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Tag: horse lords

VEZ5_2022: Massimiliano Mattiello

A dicembre scorso, mentre pubblicavamo per il secondo anno di fila le personali top 5 della redazione e degli amici di VEZ, ci eravamo augurati come buon proposito per l’anno nuovo di tornare il prima possibile e in modo più normale possibile ad ascoltare la musica nel suo habitat naturale: sotto palco.
Nel 2022 tutto sommato possiamo dire di esserci riusciti, tra palazzetti di nuovo pieni e festival estivi senza né sedie né distanziamenti. Però ormai ci siamo affezionati a questo format-resoconto per tirare le somme, quindi ecco anche quest’anno le VEZ5 per i dischi del 2022.

 

Horse Lords Comradely Objects

Entrarono già nella mia top 2020 per The Common Task che ne certificò il valore ed eccoli ancora. Il titolo del nuovo disco fa riferimento al movimento artistico del costruttivismo, il cui assunto fondamentale è che l’opera sia il frutto di una “costruzione”, l’unire insieme qualcosa a partire da una certa quantità e qualità di elementi. Le note sono concepite come delle figure geometriche, con un tiro e una genialità uniche e propongono interi multiversi sensoriali. Un sistema di composizione per pattern, che si intrecciano stagliandosi su ritmiche vorticose e incalzanti. Questo dà vita a qualcosa di estremamente coinvolgente che non lascia alcun punto di riferimento all’ascoltatore.
Un album che definirei gioia per orecchie curiose.

Traccia da non perdere: Zero Degree Machine

 

Širom The Liquified Throne of Simplicity

I tre polistrumentisti sloveni, Iztok Koren, Ana Kravanja e Samo Kutin, hanno realizzato il loro viaggio sonoro, dal suono ricco di riferimenti ma al tempo stesso inedito, dove la mescolanza di tradizioni, etnie e culture, sta al centro dell’ indagine.
Senza strutture rigide, figure ritmiche ripetute e improvvisazioni solistiche giocano di graduali crescendo, a volte sconfinando in un rito primitivo, altre in un vortice inquieto, altre ancora in momenti di intenso lirismo. Si rinnova così il viaggio nei territori sconosciuti e misteriosi di una musica che coniuga krautrock, ambien, folk balcanico e post-rock, e lo fa con attitudine psichedelica, ma al contempo suonando come qualcosa di mai udito. Strumenti come l’hurdy gurdy, la lira, il flauto, l’ocarina, il mizmar, il banjo, violini e percussioni varie creano un folklore sperimentale, alieno e ancestrale intercettando nuove forme di esoterismo. Il finale può evocare i duetti tra i musicisti di JoujoukaOrnette Coleman – Dio ha fatto che sia riuscito a vederlo live una volta, quel giovedì 23 novembre 2006 al teatro Verdi di Padova: magico, come questo disco.

Traccia da non perdere: Grazes, Wrinkles, Drifts into Sleep

 

Black Midi Hellfire

Spregiudicato e potente, l’album in studio dei Black Midi arriva ad allargare i confini della dimensione sonora del gruppo e, oltre a confermare la sua complessità, rivela nuovi impeti narrativi volti a riflettere lo stato caotico del mondo.
Un disco altresì ostico e non immediato dove tutti i tasselli sono al posto giusto, ma non per celebrare una normalizzazione lirica e armonica, quanto per svelare i segreti della destrutturazione sonora. Il disco appare come un film d’azione epico, un’apoteosi di conflittualità stilistica capace però di racchiudere in sé un potere viscerale tale da commuovere e sorreggere l’essenza delle immagini e dei personaggi protagonisti delle dieci canzoni. Spingendo l’acceleratore su una teatralità a perdifiato, i Black Midi sfruttano tutto il loro potenziale strumentale e creativo per un surreale e rocambolesco citazionismo, che mette in crisi qualsiasi tentativo di raffronto o accostamento. Un’epifania che orienta verso nuovi percorsi evolutivi.

Traccia da non perdere: Welcome to Hell

 

Black Country New Road Ants From Up There

Evitando di parlare dell’abbandono dei Black Country New Road, da parte del frontman Isaac Wood, possiamo constatare che anche questa volta la band è capace di stupire con un senso di travolgente instabilità.
La loro euforia, infatti, sembra essere a un millimetro dal collasso e i momenti corali paiono l’eco di soliloqui amletici. La difficoltà di mantenere una relazione amorosa è il filo rosso che collega quasi tutte le tracce del disco, ma questa volta il tema è affrontato senza ricorrere allo stile surreale. Il racconto è spesso metaforico e la metafora è il più delle volte collegata al cibo. Il secondo disco dei BCNR è un dedalo della subcoscienza in cui rischiamo di perderci alla ricerca delle nostre stesse emozioni.

Traccia da non perdere: Concorde 

 

Stefano Pilia Spiralis Aurea

Ecco l’Italia (suona un po’ stonato di questi tempi)!
Che Stefano Pilia percorresse traiettorie mai banali, seppur profondamente intime, incredibilmente umane e tentendi  quasi naturalmente alla composizione classica-contemporanea, era evidente a chi ne seguiva le gesta. Di questa tendenza è perfetto esempio Spiralis Aurea: un gioiello di post-minimalismo ricco di concetti e forgiato da una profonda emotività.
La concezione compositiva di Pilia si staglia con emozionante nitore e richiede all’ascoltatore la capacità di interrogarsi in qualunque momento. Un lavoro stratificato e denso che svela intimità e confronto con stati di consapevolezza che ciascuno poi declina a seconda della propria sensibilità. Passaggio dopo passaggio, il disco trasporta in un luogo sospeso, in una selva di simboli, rituali, codici, indizi, ritorni ciclici che indubbiamente aprono una nuova fase nel percorso di questo alchimista sonoro.
Trattasi di una spirale che guida verso momenti di disarmante commozione, in cui gli ingranaggi fanno brillare l’oro dei dettagli.

Traccia da non perdere: CODEXIII (+)

 

Honorable mentions 

Tom Skinner Voices of Bishara Album breve (sei brani in mezz’ora scarsa), dove però accadono episodi notevoli. Non è facile annoiarsi con Voices Of Bishara. Facile piuttosto chiedersi fin dove potrà arrivare questo “rinascimento” jazz, che jazz non è se non nelle radici.

Birds in Row Gris Klein Trattasi di un lavoro meticoloso sotto il profilo della scrittura e della costruzione, il cui risultato è una creazione intensa e violenta, feroce e complessa, a tratti addirittura disperata. Un sound variegato e al tempo stesso perfettamente riconoscibile. Non sono tanti i dischi che arrivano dritti allo stomaco fin dal primo ascolto, questo lo è.

Crippled Black Phoenix Banefyre Il viaggio emotivo di Banefyre è sicuramente d’impatto. Il loro è un dark prog con sfumature hard, gothic, folk e psych, caratterizzato da chiaroscuri continui. Ancora un lavoro eccezionale dove la componente atmosferica è estremamente importante.

Kae Tempest The Line Is A Curve Questo lo possiamo definire il primo disco in cui Kae Tempest non ha paura di metterci la faccia e la ricerca dell’identità è finalmente completata, dichiarata. È proprio la bulimia poetica dell’artista a far fluire fiumi di parole il cui intento è chiaro e netto: nessuno slogan, nessun ritornello, nessuna bandiera, nessuna ipocrisia. Solo la consapevolezza dei temi centrali: accettazione, resilienza, abbandono, avvolti da un suono dub e hip-hop semplice, elettronico e lineare, alle volte essenziale, altre romantico.

Weyes Blood And In The Darkness, Hearts Aglow Nonostante non ci sia nulla di nuovo sotto il sole per quanto riguarda il lato musicale, ciò che è notevole nelle produzioni di Weyes Blood è proprio questa sua capacità di creare atmosfere surreali, esplorando, nei testi, le proprie paure e sensi di colpa.

 

Massimiliano Mattiello

VEZ5_2020: Massimiliano Mattiello

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Young Jesus “Welcome to Conceptual Beach”

Sono in quattro, sono di Los Angeles e il loro è un disco irregolare ed emozionante che esplora territori prettamente art rock.
In tre quarti d’ora di musica emergono influenze jazz, Talk Talk e post-rock con grande gusto melodico e una creatività compositiva in cui fluttua leggiadra una voce dichiaratamente ispirata a maestri come Antony/Anohni. La loro musica non si pone limiti a proposito di struttura e durata delle composizioni.
L’album lo considero, senza titubanze, una genuina sperimentazione che fa emergere momenti in cui l’ingegno del quartetto californiano incontra il genio.

Traccia da non perdere: (Un)knowing

 

Moses Sumney “Græ”

Statunitense di origini ganesi, Moses Sumney offre un paesaggio sonoro lungo e alieno, complesso e intricato, dove ci si specchia senza pudore e in modo estensivo. Il cantautorato di questi 20 pezzi è stilisticamente liquido e caleidoscopico. Trattasi di un songwriting mutante nel quale fiati, chitarre, violini, archi, arpe, elettronica e tasti vari costituiscono un folklore totalizzante a contrasto di una cornice intimista.
È lampante l’eleganza con cui vengono disposti ingredienti di electro-R&B, tendenze jazz, pop barocco, nu-folk e art-rock.
Moses l’ha chiamato Græ, ma per quel che mi riguarda, i suoni e i temi di questo disco hanno più i crismi dell’esplosione di colori di un Holi indiano convertito in musica. Mai come in questo caso, il grigio diventa un colore carico di riflessi iridescenti di incatalogabile bellezza.

Traccia da non perdere: Bless Me

 

Horse Lords “The Common Task”

Tra colleghi architetti spesso scherziamo definendo alcuni tentativi di minimalismo come una semplice scusa per non fare. Beh, per il quartetto strumentale di Baltimora, il minimalismo musicale è, al contrario, materia molto complessa.
In origine per similitudine accostabile ad una geometria simmetrica, pian piano il disco percorre un’asimmetria come generatrice del tempo musicale nel quale vengono miscelati in un ordine marziale math-rock, matrici afro, e un sapore fortemente kraut rock. Poliritmie angolari definiscono una musica atonale di un’intensità notevole.
Lo trovo un groviglio perfettamente composto di trame e ritmi, nel quale il climax crescendo dell’opera diventa la sublimazione di una sperimentazione lucida e conturbante.

Traccia da non perdere: People’s Park

 

Gil Scott-Heron & Makaya McCraven “We’re New Again – A Reimagining by Makaya McCraven”

Makaya McCraven, talentuoso batterista e compositore della scena di Chicago, crea un progetto dove decide di impiegare il suo estro di arrangiatore, produttore e performer al servizio dell’immaginario del poeta-cantautore di Chicago, “rimaneggiando” I Am New Here, ultimo, folgorante disco di Gil Scott-Heron, cantante e poeta di livello stellare scomparso nel 2011.
Reimmergendo la forza vocale e verbale di Gil Scott-Heron in un rinnovato flusso strumentale, il risultato è un approdo perfetto ad una sintesi fra sonorità elettroniche e acustiche dove il folk diventa rap, il free-jazz, gospel elettronico e molto altro ancora.
Dopo svariati ascolti posso considerare questi 40 minuti scarsi, un remix Jazz-blues contemporaneo pienamente riuscito, in cui un drumming sempre in prima linea e un cut-and-paste chirurgico rendono il disco una scrittura musicale (e feel da presa diretta) dalla forte evocazione culturale afroamericana. Contaminato e contaminante.

Traccia da non perdere: Me and the Devil

 

Adrianne Lenker “Songs / Instrumentals”

Adrianne Lenker dona un folk acustico dall’espressività emotiva coraggiosa. Il disco suona come una dolce confessione nella quale viene esternato un diario intimo di nostalgia e di inquietudine.
Arpeggi bucolici riempiono lo spazio di una musica che scorre in modo fisico, caratterizzata da suoni lo-fi e riverberi quasi naturali di pioggia e vento. Variabili tonali e armoniche della chitarra acustica vengono esplorate in un progetto unitario quanto brutalmente affascinante. La dimensione del disco è coinvolgente e sincera soprattutto nella sua incertezza lirica.
Un disco per anime sensibili, utile alle mie esigenze meditative.

Traccia da non perdere: Anything

 

Honorable mentions 

Yves Tumor “Heaven to a Tortured Mind” Un piacevole schiaffo glamour e smaccatamente pop sui canoni della black music più sperimentale. 

Jeff Parker & The New Breed “Suite For Max Brown” Qui i Tortoise c’entrano poco. Il disco è un percorso in cui un eclettico Jazz astratto viene contaminato dal groove dell’hip-hop e dall’elettronica, in un’epifania musicale impalpabile ma marmorea.

Special Interest “The Passion Of” Una voce male/educata, ritmiche elettroniche compulsive, suoni deflagranti e un espressività post-punk furente quanto necessaria. 

Brigid Mae Power “Head Above The Water” Un coinvolgente folk anglosassone dal respiro antico, un dolce lamento in cui anche la voce si fa strumento.

Protomartyr “Ultimate Success Today” Chitarre stridule e una voce flemmatica definiscono un post-punk in cui incombono pulsioni atomiche. Da non perdere.

 

Massimiliano Mattiello