semplice domanda come chi era David Bowie, in realtà, ci metterebbe in grandissima difficoltà.

Nel corso della sua vita ha creato innumerevoli alter ego che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito a creare il suo personaggio. Bowie era un trasformista, un camaleonte.

Nonostante la sua carriera sia iniziata nel 1967 con David Bowie il vero successo arriva nel 1972 con l’album The Rise and Fall Of Ziggy Stardust ad the Spiders from Mars.

Qui nasce il suo primo alter ego: l’alieno androgino dai capelli color del fuoco Ziggy Stardust. Nella creazione del personaggio sono stati forti gli influssi di Arancia Meccanica di Kubrik e del teatro giapponese Kabuki.

 

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© Photo by Sukita 2019

Ziggy diventa David e David diventa Ziggy; è difficile capire dove finisca uno ed inizi l’altro. Con la sua creatura Bowie è l’antesignano del glam rock che avrà tanto successo negli anni successivi.

La creazione di questo personaggio è stato un colpo di genio che ha lanciato Bowie sulla strada dell’immortalità. Nell’album sono trattati svariati argomenti, scomodi ma anche estremamente all’avanguardia: politica, droghe ed orientamento sessuale.

La vita dell’alieno però è breve. Come ho detto poco sopra Bowie è un trasformista e stare legato troppo a lungo ad un solo personaggio non fa per lui. Così il 3 luglio del 1973 sul palco dell’Hammersmith Odeon di Londra Bowie uccide il suo alter ego. I fan rimangono scioccati, nessuno si aspettava una cosa del genere.

Mentre stava viaggiando in America, per portare in giro la tournée legata all’album, trova l’ispirazione per la sua nuova opera. Nel 1973 esce Aladdin Sane, una sorta di diario di viaggio, ispirato proprio alle esperienze vissute in terra americana.

Alladin, con la saetta dipinta sul volto, è il nuovo alter ego di Bowie.

Il personaggio di Aladdin Sane, potrebbe essere ispirato al fratello a cui venne diagnosticata la schizofrenia. Lo stesso nome, che si potrebbe tradurre come “un giovane folle” (a laid insane), richiama alla mente la malattia mentale, tematica molto cara al cantante. 

L’anno seguente esce Diamond Dogs, un album che va controcorrente: mentre nel mondo inizia a spopolare la disco music Bowie se ne esce con questo album complesso. Qui prende vita un nuovo personaggio chiamato Halloween Jack: capelli rossi e benda sull’occhio. Un personaggio che si muove in un futuro post-apocalittico, ispirato dall’opera di George Orwell.

Ma il personaggio per cui Bowie è più spesso ricordato è il Duca Bianco. La creazione di questo alter ego, che prende vita nell’album Station to Station (1976), deriva forse dall’esperienza cinematografica vissuta ne L’uomo che cadde sulla terra. 

Il Duca Bianco era un personaggio odioso, per stessa ammissione di Bowie, era freddo, ariano quasi ieratico. Nonostante l’album contenga la hit Golden Years, il cantante sta affrontando un periodo buio e difficile dovuto ai problemi legati allo stress e alle tossicodipendenze; insomma non è tutto oro quello che luccica.

Inoltre a causa dell’aspetto ariano e per alcune dichiarazioni, in questo periodo, vienne spesso accusato di fomentare fascismo e nazismo.

Il Duca era un alter ego diametralmente opposto a Ziggy: i capelli erano laccati all’indietro, le tutine erano state sostituite da abiti impeccabili ed eleganti. Il successo però fu travolgente, il pubblico amava il Duca Bianco…non ne aveva mai abbastanza.

Ma è nell’ultimo album, Blackstar, che Bowie si spoglia e ci presenta la sua vera identità: David Robert Jones. Qui è un profeta, cieco, e ci preannuncia la sua morte.

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© Photo by Sukita 2019

Bowie era malato da tempo di cancro e questo album è il suo epitaffio, il suo addio ai fan. I video che lo ritraggono steso in un letto  assumono un significato più profondo che, ad una prima vista, era impossibile cogliere.

Sapeva che la malattia lo stava traghettando verso la fine e, fino all’ultimo, Bowie è stato un uomo di scena. Blackstar è il suo saluto, il suo congedo dal mondo.

Con la sua morte, il 10 gennaio 2016, non abbiamo perso solo Bowie abbiamo perso tutti i suoi alter ego: Ziggie, Aladdin, Jack, Il Duca e, ovviamente, David Robert Jones.

 

Laura Losi