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Karate @ Link

Il secondo postulato di Adu il Vecchio, formulato verso il finire del ventesimo secolo, recita: “Tanto maggiore è il numero di magliette dell’artista o band che si sta per esibire (presenti tra il pubblico, NdA), tanto minore sarà la qualità dell’esibizione proposta”. Vi è poi un corollario che fa riferimento anche alle bandane e alle sciarpe ma ne parliamo un’altra volta. Trattandosi di un postulato è vero di per sé, senza bisogno di dimostrazioni o altro.

Ad ogni modo la prima data italiana, dopo qualcosa come diciassette anni dall’ultima volta, di domenica 31 luglio al Link di Bologna dei bostoniani Karate è lì a rimarcare ancora una volta l’assoluta veridicità di quanto sopra esposto.

Nessuna, dico nessuna maglietta dei Karate presente in loco (o almeno vista dal sottoscritto), in compenso, e anche dall’elenco (parziale) che segue s’intuisce la qualità enorme della serata: Girls Against Boys, Sebadoh, Fka Twigs, Nirvana (con la copertina dei Joy Division però…), Shelter, due Daniel Johnston, Jon Spencer Blues Explosion, Dinosaur jr, Pontiac, Eversor, Lush, Gazebo Penguins, Yob, The Soft Moon, Mad Season, Descendents, Idles, The Van Pelt, Wolfbrigade, Deus Ex Machina, Bauhaus e Einstürzende Neubauten.

Qui l’unico tasto un po’ dolente della serata, perchè ero partito da casa con la maglietta dei Marnero, ma me l’ero cambiata che dopo 150 km di macchina insomma non ero molto presentabile, e poi entro e chi vedo subito? Raudo e soci… Avrei potuto bullarmi un po’ ma vabbè…

Ma andiamo con ordine.

Già poco dopo le 20 l’area estiva antistante (o retrostante a seconda) del Link è già moderatamente affollata, segno tangibile di una serata per nulla ordinaria. In scaletta, prima del momento clou, due “vecchie” glorie del punk e hardcore italiano, i pesaresi Eversor (con il fondatore Marco Morosini tra il pubblico) e i torinesi Frammenti. Scelta quantomai azzeccata, visto anche la grande risposta e calore sprigionato dal pubblico sotto il palco. Si canta, si salta, un paio di tentativi piuttosto ben riusciti di stage diving, insomma tutto lascia intendere che se queste sono le premesse…

E poi… e poi, cosa vuoi dire.

Che i tre Karate salgono sul palco, e quei diciassette anni dall’ultima volta vengono dissipati dai primi attimi di Bass Sound, la linea di basso accolta da un boato del pubblico, Farina che ce lo ricorda, che saranno passati lustri su lustri, ma “one stays the same”, ed è subito 1998, sei un adolescente affamato ed insaziabile di scoprire e ascoltare e scoprire e ascoltare di nuovo e il tuo mondo è anche (soprattutto) lì, tra quelle note, quegli accordi. 

Il colpo di grazia per me arriva molto presto, ai primi accordi di Gasoline, ad urlare assieme “Stay” e “Sugar, Gasoline, When you’re nineteen, Sugar, if I keep it near, will it keep you here, will it keep you here”, e da lì in avanti è un lento, dolcissimo abbandonarsi ai racconti, ai ricordi, ai momenti. 

Troppo zucchero? Può essere, però è difficile spiegare (è difficile capire se non hai capito già). 

La sensazione che provavo, man mano si snocciolava la scaletta, era che in mezzo a quel pubblico così vario, ognuno, io compreso, venisse preso per mano da Geoff e soci, tanto il ventenne che li ha appena scoperti cazzeggiando su qualche sito (sì lo so che Scaruffi dà al massimo un 6.5) quanto il quarantenne per il quale sono il gruppo giusto al momento giusto che diventa di fatto culto, tanto i cinquantenni e oltre, capaci di cogliere il bello anche al di fuori degli anni ottanta.

La coda strumentale di This Day Next Year è suggello e apice di una serata di emozioni intense e reali, tangibili, genuine.

Mentre mi lascio il Link alle spalle, sulle note di —, penso a quanto ho letto una volta: “il mondo non aumenta di peso quando nasci né diminuisce quando muori, ma ciascuno di noi può lasciare un segno”. 

Di sicuro stasera qualche migliaio di persone tornerà a casa col cuore segnato in maniera indelebile.

 

Alberto Adustini

Viagra Boys @ Link

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• Viagra Boys •

+

Automatic Band

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Bologna // 28 Novembre 2021

 

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It was nice even though we ain’t nice

 

Dopo più di un anno di snervante attesa finalmente la data zero è arrivata: domenica 28 novembre la band svedese dei Viagra Boys si è finalmente esibita a Bologna. Inizialmente il live era previsto nell’intimo Freakout Club, ma a causa delle restrizioni covid e all’enorme richiesta (sui social si è assistiti ad una caccia all’ultimo sangue per avere dei biglietti, nonostante fosse sold out da mesi) l’evento è stato spostato al più capiente Link.

In poche parole, l’hype era alle stelle.

La serata è stata aperta dalle californiane Automatic Band, un gruppo tutto al femminile post punk, a mia detta niente male, ma l’attenzione era poca, tutti aspettavamo con impazienza il noto Sebastian Murphy solcare il palco e sbalordirci tutti.

E così è stato: la band entra e senza fronzoli attaccano con i pezzi dell’ultimo disco, Welfare Jazz, uscito ad inizio 2021, che trasuda critica sociale e surrealismo, marchio di fabbrica degli svedesi. Il pogo parte in maniera istantanea, il pubblico canta e si dimena seguendo il post punk ricco di sfumature jazz, grazie all’aggiunta nella band del talentuoso sassofono di Oskar Carls. 

Sebastian Murphy incarna il leader punk per eccellenza, bramoso di attenzioni del suo pubblico accompagnato da una totale mancanza di attenzione per se stesso e per tutto ciò che lo circonda. Sul palco, a petto nudo, mostra la sua tonda pancia da birra con orgoglio e si diletta in balletti poco aggraziati, come quegli zii avvinazzati che ti mettono in imbarazzo alle feste di famiglia. Beve, bestemmia, rutta, si butta a terra, sputa sul pubblico. In molti lo descrivono come la risposta svedese a Joe Talbot, il leader degli Idles, ma questa noncuranza estrema (NB: sulla fronte ha tatuato la parola Lös, traducibile come perdente) mi ha fatto pensare più al controverso e dissacrante GG Allin.

Il live è stato ricco anche di brani tratti dal disco precedente: in Sports, Worms e Slow Learner, tutti accumunati da testi colmi di denuncia sociale e satira e nonsense che sfiora il dadaismo. Ovviamente, più volte sono stati nominati gli shrimps (gamberetti), un vero chiodo fisso che ha portato la band a fondare un’impresa fittizia dal nome Shrimptech Enterprises. 

Non sono mancati i grandi classici come Ain’t nice, Girls & Boys e Creatures, caratterizzati da quelle sonorità dance punk ma con aggiunte di garage, jazz e basi quasi country. Inserirli in un esatto genere musicale oltre ad essere riduttivo è un’impresa e loro non ne sarebbero contenti: nel video di Girls & Boys appare la scritta: “Middle aged men fight in comments on which band this sounds like”, che ci fa capire senza giri di parole la loro idea a riguardo.

È stata una serata surreale, folle e coinvolgente, con volumi esagerati ed entusiasmo alle stelle. Non potevo chiedere di meglio: tornare ad assistere ai concerti senza distanziamento con una band di matti da legare come i Viagra Boys è un sogno che si avvera.

 

Alessandra D’aloise

Foto: Linda Lolli

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Automatic Band

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