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Tag: garrincha dischi

I Gazebo Penguins e i loro dischi inevitabili quanto necessari

Dopo le quattro date evento per presentare il loro ultimo disco, Quanto, e in vista del prossimo tour in giro per tutta l’Italia, abbiamo intervistato i Gazebo Penguins, che si confermano una delle band più interessanti in Italia. E probabilmente la miglior live band che vi possa capitare di incontrare.
Ci ha risposto Capra.

 

Ciao ragazzi, grazie intanto per la vostra disponibilità e benvenuti su VEZ Magazine. A noi il disco è piaciuto davvero molto, per cui iniziamo col chiedervi quando avete iniziato a comporre le nuove canzoni e quanto tempo è stato necessario per avere le sette che sono poi finite nel disco.

“Allora, avevamo iniziato a buttare giù un po’ di bozze ancora prima del lockdown e successivamente abbiamo continuato a lavorarci anche durante i vari isolamenti forzati, ma onestamente pochissima della roba lavorata in quei periodi è finita nel disco, giusto un paio di giri. Quando si è potuto ricominciare a suonare da seduti abbiamo deciso di rimetterci in gioco, rivisitare le nostre canzoni e provare a dargli un senso un po’ deviato per il periodo deviato in cui ci si trovava a vivere.

Dopo quel tour, denso di sentimenti parecchio antitetici, è partito il lavoro più serrato verso il disco nuovo. Se dovessimo sommare tutti i mesi arriviamo tipo a contare quasi tre anni, ma in realtà i mesi più intensi e produttivi saranno stati otto.”

 

Si è trattato di un disco difficile da fare? E cos’è cambiato in voi rispetto al passato? Intendo soprattutto a livello compositivo, se negli anni è cambiato il modo di realizzare e registrare poi i brani. 

“È stato un disco nato e cresciuto in maniera molto diversa dagli altri.
Nel silenzio. Magari nemmeno tutti assieme. Le bozze dei pezzi crescevano settimana dopo settimana davanti allo schermo di un computer, senza fretta, cambiando e sostituendo parti se non ci convincevano più, riscrivendo fino a dieci finali diversi per la stessa canzone, a volumi bassi, senza amplificatori. E quando una prima scaletta del disco ci sembrava ok, abbiamo portato tutto il sala prove e alzato la manopola del gain.”

 

Sbaglio se dico di sentire una sorta di continuità, un trait d’union, tra Nebbia e Quanto? Sia come tematiche che molto anche a livello di sonorità.

“Probabilmente sì. Alla fine la ricerca del suono per noi è forse la prima cosa che emerge quando ci mettiamo a scrivere un disco nuovo. E la ricerca del suono non parte da zero, fa sempre parte di un percorso che hai intavolato nel momento in cui hai cominciato a prendere la musica sul serio. Procede. E si sposta man mano.
Sulle tematiche non sarei invece così sicuro di darti ragione.
Però, se volessimo trovare un tratto di continuità, potrei dire che Nebbia partiva da una riflessione sulle relazioni collegate a una dimensione – uhm – meteorologica, mentre Quanto prende spunto da tanti concetti cari alla meccanica quantistica e alla fisica del novecento per provare a raccontare storie del mondo, quello in cui viviamo, quello in cui vorremmo vivere, quello che non vivremo mai. In entrambi i casi si parte da una dimensione molto terrena, che da un album all’altro opera come uno scavo in profondità, nei recessi della materia e del tempo.”

 

Com’è nata l’idea di inserire il sax? Credete che in futuro potrà esserci spazio per altre sperimentazioni, anche più presenti e impattanti?

“Magari! Sulla strumentale di Nubifragio ci sembrava perfetto il suono del sax, uno strumento a fiato, un suono fatto di aria, che creasse qualcosa di turbinoso, ipnotico, e le idee portate da Mallo (Manuel Caliumi) in studio sono state esattamente quello che speravamo.”

 

Un po’ in controtendenza con quanto accade ormai sempre più frequentemente nello showbiz, non siete dei grandi utilizzatori delle collaborazioni, salvo rare eccezioni. C’è una motivazione dietro a questa scelta? E qualora ne aveste la possibilità, con quale artista, presente o passato, vi piacerebbe collaborare?

“Abbiamo sempre fatto uscire un disco nuovo solamente per un motivo di necessità. Non abbiamo mai avuto pressioni, né interne né esterne: un disco arrivava quando era il momento, quando per noi diventava inevitabile, necessario. Siamo legati all’idea, forse anacronistica, che la musica nuova che arriva debba rappresentarci nel modo più trasparente possibile, che sia qualcosa di nostro, in una maniera integra, completa. E, senza voler peccare di supponenza, ci piace l’idea di poter suonare tutto quello che ci serve per realizzarlo.
Detto ciò, non abbiamo nulla contro le collaborazioni, specialmente se diventano qualcosa che riesce ad entrare un po’ più nel cuore della composizione, senza essere troppo di superficie.
Abbiamo iniziato a fare qualche chiacchiera con i Post Nebbia, per capire se sia possibile inventarsi qualcosa che vada proprio in questa direzione.”

 

Come sono andate le quattro date di presentazione di Quanto? Avete già capito quali potranno essere i brani che entreranno in pianta stabile nelle scalette? La risposta del pubblico – almeno per quanto visto a Bologna – era stata davvero travolgente, segno che Quanto funziona davvero!)

“Guarda, la presentazione di Quanto nella quattro date di dicembre è stato qualcosa di assurdo. L’idea precisa che avevamo, concordata assieme a Garrincha e ToLoseLaTrak, era quella di portare dal vivo, per la prima volta, il disco nuovo, senza la possibilità di ascoltarlo prima in streaming o altro. Suonarlo dal vivo, e comprarlo esclusivamente dal vivo. (Il fatto che, alla fine dei concerti, un sacco di persone abbia poi deciso di comprarsi il cd o il vinile di Quanto appena ascoltato per la prima volta è stato chiaramente per noi una sensazione incredibile, un senso chiaro di missione compiuta).
Ridare centralità al momento del live, riportare il concerto nel cuore dell’ascolto – che è un po’ la nostra visione della musica. E restituire al concerto dal vivo anche quell’aspetto di scoperta che un po’ si è perso negli ultimi anni: scoprire qualcosa di nuovo, che poi ti possa piacere o ti faccia cagare è uguale: sarà comunque qualcosa che prima non conoscevi. E fare in modo che un disco nuovo diventasse, alla fin fine, un momento per ritrovarsi, un incontro di persone, dal vivo, portate lì per sentire un concerto.
Per quanto riguarda le scalette, al momento, in questa prima parte del tour che è seguita alle date di anteprima, abbiamo deciso di rinnovarci ad ogni weekend, senza portare mai le stesse identiche canzoni da un posto all’altro in cui ci ritroviamo a suonare. Ce ne sarà una più punk, una più classica, una più dilatata, una più revival e via così.” 

 

Dopo oltre quindici anni di onorata carriera continuate ad avere sempre lo stesso contagioso entusiasmo dell’inizio, i vostri live sono sempre una festa clamorosa e la cosa che più mi fa piacere è che accanto a noi, seguaci della prima ora ormai quarantenni, ci son sempre più giovani e giovanissimi che conoscono le canzoni parola per parola, dalle più vecchie alle più recenti. Non deve essere stato per niente facile per voi star lontano dai palchi per così tanto tempo. Cos’è significato ritornare in mezzo alla vostra gente senza impedimenti, come non fosse mai successo niente in questi due anni?

“Un grande, enorme . Quattro concerti che hanno spazzato via quella sensazione di sfaldamento e freddezza che, per un certo periodo, parevano inscalfibili. Ma che non hanno cancellato il senso di impotenza che ha scavato a fondo, su cui ancora ci si trova a inscurirsi e pensare. Cercheremo di suonare il più possibile, perché il tempo perso non esiste più, è irrecuperabile, ma riempire di musica il tempo a venire è ancora possibile. E via andare.”

 

Alberto Adustini

Gazebo Penguins “Quanto” (To Lose La Track / Garrincha Dischi, 2022)

Partendo dall’assunto, incontrovertibile, che Nebbia sia il miglior disco dei Gazebo Penguins, i quali a loro volta sono una delle migliori band nate in Italia negli ultimi diciamo vent’anni, quando appresi la notizia qualche mese fa che avremmo avuto un quinto lavoro in studio, pensai subito “Eh, non sarà facile mantenere le (mie) attese. Vi aspetto al varco, cari miei”.

Ebbene, al boh, decimo ascolto di Quanto (così s’intitola il nuovo disco) negli ultimi venti giorni devo dire che ce l’hanno fatta. Con margine. A mantenere le attese intendo.

Non che ci fossero grossi dubbi in effetti, lo hanno mai sbagliato un disco Capra, Sollo, Piter e Rici? La risposta è no. 

E sapete quale potrebbe essere il loro segreto? Che sanno scrivere, hanno idee, tante, i testi sono sempre più curati e danno l’impressione di divertirsi e amare enormemente ciò che fanno.

Nel tempo è poi cresciuta la componente della consapevolezza, della cura per l’arrangiamento (l’inserimento del sax è una chicca non da poco), l’affiatamento, quello che volete, ma ad ogni giro in studio i quattro ne escono con degli album che vivono di vita propria, con una propria identità e credibilità.

Sì perchè, se è vero che di Senza di Te ne nasce una nella vita, l’effetto live di una Nubifragio è clamoroso (ne sono stato testimone qualche giorno fa a Bologna), una detonazione che poco ha a che invidiare a Il Tram Delle 6 per dirne una, così come la potenza di una Cosa Fai Domani (che richiama lontanamente, come andamento, Pioggia), o l’immediatezza di Cpr14, il crescendo di Se Non Esiste Un Vuoto, ormai quasi un marchio di fabbrica della band di Correggio, cioè delle sette tracce che compongono questo Quanto faccio fatica a trovarne una più debole delle altre, uno di quei brani messi a mò di riempitivo per arrivare alla durata ideale.

Qui tutto conta e tutto è funzionale, e non a caso i testi di Gabriele CapraMalavasi sembrano seguire questo mood, questo andazzo, nell’evitare la sovrabbondanza, il molto, l’affettato, ma ricercano con grande abilità le parole misurate, giuste, per scavare sempre più a fondo negli affetti, nelle relazioni, nell’io.

Bravi.

E bravi.

 

Gazebo Penguins
Quanto
To Lose La track / Garrincha Dischi

 

Alberto Adustini

Loren “Uniti” (Garrincha Dischi, 2022)

Siamo a dicembre, ma possiamo sempre cantare e ballare sulla spiaggia. E non mi riferisco all’atto concreto di andare al mare in inverno, che per chi vive in Liguria come me è normale: parlo di vivere emozioni estive, ma fuori stagione.

I Loren (Francesco Mucè, Richard Cocciarelli, Gabriele Burroni, Marco Ventrice e Dario Fischi) sono una band fiorentina, hanno esordito con il primo album nel 2018 e sono tornati sulle scene con Uniti, un disco perfettamente riassunto nel suo titolo. Per quanto io abbia un debole per il fascino dell’enigmatico (momento di auto-denuncia che potrebbe costarmi caro), sento la necessità di ascoltare anche musica trasparente, che racconta con semplicità la mia esistenza ordinaria e che sappia farmi sentire al posto giusto. 

Uniti è pieno di vita e ha la capacità di sbrogliare molti nodi, riconnettendosi a un concetto quasi primordiale: la musica serve per ritrovarsi insieme. Il disco esplora diversi generi e ospita numerose collaborazioni artistiche, come Nicola Manzan, i Vocal Blue Trains e la Galantara Marching Band, rafforzando ancora di più la coesione tra gli individui, il filo rosso di tutte le canzoni.

Partiamo con il singolo più esplicativo di tutto l’album: Viva La Paura. “Ma siamo qui e siamo vivi / E non importa se non ci hanno capiti / Fanculo gli schemi / Le corsie preferenziali / Evviva la paura / Di essere ordinari”. Contiene uno dei miei messaggi preferiti in assoluto: basta performatività a ogni costo, basta gare, basta dimostrazioni, basta avere paura di non distinguersi. Non è necessario essere eccezionali per essere amati e ricordati e noi moriamo se non mettiamo radici; i Loren ce lo ricordano con il coro gospel potente dei Vocal Blue Trains. 

E se l’unione è la forza da cercare, la competizione esasperata e l’odio sono la nostra debolezza. Buio è un brano che scardina i principi secondo cui dovremmo dimostrarci forti e racconta la bellezza di avere dei lati oscuri, attraverso i quali possiamo trovare la luce. Ci carichiamo con i nostri successi, proviamo soddisfazione quando chi non credeva in noi e ci ostacolava si ricrede: ma non è forse un vortice “tossico” inutile? Il bello della musica è cantare le nostre prospettive utopiche. “Vorrei che questa volta / Tu ci fossi davvero / E avessimo la forza / Di non dimostrare niente a nessuno / Vorrei che questa volta / Tu ci fossi davvero / E avessimo la forza / Di mostrare il nostro lato oscuro / Non dirmi che hai paura del buio / Non dirmi che hai paura se è tutto nero / Lo sai che è solo nel buio che puoi illuminarti e brillare davvero.”

La titletrack Uniti raccoglie un messaggio quasi politico e, con un ritmo indie rock inglese che ricorda una melodia dei Vaccines, ci racconta che la nostra resistenza sta nella capacità di stare insieme e amare gli affetti che ci circondano. Ci vogliono soli, ma noi siamo “uniti per resistere”.

Adesso, immaginatevi di essere seduti a gambe incrociate su una spiaggia e indossare una felpa con il cappuccio tirato su per ripararvi dal leggero vento che solleva qualche granello di sabbia. State cantando canzoni per tutti i gusti insieme alle persone che vi piacciono, immersi in un’emozione corale. Vi alzate in piedi per ballare e siete consapevoli che il mondo intorno a voi privilegia la competitività e che le sue idee di solidarietà, amicizia e famiglia sono solo maschere che celano l’individualismo. Voi lo sapete, ma nel vostro piccolo state cambiando e lo raccontate davanti al mare con la musica. 

Ecco i Loren.

 

Loren
Uniti
Garrincha Dischi

 

Marta Massardo

Le Endrigo e la genuinità del cambiamento

Avevamo fatto due chiacchiere con Le Endrigo nel 2019, poco prima dell’Indie Pride Festival.
Due anni dopo la band pubblica l’album Le Endrigo per Garrincha Dischi e ad oggi conta due nuovi singoli, l’ultimo, Uno, Due, è uscito il 1° luglio.

 

L’ultima volta che abbiamo parlato è stato nel 2019 poco prima dell’Indie Pride Festival. Sono passati quasi tre anni e sono successe un sacco di cose. Intanto, come state?

“Alti e bassi come prima, ma per fortuna siamo ancora qui a fare ciò che amiamo.”

 

Nell’occasione dell’Indie Pride Festival avevamo discusso di attivismo contro omotransfobia, bullismo e sessismo. Ci avevate risposto così: “[…] quando non ne parliamo con la musica, lo facciamo sul palco, dal palco, comunicando tra una canzone e l’altra in modo più schietto. Il palco è per noi un riflettore e un momento importante per veicolare questi messaggi.” E non solo dal palco! A marzo dello scorso anno annunciate pubblicamente “Oggi muoiono Gli Endrigo e nascono Le Endrigo”. Qual è stata la spinta verso questo cambiamento? Ci sono state reazioni che non vi sareste aspettati?

“La spinta è nata dopo aver scritto Cose più grandi di te. Finalmente eravamo riusciti a convogliare messaggi a cui tenevamo con una formula che ci piacesse e non ci sembrasse troppo retorica. Sull’onda di questo abbiamo voluto portare ancora più in profondità il concetto, cambiando direttamente il nome alla band. Siamo stati sempre molto convinti una volta deciso di farlo, io personalmente penso che oggi scriverei un manifesto molto diverso, formulato meglio, ma c’era molta genuinità e sincerità e questo ci porta comunque ad esserne fieri. Nessuna reazione imprevista, forse pensavamo sarebbe stato più criticato ma in realtà è stato un piccolo gesto apprezzato dalle persone che volevamo supportare.”

 

Parliamo delle novità di quest’anno! Dopo Un santo, un ricco, un fascio, è uscito il 1° luglio il vostro nuovo singolo Uno, Due, che catapulta l’ascoltatore in una dimensione molto “live” ed elettronica. State sperimentando nuove sonorità?

“In realtà a livello di scrittura stiamo mantenendo più o meno la stessa direzione dell’ultimo album, però in studio stiamo giocando un po’ di più in fase di produzione e quindi sono uscite fuori delle sfumature nuove, cosa che ci rende molto contenti. Sicuramente continueremo in questa direzione, mentre dal vivo per ora tendiamo a tornare all’arrangiamento originale, ma anche qui se in futuro avremo i mezzi saremo molto felici di esplorare con altri strumenti e perché no anche musicisti sul palco.”

 

Questa per voi non è la prima esperienza al Donkey Studio di Medicina (BO). Vi ricordate la prima volta che ci siete entrati? C’è un aneddoto particolare che vi va di raccontarci? 

“La prima volta saremo sicuramente entrati mentre qualcuno che conosciamo stava registrando, ma difficile ricordarsi. Invece ricordiamo bene la prima volta che ci siamo entrati per registrare, due settimane in cui avremo dormito mezz’ora a notte e preso infiniti kg. Una volta rientrati ci sono voluti giorni di sonno per recuperare, mentre i kg sono ancora lì.”

 

Dopo lo stop causato dalla pandemia e dopo la recente esperienza a X-Factor, il vostro approccio alla performance live è cambiato? 

“Abbiamo capito che dobbiamo riscaldare la voce perché siamo invecchiati, per il resto nessun cambiamento clamoroso ma nel nostro piccolo abbiamo provato a diventare più professionali dal punto di vista della preparazione del live. Poi spesso dopo la prima nota va tutto in malora e si torna alla vecchia scuola.”

 

Momento curiosità: come scegliete la scaletta per i concerti? La preparate insieme, di getto o è pensata attentamente?

“Di solito prepariamo una scaletta ipotetica per ogni tour, ad esempio una primaverile e una estiva, giusto per fare in modo che chi torna a vederci non senta gli stessi pezzi. Poi tendiamo a cambiare alcune cose in corsa a seconda della serata, ad esempio se c’è poca gente sotto palco facciamo un pezzo che ci aiuti a fare avvicinare, mentre se va tutto come deve andare ci piace seguire lo snodo che ci siamo prefissati, che appunto è pensato con un criterio di crescendo e calando per poi ricrescere. Questa estate stiamo aggiungendo una cover acustica spesso diversa e mezza improvvisata al momento in caso ci chiedano i bis, oppure se la serata è particolarmente bella finiamo il concerto in mezzo alla gente con la chitarra acustica senza microfoni. In più spesso chiamiamo amici e amiche musicist* delle varie città dove suoniamo per fare qualcosa assieme sul palco. Sono tutte piccole cose per mantenere innanzitutto noi sempre carichi, e in più regalare un po’ di varietà a chi si fa magari più date nello stesso tour, magari pure giorni consecutivi.”

 

Per chiudere, progetti futuri e prossimi live?

“Per i live trovate tutto sul nostro Instagram, per quanto riguarda il futuro abbiamo il solito punto di domanda gigante con una serie di possibili risposte che non vediamo l’ora di darci e darvi.”

 

Cecilia Guerra

Pierpaolo Capovilla racconta la propria urgenza creativa

Il suo nome è Pierpaolo Capovilla, un artista dal curriculum vario che lo vede cantante e bassista per i One Dimensional Man, bassista per Buñuel, voce de Il Teatro Degli Orrori, solista in Obtorto Collo e ora parte di una nuova dirompente formazione con I Cattivi Maestri, con cui ha lavorato al progetto di recente uscita Pierpaolo Capovilla e I Cattivi Maestri. Abbiamo parlato con lui di tutto, dal proprio nome al suo caro Majakowskij, passando per il nuovo album. Lui è una persona dalle idee chiare e dalle risposte dirette, schiette, che non lasciano spazio a dubbi o ad alterate interpretazioni. A VEZ Magazine questo piace.
 

Partiamo dall’inizio, o meglio dalle origini. Pierpaolo è un nome che porta con sé un’eredità culturale molto particolare, soprattutto in questo Paese: ti senti in qualche modo predestinato data l’omonimia con Pasolini?

“I miei genitori erano molto religiosi. Mia madre prima di sposarsi fu suora novizia nell’Ordine Paolino, mio padre voleva farsi sacerdote. Mi vollero chiamare Pierpaolo perché Pietro e Paolo furono fondatori della Chiesa Cattolica. Non mi sento predestinato, non è che una coincidenza.”

 

Come l’ultimo disco de Il Teatro degli Orrori aveva un titolo omonimo, il progetto appena uscito porta il titolo della nuova formazione, Pierpaolo Capovilla e I Cattivi Mestri in cui figurano anche Egle Sommacal (Massimo Volume), Fabrizio Baioni (Drunken Butterfly) e Federico Aggio (Lucertulas). Questa scelta serve a rimarcare la chiusura di un capitolo e l’apertura di uno nuovo?

“Certamente. Come diceva il buon Andrea Pazienza, “Mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa”, e così ho fatto”.

 

Se dovessi parlare a un giovane musicista ai suoi primi passi, come gli spiegheresti il desiderio dell’artista di evolversi, sperimentare nuove esperienze e collaborazioni?

“Credo che la musica sia una questione ‘vocazionale’. Bisogna crederci e perseverare. Confrontarsi ed evolversi è parte essenziale della faccenda. E che faccenda!”

 

Pierpaolo Capovilla e I Cattivi Mestri non è un album “accogliente”, non vuole coprire con un cerotto nessuna ferita, non cerca di compiacere; infatti, si apre con Morte ai Poveri, che è anche il grido con cui inizia il brano stesso. Perché posizionare questo schiaffo proprio ad apertura del progetto?

“Ne parlammo a lungo in studio. L’idea di aprire la scaletta del disco con Morte ai Poveri fu di Manuele Fusaroli, produttore artistico, che ha curato le riprese, il missaggio e il mastering. “Prendere o lasciare!”. Ci trovammo tutti d’accordo. Questo disco è un album rock, un rock massimalista, radicale, senza compromessi. Il messaggio doveva essere chiaro fin dal primo pezzo, e Morte ai Poveri non poteva non essere destinata a divenire il manifesto del nuovo progetto.”

 

Violenza e sopraffazione. Queste le tematiche che attraversano il disco. Perché credi che sia ancora necessario parlarne?

“Perché violenza e sopraffazione sono caratteristiche dei tempi e del mondo in cui viviamo. Non possiamo far finta di niente, e cantar d’altro. Non sarebbe serio.”

 

Credi che la guerra sia solo fatta di armi?

“Evidentemente, no. Tempo fa lessi un provocatorio ma molto stimolante volumetto di quel mattacchione di Slavoj Žižek, La Violenza Invisibile, secondo il quale il conflitto armato non è che una delle manifestazioni possibili della violenza. Ce ne sono perlomeno altre due, quella ‘simbolica’, che si esprime nel discorso pubblico e privato e, ovviamente, nei media, e quella ‘sistemica’, fatta di salari inadeguati e insufficienti, di precarizzazione del lavoro, di disoccupazione, emarginazione, stigmatizzazione. Tutte e tre queste forme di violenza sono funzionali alla conservazione dello stato di cose in cui viviamo.”

 

Il disco si divide idealmente tra una prima parte più massimalista e tumultuosa e una più romantica e malinconica, come chi grida sfogando la sua rabbia e la voglia di farsi sentire, per poi rimanere a nudo con le sue riflessioni. Perché questa scelta?

“Mi sembra sia nell’ordine delle cose. Non c’è soltanto la rabbia nei confronti delle circostanze storiche che puntualmente si verificano e riverificano all’infinito, come rappresentassero un destino ineluttabile. C’è anche la commozione e il rammarico per la nostra impotenza: ci sentiamo inermi di fronte alla macroscopicità delle contraddizioni sociali e politiche, e così spesso ci rifugiamo nel nostro particolare, che è proprio ciò che vuole il sistema capitalistico: fatti gli affari tuoi e camperai cent’anni.”

 

Tutti sappiamo cosa la musica può fare. Ma, secondo te, cosa deve fare la musica, qual è il suo compito?

“Per come la vedo io, la canzone popolare, la musica ‘leggera’, il rock, nel nostro caso, possono contribuire ad una ridefinizione dell’immaginario collettivo, nel segno dei valori democratici, e in quello di un futuro diverso e non impossibile.”

 

Nel nostro sistema scolastico, lo studio della musica e della sua storia è relegato alle scuole secondarie di primo grado, per essere totalmente abbandonato in quelle di secondo grado, quando invece tante altre materie rimangono fondamentali, e giustamente, per il percorso intellettuale e umano della persona. Perché credi che lo studio della musica e soprattutto della sua storia sia relegato a un ruolo marginale in un Paese che ha dato e ancora dà grandi artisti riconosciuti da tutto il panorama musicale?

“L’educazione musicale è sempre stata una cenerentola nel nostro sistema scolastico. Ma non conosco la genesi o gli epifenomeni che ci portano a questa considerazione. Certamente, fa una certa tristezza constatare come la musica sia pressoché ignorata nella scuola italiana.”

 

Mi hanno detto che ti annoi se in un’intervista non si nomina Majakowskij. Vuoi parlarne?

“Ti hanno detto cosí? Non mi sembra di aver mai detto niente del genere. Magari ero sbronzo…”

 

Una nuova esperienza è come ricominciare da un punto zero, tornare bambini per crescere di nuovo sviluppando emozioni, idee, progetti. Come vuole il suo futuro Pierpaolo Capovilla?

“Ho cinquantaquattro anni, e non tornerò mai più bambino.
A una certa età si cambia definitivamente e irrevocabilmente. Posso però dire che sento tutto più urgente, urgente e necessario. Questi due anni di emergenza sanitaria, poi! Due anni rubati alle nostre vite, rendono l’urgenza ancor più significativa.”

 

Alma Marlia

España Circo Este “Ushuaia” (Garrincha Dischi, 2022)

Una vera boccata di allegria in un mondo che si prende troppo sul serio

In Lezioni Americane, Italo Calvino sosteneva che la vita andava presa con leggerezza “ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. In questa frase, troviamo così tanti significati che la mente corre alla ricerca di immagini da associare, concetti astratti da paragonare eppure basterebbe ascoltare Ushuaia, il nuovo progetto degli España Circo Este pubblicato da Garrincha Dischi. Il gruppo è formato Marcelo (voce e chitarra), Jimmy (batteria, percussioni, voce), Ponz (basso e voce) e Matteo (fisarmonica e violino) ed è un instancabile quartetto consolidato da un’intensa attività live e in studio. Si definiscono Tango-Punk, anche se le influenze del rock, del folk ma soprattutto del reggae sono molto chiare. 

Ushuaia è un lavoro composto da otto tracce allegre ed accattivanti che ti fanno ballare dalla prima nota all’ultimo accordo di chitarra. Tra ukulele e qualche distorsione, Amico è la voglia di trovare un complice con cui vivere la vita con leggerezza che è solo spianarsi la strada per la felicità, cercare di vedere il bello della vita, riuscire a confinare i problemi in un angolo, non farsi travolgere dalla “paura del futuro”. La voce di Marcelo prende a braccetto le note di ogni brano, gioca con il reggae di La Fine del Mondo Sei Te, per un viaggio che porta verso l’amore e l’arte, dove una canzone con tre semplici parole è tutto ciò che serve per dire quello che si ha dentro al cuore. E se la musica salva dalla timidezza, in La Mia Chitarra Ti Proteggerà, la sei corde da strumento musicale diventa uno scudo di protezione dal turbinio del mondo, ma non della musica perché il quartetto non risparmia ritmo ed energia in ogni nota. 

I testi che compongono i progetti sono semplici, diretti, quasi piccole storie fatte da ragazzi che non hanno voglia di complicare il pane, il sole e soprattutto il prosecco, ma senza per questo essere banali, né superficiali. Hanno solo fatta propria la lezione che la musica potrà non risolvere i problemi, ma può permetterti di ballarci sopra, e affrontarli senza dramma, anche se con la giusta serietà o la calibrata ironia che pervadono i loro brani. E questa lezione loro la trasformano in piena energia sonora che ti trascina con sé, senza chiedere permesso, perché la voglia di vivere non ha bisogno di bussare. 

Il lavoro degli España Circo Este non è un progetto di ampio respiro, è una vera e propria boccata di ossigeno e di allegria in un mondo, quello attuale, che spesso si prende troppo seriamente al limite della follia. Non vuole essere una raccolta di frasi da guru da citare sotto qualche foto ammiccante, è solo ciò che mostra di sé: un disco appassionato e appassionante con un sound ricercato ma talmente fresco che arriva a tutti. Un progetto che esprime un mood intenso e coinvolgente con un solo difetto: non basta mai, vorresti che continuassero a suonare, vorresti che fossero i tuoi pifferai di Hamelin per seguirli ovunque ti portino, basta fare il primo ascolto. 

 

España Circo Este 

Ushuaia

Garrincha Dischi

 

Alma Marlia

Tre Domande a: BORIANI

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Molto probabilmente sceglierei Serotonina. È il brano che ha dato il via all’album, il primo pezzo scritto che ha definito il mio ultimo lavoro. Era un periodo particolare, in cui tiravo somme e cercavo di darmi delle risposte. Non coincideva con una mia fase particolarmente positiva, proprio no, provavo comunque a trovare delle motivazioni valide che mi dessero una spinta nel cercare di essere felice. Ecco questa canzone mi ha aiutato tantissimo. È una mezza autoanalisi che mi sono fatto! Scelgo lei perché è la canzone dove più mi sono messo a nudo, dove ho cercato di raccontarmi per quello che sono davvero, senza filtri o caricature.    

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Anziché tre parole, ne dico cinque: canzoni tristi che fanno sorridere. Nei miei brani racconto di guai, danni, cazzate e cose non andate proprio nel verso giusto, ma in tutto questo casino cerco sempre di trovare il lato positivo, una soluzione, una speranza, un’idea che riesca a farmi notare il bello anche quando le situazioni sono complicate. Insomma cerco sempre di sorridere alla fine della fiera e nonostante tutto. Non è una descrizione definitiva questa che ho dato perché non riguarda tutti brani dell’album appena uscito (BORIANI, NdR), ma solo alcune canzoni, però mi piace come definizione. La mia musica non è altro che il risultato di come mi vivo le cose, dove semplicemente cerco di raccontarmi senza dipingermi per come la gente vorrebbe o per come vorrei essere. Quando faccio musica, l’unica strada percorribile è quella della sincerità emotiva, per tutto il resto, lascio fare al caos e alla creatività. 

 

Progetti futuri?

La parola futuro mi suona strana, ma allo stesso tempo sta prendendo sempre più forma nella mia testa. Dopo gli ultimi anni, un ritorno al futuro era difficile da immaginare. Il nostro settore ne ha sofferto tantissimo e insieme a lui anche noi musicisti, talmente tanto da dover mettere in pausa il lavoro di una vita. Piano piano si inizia ad intravedere una certa fiducia, soprattutto in vista dell’estate. Ecco se devo parlare di progetti futuri, parlo di un futuro prossimo, molto vicino. Spero di fare più live possibili perché la verità è che il palco mi manca. L’idea è quella di girare pecchio quest’estate per ritrovare quel contatto col il pubblico. Oltre ai live, altra volontà è quella di tirare fuori anche roba nuova, così da tornare a bomba sul mio album appena uscito. Ho aspettato tre anni perché venisse pubblicato il mio disco e in questa attesa non ho fatto altro che scrivere pezzi nuovi. Ecco non vedo l’ora di farvi sapere, con le mie canzoni, tutto quello che mi è successo negli ultimi tempi.

Tre Domande a: España Circo Este

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Bella domanda! Se dovessimo scegliere tre parole per descrivere la nostra musica sarebbero: Viaggio, Pace, Rivoluzione.
Viaggio non inteso “La nostra musica è un viaggio! La nostra musica ti fa viaggiare!”
No, no, intendo: “Quanto costa il biglietto dell’autobus? Sei mai stato in Marocco? Minchia come spinge il tuo furgone in salita!”.
Raccontare di viaggi parlando di jet lag e contando i timbri sul passaporto è una narrazione che troviamo molto autoreferenziale se non addirittura un po’ finta. Quello che invece ci interessa e che cerchiamo di raccontare è un immaginario che nasce dai particolari: dai rapporti umani, dalle stonature, dagli imprevisti che capitano durante i viaggi. Piuttosto che raccontare di Buenos Aires o Madrid, raccontiamo di come perdersi lungo la strada costiera 106 che collega Taranto a Reggio Calabria o di quanto cazzo di freddo c’era a Bremerhaven. Non sai dov’è? Cercala su Google Maps!
Oggi più che mai scegliamo anche la parola Pace. Come diceva Spinoza: “La pace non è solo assenza di guerra: è una virtù, uno stato d’animo”. La pace è un modo di essere e di porsi. Quando vogliono chiudere i porti, quando si discrimina un profugo in base alla provenienza o al colore della pelle, quando si stringono alleanze con paesi liberticidi non si vuole la pace. Quando, nel quotidiano, ci voltiamo dall’altra parte di fronte ad atteggiamenti razzisti o sessisti, quando ignoriamo chi ci chiede aiuto, quando smettiamo di cercare “qualcosa di più bello” allora smettiamo di cercare la pace. La pace è azione! La pace è lotta quotidiana. La pace va creata e mantenuta, non è una condizione ma un obiettivo, è una missione. Per questo nelle nostre canzoni parliamo di pace.
Poi ovviamente una parola a cui siamo molto legati è Rivoluzione, che è Amore… o forse l’Amore è la Rivoluzione… non ci ricordiamo mai bene la formula.

 

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Il nostro primo concerto quest’anno sarà una festa pazzesca! Così ce lo immaginiamo. Ci stiamo preparando al nuovo live in maniera famelica, attenta e paziente. Ogni giorno immaginiamo tutto il percorso di quella giornata quando faremo finalmente il nostro primo live: il risveglio la mattina, il carico del furgone, l’autostrada, la colazione in autogrill, l’arrivo, il soundcheck, la cena e la salita sul palco… e poi… e poi un volume altissimo, col primo accordo di chitarra che riuscirà a cancellare questo periodaccio, quest’anno di merda.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

La canzone che più ci rappresenta oggi è Prosecco, uscita il 25 febbraio 2022, in una fatale concomitanza con l’inizio della assurda e atroce guerra in Ucraina. Prosecco è un inno alla pace, alla fratellanza, alla curiosità verso chi vive altrove, si veste e mangia cose diverse, ma spera e ama proprio come noi.
Prosecco è la voglia di scoprire cosa c’è oltre la quotidianità, oltre la provincia, oltre la routine. L’evasione dalla quotidianità non è solo curiosità, è un atto di libertà e rivoluzione quotidiano, è un atto di amore verso chi è come noi anche se vive a migliaia di kilometri di distanza.

 

Foto in copertina: Andrea Domeniconi

I BOTANICI • Nuovo singolo in uscita

GRANDINA

in uscita l’11 Febbraio 2022

Dopo il fortunato EP di featuring “Kirigami”, I BOTANICI tornano sulle scene in una veste completamente rinnovata, annunciando questa metamorfosi di suono e di stile con un singolo in uscita l’11 febbraio per Garrincha Dischi: Grandina, un brano intriso di algida malinconia che sancisce l’inizio di un nuovo capitolo discografico per la band campana.

Al trio di Benevento, infatti, si aggiunge Stefano Titomanlio al basso, portando un ulteriore incremento di decibel al già corposo wall of sound a cui ci avevano abituati, un cambiamento che allarga ulteriormente lo spettro sonoro e arricchisce gli arrangiamenti.

Sul progetto rimane però la firma di Alberto Bebo Guidetti de Lo Stato Sociale, che insieme a Nicola Hyppo Roda ha prodotto il nuovo singolo.

Grandina si pone come manifesto della trasformazione radicale della band. Un brano che, come pioggia ghiacciata, si scaglia dritto al cuore di chi ascolta congelando per un attimo le sue emozioni, sospese tra chitarre che tessono trame intricate e un pianoforte che simula il ticchettio del tempo. Tutto riprende vita nel ritornello, dove potenti riff di chitarra e pattern di batteria marziali ricominciano a battere nel petto dell’ascoltatore, mentre la voce esplode in un urlo lancinante che esprime l’attesa inesorabile di un futuro dove poter tornare ad unirci tutti in un pogo furioso.

«Grandina è uno spaccato sul sentirsi intrappolati in una prigione fatta di ricordi» racconta la band «Una nota autobiografica sull’eterno presente che le giornate sembrano portarsi dietro, con la loro vacuità di senso. Grandina però è anche un fantasma dal futuro, una presa di coscienza della tensione che ci trascina verso qualcosa di sconosciuto. Un ricordo artificiale a proteggere una superficie ruvida e increspata, dove saremo soli, mentre la grandine ci blocca in un limbo di incertezza.»

CREDITI
Musica e parole di Antonio Del Donno, Gaspare Vitiello, Gianmarco Ciani e Stefano Titomanlio.
Edizioni: Garrincha Edizioni Musicali.
Produzione artistica di Alberto ‘Bebo’ Guidetti, Nicola ‘Hyppo’ Roda e Antonio Del Donno.
Registrato e missato da Nicola ‘Hyppo’ Roda e Antonio Del Donno presso il Donkey Studio di Medicina (BO). Masterizzato da Francesco Brini presso lo Spectrum Studio di Bologna.
Artwork di Temo Creative Studio. Fotografie di Carmine Musella.

BIOGRAFIA
I Botanici nascono nel gennaio del 2015 a Benevento. Nel 2017 esordiscono con “Solstizio”, LP pubblicato per Garrincha Dischi, sotto la produzione di Alberto Guidetti. La promozione del disco li vede in giro per più di 70 date in tutta Italia, su palchi e con band di spessore nazionale. Al termine del tour, pubblicano, sempre per Garrincha Dischi, “Solstizio Deluxe”, riedizione del primo disco contenente in aggiunta due brani inediti e una cover. Nel 2018, Mirko di Fonso, lascia la band per dedicarsi al suo progetto solista. I Botanici (Gianmarco Ciani, Antonio del Donno, Gaspare Maria Vitiello), pubblicano nel 2019 il loro secondo disco, “Origami”, contenente undici tracce tra cui un featuring con Lo Stato Sociale. Edito Garrincha Dischi e Fonoprint, anche in “Origami” la produzione è affidata ad Alberto Guidetti. La promozione del disco li vedrà impegnati fino a marzo 2019 in tour, seguiti da Stefano Titomanlio al basso che entrerà in pianta stabile nella band. Nel 2020 prende vita l’EP “Kirigami”, in cui la band coinvolge Maggio & Tanca, Le Endrigo e Giorgieness per arricchire, con la loro partecipazione, alcuni brani di “Origami”. Nel 2021 la collaborazione con Alberto Guidetti prende nuove forme. I Botanici suonano le chitarre nel brano “Fantastico!” pubblicato nell’EP “BEBO”. Nel 2022 riapprodano sulle scene annunciando il nuovo singolo “Grandina”, apripista del loro nuovo capitolo discografico, in uscita l’11 febbraio per Garrincha Dischi.

I BOTANICI
IG: https://www.instagram.com/ibotaniciband/

FB: https://www.facebook.com/ibotaniciband

SPOTIFY: https://sptfy.com/7jSb

Tre Domande a: Lili

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

È un delirio assoluto per tutti e tutte le categorie, il nostro settore non è mai riuscito a ripartire del tutto. Gli ultimi due anni di incertezze hanno sicuramente influito duramente sulle nostre scelte anche da un punto di vista artistico, abbiamo incominciato a scrivere maggiormente a distanza, quindi anche le nostre dinamiche di composizione e produzione sono cambiate, ma siamo felici che nonostante tutto non ci siamo perse d’animo e abbiamo continuato a lavorare, in un certo senso anche più forti di prima.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Lili è una costola di Lilies on Mars, il primo progetto che ci vede come songwriters in duo. Il nostro è stato un percorso lungo di sperimentazione nato a Londra, attraversando progetti musicali ed esperienze che ci hanno sempre viste insieme, in un’evoluzione che ci ha coinvolte sempre di più nella produzione di musica elettronica e per la prima volta sperimentando il canto in lingua italiana.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

È una domanda difficile a cui rispondere perché tutte le nostre canzoni ci rappresentano, ognuna per motivi diversi. Ma in questo preciso momento indicherei sicuramente Ritornare la terza traccia del nostro primo EP. È un pezzo a cui teniamo molto, che coinvolge la maggior parte degli elementi che ci rappresentano e che ci piacciono nella musica, in questa fase della nostra sperimentazione: dalle atmosfere dreamy su cassa dritta in quattro, al testo onirico e allo stesso tempo emblematico, all’utilizzo di synth e strumenti elettronici e della chitarra distorta. 

 

Foto di copertina: Stefania Anetti

Tre Domande a: Loren

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Per prima cosa un grande ciao a tutti. Questi non sono tempi difficili, sono tempi impossibili. Stiamo cercando di restare calmi. Ci facciamo forza a vicenda. Mai come in questo momento c’è bisogno di buoni amici e di parlare di quello che ci sta succedendo. C’è bisogno di non disperdersi, di non isolarsi, di restare Uniti. Non è un caso che abbiamo chiamato così il primo singolo di questa nuova avventura con Garrincha Dischi e Sony Music.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

In questo nuovo album che stiamo facendo uscire piano piano, il secondo singolo Stendhal è uscito su tutte le piattaforme qualche giorno fa, ci siamo concentrati tanto sul fare un lavoro musicale largo ed eterogeneo. Ci piacerebbe far arrivare il messaggio che con la musica si può giocare; anzi di deve. C’è troppa omologazione in questo momento storico. Ci piacerebbe riuscire a dimostrare che si può uscire dalla strada che tutti percorrono. La rincorsa alle playlist di Spotify sta rendendo il panorama veramente troppo piatto. Quasi soffocante. 

 

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Lo immaginiamo pieno di vita. Pieno di Energia. Come un’esplosione dopo che ti sei tenuto tutto dentro per troppo tempo. Lo immaginiamo a Firenze che è la nostra città. Lo immaginiamo in un mondo che si è messo alle spalle questa brutta storia della pandemia e, soprattutto, lo immaginiamo presto. Questa primavera. Subito dopo l’uscita del nostro disco. Lo immaginiamo con tutti voi presenti.

 

Un abbraccio 

LOREN 

Le Endrigo “Le Endrigo” (Garrincha Dischi, 2021)

Manifesto post punk per disagiati

 

25 marzo 2021
“Oggi muoiono Gli Endrigo.
Oggi nascono Le Endrigo.
Perché?
In un mondo in cui un articolo determinativo fa ancora la differenza e comporta privilegi, noi scegliamo di liberarcene e unirci al coro e alle battaglie di chi li vuole sradicare.”

Questo l’annuncio ufficiale che hanno lanciato Le Endrigo ad un mese dall’uscita del nuovo disco Le Endrigo, anticipato dai singoli Infernino, Smettere di fumare, e la dolcissima e malinconica Anni Verdi.

Le “sorelline” Tura (Gabriele voce, Matteo chitarra, basso e tastiere) e la loro amichetta Ludo (Ludovico Gandellini alla batteria) sono la risposta umana sensata a er Faina: sono i Guerrieri dei nostri tempi, cavalieri senza mantello né destriero, pronti a difendere il più debole con una sola arma: la musica. E cercano di abbattere gli stereotipi sulla musica stessa, abbracciando davvero l’idea punk: la protesta. 

Disapprovano una società prevalentemente maschilista, omofoba, razzista, e non hanno paura a dire ciò che pensano.

La lotta contro l’omofobia e la mascolinità tossica è espressa al meglio in due brani. 

Il primo, Cose più grandi di te, con uno stile Verdena, un basso favoloso, frasi tipo “Piangere è da gay” è un attacco aperto alla mascolinità tossica, che ripudia ogni sentimentalismo, e punta ad una società dove “i ragazzi fanno i ragazzi”, dove ognuno ha il suo ruolo prestabilito.

L’altro brano è Stare Soli, una ballata sfrontatamente ritmica, e con la frase “La mia debolezza è uno stile di combattimento” distrugge l’idea dell’uomo “che non deve chiedere mai”, del prototipo maschile duro e privo di emozioni.

Manifestano la loro volontà di esprimersi. Il fatto è questo. Quando avevamo quindici anni eravamo convinti che essere ribelli significasse urlare e spaccare cose. Arrivati ai trenta ci siamo (quasi) stancati di urlare, e abbiamo solo voglia di dire quello che pensiamo, nei modi che riteniamo più giusti. 

Le Endrigo si prendono la libertà di essere sé stessi, senza la pesantezza di sentirsi incasellati dentro ad un genere musicale in cui ci si aspettano sempre lavori molto heavy, pesanti e punk. 

L’eterea malinconia nella voce di Gabriele (già nota nel singolo Anni Verdi, Infernino) è alternata a pezzi vecchio stile, sia nei titoli (Standard rock per chi ci ascoltava prima…; Il cazzo enorme di chi suona) che nelle sonorità. Un lunghissimo errore, sesto brano dell’album, è energia allo stato puro. Qui ci odiano tutti e a casa non apro a nessuno… Un pezzo che ti fa venire voglia di pogare. (per ora, col divano…).

La vera chicca dell’album è la prima canzone, Io non sono capace. Più che una canzone è un’ammissione di colpa. Il manifesto di una generazione disagiata, con evidenti problemi relazionali. Ci ritroviamo a festeggiare trent’anni senza capire come cazzo ci siamo arrivati. Quelli che sentono di non essere adatti alla vita e che soprattutto non si riconoscono negli obiettivi che ci prefissa la società. Quelli che hanno tanti amici, e nonostante tutto la solitudine li accompagna sempre.

Questo album rappresenta l’evoluzione non solo musicale di questi baldi giovani, ma anche quella spirituale, cercando di staccarsi da quello che la società vuole imporci come standard di comportamento. 

Le Endrigo sono disagio, urla, poesia, emozioni, cuore.

 

Le Endrigo

Le Endrigo

Garrincha Dischi / Manita Dischi

 

Marta Annesi

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