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Tre Domande a: Gemini Blue

Come e quando è nato questo progetto?

Siamo nati in periodo covid. Appena conosciuti, abbiamo legato e creato un buon rapporto di amicizia, poi abbiamo iniziato a suonare insieme inizialmente senza nome e vista l’intesa abbiamo deciso di rimanere in due!
Eravamo entrambi alla ricerca di qualcosa di nuovo, avevamo idee e voglia di produrre nuova musica così in maniera molto naturale abbiamo iniziato subito a scrivere, condividere ascolti e nuovi artisti che stimiamo.
A inizio 2021 abbiamo pubblicato il nostro primo brano The Mountain, registrato nello studio casalingo di uno dei nostri primi insegnanti poi nel corso dell’estate abbiamo pubblicato If You Change Your Mind che esprime un ulteriore nostro lato artistico.
Nel 2022 invece abbiamo iniziato a collaborare nella produzione con Paolo Blodio Fappani registrando alcuni dei nostri brani che avevamo nel cassetto da un po’ ormai. Abbiamo partecipato a X-Factor 2022, pubblicato tre singoli Alternatives, Bullshit Song e Demons Of The City  che sono anteprime del nostro disco di debutto in arrivo il 21 Aprile. Ora non vediamo l’ora di poterlo far sentire!

 

Se doveste riassumere la vostra musica con un tre parole, quali scegliereste e perché?

Fiume, catarsi e ascolto.
Fiume perché nei luoghi dove siamo cresciuti questo elemento naturale infonde la vita e il suo ritmo, di conseguenza è da sempre un importante posto di pace per noi, sulle sue sponde sono nate le prime composizioni.
Catarsi perché in primis la nostra musica ha come funzione il comunicare quelle sensazioni di disagio o felicità che non riusciamo a esternarne in alcuna altra maniera, ciò ha funzione rituale e ci permette di alleggerirci e di utilizzare il nostro sentire come energia per costruire.
Ascolto perché la nostra musica richiede volontà di ascolto e comprensione, se fra di noi, o tra noi e gli ascoltatori viene a mancare questo elemento, Gemini Blue diviene come un sasso del mare lontano dalle sue acque: grigio e senza colore.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Noi siamo nati come band live e di conseguenza abbiamo cercato di rendere i nostri show il più comunicativi e personali possibili. Vogliamo mostrare le nostre esperienze di vita e sentimentali, portando il pubblico in un contesto quasi mistico spirituale, crudo e naturale, quel contesto in cui in parte siamo cresciuti.

I molteplici progetti passati, presenti e futuri di Andrew McMahon

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Da astro nascente dell’emo rock a stella del pop radiofonico. In questa breve intervista, viaggiamo a ritroso nella carriera, nella vita privata e in quella sociale del cantante dei ritrovati Something Corporate, scoprendo di più del suo album in uscita Tilt At The Wind No More come Andrew McMahon In The Wilderness, e quello che resta del passato… e sì, gli abbiamo chiesto se entrerà in studio con i Something Corporate.

 

Ciao Andrew, è un piacere averti con noi su VEZ Magazine!

Partiamo con il primo elefante nella stanza: hai un nuovo album in uscita come Andrew McMahon In The Wilderness, nel tuo quarantesimo anno d’età. Visto che, fin dai tuoi esordi, hai sempre affrontato temi impegnativi ed attuali come il bullismo e la sofferenza, cosa dobbiamo aspettarci di ancora più maturo dai testi di Tilt At The Wind No More?

“È passato qualche anno dalla mia ultima uscita discografica e ci sono stati un sacco di eventi importanti. Compiere 40 anni, realizzare che ho passato più della metà della mia vita on the road, 15 anni senza cancro, 15 anni sposato, pubblicare un memoir e così via. Ho voluto che questa musica riflettesse quello che ho imparato lungo il percorso e farlo con un occhio rivolto a quello che verrà. C’è molto in Tilt (at the Wind No More, NdR) riguardo all’invecchiare e all’impatto dell’amore e delle relazioni sul mio viaggio.”

 

Ho ascoltato il Tilt At The Wind No More ed è inevitabile pensare a quanto sia immediatamente riconoscibile ed inconfondibile il tuo “tocco”. Come riesci a conservare la tua identità evolvendo comunque i suoni e aggiungendo strumenti?

“Trovare me stesso e la mia voce in nuovi panorami musicali è sempre un processo e onestamente il motivo per cui ancora mi piace fare musica. Voglio sempre cercare di trovare un nuovo modo di presentare le mie idee e le mie canzoni e a capire come farlo con nuovi collaboratori e nuovi strumenti spesso ci si riduce ad andare per tentativi. Quando sento che il suono mi rappresenta o rappresenta l’artista che mi sento di stare diventando, allora lo seguo finché la canzone non è finita.”

 

Vado subito dall’altro elefante: la reunion dei Something Corporate. Oltre alle attesissime performance live del When We Were Young Festival, possiamo anche aspettarci qualche canzone nuova?

“Sono davvero molto eccitato all’idea di riunirmi con la band su un palco così grande. Mi sembra che sia l’occasione giusta per ritrovarci e siamo tutti molto eccitati. Non ci sono programmi riguardo a nuova musica per il momento, ma non l’escludo neanche.”

 

Nei primi 2000 sbocciavano artisti come Something Corporate, New Found Glory, Fenix TX, The Early November e tanti altri, accomunati dallo stesso tetto: la mitica Drive-Thru Records. Sei ancora in contatto con i fondatori Richard e Stephanie Raines?

“Quelli erano tempi incredibili e il legame che c’era con quelle band continua ed è veramente significativo. Ciò detto, è un pezzo che non sono in contatto con la vecchia crew della Drive Thru.”

 

Facciamo un passaggio intermedio, il side project Jack’s Mannequin mi è piaciuto molto sia musicalmente che per la rilevanza sociale a supporto di una causa così delicata come il cancro e l’importanza di un programma di supporto per giovani affetti da leucemia. La fondazione Dear Jack che hai creato a tal proposito è ancora attiva?

“Dear Jack è ancora molto attiva e cresce ogni anno. Lavoriamo con centinaia di pazienti, sopravvissuti e le loro famiglie ogni anno per aiutarli a navigare le loro esperienze col cancro ed è il lavoro più importante a cui ho avuto la fortuna di poter prendere parte.”

 

Abbiamo quasi finito quindi si rende necessario sapere 2 cose: hai ancora quel pianoforte pieno di adesivi iconici? Salti ancora sul piano a piedi nudi?

“Ho ancora quel piano e ho scritto praticamente ogni album con quello da quando ha viaggiato con me la prima volta durante il Warped Tour. Salto ancora sul piano nella maggior parte degli show ma ho iniziato a portare le scarpe.”

 

Grazie mille per il tuo tempo e speriamo a presto!

 

Stefano ‘Cece’ Gardelli
Editing e Traduzione: Francesca Garattoni

The past, present and future projects of Andrew McMahon

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From being a rising star of emo rock to become a radiophonic pop star. In this short interview, we’re travelling backwards in the career, social and private life of Something Corporate singer, discovering more about his new album Tilt At The Wind No More as Andrew McMahon In The Wilderness and what’s left of the past… and yes, we asked him if he’s going back to the studio with Something Corporate.

 

Hi Andrew, it’s a pleasure to have you on VEZ Magazine!

Let’s start straight away with the first elephant in the room: you have a new album out soon as Andrew McMahon in the Wilderness and you’re just forty. Given that since your beginnings you’ve always dealt with difficult and yet actual themes such as bullying and sufferance, what of even more mature shall we expect from the lyrics of Tilt at the Wind No More?

“It’s been a few years since my last release and in that time there have been a lot of milestones. Turning 40, crossing over into having spent more than half of my life on the road, 15 years cancer free, 15 years married, publishing a memoir and so on. I wanted this music to reflect what I’ve learned along the way and to do so with an eye on what’s to come. There is a lot on Tilt about getting older and about the impact of love and relationships on my journey.”

 

I listened to Tilt at the Wind No More and I couldn’t avoid thinking how immediately recognisable your touch is. How do you manage to preserve your identity although evolving the sounds and adding instruments?

“Finding myself and my voice inside new sonic landscapes is always a process and truthfully why I still enjoy making music. I always want to find a new presentation for my ideas and my songs and figuring out how to do that with new collaborators and fresh instrumentation often comes down to trial and error. Once it feels like me or the artist I feel myself becoming I just chase it down until the song is finished.”

 

I’d like to go to the second elephant in the room: the Something Corporate reunion. Besides the long awaited live performances at Where We Were Young festival, shall we also expect any new song?

“I’m really excited to reunite with the band on such a large stage. It feels like the right place to come back together and we’re all so excited. There are no plans for new music at the moment but I’m not ruling it out either.”

 

In the early 2000, artists such as Something Corporate, New Found Glory, Fenix TX, The Early November and many more blossomed under the same roof: Drive-Thru Records. Are you still in touch with its founders Richard and Stephanie Raines?

“Those were incredible times and the bond we shared with those bands is lasting and really meaningful. That said, it’s been a while since I’ve connected with the old Drive Thru crew.”

 

Let’s go back one step and talk about your side project Jack’s Mannequin: I liked it very much both musically and because of its social relevance, supporting such a delicate cause like cancer and the importance of a dedicated support program for the young with leukaemia. Is the foundation Dear Jack that you created to support this cause still active?

Dear Jack is still very active and growing every year. We work with hundred of patients, survivors and their families each year to help them navigate their cancer experiences and it is some of the most important work I’ve had the good fortune to be a a part of.”

 

We’re almost done, two more things we’d love to know: do you still have that piano fully covered with iconic stickers? Do you still jump on the piano barefoot?

“I still have that piano and have written nearly every record on it since it first traveled with me on the Warped Tour. I do still jump on the piano most shows but I’ve taken to wearing shoes.”

 

Thank you very much for your time!

 

Stefano ‘Cece’ Gardelli
Editing and translation: Francesca Garattoni

Tre Domande a: Sinplus

Come e quando è nato questo progetto?

Essendo due fratelli, possiamo dire di aver  sempre suonato assieme… Nostro padre faceva parte di una cover band e da bambini avevamo a disposizione una piccola sala prova…era un po’ il nostro parco giochi. Nel 2009, dopo vari progetti, abbiamo deciso di formare i Sinplus (in italiano “peccato positivo”) e nel 2011 abbiamo pubblicato il nostro primo album Disinformation. In poco tempo abbiamo rappresentato la Svizzera all’Eurovision, abbiamo vinto un MTV Award e soprattutto abbiamo suonato in Festival come l’Isola di Wight. Nel frattempo stiamo arrivando a definire sempre meglio la nostra direzione artistica…e non vediamo l’ora di portare la nostra nuova musica dal vivo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica con tre parole, quali scegliereste e perché?

Graffiante, sognante ed essenziale
Graffiante perché facciamo rock che fa saltare, sfogare, cantare… Il tutto intriso da una buona dose di post punk e new wave. Un rock che va dai Joy Division ai Rage Against The Machine.
Sognante perché ci sono sempre piaciuti  quegli ambienti e quelle melodie che fanno viaggiare la mente, che scatenano delle emozioni forti…The Cure e soprattutto gli U2 con Joshua Tree sono dei maestri in questo.
Essenziale in quanto quando componiamo cerchiamo di privilegiare la canzone piuttosto che il virtuosismo del singolo strumento. Inoltre la nostra musica non ha artifizi, non utilizziamo particolari trucchi di post produzione e soprattutto quello che sentite nelle registrazioni e quello che sentite in live.

 

Progetti futuri?

Diciamo che abbiamo diversa carne al fuoco, anche se il focus principale è il nuovo album in uscita a fine marzo 2023, di cui potete avere un assaggio con l’EP Waiting For The Dawn appena pubblicato, e la preparazione del live.
Siamo sempre stati un band che si esprime al meglio dal vivo, ma con la line up consolidata e le canzoni concepite per il live, stiamo arrivando ad un next level…saranno concerti da non perdere!

Ásgeir “Time On My Hands” (One Little Independent Records, 2022)

Cronache emotive di lande gelide

 

Scritto sulla sabbia

Fuori attende la sabbia nera
sottile e umida
Il dito si ghiaccia un poco
a scrivervi
Il corpo si scalda un poco
e anche il groviglio che si chiama
spirito
mente
anima
Le onde si avvicinano
il respiro
pieno di mestizia
di gioia di vita
Le onde si avvicinano

Sigurður Pálsson

 

Uno dei più grandi poeti Islandesi descrive appieno il clima in cui si diventa grandi in quest’isola glaciale.

Con le nostre caotiche metropoli, la bellezza dei piccoli centri storici, le distese verdeggianti a perdita d’occhio, la brulicante gioia di vivere delle nostre spiagge, il profumo del nostro cibo, la particolarità dei paesini arroccati nelle montagne è davvero arduo anche solo immaginare di vivere in un luogo così sperduto e quasi surreale.

L’ambiente che ci circonda influisce sulla percezione di noi stessi, sui nostri bisogni e sulle nostre priorità. Così, in uno dei paesi meno popolati del nostro continente, si resta a casa, si coltiva la propria individualità. Un popolo di introversi; nel tempo libero spesso poeti, scrittori, musicisti o cantanti.

Come se il gelo infiammasse i loro animi e li spingesse a scavare sempre più a fondo, a sviscerare ogni emozione, aprendo una finestra su sé stessi e vedere colori vivi e rigogliosi, quando ogni altra finestra affaccia sul grigio dei paesaggi appiattiti da un inverno pressoché perenne.

Una landa quasi desolata, tra ghiacciai, montagne, vulcani e fiumi gelati, ma abitata da esseri umani che mantengono il loro sangue caldo e il cuore pulsante.

Questa piccola isola glaciale ha donato varie gemme musicali tra cui Björk, Sigur Rós, i Múm e gli Of Monsters and Men per citare i più conosciuti.

Dal 2012 è apparso un ulteriore diamante grezzo, Ásgeir, diventato subito famoso nella sua terra, riuscendo a vendere più di Björk, e nel 2014, traducendo i suoi pezzi in inglese, ha intrapreso la conquista verso il mondo. 

Ora prova a rivendicare il suo spazio e la sua identità con un nuovo album, Time On My Hands, sperimentando e tentando di portare il suo stile ad un livello nettamente superiore rispetto ai suoi primi lavori.

La sua natura introversa e riflessiva lo ha portato a sfornare un album eccelso, lontano dal “classico” folk melodico con cui  è stato in passato etichettato. Una crescita di questo giovane uomo concreta, riscontrabile nella ricercatezza delle parole, delle melodie e nella potente sfumatura malinconicamente introspettiva, solenne, che assume ogni testo.

Mescolando l’acustica con l’elettronica, riesce a rendere anche i pezzi più intensi più eleganti.

Già dal primo brano, Time On My Hands, che porta il nome del disco, la delicatezza nella voce di Ásgeir colpisce come il vento gelido islandese; un pezzo molto classico, chitarra morbida e batteria che accompagna senza spezzare il brano. Il secondo brano Borderland ci mette subito in difficoltà, accostando la finezza della voce con la sfrontatezza di un synth e una base più elettronica.

Il terzo pezzo Snowblind è il primo singolo estratto dall’album è il matrimonio perfetto tra elettronica e sonorità ricche di sensibilità. In Waiting Room il suo falsetto leggero riesce ad emozionarci, e, socchiudendo gli occchi, ci troviamo esattamente dove lui vuole portarci: una stanza con vista su una terra di nessuno. Giantess è un pezzo altisonante, dove Ásgeir si avvale di un ritornello folk molto orecchiabile, mentre in Limitless riesce a dare davvero l’idea di qualcosa di illimitato con la dolcezza della sua voce, facendoci planare sull’eternità di un ghiacciaio immacolato.

Time On My Hands non è solo l’ultimo album di questo cantautore, non è solo un connubio tra falsetto, synth ed elettronica, è molto di più. Un lungo viaggio nella sua interiorità, un lungometraggio di terre lontane, di venti gelidi che sferzano le acque, di paesaggi impervi. 

Un riassunto di anni di lavoro e impegno sulla sperimentazione con vari suoni, che riesce egregiamente a padroneggiare per creare qualcosa di davvero caratteristico.

 

Ásgeir
Time On My Hands
One Little Independent Records

 

Marta Annesi

Tre Domande a: Davide Sammarchi

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Nel momento in cui decido di pubblicare un mio brano mi piace, che chi lo ascolta lo faccia nel modo più personale possibile, perciò tendenzialmente lascio una grande libertà all’ascoltatore di associare qualsiasi cosa alla mia musica, di viaggiare con la mente, andare lontano, dove più preferisce. Questo, per me, dà un senso profondo a ciò che faccio. Quel momento in cui una musica che ho composto raggiunge la sensibilità di chi ascolta e gli viene attribuita un’emozione, qualsiasi essa sia, lì trova la sua ‘conclusione’.

 

Progetti futuri?

Fare musica, naturalmente. Non potrei fare altro, sto già lavorando a dei nuovi brani.
Continuare a lavorare sul suono del pianoforte per renderlo sempre più personale e riconoscibile, come fosse un’estensione della propria voce.
Sto anche pensando a delle visuals da portare nei live, per creare uno spettacolo ancora più coinvolgente per lo spettatore.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Probabilmente sceglierei Ad occhi chiusi che è il brano che ho scelto come prima traccia, in apertura del disco ‘And in silence I found my voice’. È caratterizzato da una melo- dia particolarmente spontanea, che mi è uscita di getto e non ha avuto bisogno di parti- colari revisioni o scritture successive…è il mio ‘attestato’di sincerità, che rappresenta una componente fondamentale del perché faccio musica.
Semplicemente non potrei farne a meno. 

 

Tre Domande a: The Lost ABC

Come e quando è nato questo progetto?

Questo progetto nasce alcuni anni fa, nel 2014. The Lost ABC siamo io (Gianluca Mancini, NdR) e Massimiliano (Fraticelli, NdR), due musicisti e non solo, che un bel giorno decidono di fare la musica come avrebbero sempre voluto fare, fondamentalmente senza alcuna fretta, per il piacere di farlo. Volevamo costruire un racconto di melodie di piano incrociate a chitarre e registrazioni ambientali e poi stratificare il tutto con archi e noise, chiaramente ispirati alla musica per film.  Come musicisti abbiamo iniziato negli anni ’90, poi le vite si sono specializzate e diversificate in ambienti lavorativi corollari alla musica e per un motivo o per l’altro avevamo smesso di comporre per noi ed abbiamo ciascuno a suo modo iniziato a farlo per gli altri. Quindi nel tempo libero, trovando gli strumenti musicali nelle case di amici, di famiglia, nei tour per altri progetti, è venuto fuori questo album, lasciato maturare lentamene. Poi la pandemia e le sue conseguenze ci hanno costretti  a lasciare tutto in un cassetto. Ed ora grazie alla Memory Recordings di Fabrizio Paterlini, che ha creduto nel progetto, finalmente pubblichiamo.

 

Progetti futuri? 

Abbiamo il grande desiderio di tornare a suonare live, ma anche di continuare a comporre musica. Attraverso il Field Recording, che è una tecnica di registrazione di ambienti sonori per film, e svela sempre nuovi spunti su cui costruire melodie. E continueremo a cercare vecchi pianoforti che suonino bene, che restituiscano immaginazione e contemplazione. Incrociare le nostre esperienze e creare musica con continuità. Anche attraverso il percorso dei live show, non bloccare mai il flusso creativo. Questo è il progetto più ambizioso.

 

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Ci immaginiamo un live molto minimale, ma tecnologico, come può esserlo un concerto oggi, grazie anche al progredire delle tecnologie digitali nell’arte. Computer che pilotano immagini girate in pellicola, strumenti acustici ed elettronici ben bilanciati, un concetto di live moderno, basato sulla magia del suono acustico e le possibilità di interagire con il digitale. Siamo molto ottimisti sul futuro dei live shows se si imbocca la strada giusta.

Tre Domande a: Jaguar Jonze

How have you been doing during these hard times for music in general?

It’s definitely a challenge but a welcomed one too. It allowed me to step away from comfortable patterns and think outside of the box. I think you can only take on a positive mindset in situations like this to keep moving forward, and through that, we are able to innovate. The strength of humanity I guess!

 

What about your future projects?

I’m currently working on a short film to tie all of my Antihero songs together, which was the plan from the start of me creating this EP. After that, I will go into writing and writing to figure out where I will go in sound next.

 

If you were to choose just one of songs to introduce yourself to those who don’t know your music, which one would you choose and why?

Eeeeeeeeekkk!! That’s such a good, hard question! Depends on my mood, if I wanted to show my softer side it would be Astronaut and if I wanted to show my harder side it would be Deadalive.

 

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

È sicuramente una sfida ma una sfida in qualche modo benvenuta. Mi ha permesso di allontanarmi da abitudini assodate e spinta a pensare fuori dagli schemi. Penso che puoi solo affrontare queste situazioni con una mentalità positiva per poter andare avanti e, grazie a questo, poter essere in grado di innovare. La forza dell’umanità, immagino!

Progetti futuri?

Al momento sto lavorando ad un corto per legare insieme tutte le canzoni di Antihero, che per me era il piano fin dall’inizio per questo EP. Dopodiché, mi butterò a scrivere e scrivere per capire dove andrà il mio sound.

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non conosce la tua musica, quale sceglieresti e perchè?

Eeeeeeeeekkk!! Questa è davvero una bella domanda difficile! Dipende dal mio umore, se volessi far vedere il mio lato più delicato sarebbe Astronaut e se volessi far conoscere il mio lato più duro sarebbe Deadalive.

Sam Eagle and the need of not repeating himself

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Sam Eagle is an unstoppable force of nature and after only five months from the release of Something Out of Nothing, he’s out again with a new EP She’s So Nice (Cooking Vinyl). To mark the occasion, we had a chat with him and he told us how his songs come to life.

 

You are just 21 but you already have a strong and heterogeneous release history: can you tell us about your artistic journey?

“Sure, well I started out doing solo stuff when I was 16, having only been in bands up to that point. I wanted to make something super simple and just for fun, just to try out the process. I loved it, and haven’t looked back. I have a strict rule that every song has to be unique to itself in my catalogue. So that every song speaks for itself and I don’t repeat myself. This is really important to me as an artist, and if something doesn’t meet that criteria it won’t be released. People say that writing as many songs as you can is the way to go, but I disagree personally — for me I much prefer taking longer to write a song, and just focus on making it the best it can be, allowing the song to form naturally before moving on.”

 

What do you prefer about your latest EP?

“I think the range of styles, emotions and sounds. That’s another thing that’s very important to me — having as wide a range of feelings as possible across a project. I’d like to think there’s something in there for everyone.”

 

How does its content differ from your previous releases?

“It’s more produced I would say. The last EP Something Out of Nothing and this one She’s So Nice were both made together, so they’re very much a pair, or a body of songs. Before these two EPs though, I used to take a lot more influence from jazz. Now I take more influence from hip hop.”

 

What do you get inspired by?

“Nature has always been a massive inspiration to me. Growing up by the sea and in the countryside of England has definitely influenced me to keep things natural, and not to process the instruments or my voice too much. Other inspirations can be anything from a song, a book, a fun experience, a conversation or anything really! Just trying to have new experiences — which granted has been very difficult over the past year.”

 

You are one of the artists of the year for 2020, a great achievement given the current circumstances. How are you living these challenging times?

“I’ve been very lucky to have put together my own studio to record these EPs before the pandemic. It’s been a real life line as I can keep making music and working on projects without any cost. It’s something I’d really recommend to anyone who can do it, to try and get together some kind of set up so that you’re self sufficient as an artist. It’s been difficult to stay inspired, and the amount of content flying around everywhere has been quite exhausting. I’m certainly ready now, and looking forward to moving forward into whatever the future holds.”

 

Marta Massardo

Sam Eagle e la necessità di non ripetersi

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Sam Eagle è un’irrefrenabile forza della natura e dopo soltanto cinque mesi dall’uscita di Something Out of Nothing, è arrivato il nuovo EP She’s So Nice (Cooking Vinyl). Per l’occasione, abbiamo chiacchierato con lui, che ci ha raccontato come nascono e si formano le sue canzoni.

 

Sei appena ventunenne ma hai già all’attivo una serie di pubblicazioni solida ed eterogenea: puoi raccontarci del tuo percorso artistico?

“Certo, ebbene… Ho cominciato a fare cose da solista quando avevo sedici anni, essendo stato solo in gruppi fino ad allora. Volevo fare qualcosa di super semplice e giusto per divertimento, per provare a vedere com’era il processo produttivo. Mi è piaciuto tantissimo e non mi sono più voltato indietro. Ho una regola molto severa che ogni canzone del mio repertorio deve essere unica. In questo modo ogni canzone parla da sé e io non mi ripeto. Questo è molto importante per me come artista e se qualcosa non soddisfa questo criterio non viene pubblicato. Molti dicono che scrivere quante più canzoni puoi è l’approccio giusto, ma personalmente non sono d’accordo — preferisco di gran lunga metterci più tempo a scrivere un pezzo, e fare in modo che sia il miglior pezzo che può essere, permettendo alla canzone di formarsi da sé in modo naturale prima di andare oltre.”

 

Cosa preferisci del tuo ultimo EP (She’s So Nice, NdR)?

“Penso l’assortimento di stili, emozioni e suoni. Questa è un’altra cosa molto importante per me — avere la più ampia gamma possibile di sentimenti attraverso un progetto. Mi piacerebbe pensare che ci sia qualcosa per tutti.”

 

In che cosa il suo contenuto si distingue dalle canzoni precedenti?

“Direi che è più prodotto. L’ultimo EP Something Out of Nothing e questo She’s So Nice sono stati fatti insieme, perciò sono fondamentalmente una coppia, o un unico corpo di canzoni. Prima di questi due EPs, comunque, ero solito farmi influenzare molto dal jazz. Adesso mi faccio influenzare di più dall’hip hop.”

 

Che cos’è che ti ispira?

“La natura è sempre stata una forte fonte d’ispirazione per me. Crescere vicino al mare e nella campagna inglese mi ha decisamente influenzato a tenere le cose più naturali possibile e a non processare troppo gli strumenti o la mia voce. Altre fonti di ispirazione possono essere qualunque cosa da una canzone, un libro, un’esperienza divertente, una conversazione o veramente qualsiasi cosa! Provo solo a fare nuove esperienze — che bisogna ammettere essere stato davvero molto difficile durante lo scorso anno.”

 

Sei uno degli artisti dell’anno per il 2020, un grande traguardo dato il periodo in cui ci troviamo. Come stai vivendo questi tempi non facili?

“Sono stati molto fortunato ad aver messo in piedi il mio studio per registrare questi EPs prima della pandemia. È veramente stata un’ancora di salvezza in quanto posso continuare a fare musica e a lavorare su progetti senza alcun costo. È qualcosa che davvero raccomando a tutti quelli che possono permetterselo, di provare e mettere insieme un qualche cosa in modo da essere autosufficienti come artisti. È stato difficile rimanere ispirato e la quantità di contenuti che giravano ovunque è stata davvero sfiancante. Adesso sono decisamente pronto e non vedo l’ora di andare avanti verso qualsiasi cosa il futuro riservi.”

 

Marta Massardo

Tre Domande a: Alessandro Martinelli

Come stai vivendo questi momenti così difficili per il mondo della musica?

È stata una bella botta. Ho avuto la fortuna di trasformare la mia passione in lavoro, e negli ultimi cinque anni mediamente suonavo almeno due, tre volte al mese in giro per il mondo. Ti senti vivo. Conosci costantemente nuove persone, nuove culture, nuovi ambienti. Viaggiare ti apre la testa, se in più lo fai perché il tuo lavoro te lo consente, sei in uno stato di grazia. Quando tutto questo è venuto a mancare mi è crollato il mondo addosso. I miei viaggi in aereo erano diventati i sei passi che facevo tra camera da letto e sala, le mie cene con amici e promoter erano diventati un piatto di pasta in solitudine davanti a YouTube e i momenti dietro la consolle erano diventate le ore passate al piano in casa. Un senso di vuoto ti pervade. Solo il piano è riuscito ad aiutarmi a superare questo brutto ed incerto momento.

 

Come è quando è nato questo progetto?

Ho avuto bisogno di buttare fuori. Ho percepito la necessità di spogliarmi in qualche modo. E ho avrei voluto mostrare anche il mio lato più introspettivo. Durante il primo lockdown mi sono ritrovato chiuso in casa, solo, con una storia d’amore appena finita. Malinconia, solitudine ed incertezza hanno preso possesso del mio corpo e mi hanno spinto a portare avanti brani che già avevo ideato ma soprattutto di scriverne di nuovi.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Solitudine, Malinconia, Rinascita. Sono i sentimenti che più mi hanno accompagnato durante la creazione di questo album. E’ stato un percorso: mi sono sentito profondamente solo, da solo con il mio pianoforte, ho provato tristezza e rassegnazione, ma è suonando che sono riuscito a ritrovare la positività, e rinascere ancora. In ogni brano ho cercato di creare queste atmosfere, ogni brano ha una sua parte malinconica, contrapposta alla parte più risolutiva.

Tim Hart: being happy with what you have

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With his new upcoming album Winning Hand (Nettwerk Records) about to be released, we took the chance to ask a few questions to Tim Hart on this intimate and contemplative work recorded with Simon Berkelman at the Golden Retriever Studios in Sydney.

 

How did Winning Hand come to life and what does the title stand for?

Winning Hand for me is the concept of being happy with what you have and not always looking enviously to all those around you. It for me is a very freeing concept.”

 

Is there a red thread through Winning Hand

“The album is almost a tour diary that I’ve written over a couple of years of touring. At times it’s about what’s going on in my mind and at times about what’s going on around me. There’s lots about love and family and loss. Ultimately Winning Hand is about discovering a sense of self.”

 

In your third single Steady as She Goes you talk about what home is to you. What is then “home” during these difficult times? Do you think that its meaning has changed?

“When I wrote this song I was writing less about a place and more about a feeling. A sense of belonging. I know that sounds strange because I mention Sydney. But it’s more how being around friends and family make me feel. And in that sense it hasn’t really changed. You can feel just as at home while going through the horrible times we currently are I think.”

 

This is the first time recording your album with a full band. Can you tell us something more about this decision? 

“Recording with the full band was a way of me letting go of control. Previous albums I have played the majority of instruments. This time I just wanted to focus on the songs and let other great players focus on their thing!”

 

How was born the collaboration with Bianca Braithwaite and her artwork?

“Bianca is such a talented artist in many mediums. I was really drawn to the honesty and detail of what she does. She was amazing at getting what was in my head into artwork. She is very very talented!”

 

You have created a mixtape on Spotify that you update every month. How do you select the songs you add?

“I love creating these playlist and the simple answer is that I love listening to lots of music. Last year when lockdown started I realised I’d been so immersed in the music world that I stopped loving the simple pleasure of listening to music. That’s why I make these playlists to share and discover new music with other people.”

 

Cecilia Guerra

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