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“Night club” di Jacopo Et: l’avanguardia del dance pop contemporaneo

Nato a Forlì, ma formatosi nell’ambiente musicale bolognese, Jacopo Ettorre, in arte Jacopo Et, riporta in auge la sfrontantezza tipica del ragazzo di provincia.

Cresce infatti a San Ruffillo, in quel bar dove le giornate scorrono fra motorini, discussioni sul calcio e litri di birre industriali.

Jacopo Et nasce musicalmente l’11 maggio del 2018 con l’uscita di “Fulmini”, che nei mesi successivi viene seguita da “Fuori”, “Golf”,“Grattacieli” (feat. Kharfi) e “Buio”.

Ciò che gli preme è esprimersi liberamente, raccontando quello che lui ama chiamare “il lato oscuro della provincia”, in cui si scovano personaggi tutt’altro che politically correct e viene scansato arduamente ogni falso buonismo.

Lo scorso 19 luglio, distribuito dall’etichetta Fulmini Records ed edito da Sony ATV, è uscito il suo nuovo singolo “Night club”, prodotto da Gabry Ponte, che lo ha affiancato anche nella stesura degli arrangiamenti. Ai mix & master c’è invece la mano di Patrizio Simonini, già noto per il sodalizio con artisti del calibro di Tiziano Ferro, Jovanotti, Franco Battiato.

Non passa affatto inosservato l’artwork, che è stato abilmente realizzato dall’eclettico fumettista Maurizio Rosenzweig.

Il pezzo, “orgogliosamente tamarro”, da un lato richiama uno dei film più cari all’artista, ossia “Fight club” di David Fincher, dall’altro mette in evidenza il tema della notte, uno dei fili conduttori del progetto.

Jacopo Et, in quanto figlio musicale degli 883, ci tiene a sottolineare come questo brano sia inoltre una risposta alla domanda “Come sarebbe stata la regina del Celebrità se fosse stata al Pepe nero?”. Per chi infatti conosce “La regina del Celebrità” degli 883, non può non saltare all’occhio la citazione, che diventa esplicita nel verso che recita“Senza pietà”.

Il fil rouge che lo unisce agli altri brani è decisamente la musica elettronica e l’evidente passione per la retrowave e per la synthwave, per Kavinsky e Perturbator.

Il suo è un progetto che è difficilmente ricollegabile a qualcosa di già presente sulla scena musicale, infatti l’artista rifugge qualsiasi etichettatura o categorizzazione.

Molto atteso è l’EP, che, in uscita venerdì 26 luglio, conterrà anche tre brani inediti: “Benzinaio”. “Luci”, “Cani randagi”.

Si conclude così il primo ciclo del percorso artistico di un ragazzo che, con un mix letale di provincialismo applicato ad un accenno di musica pop elettronica e una buona dose di arroganza benevola, tenta di fare del pop senza parlare di lacrime, abbandoni o addii.

 

Greta Samoni

 

 

Futura 1993 è il network creativo creato da Giorgia e Francesca che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro. Seguici su Instagram, Facebook e sulle frequenze di RadioCittà Fujiko, in onda martedì e giovedì dalle 16:30

 

 

Anna Ox: un buon motivo per rivalutare la Lomellina

Suonano insieme da 10 anni, hanno alle spalle tre album, uno dal titolo GIOACCARDO (“Charles” Abnegat Records 2014), gli altri due ELK (“World” Picane 2015 e “Ultrafun Sword” Niegazowana 2016) e il primo marzo 2019 esce il primo ufficiale degli Anna Ox dal titolo Black Air Falcon Dive, grazie alla collaborazione tra l’etichetta To Lose La Track E LAROOM RECORDS.

La particolarità di quest’album è che sarà prevalentemente strumentale, un mix tra post-rock, elettronica, r’n’b, fatta eccezione per un’unica traccia. La traccia in questione si chiama Fucsite ed è quella che vede il featuring con Adam Vida, probabilmente sconosciuto alle orecchie dei più, ma necessario un solo ascolto per capire quanto la sua voce si sposi bene alla strumentale e quanto il pezzo funzioni.

Una voce decisa che non irrompe subito, ma merita di essere scoperta, come lo è d’altronde la storia che racconta il loro incontro.

 

Come è nato il gruppo?

Il nucleo degli Anna Ox suona insieme e si conosce da 10 anni. Veniamo tutti da Vigevano e siamo cresciuti suonando insieme, un po’ alla volta. Vigevano è un paesone e per noi suonare e andare a concerti di band conosciute e soprattutto sconosciute insieme (il video di Fucsite parla proprio di questo) è stata la colla della nostra amicizia. Dopo aver fatto parte di realtà eterogenee che in ogni caso ci hanno dato grandi soddisfazioni, abbiamo deciso di provare (per gioco all’inizio) a mettere insieme una formazione che prendesse spunto dalla musica strumentale, da anni la nostra principale passione. Abbiamo trovato una formula particolare, con un giro complicatissimo di cavi che permette al nostro fonico di essere a tutti gli effetti un membro live della band, dato che ogni suono che passa da chitarre e basso e controllato in uscita dagli ampli dalla sua postazione, per interpretare il momento ma partendo da una sorgente analogica.

 

Parliamo del nome, pare richiamare una cantante non propriamente sconosciuta…

È un classico nome da sala prova, che ha proprio quella dimensione lì che conserva a mio parere in potenza tutto quel sottotetto di amici che si incontrano da una vita per stare insieme e suonare e che sviluppano una chimica utile a partorire fenomeni del genere. In buona sostanza si voleva esser seri e chiamarci con un nome inglese di animale. Ox vuol dire toro e piaceva molto, ma da lì a rinominare la chat di gruppo Anna Ox il passo è stato breve. A dire il vero ci piace molto. Ovviamente musicalmente nessuno di noi ascolta con assiduità Anna Ox a, ma concordiamo sia una super cantante con alle spalle dei gran brani. Sarebbe bello un giorno fare un feat. con lei.

 

Come avete conosciuto Adam Vida?

Ho conosciuto Adam per pura coincidenza durante un viaggio di piacere in California nel 2015. Ero ospite di questa gentilissima signora italoamericana a San Francisco. La prima sera nel preparare la cena, mi raccontò che il giorno successivo ci sarebbe stato anche suo figlio che al momento si trovava al Coachella. Ovviamente ero convinto fosse fra il pubblico e invece era sul palco, come ospite di un noto rapper. Ho conosciuto una persona profonda, umilissima, con una storia e una visione del mondo affascinante nel cuore, che poggia le basi sull’accettazione della vita e del diverso (Adam è figlio di una immigrata italiana e di un immigrato senegalese). Siamo rimasti in contatto, scambiandoci la nostra musica (lui nel frattempo è diventato decisamente e meritatamente popolare). Vista la sua impennata non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a collaborare fattivamente a un brano e invece il suo amore per la base di Fucsite è stato a detta sua folgorante e ispirante, tanto che mi sono ritrovato una mattina inaspettatamente una linea di voce su una mail con oggetto una roba del tipo: How does it works? Mannaggia, funziona da Dio Adam, altroché.

 

È previsto un album?

È prevista l’uscita di un album. Si chiamerà BACK AIR FALCON DIVE e uscirà per l’etichetta TO LOSE LA TRACK in collaborazione con LAROOM il 1° marzo. È composta da 7 tracce. Doveva essere tutto strumentale, ma alla fine Fucsite ha come ospite Adam Vida. È stato un esperimento stimolante e di successo, quindi è probabile che altre tracce del disco riusciranno cantate da altri artisti. Per quanto ci riguarda la dimensione strumentale ha comunque una dignità propria altissima, siamo grandi fan del genere ed in effetti le canzoni hanno tutte una propria emotività e grazia che permette loro di stare in piedi già da sole.

 

Alice Govoni

 

 

 

Futura 1993 è il network itinerante creato da Giorgia Salerno e Francesca Zammillo che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro, attraverso un programma radio e tante diverse testate partner. Segui Giorgia e Francesca su Instagram, Facebook e sulle frequenze di RadioCittà Fujiko, in onda martedì e giovedì dalle 16:30.

 

Teryble e l’omonimo singolo – Intervista di Futura 1993

Non si muove una foglia senza che Futura 1993 non se ne accorga. Questa volta ad attrarre la nostra attenzione è stato Guglielmo Giacchetta, che già da un po’ muove i suoi primi passi nell’underground bolognese col nome d’arte di Teryble. Con il suo ultimo, omonimo, singolo Teryble”, il giovane trapper del capoluogo emiliano vuole mettere in chiaro subito il suo intento: far tesoro di quanto prodotto fino ad adesso per ricominciare con un nuovo progetto al fianco di Parix Hilton, producer rinomato nella scena trap, ex chitarrista di Sfera Ebbasta, oltre che agente dello stesso Teryble. Abbiamo deciso dunque di fargli qualche domanda anche per testare di che pasta è fatto.

 

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Guglielmo e Teryble, quanta distanza c’è tra la persona e il personaggio?
Sono sempre stato un po’ timido nell’esprimermi e raccontare quello che sono. Quello che ho creato fa parte di me, sono semplicemente io che racconto quello che non sono mai riuscito a dire. Non voglio etichettarmi come personaggio, non mi riconosco in nulla di quello che già esiste: i miei messaggi, quel che faccio, ognuno è libero di interpretarlo come gli pare.

Parliamo del tuo nuovo singolo: come è nato e qual è il suo messaggio principale?
È nato quasi per scherzo, in questa canzone ho raccontato in modo giocoso la mia vita e quello che sono, non abbiamo pensato a un messaggio preciso da dare ma piuttosto a presentare Teryble e le sue sonorità. Il vero messaggio arriverà con le prossime uscite, spero.

Hai affermato che Teryble è un collage di cose diverse; quali sono a tuo avviso le più importanti che caratterizzano il tuo alter ego?
Come ti dicevo prima, non credo sia etichettabile come alter ego, Teryble sono io, o meglio è una parte di me. Ciò che mi contraddistingue penso sia l’autoironia, direi che si vede abbastanza.

 

Come nascono i tuoi brani? Come gestisci il flusso creativo tra rime e strumentale?

Le canzoni, le rime e la strumentale escono sempre in modo estremamente naturale, per questo devo ringraziare Parix Hilton: ci chiudiamo in studio a parlare e fumare, è così che tutto nasce.

 

Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a fare tabula rasa dei tuoi progetti autoprodotti per rilanciarti con questo nuovo progetto?
La voglia di rivalsa, di raccontare chi sono al meglio delle mie possibilità. Quel che facevo prima non mi rispecchiava, credo di aver trovato finalmente la mia dimensione.

Com’è il tuo rapporto con Parix Hilton? Come avete deciso di sviluppare un progetto artistico insieme?

Parix è un amico, un fratello e un collega, oltre ad essere il mio producer e il mio manager. Insomma è un elemento fondamentale del mio percorso musicale, ma anche di vita.

 

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La scena trap bolognese è in fermento, e giorno dopo giorno nascono nuovi ambiziosi progetti musicali. Come ti collochi in questo scenario? Perché Teryble è diverso?

Non c’è una scena statica a Bologna. Tutti i talenti che nascono qua poi faranno parte della scena di Milano, mentre noto un grande espatrio da Roma. Bologna è un punto di arrivo e un punto di partenza: un porto di talenti, si potrebbe dire così. Credo che l’unica differenza tra me e gli altri colleghi bolognesi sia la professionalità e la mentalità, punti fondamentali se vuoi che questa passione diventi un vero lavoro.

 

Considerando ciò che hai in serbo per il tuo pubblico, come pensi sarà il 2019 di Teryble?
Il 2019 per me è una sorpresa, il successo sarà determinato solo dalla continuità e dalla serietà. Tutto è già pronto, bisogna solo trovare il modo giusto di mostrarlo.

 

Ci salutiamo, ma con una domanda: perché vale la pena ascoltare Teryble?
Per qualsiasi artista credo non sia possibile spiegare la sua arte o perché a qualcuno potrebbe piacere. Le arti in generale non hanno un perché, specialmente la musica. È semplicemente il mio modo di esprimermi, può piacere come non piacere, c’est la vie.

Francesco Trovato

 

 

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Nessuno lo deve sapere: il nuovo disco di Brenneke svela cosa è scritto nelle stelle

Questo 2019 è iniziato all’insegna di uscite musicali. Quello che non è ancora stato svelato al pubblico è Nessuno lo deve sapere, terzo album (in uscita per VetroDischi il 1 febbraio) di Brenneke, al secolo Edoardo Frasso, classe 1989.

L’ho ascoltato in anteprima per  Futura 1993,  e posso rivelarvi quello che ci aspetterà.  La prima cosa da sapere è che quello che Brenneke tesse, all’interno delle dieci tracce del disco ( in cui compaiono anche Compleanno e Lasciarsi alle spalle, i primi due singoli usciti) è un viaggio fisico e spirituale in un’altra dimensione, estremamente reale e allo stesso tempo lontana, un po’ come lo spazio.

Ecco, in questo viaggio spaziale siamo accompagnati da Edoardo stesso, che si racconta attraverso amori finiti, amori in corso, tracce di vita vissuta ma soprattutto vivibile. La prima cosa che viene in mente ascoltando i suoi brani è che questi formino una sorta di mappa che ci fa percorrere in tutti i luoghi, reali e metaforici, che costellano l’album.

Senza accorgercene ci siamo persi in un’isola irlandese e troviamo rifugio in pezzi di un’altra persona, catapultati nello spazio, in mezzo a Satelliti e segreti.

La cosa che più colpisce dell’album è che diventa bello al secondo ascolto, quando l’orecchio si è già abituato ai suoni felici, quando non si fa più caso ai ritmi pop e ci si concentra sui testi, perché in quel momento le immagini di Brenneke diventano nostre, le sue parole descrivono il nostro vissuto.

È quello il momento in cui Nessuno lo deve sapere diventa uno dei prodotti più limpidi che mi sia capitato di ascoltare in questi anni. Dopo aver ascoltato l’album ho deciso di portare Brenneke all’Osservatorio Civico di Milano, perché mi sembrava potesse essere la location giusta per fargli qualche domanda per aiutarci ad orientarci meglio in questo viaggio.

 

La prima domanda che ti faccio è abbastanza canonica, raccontaci il tuo progetto, descrivendolo con tre aggettivi. 

Il mio progetto è Indipendente nel senso che io ho un bisogno stratosferico della mia indipendenza, intesa come la necessità di essere lascito un po’ da solo. Ho anche attraversato periodi con le band, ma alla fine ho bisogno di stare da solo.

È indipendente ma non è indie, è una parola che non mi piace perché è diventata sinonimo di moda, che non è necessariamente negativo, ma l’indie  storicamente è la controcultura, non ha a che fare nulla con la moda. Mentre venivo qui  in macchina ho sentito il vecchio disco di Giovanni Truppi e ho pensato che quello era vero Indie, e che in questo caso la parola ha un’aggettivazione culturale impressionante.

In quel disco c’è il jazz, c’è il rap, c’è Rino Gaetano ed è frutto di una mente artistica che sapeva perfettamente quello che voleva e che era politicamente connotata. Secondo me oggi manca un po’ questa accezione nell’indie.

Il secondo aggettivo è pop, ma quando ti dico pop io penso ai R.E.M., un pop che se ne frega. Poi ti direi provocatoriamente contemporanea, ma non tanto per una questione di sound, quanto per il fatto che per quel che mi riguarda non avrei potuto scrivere dieci anni fa quello che ho scritto oggi. Ne viene da sè che lo stesso album scritto oggi non penso possa parlare della realtà tra dieci anni.

Mi inorgoglisce molto l’idea di aver fotografato qualcosa che è adesso e basta. Per ultimo ti direi vivo nel senso che si evolve, che è una cosa che io ho sempre percepito nella sfera live. E’ un annetto che non mi esibisco live, ne ho fatto solo qualcuno acustico, ma tra pochissimo c’è il mio nuovo debutto. Però nel 2016/17 ho fatto decine di live e una cosa che ho sempre molto apprezzato, che veniva fuori sia con la band dell’epoca che con quella di adesso, era che i pezzi evolvevano. E mi piace avere questo approccio vivo.

 

Ecco, avendo ascoltato l’album, secondo me il tuo è un album da cantare. Nel senso che il modo stesso in cui tu lo canti porta le persone a cantarlo con te, quindi ti volevo chiedere, quale sarà l’approccio al live? 

Sarà, appunto, un live molto vivo. Il principale strumento delle mie canzoni, so che sembra banale ma non è così, è la voce. Non per tutti è così, io amo utilizzare la voce come la potrebbe usare un Dylan o un De Gregori. Quando uno ascolta un disco con me che sillabo le parole in un determinato modo, non deve necessariamente aspettarsi che ad un live io le faccia esattamente così.

 

Il tuo album è stato una sorpresa, non lo immaginavo così. Avevo ascoltato Compleanno e me lo immaginavo forse un po’ meno ritmato. Partendo dalla prima traccia fino all’ultima c’è quasi una crescita vocale. È qualcosa di voluto o è casuale? 

Allora è un disco abbastanza up-tempo e ora che mi fai pensare, effettivamente è vero quello che dici, c’è un crescendo vocale! In realtà non è stato voluto, ma mi piace molto.

 

Ti ho portato qui all’osservatorio perché voglio anche parlarti di spazio. Se il pianeta Venere significasse amore e Marte separazione, in quali brani troveremmo questi due pianeti? 

La cosa bella è che quasi tutte le canzoni li comprendono entrambi. Penso che così, su due piedi, quella che rappresenta meglio entrambe le anime è  Lasciarsi alle spalle,  perché ha in sé una doppia lettura. Lasciarsi alle spalle vuol dire sia smettere di amarsi in segreto l’uno dall’altra, metti caso due persone che convivono e che piano piano fanno affievolire i loro sentimenti, sanno che non amano più l’altra persona; quindi in un certo senso si stanno lasciando alle spalle l’uno dall’altra. Ma vuol dire anche dirsi addio, in senso positivo.

 

Sai io ti devo ringraziare, perché in questo album spesso e volentieri mi sono ritrovata! Una canzone che ho amato è Certi animali in cui secondo me si ritrovano molti luoghi, sia reali che metaforici. Molto romantica e forse molto triste. 

Sai, alcune canzoni di questo album sono state scritte tempo fa, quindi magari ci sono dei collegamenti a persone che hanno fatto parte del mio passato e che ora non sono più nella mia vita. È difficile da spiegare, ma a volte scrivere una canzone d’amore non significa amare ancora qualcuno, cantarla non significa riprovare le stesse cose. Una volta che una canzone viene scritta ed è davanti a me, per me diventa una sorta di esercizio di sillabazione ed è come recitare, è come un copione, un mantra e la sacralità della canzone è insita in questa cosa. Poi io in realtà amo questa cosa dei luoghi, cerco una certa geografia tra immaginario e reale.

 

Un’altra cosa che mi ha molto colpita del tuo album è il titolo, Nessuno lo deve sapere. Però poi è un album, quindi lo sanno tutti. Era questo che volevi? Lasciarci in un ossimoro? 

Sì, assolutamente sì. Poi, oltre ad essere il nome di una traccia (una delle canzoni più vecchie che ho scritto), Nessuno lo deve sapere racchiude un po’ il senso del mio modo di portare le cose sul foglio, da un punto di vista testuale molto più che musicale. E in fondo, anche qui c’è un ossimoro ( nel rapporto musica-testo) perché testi molto intimi sono accompagnati da suoni molto forti! Fatto sta che, che cosa non si deve sapere? Quelle cose che potremmo definire i sentimenti profondi, come la delicatezza che c’è nell’amore, come una conversazione tra amici. A me piace l’idea che le persone che mi sentono cantare abbiano la sensazione che sia un loro amico a raccontargli una storia.

 

È un album in cui ci si immedesima solo dopo qualche ascolto, è un album su cui si riflette! Era quello che volevi? 

Non so se è quello che volevo dato  mio modo di scrivere canzoni, ma è quello che mi viene detto da diversi anni. Anche con il mio disco precedente (Vademecum del perfetto me) e con il mio ep, a me la gente diceva “ le tue canzoni mi arrivano dopo” e io mi arrabbiavo, non capivo, volevo scrivere delle canzoni pop. Poi ho capito che è molto meglio questa cosa, ho capito che era quasi un regalo.

Facciamo una domanda più divertente. Fingiamo tu debba fare un concerto su Marte e puoi chiamare chiunque vuoi, presente o passato,  a cantare e suonare con te, chi chiami? 

Quindi io sono l’organizzatore di un concerto su Marte, allora, chiamo gli  U2 di Achtung Baby, gli Why? che sono una band che amo alla follia e vengono davvero dallo spazio, e poi chiamo i The Cure. E poi di italiano contemporaneo metterei  I Cani (di Aurora), poi porterei  La Rappresentate di Lista, Caso e poi Truppi.

 

Ultima domanda, c’è una domanda che nessuno ti fa?

Nessuno mi chiede mai nulla dal punto di vista tecnico sulla chitarra, io sono un chitarrista. Il fatto che io sia chitarrista influenza il 90% del mio far musica! L’altro 10% è influenzato dall’attrazione per quei cantautori che sembrano sempre stiano nell’etere, e le loro canzoni parlano di te ma tu non sai come. Io sono sempre stato attratto da questa superiorità, ho una vena verso l’umanesimo. Sono attratto dalla cultura ecco. La grandezza degli altri mi ispira tantissimo!

 

Mariarita Colicchio

 

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