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Tag: interpol

VEZ5_2022: Francesca Garattoni

A dicembre scorso, mentre pubblicavamo per il secondo anno di fila le personali top 5 della redazione e degli amici di VEZ, ci eravamo augurati come buon proposito per l’anno nuovo di tornare il prima possibile e in modo più normale possibile ad ascoltare la musica nel suo habitat naturale: sotto palco.
Nel 2022 tutto sommato possiamo dire di esserci riusciti, tra palazzetti di nuovo pieni e festival estivi senza né sedie né distanziamenti. Però ormai ci siamo affezionati a questo format-resoconto per tirare le somme, quindi ecco anche quest’anno le VEZ5 per i dischi del 2022.

 

Spoon Lucifer on the Sofa

Uscito a Marzo e in cuor mio già sapevo sarebbe stato il mio disco dell’anno. Così corposo, solido e pieno, non riuscivo a smettere di ascoltarlo perchè ogni volta che premevo play ero rapita in una dimensione parallela, un misto di ricordi, nostalgia e un’eterea sensazione di fresca leggerezza.
Gli Spoon sono tornati ai gloriosi vecchi fasti e hanno dato riprova di essere dei maestri dell’indie rock.

Traccia da non perdere: Astral Jacket

 

Manuel Agnelli Ama il Prossimo Tuo Come Te Stesso

Strano da parte mia inserire un disco italiano nella mia top 5 dell’anno e addirittura in seconda posizione, ma anche quello di Manuel Agnelli è un disco che ho fatto fatica a togliere dallo stereo. Ben costruito, si va da classiche tracce “Agnelliane” con il loro tipico essere sporche e graffianti alla dimensione splendidamente cinematografica di Pam Pum Pam e La Profondità degli Abissi, passando per pezzi grigio nebbia milanese di una bellezza struggente.

Traccia da non perdere: Milano con la Peste

 

Father John Misty Chloë and the Next 20th Century

Sebbene l’ultimo God’s Favorite Customer non avesse entusiasmato e mi avesse fatto pensare che il caro Josh si fosse un po’ prosciugato creativamente, questo Chloë and the Next 20th Century sorprende (e piace) parecchio: le atmosfere anni ’20, l’eco di cristalli tintinnanti, bicchieri da cocktail e il fruscio di abiti di seta sono evocati da un sound inaspettatamente retrò che però funziona, cavolo se funziona! Chloë and the Next 20th Century è un album tenero e piacione, da ascoltare languidamente, da ballare addirittura, con la compostezza e il garbo del secolo scorso.

Traccia da non perdere: Kiss Me (I Loved You)

 

Interpol The Other Side of Make Believe

Quando si parla di Interpol quello che viene in mente è eleganza e stile e The Other Side of Make-Believe è l’ennesima conferma che anche se passano gli anni la sostanza rimane quella. Forse sono di parte, perchè Paul Banks potrebbe anche leggere l’elenco telefonico e lo troverei comunque affascinante, ma questo non toglie che insieme alla chitarra pungente di Daniel Kessler e al pestare preciso di Sam Fogarino, le canzoni assumano il loro sound distintivo che è tipico ma allo stesso tempo lontano anni luce dall’essere stagnante, danno il conforto del conosciuto spingendo però l’ascoltatore verso nuovi orizzonti tutti da esplorare.

Traccia da non perdere: Fables

 

The Afghan Whigs How Do You Burn?

Greg Dulli sa come fare rock, è questa la certezza che viene confermata dal nuovo album de The Afghan Whigs: un rock potente ma composto, che va dritto al punto, cioè al cuore. Ed è un pezzo di cuore quello che c’è in questo How Do You Burn?, a partire dal titolo suggerito dal compianto Mark Lanegan, che da queste tracce ci canta le sue ultime note.

Traccia da non perdere: I’ll Make You See God

 

Honorable mentions 

Arctic Monkeys The Car – Fuori cinquina per un soffio, il nuovo corso di Alex Turner e soci è una piacevolissima (ri)scoperta. Cinematografico e piacione.

Band of Horses Things Are Great – Un po’ come per gli Spoon, anche i Band of Horses ritrovano la strada di casa, e tornano a fare un album degno di nota.

Marlene Kuntz Karma Clima – C’è bisogno di colta bellezza e questo è il disco giusto per soddisfarlo.

Editors EBM – Un disco un po’ strano al primo ascolto, ma che alla lunga prende e si fa ascoltare ancora e ancora.

Pinegrove 11:11 – Il disco sconosciuto\novità dell’anno, ascolto piacevolissimo.

 

Francesca Garattoni

Interpol “The Other Side of Make-Believe” (Matador Records, 2022)

“C’è sempre una settima occasione per una prima impressione”. Ci dice così Paul Banks, frontman e cantante degli Interpol, alla viglia dell’uscita di The Other Side of Make-Believe, settimo disco della band newyorkese. A quattro anni dall’ultimo lavoro –  Marauder (Matador Records, 2018) – gli Interpol si riscoprono la band indie rock che erano ai tempi del mai troppo amato Antics (Matador Records, 2014),  proponendo un album vivace, ispirato e preciso.

Quello che ha sempre contraddistinto la produzione degli Interpol è l’attenzione alla composizione, sempre sobria ed elegante, dei pezzi dove la chitarra dialoga sapientemente con la parte ritmica. Come è diventato un marchio di fabbrica la distorsione tagliente delle corde, inimitabile è anche la voce di Banks, seria, compunta e mai fuori posto. The Other Side of Make-Believe fa pensare ai primi dischi con pezzi come Fables o Renegade Hearts, anche se l’ispirazione si coglie nel vivo con i riff di Mr Credit, un pezzo squisitamente alla Interpol ma con una marcia in più. La vena darkwave non manca e si fa possente in brani come Greenwich o Into The Night, il cui giro di basso ammicca ai Joy Division.

Banks e soci sono sempre stati affini al post punk evocativo e nostalgico, senza perdere mai l’occasione di ricordare a chi ascolta la tragedia del vivere. Nota di merito va al pezzo di chiusura, Go Easy (Palermo), breve ma intensa ode alla malinconia.

Tornando alle parole di apertura, il nuovo modo di scrittura del disco – scritto e composto in isolamento per cause note sui monti – ha portato un’ispirazione diversa alla band, una vena compositiva che guarda al passato per riscoprirsi nel presente.

Il disco piacerà alla vecchia guardia dei fan, contenti di ritrovare le origini della band ma, non di meno, accontenterà anche chi si avvicina per la prima volta, forse per sentito dire. Con The Other Side of Make-Believe, l’oscurità si mette giacca e cravatta e sfila accanto ai suoi interpreti, gli ultimi veri gentlemen dell’indie rock.

 

Interpol

The Other Side of Make-Believe

Matador Records

 

Fernando G. Maistrello

Interpol @ Heartland Festival

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Heartland Festival 2019

[vc_row][vc_column][vc_column_text]C’è un castello, nella campagna danese, che sembra uscito da una delle fiabe di Hans Christian Andersen: nel mare verde dei campi, si erge al centro di un laghetto con le sue torri, guglie e tetti che sembrano meringhe. Ci sono cigni e pavoni, cespugli potati a forma di scoiattolo e labirinti di siepi e, in fondo ad un viale illuminato da lampadari di cristallo appesi tra gli alberi, si entra nel mondo magico dell’Heartland Festival.

Per dirla con le parole di una cara amica, “è un festival per hipster anziani” e l’edizione di quest’anno non ha fatto che confermare questo pensiero già fortemente radicato nell’identità del festival fin dal suo esordio quattro anni fa. L’Heartland, infatti, è un evento non solo musicale ma culturale a tutto tondo: Music / Art / Talk / Food sono i quattro pilastri su cui si basa, dando spazio non solo ai concerti, che sono comunque la parte preponderante del programma, ma anche a dibattiti (su temi legati all’arte, musica, ecosostenibilità…), installazioni artistiche ed esperienze culinarie con chefs stellati, il tutto in un’ambientazione degna del Sogno di una notte di mezza estate.

Per poter godere appieno del festival, non basterebbe essere uno e trino e quindi, dovendo proprio scegliere tra tutte queste attività artistico-intellettuali — inclusa magari una sessione di yoga con vista sul cigno gonfiabile dall’espressione svantaggiata (Swan-Thing, David Shrigley) parcheggiato nel fossato del castello — e dei sani concerti, la scelta è caduta ovviamente sui concerti, con un’eccezione: il talk di Vivienne Westwood.

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David Shrigley “Swan-Thing”

Il programma di quest’anno è stato particolarmente ricco, con una varietà di generi dal jazz (Kamasi Washington) all’alternative hip hop (Die Antwoord), passando per gli immancabili artisti danesi sia emergenti (Jada) che affermati (The Minds of 99), ma è il rock con le sue varie sfumature a farla da padrona, dal brit-pop di Richard Ashcroft all’eleganza decadente degli Interpol.

Proprio in questi giorni il leader dei Primal Scream Bobby Gillespie ha rilasciato una dichiarazione second cui “il rock è come il latino, una lingua che sta morendo”, ma chi era lì presente al festival non è sembrato troppo d’accordo con questa affermazione: ogni sera, davanti a The Good, the Bad & the Queen, The Raconteurs e The Smashing Pumpkins, headliners di questa edizione, c’erano tutte le 18000 persone che questo festival può accogliere, ad ascoltare, rapiti, le canzoni, a ballare, entusiasti, al ritmo delle chitarre, ad acclamare idoli del passato e geni musicali dei giorni nostri.

E così, nel festival del regno delle fate, davanti ad un pubblico sereno ed educato — tanto da poter bere da bicchieri e bottiglie di vetro in transenna — sono passati sul palco Damon Albarn domatore di folle, Jack White sorridente che godeva della musica che stava suonando, e Billy Corgan magnetico, una delle ultime vere rockstar nelle movenze e nel carisma.

Ondate di emozioni come folate di vento hanno fatto ondeggiare braccia e battere i cuori all’unisono, migliaia di voci hanno fatto salire al cielo il loro canto, stonato, liberatorio, ma in quei momenti il rock stava facendo il suo incantesimo che lo renderà sempre una lingua attuale.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

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• Day 1 •

30 Maggio 2019

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The Good, The Bad & The Queen

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Primal Scream

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Charlotte Gainsbourg

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John Grant

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Lewis Capaldi

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• Day 2 •

31 Maggio 2019

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The Raconteurs

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Elbow

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The Minds of 99

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Jada

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Danny Brown

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• Day 3 •

1 Giugno 2019

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The Smashing Pumpkins

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Interpol

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Die Antwoord

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Hot Chip

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Vivienne Westwood

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