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Tag: letizia mugri

Tommy Emmanuel @ Tuscany Hall

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• Tommy Emmanuel •

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Tuscany Hall (Firenze) // 27 Marzo 2023

 

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Manuel Agnelli @ Pistoia Blues

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• Manuel Agnelli •

Piazza Duomo (Pistoia) // 12 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Pistoia è una città toscana famosa in tutto il mondo per i suoi vivai, per Piazza della Sala con i suoi locali e il cuore pulsante della vita della città, per il suo Duomo dove si incontrano l’architettura romanica e quella barocca. Una città con una buona qualità della vita dove trascorrere del tempo in modo gradevole. Eppure in piena estate, protetta dallo sguardo antico dei suoi monumenti, diventa un crogiolo di musica ed emozioni con il Pistoia Blues Festival. La manifestazione, che dal 1980 si svolge ogni anno nel mese di luglio, è un appuntamento fisso per ogni appassionato di musica che voglia ascoltare i suoi artisti preferiti o scoprirne di nuovi, e una tappa importante per molti musicisti non solo nostrani, ma provenienti da tutto il mondo. Un palco dove esperienza, novità, tradizione e sperimentazione si incontrano, per portare a tutti quel messaggio che non dovremmo mai scordare: la musica è essenza di vita che non si ferma, e sfugge a chiunque voglia trattenerla in definizioni a compartimenti stagni. E ringraziamo chi in quel palco crede ancora, nonostante tutte le difficoltà che negli ultimi tempi sembravano insormontabili, ma non ha mai rinunciato a creare e diffondere la bellezza dell’arte. 

Ieri, come ogni anno, Pistoia ha accolto il pubblico del Pistoia Blues tra palazzi storici e mercatini etnici, nell’armonia del contrasto che fa vibrare nell’aria la voglia di arte e creatività. Entrati in Piazza del Duomo, il campanile sorveglia ogni kick e ogni riff che si librano da un palco che non sembra essersene mai andato, come fosse parte essenziale della piazza stessa, un battistero di musica dove ogni nota è una bellissima benedizione. E sono gli Zagreb, band di alternative rock di Castelfranco Veneto, che aprono questa cerimonia con il loro ritmo deciso e forte, che colpisce e piace ad ogni colpo. La dimostrazione che quelli della musica sono gli unici colpi allo stomaco che non fanno male. Ad assisterli ci sono i primi ascoltatori, gli appassionati veri che amano l’underground, e i fortunati che riescono ad uscire da lavoro in tempo per godersi la serata dal suo vero inizio. Guardandoti intorno, vedi lo sguardo incuriosito e attento di chi non li conosce, ma sa di aver fatto una bella scoperta. 

Agli Zagreb, seguono poi i Bluagata, sempre gruppo alternative rock, ma della più vicina Prato. Potreste dire che giocano quasi in casa, data la vicinanza delle città, ma gli spettatori non lo sanno, e lassù, sotto le luci dei riflettori, l’unica vera identità è la musica con la passione, e loro ce ne mettono tantissima. La prima canzone è Comodità tratta dal loro ultimo progetto Di stanze e Nevrosi. Il brano parla della nevrosi del consumismo, i riff sono potenti e incalzanti, i testi tagliano i compromessi per arrivare lì dove è più scomodo farli sentire, il tutto in un loop nevrotico che scopri e non ti lascia. Proseguono poi tracce che alternano potenza e arie rarefatte, e la performance si conclude con i saluti e i ringraziamenti di rito a un pubblico sempre più partecipe, con una promessa di rivederci, speriamo presto. 

Mentre il buio scende sulla città, e le sedie attorno a me si riempiono gradualmente, l’atmosfera diventa surreale, l’aria si carica di attesa, c’è chi sussurra, c’è chi applaude per incitamento, c’è chi sbuffa dall’impazienza e chi beve birra a tutto spiano con l’avidità negli occhi puntati sul palco. A me sembra ancora tutto scuro quando si sente la voce cantare fuori dal palco. Sembra che le persone stiano per urlare ma il pubblico si blocca, incantato dalle parole “Ora lo so / Se è amore che vuoi/ No, non dipende da quel che fai”, l’effetto è quello di un sogno eppure siamo svegli o forse no. Non importa, dal buio, vestito con solo pantaloni, gilet e la sua voce, esce Manuel Agnelli e l’emozione, prima sospesa, esplode. Al semplice canto si aggiunge la chitarra elettrica e via via tutti gli strumenti. Le luci si accendono, e vediamo l’artista accompagnato da una band di eccezione dove troviamo anche Beatrice Antolini, Giacomo Rossetti dei Negrita e due componenti dei Little Pieces of Marmelade, Frankie e DD. Agnelli è il secondo grande protagonista di Storytellers del Pistoia Blues 2022, con una performance dove ha regalato al pubblico i brani che lo hanno reso celebre come leader degli Afterhours e i suoi nuovi brani da solista.

Molti penseranno che è facile avere una presa emotiva sul pubblico con Non si esce vivi degli anni ’80 oppure Male di miele, eppure le nuove collaborazioni e l’energia vocale dell’artista le rendono un’emozione nuova. Ascoltarle pensando di sapere già cosa succederà in ogni parola e rimanere spiazzati perché ci sono sfumature che ti prendono ancora di più è una sensazione bellissima. A quel punto non si può stare seduti, alcune persone si alzano dalla platea, si mettono ai lati e vivono il concerto con tutto il corpo, muovendosi, a volte a tempo, a volte no, ma non importa, la gioia che vedi sui loro volti rende tutto armonioso. Quello che però capisci è che Manuel Agnelli non lo puoi catalogare tra gli artisti da gusto di mezzo. Piace o non piace. Non è gradevole con riserva, né sgradevole ma potrebbe migliorare. Lui è ciò che è e non vuole mostrare niente di diverso, e sì è un artista divisivo perché c’è chi lo vede ormai omologato al sistema. Ma non è il sistema ad essere sbagliato in sé, è il modo in cui ti ci approcci che conta, e dopo aver cavalcato per anni la scena indie, Agnelli è riuscito ad entrare in una più ampia scena musicale dimostrando che se ne può fare parte rimanendo fedeli a sé stessi e proponendo i propri progetti curati e ben pensati; la sua capacità di scrittura non lascia niente al caso e non si è adeguato al modo semplice e veloce che impera in molte produzioni attuali. Profondità degli abissi, dalla colonna sonora del film Diabolik, è una dimostrazione di tutto questo. Agnelli ne racconta prima la genesi, le critiche che gli sono state mosse, mostra al pubblico il cuore con cui ha composto quella canzone, si mette a nudo ritenendoci persone a cui può fare quella confidenza. La sua interpretazione è da brividi, la canzone è bella, spietata, anche dolce se le permettiamo di raggiungerci. La voce di Agnelli è ferma ma vibra al tempo stesso di ogni emozione che ha messo in quel brano, e lì te ne freghi dei premi che ha vinto, ma non perché non abbiano valore, solo perché è un’emozione che va oltre la ragione, abbatte la logica, e anche dove fa male, ti rende felice. 

Pistoia Blues 2022 ha dato al suo pubblico la possibilità di vivere qualcosa di magico, fuori dalle dinamiche di chi critica solo per il gusto di farlo. Se Agnelli non volete ascoltarlo non ascoltatelo, non fatevi paladini di non si sa cosa facendo la morale su cosa debba fare o non fare, perché la sua onestà intellettuale sta nella musica ben fatta e nella capacità di trasmettere la passione per ciò che fa, in testi e composizioni che sfuggono alla banalità senza per questo ingozzarsi di parole ricercate che alcuni artisti prendono dal dizionario del desueto solo per fare colpo. Decidete se volete essere la piccola iena di cui canta o se volete una pelle splendida. Ma vivetelo, in ogni suo concerto, perché è lì che me capirete la forza e il messaggio. Smettete di picconare solo per il gusto o la moda di farlo e lasciate che l’emozione faccia il resto.

Il concerto si chiude con il bis di rito, che, ammetto, un po’ odio, ma forse anche l’artista condivide il mio pensiero, o così sembra, perché tutti si assentano giusto il tempo di bere un bicchiere d’acqua, e ritornano sul palco con la consapevolezza di dover chiudere, ma senza la voglia di farlo. Rimane nell’aria la loro musica, la voce del mio passato ancora presente, persone felici che escono e popolano di nuovo le strade della città piene di luci. Il silenzio è dietro l’angolo, l’adrenalina lotta con il sonno, gli scuri delle finestre accolgono l’emozione ancora viva. Non puoi fare altro che aspettare, con la promessa di un altro concerto, e la ritrovata spensieratezza delle sensazioni dei vent’anni. 

 

Alma Marlia

foto di Letizia Mugri

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Prato a Tutta Birra 2022

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11 Maggio 2022

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Bengala Fire

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Manitoba

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14 Maggio 2022

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Cara Calma

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Ministri

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15 Maggio 2022

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ROS

[/vc_column_text][vc_empty_space][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Letizia Mugri e Aurora Ziani

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Sugar Blue @ Santomato Live

Siamo nella sala concerti del Santomato Live, a Pistoia ad aspettare lo spettacolo di Sugar Blue, che prosegue nel suo percorso artistico senza confini.  I musicisti stanno aspettando l’arrivo degli spettatori e Blue è seduto, da una parte, a suonare la sua armonica.

Mi avvicino e facciamo due chiacchiere, anche con la moglie, bassista della band, Ilaria Lentieri.

 

Come mai questo ritorno all’Africa?

“Generalmente quando si parla di Funk, Jazz, Rock’n’Roll, Punk… tutto torna all’Africa. Lì è dove tutto è iniziato, tutto ha avuto origine. Senza musica africana staremmo ancora facendo il Valzer. (ride)
Ed il Valzer è molto bello ma “you can’t groove it, baby!””

 

Di tutti i personaggi e gli artisti con cui hai collaborato chi ricordi con maggiore emozione?

Willie Dixon è stato un mentore, un amico un padre. Sono stato davvero onorato di poter suonare con Ray Charles e mi sono divertito molto con Prince ed ho amato fare Rock’n Roll con i Rolling Stones.
Ho avuto tante bellissime opportunità, suonando con i più grandi del Jazz, del Blues e del Funk, come Stan Getz, James Cotton, Junior Wells, Big Walter Horton ed altri…
Sono molto grato di aver suonato con alcuni dei più grandi musicisti del mondo. Sono stato fortunato.”

 

Ci sarebbero state le stesse opportunità se fosse vissuto adesso?

“Purtroppo no perché molte di queste persone sono morte e nessuno sarà mai come loro. Per fortuna abbiamo registrazioni di questi grandi uomini ma oggi questo tipo di esperienze non sarebbe possibile.
Mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto.”

Negli occhi una luce, un mix di malinconia, gratitudine ed entusiasmo.

Sorrisi. Blue è una persona che ama ridere e far ridere, ama far star bene e far sentire a proprio agio.

Alle 22.30 è iniziato il live, con non poca emozione, sia da parte del pubblico che da parte dei musicisti che non si ritrovavano insieme da circa due anni.

Il concerto è iniziato con una ricca dose di energia, con una introduzione strumentale che sembrava volerci gridare: “Hey voi!!! Questo è Blues!!!”. 

 

20220511 SugarBlue Pistoia letiziamugri 2

 

Sul palco c’erano:
Damiano Della Torre piano /organ/ accordion
Ilaria Lantieri Whiting Bass / vocal
Sergio Montaleni guitar / vocal
CJ Tucker drums (USA)
Kalifa Kone Kamalengoni, tama, djembe (Mali)
Petit Solo Diabate balafon, djembe (Burkina Faso)

Il pubblico ammutolito ha seguito ogni nota con ammirazione e, a volte, stupore.

Non capita così spesso trovarsi faccia a faccia con la storia, con chi quella famosa storia di cui tutti parliamo l’ha davvero vissuta e scritta, assistendo ad uno show avvolgente con grande reinterpretazione dei classici della tradizione afro-americana e riarrangiamenti di originali composizioni e cavalli di battaglia del repertorio di Blue.

Il secondo pezzo è Red Hot Mama scritto negli anni ’90; un esempio tipico della musica rivoluzionaria di Blue, che ha sviluppato una velocità ed una tecnica uniche, mischiando il Blues al Funk ed al Jazz, un connubio mai sentito prima che, se da una parte lo hanno reso un pioniere, dall’altra lo hanno escluso dal mondo dei puristi del Blues.

Prosegue il live con One More Mile, un pezzo di James Cotton a cui è molto legato, tanto che ha dato il suo nome al figlio a cui James Cotton ha fatto da padrino.

Non poteva mancare il tributo a Muddy Waters con Hoochie Coochie Man e poi di nuovo una dedica al mentore James Cotton, Cotton Tree.

Si arriva alla fine senza nemmeno rendercene conto.

All’arrivo di Miss You il pubblico esplode in un grande applauso; il famoso riff nacque dall’incontro di Blue con gli Stones, che volevano questo nuovo groove di blues misto a funk tipico della Chicago degli anni ’70.

Il concerto termina con Messin’ with the Kid, cavallo di battaglia di Junior Wells.

E così, in circa due ore, ci ritroviamo ad aver attraversato la vita di Blue, con tributi ai suoi mentori, che tanto lo hanno spronato nella ricerca dalla sua personalità (parola d’ordine nella ‘black community’) che ha come risultato un armonicista unico al mondo, fuori dai canoni, moderno, in cui è racchiuso talento e personalità, eclettico e colorato, con sempre tanta gratitudine per la cultura africana.

 

20220511 SugarBlue Pistoia letiziamugri 7

 

Setlist

RED HOT MAMA

ONE MORE MILE

HOOCHIE CHOOCHIE MAN

COTTON TREE

BLUESMAN

WHO’S BEEN TALKIN’

INTERMEZZO ACUSTICO

BAD BOYS HEAVEN

TIME

MISS YOU

MESSIN’ WITH THE KID

 

Foto e testo: Letizia Mugri

A tu per tu con i Lovesick Duo

Incontriamo Paolo Roberto Pianezza e Francesca Alinovi al Santomato Live di Pistoia, dove stanno per esibirsi in un concerto. Loro sono i Lovesick Duo, un progetto musicale nato in Italia nel 2015, le cui radici attingono alla musica americana degli anni ‘40/’50 Rock n Roll, Western Swing e Country e che ha già riscosso molto successo sia in Italia che all’estero.

 

Benvenuti Francesca e Paolo, piacere di conoscervi; siamo curiosi di sapere quale è il percorso e quali sono le influenze che vi hanno portato a questo genere di musica che, nel nostro paese, non ha grande cultura e diffusione.

Paolo: “Ciao, siamo i Lovesick Duo, suoniamo come Duo dal 2015 e abbiamo all’attivo cinque dischi. Siamo partiti come tutti, dalle cover. Suonavamo le cover della tradizione, brani di Chuck Berry e Hank Williams; ci piaceva molto la musica degli anni ’50.
Abbiamo suonato con un quartetto per 5 anni, ma poi volevamo approfondire meglio questo genere e, dopo alcuni viaggi fatti negli Stati Uniti, con ancora addosso quell’entusiasmo del viaggio abbiamo deciso di dedicarci a questo percorso insieme. Dopo vari concerti in locali, ci siamo resi conto che in duo funzionava alla grande.”

 

Qual è stato il momento della svolta? Quando avete capito che c’era un progetto e che potevate fare quel passo in più?

Francesca: “L’abbiamo sempre saputo, in realtà, anche mentre suonavamo con la vecchia band. Non è mai stato un passatempo. Per noi che suoniamo insieme dal 2011 è sempre stata una professione, anche mentre facevamo altri lavori.”

Paolo: “Io studiavo all’Università e, contemporaneamente, all’Accademia di Chitarra, dove mi sono laureato; mi ricordo bene il momento in cui ho realizzato che non mi sarebbe servita una laurea in tecnica erboristica per fare il musicista. Non riuscivo a fare entrambe le cose insieme ed avevo bisogno di decidere. È stato tutto molto naturale.”

Francesca: “Io ho fatto mille altri lavori, sempre suonando; ho frequentato diverse Accademie per il Basso, due Conservatori per il Pianoforte e Contrabbasso. Nel 2010 sono cambiate molte cose nella vita, radicalmente, in diversi ambiti e alla fine ho pensato: se morissi domani quale sarebbe l’unica cosa che vorrei fare? Suonare.”

 

Le note di copertina del vostro ultimo disco A Country Music Adventure recitano: “Lo scopo di questo lavoro è anche divulgativo ovvero speriamo di suscitare un po’ di curiosità attorno a questo mondo che a noi continua a regalare tante emozioni”. Ci vuole davvero un grande amore ed anche un grandissimo coraggio per intraprendere un percorso come questo ed in maniera così rigorosa, in un paese che notoriamente non è mai stato troppo incline a questo genere musicale. Nei vostri live trovate un pubblico che conosce già le cose che proponete o incontrate anche gente che non conosceva ma si appassiona? Insomma, secondo voi questa curiosità che intendete stimolare, trova riscontro nel pubblico?

Francesca: “Si, in diverse forme, sia dal vivo che on line; l’idea di questo disco, abbinato al fumetto, è nata attraverso Lorenz Zadro, del nostro ufficio stampa.
Il pubblico che ci ha seguito in questi anni di pandemia era eterogeneo, gli piaceva quel sound, quell’atmosfera, quell’allegria che avevamo noi ma non aveva la conoscenza del genere o della lingua. C’erano tanti appassionati ma anche tanti che non conoscevano niente riguardo al genere.”

Paolo: “Questa cosa ci ha anche stimolato a scrivere cose nostre; ci siamo detti che se un pezzo che non conosce nessuno in cui noi mettiamo entusiasmo per le persone è come se fosse carta bianca, perché non lo conosce, perché non fare pezzi nostri? Perciò, abbiamo iniziato ad inserire sempre più brani nostri nei live.
Questo disco è di cover, ha uno scopo divulgativo, abbiamo pescato nel calderone della musica Country, abbiamo scelto i brani in modo specifico perché ricalcavano un fumetto, disegnato da Lorenzo Menini, ed abbiamo scelto la scaletta proprio per far sì che ogni personaggio importante nella storia sia presente anche nei brani.”

Francesca: “Il fumetto era la cosa fondamentale ed introduce le tematiche dei vari brani, incuriosendo, ed è servito molto.”

Paolo: “Siamo già in stampa con la versione inglese ed il vinile; abbiamo avuto molte richieste dall’estero, tant’è che è stata venduta la versione italiana in tutto il mondo per cui adesso lo stiamo stampando in inglese.”

Francesca: “Abbiamo anche un pubblico relativamente giovane, che scopre un Country moderno; in America ci sono una serie di indie Country e pop Country oltre ad un Country di nicchia e tanti giovani, conoscendo noi, arrivano ad una serie di playlist che li portano a scoprire un sottobosco che in Italia non esiste, ma che nel resto del mondo c’è. Ci sono moltissimi ragazzi di 20/25 anni che suonano questo genere, che non è vecchio, anzi ha sonorità super moderne.”

Paolo: “Una cosa importante del Country, sono i testi; al di là del sound che può essere più vecchio o più nuovo, più glitterato, più pop ma ci sono sempre delle storie molto belle, c’è tanto songwriting, composizione ed è tutto sempre attuale.”

 

Il vostro album La Valigia di Cartone era interamente cantato in italiano, come parte del successivo. Pensate di ripetere ancora questa cosa in futuro?

Paolo: “Questo è uno dei nostri crocevia. È stata una sfida quell’album ed è andato molto bene perché abbiamo avuto un bellissimo riscontro che è quello che cercavamo di ottenere dal vivo come ottenevamo all’esterno quando facciamo i brani in inglese ma in Italia con i nostri pezzi in italiano. Continuarlo? Non so…In realtà abbiamo molti pezzi già pronti, da decidere se e quando pubblicarli.
In questo momento abbiamo preso la strada dell’inglese perché avevamo tante cose all’estero. Volevamo metterci alla prova con l’inglese e vedere come andava; sta andando molto bene e quest’ estate avremo un bel tour europeo che si sta delineando sempre più ma mai dire mai.”

 

20220324 lovesickduo pistoia letiziamugri 272

 

Potete dirci qualcosa della vostra esperienza a New Orleans e negli States in generale?

Francesca: “Ne La Valigia di Cartone c’è tanto di New Orleans perché è là che Paolo ha scritto molti pezzi, vivendo da un musicista che spesso suona qui in Italia e con cui c’era un grande scambio di pensieri e riflessioni su come trasmettere certe cose nella nostra lingua.
New Orleans è una città super stimolante ma i viaggi in America sono stati diversi ed ogni volta super stimolanti sia per poter riparlare la lingua ma anche per ricaricarsi e prendere il più possibile dalla loro cultura; tante esperienze pazzesche, tipo registrare un album, tante jam sessions e concerti nati così, per caso.
La velocità di connessione negli States è impressionante. Quando sei un musicista, se hai una certa attitudine, ti capita davvero molto velocemente di poter fare qualcosa. Una cosa tira l’altra. Poi viverci sarebbe tutt’altra cosa.”

Paolo: “Avevamo trovato la nostra dimensione, due mesi là e poi qua in Italia ma la pandemia ci ha bloccati. Probabilmente questo autunno ci torneremo. Ci piaceva stare qua ed andare là ed avere questa doppia possibilità.
Ma ci piace molto anche viaggiare infatti questa estate viaggeremo molto in tutta Europa e ne siamo felici.”

 

Visto che avete una presenza costante sui social, ci piacerebbe entrare un po’ di più nel vostro privato, in particolare ci piacerebbe sapere cosa ascoltavano Paolo Roberto Pianezza e Francesca Alinovi?

Francesca: “Ascoltavo vinili dei cartoni, perché i miei me li compravano; durante il periodo del Conservatorio non ascoltavo troppo musica classica, ma qualcosa si. I miei non erano appassionati ma mio zio si e da lui vedevo TMC ed i vari live ed aveva dei vinili Metal. A sedici anni ho scoperto la musica Punk e da lì il mondo Hard Rock e Metal, tutti gli anni ’90, passando per lo Ska e poi il Blues, che ho conosciuto tardi, e il Jazz, tardissimo. I grandi come Beatles, Stevie Wonder, Jackson io non avevo nemmeno idea di chi fossero. Avevo una cultura underground musicale perché stavo dietro ai locali, facevo fanzine, avevo un furgone col quale portavo le band, per cui avevo più un tessuto di questo tipo ma dei grandi nomi…zero! Totalmente! Poi si è tutto evoluto. Adesso ascolto di tutto anche i dischi che ci mandano, li ascolto tutti quanti! Ascolto qualsiasi cosa e vado a periodi.
Paolo invece in macchina ha playlist su playlist.”

Paolo: “A me piace scoprire ma un po’ alla volta certe cose per cui quando prendo l’infilata con un artista lo ascolto a ripetizione prima di passare ad altro o faccio anche tante playlist ma ho bisogno di ascoltare tante volte la stessa cosa.
Sono un grande fan dei Beatles. Mio papà mi ha fatto sentire davvero tanta musica quando ero piccolo e adoravo ascoltare la musica in macchina. Mio papà era Beatles fanatico. Sento dei dischi di Paul McCartney che non ho mai sentito, ma in realtà conosco già tutto il disco. Loro, gli AC/DC, Stevie Ray Vaughan, Stevie Wonder, tutto questo mondo l’ho scoperto grazie a lui.
Sono sempre stato sveglio, suonavo il piano, ho imparato la chitarra da solo ma il legame con la musica vecchia è nata in realtà dal ballo. Io ballavo Lindy Hop e Boogie-woogie.
Un giorno mia mamma mi ha portato a lezione di Boogie ed è stato impiantato questo semino che è rimasto lì fino a che, verso i 18/19 anni, mi è tornato e, insieme ad una ragazza – che è stata campionessa italiana, tra l’altro – abbiamo fatto due anni intensissimi. A quel punto Elvis è diventato il pane.
Questo, unito al fatto che suonavo e con l’incontro con Francesca, ha fatto sì che tutto si riconnettesse ed è avvenuto il tuffo nella cultura americana.
L’altro snodo importante sono stati i viaggi in America perché hanno fatto fare un’impennata vertiginosa al mio inglese ed hanno fatto sì che potessi capire bene le parole delle canzoni che non conoscevo. Il mio insegnante di chitarra era americano, ho studiato là con lui. L’inglese è davvero importante nella Country music essendo i testi importantissimi.”

 

Live e streaming. La pandemia e la chiusura di locali e live theatre hanno aperto la strada ai concerti in streaming che, anche se non hanno la stessa immediatezza emotiva dei live, sono riusciti ad aiutare gran parte del pubblico ad affrontare un periodo così difficile, ma anche a far conoscere realtà artistiche e musicali che spesso rimangono localizzate. Pensate che i concerti in streaming potranno comunque avere un futuro ora che la situazione si sta aprendo? Pensate che sarà possibile integrare queste due forme di concerto oppure fate parte della corrente “purista” che aspira a un ritorno al solo concerto live? Quali vantaggi o svantaggi potrebbe portare quella eventuale integrazione al vostro genere musicale, che ancora ha difficoltà a diffondersi nel nostro Paese?

Francesca: “Per un po’ li abbiamo fatti. Per la maggior parte dei musicisti è fondamentale avere un momento catartico; ricordo che quando studiavo pedagogia musicale si parlava proprio del processo dall’inizio, dallo scrivere musica all’arrivo sul palco e se non arrivi a quel momento lì, in cui c’è lo scambio diretto con l’altra persona e quindi anche il volume, le luci, i riflessi che il corpo mette in atto, è paragonato ad un rapporto sessuale che non arriva alla fine e quindi il corpo ne soffre. Secondo me arrivare fino allo schermo non basta. Manca il viaggio, la conoscenza di tutte le nuove situazioni, il volume. Non c’è la stessa soddisfazione per cui torni al punto di partenze ed il ciclo non si chiude per cui secondo me non potrà mai cambiare.”

Paolo: “Abbiamo fatto un sacco di streaming da casa, son andati bene in quel momento c’era un pubblico che ci seguiva ed abbiamo prodotto un sacco di contenuti e quindi facevano parte di quei contenuti; se uno prendesse solo l’estratto dello streaming sarebbe una cosa diversa, nell’ottica di quel momento avevano un altro significato. Il concerto trasmesso in streaming invece è un’altra cosa, che è una figata! Anche non in streaming, anche se fosse registrato. Ma lo streaming a casa no. Preferisco comunque il video allo streaming in modo da avere delle belle riprese in quanto mancherebbe la forza dell’interazione perché saremmo su un palco e non potremmo rispondere nell’immediato. Allora se voglio vederlo voglio belle immagini ed un ottimo audio.”

 

In concomitanza con l’uscita di Threads nel 2019, Sheryl Crow ha dichiarato di voler abbandonare il mondo della musica perché, citiamo letteralmente, “Non c’è più voglia di ascoltare dall’inizio alla fine l’album di un cantautore. Il pubblico si crea il disco che vuole mettendo insieme delle semplici playlist. Il concetto di album appartiene al passato”. I vostri album sono dei viaggi musicali da vivere nei singoli brani, ma che nascono, comunque, per un ascolto completo del progetto: siete d’accordo con l’affermazione dell’artista statunitense? Pensate che questa attitudine a spezzettare i progetti per poi ricomporre delle playlist personalizzate sia il futuro della fruizione della musica oppure pensate che ci sarà un’inversione di tendenza? Come vorreste che fosse ascoltato un vostro progetto?

Francesca: “Penso che un personaggio così grande può dire che si è stufata e che adesso creare queste playlist fa parte del nostro mondo, che in qualche modo è sempre esistito. Ma non ascoltare un album intero no. Sentire solo singoli di un artista mi deluderebbe tantissimo. Mi stupirei del fatto che sia andato in studio ad incidere i singoli e non album.”

Paolo: “Se c’è una cosa che ti piace ne vuoi ancora e mettere tutto nello stesso contenitore un po’ alla volta fa anche sì che se ti piace così tanto ce n’è ancora, in quel disco lì! Ad esempio l’altro giorno ho messo su John Prine di John Prine e l’ho ascoltato due volte dall’inizio alla fine.”

Francesca: “Parlando con due mie cugine adolescenti, so che ascoltano YouTube e quindi passano ad artisti simili e scoprono. Seguono comunque un filone, non vanno a caso.”

Paolo: “Per noi che abbiamo un pubblico di nicchia credo che l’album sia fondamentale.”

 

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Francesca, abbiamo visto dai video che hai una sorta di “appendice” montata sulla tavola del contrabbasso, che suoni ad incastro allo slap con una spazzola da batteria. È un’idea tua o ti sei ispirata ad altri bassisti che usano questa soluzione?”

Francesca: “È partito tutto da Paolo, tornato da Nashville mi ha fatto vedere un video di Kent Blanton, un musicista che suonava un rullante applicato al contrabbasso e mi ha chiesto di provare. Io non ne avevo nemmeno l’intenzione. Circa due anni più tardi, sono andata anche io a Nashville e quando sono tornata sono andata mi sono decisa ad andare da un liutaio e provare a ricreare quello strumento.
Ho cercato video su YouTube ma nessuno mi ha aiutata per cui abbiamo proceduto per tentativi, cercando di capire quale fosse il modo migliore.
Da quando ho visto suonare Blanton a Nashville a quando sono riuscita a suonarlo è passato circa un anno!
Con il liutaio abbiamo poi pensato di fare un modello più sottile con i piedini regolabili per qualsiasi contrabbasso e fatto sta che adesso in molto lo hanno comprato. Io ho anche fatto dei video in cui spiego come suonarlo.
Ho anche fatto lezioni in America a degli americani che volevano suonarlo perché non sapeva come fosse. Oppure a qualcuno che ci aveva già provato ma non riusciva a capire come si facesse, come stava su o il suono o il tipo di pelle.
Ognuno ha il suo modo di suonarlo, adattato alla tecnica che hai sul suo strumento, per cui i movimenti saranno diversi per tutti.”

 

Vi incastrate a perfezione ed avete un rapporto che sembra bello anche al di fuori, come è nato tutto?

Paolo: “Noi siamo una coppia e ci siamo conosciuti in un bar. Lei suonava in un posto ed io suonavo con un altro ragazzo e siamo andati lì a bere una birra e ci siamo presentati. Quel giorno siam saliti sul palco a fare un pezzo insieme, immediatamente sul palco e così è nato tutto, compresa la prima band.”

 

Grazie mille per la disponibilità a Francesca e Paolo, Lovesick Duo.

 

Letizia Mugri e Alma Marlia
Foto Letizia Mugri