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Tag: kobe

Vectronom, un sinuoso e sinestetico puzzle game musicale

Le campiture monocrome, acide, sgargianti. Il regolare vibrare, scotersi, agitarsi di cubi, parallelepipedi, piramidi. Il beat che scandisce il ritmo, disciplina e regola l’arrangiamento, ipnotizza il videogiocatore. Vectronom è quanto di più lisergico ci si possa immaginare, un quadro di Mondrian in costante fluire, un piano sequenza astratto di Nicolas Winding Refn, la traduzione, in forme e colori tangibili, di un concerto di Skrillex.

Sulle prime, nonostante un tutorial piuttosto esplicativo, ci si lascia sopraffare, confusi, smarriti, disorientati e quasi intimoriti da un’art design così razionalmente cacofonico, misuratissimo sul piano visivo, con linee nette e cromatismi contrastanti, caotico sotto il profilo prettamente sonoro, dove gli strumenti tendono a fagocitarsi tra loro, componendo motivi progressivamente sempre più complessi.

 

Vectronom screenshot 1

 

Se il cardine è la musica elettronica, Vectronom si spinge sino alla chiptune, all’ambient, alla goa trance per scoprire i limiti dell’utente, per sfidarlo a scoprire il meccanismo, il singolo suono che cela la soluzione dell’enigma di turno.

L’opera sinestetica di Ludopium, team di sviluppo con base operativa a Colonia, è difatti in tutto e per tutto un puzzle game, un intricato rompicapo in cui guidare un cubo verso l’uscita, evitando burroni, superando le trappole, eludendo altre forme geometriche il cui tocco vi costringerà anzitempo al game over.

Se l’abilità con il pad richiesta è estremamente limitata, è sufficiente armeggiare con la croce direzionale per compiere tutte le operazioni richieste, è fondamentale sviluppare il senso del ritmo, unico appiglio a cui aggrapparsi per svincolarsi dall’infinito susseguirsi di fallimenti a cui sarete destinati, eventualità che il più delle volte vi costringerà a ricominciare lo schema di turno da capo, fortunatamente un po’ più esperti, consapevoli di esservi avvicinati almeno di un passo al successo.

È certamente questione di provare e riprovare, sia perché sulle prime non è volutamente dato sapere come reagiranno gli oggetti e le forme geometriche che incontrerete per strada, sia perché alcune trappole sono inizialmente celate all’occhio.

Non è solo questione di pratica e materia grigia, comunque fondamentale per comprendere il funzionamento dei meccanismi che dovrete aggirare o sfruttare per raggiungere piattaforme sopraelevate o situate al di là di un burrone. Come anticipato, in Vectronom la musica è il principale strumento per sopravvivere. Solo muovendosi a ritmo anticiperete le mosse degli avversari, saboterete le trappole, verrete premiati con un punteggio soddisfacente alla fine del livello di turno.

 

Vectronom screenshot

 

L’intima connessione che lega beat, colori, forme geometriche e movimenti delle dita, induce il videogiocatore in un profondo stato di trance, una spirale ossessiva fatta di ultime partite in cui si finisce per vedere la musica e sentire sulla pelle i differenti cromatismi che dipingono le ambientazioni.

L’inspiegabile sinestesia di Vectronom è la più grande particolarità di un titolo che convince ulteriormente grazie ad un level design che si rinnova di continuo, costantemente rinvigorito da nuovi ostacoli e oggetti con cui interagire che variano la formula di partenza e propongono al videogiocatore sfide sempre nuove.

La piccola creatura di Ludopium è disponibile sia su PC che su Nintendo Switch. Per entrambe le versioni è consigliabile munirsi di un buon paio di cuffie e di giocare in un ambiente quanto più buio possibile. Correte il rischio di passare più tempo del dovuto davanti ai quadri digitali ed interattivi offerti da Vectronom, ma sarà un’esperienza che difficilmente dimenticherete.

 

Lorenzo “Kobe” Fazio

Videogiochi in concerto, quando la colonna sonora merita un tour tutto per sé

Dai tempi dei tremolanti e cacofonici cinguettii a 8-bit, motivetti che in molti casi sono comunque riusciti a diventare intramontabili, brevi jingle che ossessivamente si ripetevano all’infinito nelle giovani menti di giovani videogiocatori, da quell’era ormai remota le colonne sonore dei videogiochi, soprattutto dal punto di vista puramente tecnologico, hanno fatto passi da gigante, arrivando a competere ad armi pari con quanto si produce solitamente per TV e cinema.

Se persino un grande artista del calibro di Gustavo Santaolalla, Oscar nel 2006 con I Segreti di Brokeback Mountain e di nuovo nel 2007 con Babel, è stato felicemente coinvolto nella realizzazione della soundtrack di The Last of Us, autentico capolavoro originariamente pubblicato su PlayStation 3 nel 2013, in attesa del sequel che lo vedrà nuovamente tra i protagonisti, significa che il medium anche sotto il profilo musicale ha raggiunto la piena maturità.

Con l’affermarsi di CD-ROM e DVD a formati riferimento, con il progressivo l’abbandono dei MIDI, comodi fintantoché c’erano restrittivi limiti di memoria da rispettare, team di sviluppo e compositori hanno potuto finalmente esprimere liberamente la loro creatività, arrivando al punto di confezionare temi e musiche d’accompagnamento indimenticabili, iconiche, significative tanto più quando accompagnano l’azione di un videogioco particolarmente riuscito ed ispirato.

Era questione di tempo insomma, il necessario per trasformare una generazione di ragazzini con la fissa per i videogiochi in adulti economicamente indipendenti, prima che a qualcuno venisse in mente di imbastire autentici concerti, con tanto di direttore e orchestra al seguito, che riproponessero alcuni di questi splendidi brani.

Eventi di questo tipo se ne organizzano diversi, già da qualche anno, un po’ ovunque nel mondo, Italia compresa. Non mancano iniziative meno ufficiali, con una scaletta che spazia in totale libertà da una saga all’altra. Ultimamente, tuttavia, stanno prendendo sempre più piede proposte monotematiche, sponsorizzate, organizzate e desiderate dagli stessi produttori dei videogiochi di riferimento.

Il caso più famoso, e di successo, è senza dubbio The Legend of Zelda: Symphony of the Goddesses, tour che ha fatto tappa anche nel Belpaese, che pesca a piene mani nella trentennale saga di Nintendo, non lesinando sul mescolare la musica a contributi video che contestualizzano ogni brano con il capitolo di riferimento.

Si tratta, naturalmente, di iniziative dal target estremamente ristretto, specifico, relativamente limitato. Il pieno apprezzamento del live, difatti, non può in alcun modo prescindere da quello che è il personale rapporto del singolo fruitore con l’opera da cui è ispirato.

Per quanto alcuni componimenti possano risultare piacevoli, e persino emozionanti, anche per il neofita, totalmente ignaro della provenienza di ciò che sta ascoltando, solo i fan e gli appassionati, ricordando il preciso istante in cui l’azione è accompagnata dal brano in esecuzione, può carpire appieno lo spirito che anima questa tipologia di concerti, sinceri tributi al videogioco stesso, quando non genuini album musicali di momenti nostalgici in cui crogiolarsi.

Oltre a Nintendo, anche il publisher nipponico Square-Enix, famoso per i suoi giochi di ruolo, è piuttosto attivo in questo senso. Dopo il successo mondiale di Distant World, tour dedicato alle musiche di Final Fantasy, e quello di Kingdom Hearts Orchestra – World Tour, il prossimo nove giugno, presso il Dolby Theatre di Los Angeles, debutterà il monografico Final Fantasy VII – A Symphonic Reunion, evento dedicato ad uno dei più famosi capitoli del brand di Square-Enix, occasione ideale anche per pubblicizzare l’ormai prossima uscita del remake del gioco del 1997, originariamente proposto sulla primissima PlayStation.

Iniziative del genere sono destinate a progredire negli anni, sia per frequenza con cui verranno proposte, sia per numero di artisti, publisher, organizzazioni coinvolte. L’ottimo riscontro dei tour organizzati negli anni scorsi, del resto, parla da solo.

 

Lorenzo “Kobe” Fazio

Aerosmith, rollercoaster e l’urgente desiderio di parchi a tema musicale

Lo sguardo scettico e il ghigno beffardo, classici di chi ha la certezza di essere in procinto di vivere un’esperienza deludente, tragicomica e trash, si spengono inesorabilmente all’ingresso della struttura che contiene, espone ed insieme cela lo spettacolare Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith, periferica attrazione che fa sfoggio della sua strepitosa scenografia tanto al Disney’s Hollywood Studios di Bay Lake (in Florida), quanto al Walt Disney Studios di Disneyland Paris.

Abituati come siamo ai simulatori di Formula 1, l’iSpeed di Mirabilandia, a quelli di jet supersonico, l’ormai  antiquato Blue Tornado di Gardaland, e a cannoni capaci di lanciarci nel cuore di una battaglia spaziale contro l’Impero di Star Wars, la famosa Space Mountain anch’essa situata nel parco di Topolino della capitale francese, può involontariamente sorgere un sorriso carico d’ironia nel sentir parlare di un’attrazione che tira in ballo la band il cui frontman è l’istrionico Steven Tyler.

Se la musica è un fattore che può incrementare l’adrenalina, e lo fa alla grande, come diremo in seguito, la contestualizzazione di una rock band in un rollercoaster pare ardua, pretestuosa, azzardata.

Nulla di tutto ciò. Per accorgersi dell’errore, per pentirsi del pregiudizio, dicevamo, basta immergersi nel finto studio di registrazione che introduce all’attrazione vera e propria. Una cura del dettaglio made in Disney e una lunga serie di oggetti storici, quali chitarre e dischi firmati da artisti di tutto il globo, non solo distolgono l’attenzione dall’inevitabile fila che si crea sin dall’apertura del parco, ma aiutano il pubblico a calarsi nello scenario, nel mood, nel personaggio imposto dagli artisti ed ingegneri che hanno concepito il Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith.

Finalmente seduti e assicurati al proprio posto, non prima di aver ricevuto un saluto virtuale dalla band stessa, tramite un simpatico video proiettato all’interno di una sala di registrazione perfettamente riprodotta, si intuisce e si accetta l’efficacia e tutta la potenza di un concept nato ormai diversi anni fa, in Florida l’attrazione ha aperto i battenti addirittura nel 1999, inspiegabilmente non cavalcata o riciclata in nessun’altra forma, né contesto.

Ogni carrozza che compone il rollercoaster ha la sua personalissima colonna sonora, una o più tracce che vengono “pompate” dalle casse poste sopra la testa del passeggero. Si tratta, naturalmente, di hit degli Aerosmith, una sorta di medley in onore della loro carriera per intenderci, con testi opportunamente e scherzosamente riadattati per l’occasione. Un esempio? Love in Elevator diventa Love in a rollercoaster.

Non è l’unico elemento musicale dell’attrazione, visto che l’intera esperienza è modellata attorno all’illusione di vivere, in prima persona, le emozioni e le sensazioni di una vera rockstar alle prese con un concerto live. Non appena il countdown raggiunge lo zero, si viene proiettati in un tunnel che avvolge il passeggero con luci abbaglianti. Non fosse per il giro della morte che segue immediatamente dopo, non fosse per l’adrenalinica velocità e spinta con cui si attraversa il passaggio, si potrebbe davvero giurare di aver percorso a perdifiato la scaletta che collega le quinte al palco vero e proprio, un palco che, per l’occasione, si attraversa tutto d’un fiato, da parte a parte, tra avvitamenti, paraboliche e scintillanti giochi di luce.

Complice l’oscurità, che avvolge il resto dell’edificio entro cui è contenuto il rollecoaster, fari e musica, che avviluppano il partecipante alla lisergica festa su binari, incrementano il divertimento, l’euforia, il desiderio di averne ancora e ancora.

Scesi dalla giostra e recuperata la capacità di pronunciare parole di senso compiuto, è inevitabile chiedersi come mai Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith rappresenti un caso praticamente unico nel suo genere, piuttosto che una consuetudine da declinare in decine di modi diversi.

Una casa stregata a tema Iron Maiden? Sarebbe un’idea semplicemente pazzesca. Un cinema 4D in compagnia degli assoli esaltanti dei Dragon Force? Non vediamo già l’ora. Una torre a caduta libera a ritmo con le hit dei Queen? Probabilmente sarebbe troppo, ma saremmo ugualmente curiosi di vederla in azione.

Musica, performer affermati e attrazioni è un connubio che funziona alla grande. Lo stesso Rock ‘n’ Roller Coaster Starring Aerosmith ci ha fornito la controprova, quando abbiamo deciso di concederci l’ennesima cavalcata e, per un problema di natura tecnica, la musica di sottofondo era disattivata. Le sole luci, il semplice percorso confezionato dagli ingegneri, non bastava, non era più sufficiente per l’estasi, l’esaltazione, l’apoteosi.

Il ghigno beffardo con cui mi sono avvicinato per la prima volta all’attrazione di Disneyland Paris, qualche settimana fa, al termine del percorso si è tramutato in un sorriso d’ebete stupore. Sì, perché adesso pretendo un parco a tema musicale quanto prima.

 

Lorenzo “Kobe” Fazio