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Tag: libri

All I Want for Christmas Is (a Book)

Sudorazione, crampi addominali, secchezza delle fauci e narcolessia.
Questi i sintomi provocati dall’ansia da regalo, effetti indesiderati dovuti a sessioni di shopping degne di un triatleta in attività.
Abbiamo una soluzione a mariti collezionisti di vinili rari, a fidanzate dedite al post-goth lappone, ad amici/e/u che millantano di conoscere la setlist dei Bee Hive a Trezzano, 1982.
Un libro. Date loro un libro e otterrete gioia, quiete e una manciata di consecutio apprese per osmosi.

Siamo stati al Salone Internazionale del Libro di Torino e, con un ritardo imbarazzante, abbiamo qualche consiglio su titoli o case editrici per chi, in questo duro momento, è uscito sconfitto da un negozio di dischi.

Partiamo dalla casa editrice Odoya, quella più presente sugli scaffali di chi scrive, più che altro per l’affinità di generi musicali esplorati.
Quattro i titoli su tutti:

Greil Marcus, Bob Dylan, Scritti 1968 – 2010
Un rapporto, anzi, un amore letterario che attraversa un’era musicale, una fotografia di una parabola lunga come una carriera. 40 anni raccontati da una penna di indiscusso valore mondiale. 

Greg Prato, Grunge is Dead.
Tecnicamente una bibbia. 130 interviste, una storia corale, una storia orale. Si parte dalle radici, si analizzano band più o meno note, si mette a fuoco quello che fu, dopo la Londra punk, l’ultimo movimento musicale geograficamente così circoscritto e allo stesso tempo così importante a livello globale. 

Valeria Sgarella, Seattle, la città, la musica, le storie.
Del sopracitato movimento grunge esiste una geografia ben descritta in questo volume. Seattle è stata una città di sale prova, di spazi per concerti, di luoghi intrisi di storie e musica. Poi giganti come Starbucks, Microsoft e Amazon hanno iniziato a cambiarne l’aspetto (e l’anima?). 

Stefano Solventi, The Gloaming, i Radiohead e il crepuscolo del Rock.
Questa è una storia di evoluzione, un’analisi del rapporto tra una band (i Radiohead) e i cambiamenti a livello globale. Una sorta di documentario sul processo evolutivo, sui meccanismi di cambiamento e sulle modalità di interazione per modulare al meglio la propria arte. A volte l’oggetto del racconto cambia il linguaggio del racconto stesso. 

Sempre della stessa casa editrice segnaliamo testi su Tom Waits, Black Flag, Nick Cave, Zappa, Ian Curtis e molti, molti altri.

 

Altro catalogo che ci ha colpito è quello della Tsunami Edizioni. Qui l’ambiente è un po’ più caldo, con monografie lato metal/rock/punk/hardcore, anche di autori italiani. Citiamo un geniale Come sopravvivere a Wacken, di Davide Savaris, oltre a testi molto interessanti su Nine Inch Nails, Joy Division, Mötley Crüe, Screaming Trees.

 

Sezione a parte la merita Maurizio Blatto. Unire causticità sabauda ed amore per la musica è un’arte e un privilegio. Tre titoli dell’autore meritano di essere letti, perché portano a una sana e consapevole autoindulgenza nei confronti delle proprie intolleranze musicali e della autoproclamata superiorità in fatto di gusti e manie.
Citiamo:

Sto ascoltando dei dischi, ADD Editore, 2020
Mytunes. Come salvare il mondo, una canzone alla volta, Baldini + Castoldi, 2014
L’ultimo disco dei Mohicani, Ultra, 2017

Segnaliamo che è uscito un nuovo libro da pochissimo, titolo: Canzoni di Natale, ADD Editore. 

 

Ricordiamo storiche collane ancora attive e presenti in catalogo, come Arcana, LIT e Ultra. Testi al limite del saggio filosofico, come Snaidero per Mimesis, La filosofia dei Led Zeppelin. Edonismo vitalista e volontà di potenza, ovvero Page-Plant-Jones-Bonham secondo Nietzsche.

E ancora, di Rossano Lo Mele, Scrivere di Musica, Minimum Fax. Dalla penna del batterista dei Perturbazione e direttore editoriale di Rumore, un saggio su come e cosa e quando e perché della musica.

Di Vincenzo Costantino, aka Cinaski, I miei Poeti Rock, Hoepli. Qui si tratta di musica e condivisione, di scoperta e di racconto, di musica e poesia.

Chiudo con Nicholas Ciuferri, Maledetti Cantautori, Beccogiallo. Fu una piacevole scoperta, a teatro. Perché il libro, in questo caso, è uscito dalle pagine ed è diventato uno spettacolo fatto di parole e canzoni, in cui la musica spiega il racconto e il racconto diventa la musica.

 

Ovviamente di titoli validi e di autori capaci le librerie son piene. Speriamo di aver dato però uno spunto o anche solo un barlume di speranza a chi, quest’anno, ha bisogno di un aiuto nell’assecondare una sana mania, una beata ossessione.
Che, poi, “scrivere di musica è come ballare di architettura”.
Speravo di non citarla, ma non ho resistito.
Chiedo scusa e buone feste.

 

Andrea Riscossa

 

Postilla: caldamente raccomandata la serie di libri 33 1/3 edita da Bloomsbury Publishing, piccole monografie su specifici album scritte da autori vari e con vari stili, dal tradizionale saggio a versioni più romanzate della genesi del disco in questione. Ad oggi si contano circa 170 titoli, disponibili solo in inglese.

Francesca Garattoni

A Ferrara si va “Fortissimo”

Matteo Bianchi ci racconta la sua “Penna”

 

2 DICEMBRE

 

«I don’t want to be the one / left in there, left in there»… laggiù, in una cittadina tra i campi, sul cuscino di lui lei aveva sistemato una mattina il suo pigiama, prima di andare al lavoro. Si sa quanto i pigiami siano morbidi. E magari sono quello che portiamo addosso di più sincero. Spontanei, a volte scontati. Quello che basterebbe per svegliarsi bene il primo gennaio. Il suo aveva un biscotto enorme, tante stelline e tante piccole lune su un cielo blu. E lui che con gli occhi la seguiva da mesi sul finire del turno, in mezzo alla folla degli acquisti, sapeva che ci sono cieli e notti in giro che riempirebbero una casa. Più delle luci di Natale. Notti sfogliate solo nei racconti che l’avrebbero scaldato più del solito cappotto grigio. Quello da battaglia, appeso vicino all’entrata. Di solito lei dormiva sul fianco destro, lievemente raccolta, con le braccia al petto; perciò, quando spegnevano la luce al secondo piano in una stanza tra le tante, lui le prendeva le mani e la stringeva a sé. In due si vede anche al buio, e il buio stesso si fa inconsistente. Talvolta si svegliava per assicurarsi che lei non avesse freddo, le baciava i capelli che si erano sciolti sul cuscino e tornava ad appoggiare il viso sulla sua schiena, sperando di avere altri dieci minuti a disposizione, sebbene del tempo non gli importasse più granché.

 

 

Copertina Fortissimo 1 

 

Il libro si intitola Fortissimo (Minerva), comprende un mezzo piano e si apre con dei versi degli Anthony and the Johnsons. Quali e quante musiche ci sono in questo libro?

«Il testo di Hope there’s someone si sovrapponeva a quello che sentivo per la persona di fianco a me in quel momento. La musica è la prova di una coincidenza che diventa emozione. Anche il tono e il timbro vocale erano adatti alla circostanza. Fortissimo e Mezzo piano hanno sia una connotazione fisica di spazio, legata alla percezione della realtà circostante, sia una temporale: il mezzo piano è il mezzanino di ogni condominio che consente incontri momentanei, in cui ci si dice tutto con uno sguardo. Esiste una sfumatura musicale che lega i due titoli: sono entrambi indicazioni dinamiche dell’intensità sonora e, astraendo, offrono la possibilità di dare volume alle conseguenze delle nostre azioni».

 

Se dovessi scegliere una (o più d’una) canzone da ascoltare in sottofondo, leggendo le tue poesie, quale sarebbe?

«Mi hanno accompagnato nella stesura l’intero Bon Iver, Bon Iver, Solitude di Ryuchi Sakamoto, Odradek di Alva Noto, proprio per affrontare il buio. È stata la reazione visionaria di questi artisti, ognuno con il proprio stile, a convincermi; il modo con cui si sono opposti all’incombenza del passato sul presente. D’altronde “il sogno è l’infinita ombra del vero”, scriveva Pascoli».

 

Secondo te, poesia e musica mantengono ancora oggi il legame indissolubile che hanno fin dalle origini?

«Decisamente. La prima parte del libro è una prosa poetica, vale a dire una prosa costruita mediante figure retoriche, prevalentemente di suono. Uso assonanze, allitterazioni e rime in quantità per sostenere quello che di fatto è un flusso di coscienza. Un monologo interiore che asseconda i miei stati d’animo. È il riflesso di quello che ho provato, e la musica mi è fondamentale per tenere insieme il discorso. Dove non c’è logica e razionalità, e nella poesia non c’è, la musicalità è un medium: dà alla parola lo slancio necessario per arrivare all’orecchio del lettore, non solo alla sua mente. Non applico una struttura metrica tradizionale abbastanza solida o lavorata, sono andato a orecchio».

 

E il mondo della musica e quello della letteratura trovano ancora qualche connessione?

«Sono in realtà molto scoraggiato, mi demotiva parecchio il panorama attuale, perché il punto di collisione più forte era quello cantautoriale, anello di congiunzione tra testo poetico e musicale. Siamo circondati da prove scadenti, non trovo contemporanei viventi degni di nota. Forse solo Nicolò Fabi riesce a tenere il punto, e, quando è in forma, Samuele Bersani, poiché dimostra un grande rispetto nei confronti della lingua, questo per quanto riguarda i più giovani. Guccini, Branduardi e Vecchioni sono indimenticabili soprattutto per le prime prove; Battiato e Tenco, ovviamente, e pure Gino Paoli agli esordi. Ma la cosiddetta “scuola genovese” in toto, conquistata dalla passione di De André: “Sono evidentemente fortunato – annotava sotto le ciglia – soprattutto quando riesco a trasformare il disagio in qualcosa di bello e magari anche di utile, non necessariamente di memorabile”.

Un altro filone interessante è quello che unisce il rap al poetry slam, la poesia d’occasione incanalata su un tema a richiesta. Io non sono vicino a quel metodo di scrittura: nel poetry slam la forma si impone troppo sul contenuto rischiando di impoverirlo, non solo di storpiarlo. Davanti a un impoverimento cambierei approccio, per questo non l’ho mai concepito, anche perché scimmiotta un’urgenza, è un volersi dare un tono d’emergenza che di fatto non corrisponde alla realtà. Non c’è più la ricerca di equilibrio».

 

I temi portanti del libro sono l’amore, il tempo, la quotidianità. Qual è il filo rosso che tiene tutto insieme?

«Il filo rosso della raccolta è la necessità di innamorarsi, perché spesso, anche se non sempre, innamorarsi o riuscire a innamorarsi ancora rende liberi.  Che poi sia una libertà illusoria ed effimera, che non può fare i conti con la realtà, è vero, ma l’esigenza rimane. Se vogliamo tracciare un parallelo musicale, ciò che lega i miei testi è l’innamoramento che dà il la a un sentimento amoroso, proprio come la prima nota avvia un brano».

 

Irene Lodi