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Tag: marta massardo

Non Credere a Nessuno

Esiste un dolore persistente, un senso di disagio che attraversa generazioni diverse, che incastra le sue radici nelle anime più fragili e l’urgenza di raccontarlo diventa musica: è qui che si collocano i Sick Tamburo e il loro nuovo album Non credere a nessuno.

Era il 2007 quando Elisabetta Imelio e Gian Maria Accusani hanno fondato la band, dopo l’iconica avventura dei Prozac +, continuando a raccontare la vita attraverso un eterno atteggiamento punk che li ha resi dei capisaldi del panorama alternative rock italiano. Dopo la prematura e drammatica scomparsa di Imelio, l’inconfondibile poetica di Accusani ha continuato a dare vita al progetto musicale.

Mentirei se dicessi che ho sempre conosciuto i Sick Tamburo. Certo, il loro nome e la loro fama sono nel mio radar da anni e Spotify, con il suo implacabile algoritmo, mi ha spesso proposto i brani della band. La mia conoscenza era approssimativa fino a poche settimane fa: ma non è anche questa l’essenza dell’underground? Qualcosa scorre silenziosamente sotto la superficie e poi emerge con prepotenza, fa rumore, spacca il terreno e trovi un senso a tutte le tue emozioni complicate e, a volte, insopportabili. 

Arriviamo alle note, dolenti e no. Per sempre con me è la canzone che ha anticipato l’album Non credere a nessuno e vede la partecipazione di Roberta Sammarelli dei Verdena. Il ritornello entra in testa, una dolce melodia fonde le voci di Sammarelli e Accusani, che ci raccontano la storia di una ragazza apparentemente spenta e confusa che ha perso se stessa. Il brano propone una riflessione: “Hai perso la voglia di alzarti / Si parla di libere menti”. Un periodo buio può essere una conseguenza di una mente libera dalle costrizioni della vita? La sensibilità dei testi di Accusani è un varco che ci conduce verso nuove prospettive. 

Il colore si perde, altro singolo dell’album, ci mette davanti ai cambiamenti d’umore. Ogni sensazione che proviamo è passeggera, tutto è in continua evoluzione. È semplice vivere così? Forse sì o forse no, ma a volte è anche normale lasciare scorrere la vita così com’è, come sembra suggerire il brano Piove ancora. Possiamo sentirci impotenti di fronte alle disgrazie, ma possiamo tenerci stretti, farci compagnia e cercare di non sentirci soli. Il cambiamento d’umore è un tema molto presente nell’album e ne è un altro esempio Certe volte: “Certe volte basta poco / Per far venire il sole / Certe volte basta poco / Per farlo scomparire / Certe volte basta poco / Per fare il carnevale / Certe volte basta poco / Per fare un funerale.”

Il mio unico nemico è una canzone che racconta una verità che a tratti sembra scontata, ma che ci dimentichiamo spesso, come accade per tante banalità. “Cerco sempre un nemico cerco / Per non stare solo […] Ma il mio unico nemico / L’ho capito sono io / Non mi serve più cercare / Ho una faccia a cui sputare.” Quante volte, anche ironicamente, abbiamo sentito l’espressione “fare il dramma”? Forse è il dramma che fa noi, ci plasma, ci dà un senso, crea un movimento nella nostra vita e ne diventiamo dipendenti. Qual è la linea da non superare?

Non credere a nessuno è un disco che attraversa le fasi inevitabili della vita: l’abbandono, la perdita, il bisogno di aiuto, la consapevolezza di sé e il commiato definitivo che porta dolore e lascia spazio a nuove persone pronte a confondersi nel mondo. La malinconia è contagiosa, ma ci dà una sicurezza in più: per ogni emozione che ci sembra strana e insopportabile, per ogni cambiamento d’umore, per ogni tunnel buio e apparentemente senza fine e per ogni addio che dobbiamo dire, la musica dei Sick Tamburo è un abbraccio che ci fa sentire compresi. 

Sick Tamburo
Non Credere a Nessuno
La Tempesta Dischi/Believe

Marta Massardo

Genova Hip Hop Festival 2023

Sono stata al Genova Hip Hop Festival, un evento durato ben otto ore e dedicato, ovviamente, al genere musicale che piace tanto ai giovanissimi. E voi penserete: “Ok, quindi?” Riformulo: sono andata al Genova Hip Hop Festival vestita come una qualsiasi Rory Gilmore appena uscita dalla biblioteca di Yale e senza conoscere le canzoni. Ma è stata un’esperienza fantastica.

Partiamo con una grande e doverosa premessa: non sono mai stata un’esperta della scena rap. Con gli anni, ho imparato a lasciarmi condizionare meno dai pregiudizi e dall’insensato desiderio di avere dei gusti da snob sofisticata, per riconnettermi alla realtà. Ogni forma d’arte ha ragione di esistere finché riesce ad arrivare al cuore delle persone.

Il festival, giunto alla sua quinta e straordinaria edizione, ha voluto raccontare la cultura hip hop a 360 gradi, dando spazio anche alla street art e alla break dance. I protagonisti sul palco dei Giardini Baltimora erano sia grandi nomi nazionali come Inoki ed Ensi, sia artisti emergenti nati anche da realtà genovesi. Grazie alla partnership con il Comune, è stato un evento totalmente gratuito, caratteristica importante che ha reso la musica accessibile al pubblico molto giovane e, quindi, composto perlopiù da persone senza un’entrata economica. E vi assicuro che vedere degli adolescenti passare ore attaccati a una transenna, a urlare, cantare e limonare è emozionante: noi eravamo così e avremmo fatto carte false per vivere un momento simile.

E poi, sarò di parte, ma Genova non si smentisce mai. La città di De André sa ancora parlare a chi si sente maledetto e non esiste una netta differenza tra vecchia scuola e nuova scena rap, ma c’è un unico filo rosso che parte dallo stesso gomitolo che i cantautori si passano di mano in mano mentre cantano i quartieri della città. E ognuno lo srotola a modo suo, magari anche male, ma fa la sua parte. Ed è un concetto che ho compreso, in primis, con l’esibizione di Theo Rem, un nome che mi arriva alle orecchie da anni, ma molto distante dalle mie playlist su Spotify. Mentre cantava cercava un vero contatto con il pubblico, voleva parlare ai ragazzi di fronte a lui ed era come se sentisse di appartenere alla piazza mentre saltava con Potere e Paul Klee. E poi sono stata rapita da Helmi Sa7bi, che ha portato la sua infanzia turbolenta e i vicoli del centro storico di Genova nella sua musica e se le è fatte urlare in faccia dal pubblico mentre cantava brani come Houma. Ciò che raccontiamo di intimo, se condiviso, ci torna indietro con una potenza infinita.

Più andava avanti la serata, più aumentava l’hype: Tredici Pietro e Lil Busso, Nerone, Miriam Ayaba, Spike, Ensi, Silent Bob e Sick Budd e la tanto attesa chiusura di Inoki. 

Io non so approfondire una critica artistica sull’hip hop e non voglio, per oggi soltanto, addentrarmi nelle sue criticità sessiste. Ma se c’è una cosa che ho imparato dalla lotta intersezionale è che la realtà è nelle strade, urla per farsi sentire ai piani più alti e spacca i muri delle istituzioni per trovare il suo spazio. E l’hip hop, che mi piaccia o no, inizia dalla strada.

 

Marta Massardo

Foto di Carlo Ceccarelli

VEZ5_2022: Marta Massardo

A dicembre scorso, mentre pubblicavamo per il secondo anno di fila le personali top 5 della redazione e degli amici di VEZ, ci eravamo augurati come buon proposito per l’anno nuovo di tornare il prima possibile e in modo più normale possibile ad ascoltare la musica nel suo habitat naturale: sotto palco.
Nel 2022 tutto sommato possiamo dire di esserci riusciti, tra palazzetti di nuovo pieni e festival estivi senza né sedie né distanziamenti. Però ormai ci siamo affezionati a questo format-resoconto per tirare le somme, quindi ecco anche quest’anno le VEZ5 per i dischi del 2022.

 

Cara Calma Gossip!

Per me è passata un’eternità dall’inizio del 2022 e mi sembra di potermi separare dal mio corpo e osservare i miei primi mesi dell’anno da spettatrice esterna. Un periodo strano e determinante, che ho vissuto sulle note dei Cara Calma, una colonna sonora che si è presentata al tramonto del 2021 e mi accompagna ancora adesso. È stato come tornare ai miei quindici anni e camminare per le vie del centro con i My Chemical Romance nelle cuffie: un dolore velato e quasi romantico. Mi servono gli schiaffi in faccia, sempre. 

Traccia da non perdere: Consumarci

 

Balto Forse È Giusto Così

È nella mia lista per il percorso personale che ho affrontato da quando ho recensito l’album su queste pagine a oggi. Avevo scritto: “Poi i primi anni di lavoro irrompono con le loro difficoltà e ci chiediamo quando scompariranno l’angoscia e il senso di inadeguatezza […]” Adesso mi sento molto vicina alla risposta e capisco che le emozioni che vorrei mi stanno cercando e devo farmi trovare.

Traccia da non perdere: I tuoi vent’anni

 

Ministri Giuramenti

Non c’è molto da dire: finché uscirà un album dei Ministri, ci saranno altissime probabilità che io vi dica di ascoltarlo, perché la musica è anche uno strumento di lotta politica e sociale.

Traccia da non perdere: Numeri

 

Editors EBM

È un album che unisce diverse generazioni, eterno come lo stile degli Editors ed è una consapevolezza che si è consolidata dopo essere stata al loro concerto al Balena Festival di Genova. Quando ho bisogno di sentirmi a casa e riconoscermi anche nella totalizzante frenesia quotidiana, so che l’indie rock britannico mi accoglierà sempre.

Traccia da non perdere: Heart Attack

 

Elephant Brain Canzoni da Odiare

Lo ammetto: sono entrata in un loop tremendo da cui non riesco a uscire. Canto a squarciagola la scena rock alternativa italiana perché sono del segno dei gemelli, ho le fisse periodiche e non riesco a dosarmi. E perché vorrei urlare al mondo che c’è molto di meglio dell’aura snob dell’indie italiano del 2016 (altrimenti chiamata Completamente Sold Out dei Thegiornalisti), che non si addice più alla mia personalità. Chissà cosa si direbbero i miei “Spotify wrapped” degli ultimi anni se si potessero parlare tra di loro. Forse ho bisogno di essere salvata, ma è anche vero che il 2022 non mi ha completamente soddisfatta nelle novità musicali. A ogni modo, gli Elephant Brain sono davvero forti e sono di Perugia come i Fast Animals And Slow Kids: speriamo che porti fortuna.

Traccia da non perdere: Calamite

 

Marta Massardo

Loren “Uniti” (Garrincha Dischi, 2022)

Siamo a dicembre, ma possiamo sempre cantare e ballare sulla spiaggia. E non mi riferisco all’atto concreto di andare al mare in inverno, che per chi vive in Liguria come me è normale: parlo di vivere emozioni estive, ma fuori stagione.

I Loren (Francesco Mucè, Richard Cocciarelli, Gabriele Burroni, Marco Ventrice e Dario Fischi) sono una band fiorentina, hanno esordito con il primo album nel 2018 e sono tornati sulle scene con Uniti, un disco perfettamente riassunto nel suo titolo. Per quanto io abbia un debole per il fascino dell’enigmatico (momento di auto-denuncia che potrebbe costarmi caro), sento la necessità di ascoltare anche musica trasparente, che racconta con semplicità la mia esistenza ordinaria e che sappia farmi sentire al posto giusto. 

Uniti è pieno di vita e ha la capacità di sbrogliare molti nodi, riconnettendosi a un concetto quasi primordiale: la musica serve per ritrovarsi insieme. Il disco esplora diversi generi e ospita numerose collaborazioni artistiche, come Nicola Manzan, i Vocal Blue Trains e la Galantara Marching Band, rafforzando ancora di più la coesione tra gli individui, il filo rosso di tutte le canzoni.

Partiamo con il singolo più esplicativo di tutto l’album: Viva La Paura. “Ma siamo qui e siamo vivi / E non importa se non ci hanno capiti / Fanculo gli schemi / Le corsie preferenziali / Evviva la paura / Di essere ordinari”. Contiene uno dei miei messaggi preferiti in assoluto: basta performatività a ogni costo, basta gare, basta dimostrazioni, basta avere paura di non distinguersi. Non è necessario essere eccezionali per essere amati e ricordati e noi moriamo se non mettiamo radici; i Loren ce lo ricordano con il coro gospel potente dei Vocal Blue Trains. 

E se l’unione è la forza da cercare, la competizione esasperata e l’odio sono la nostra debolezza. Buio è un brano che scardina i principi secondo cui dovremmo dimostrarci forti e racconta la bellezza di avere dei lati oscuri, attraverso i quali possiamo trovare la luce. Ci carichiamo con i nostri successi, proviamo soddisfazione quando chi non credeva in noi e ci ostacolava si ricrede: ma non è forse un vortice “tossico” inutile? Il bello della musica è cantare le nostre prospettive utopiche. “Vorrei che questa volta / Tu ci fossi davvero / E avessimo la forza / Di non dimostrare niente a nessuno / Vorrei che questa volta / Tu ci fossi davvero / E avessimo la forza / Di mostrare il nostro lato oscuro / Non dirmi che hai paura del buio / Non dirmi che hai paura se è tutto nero / Lo sai che è solo nel buio che puoi illuminarti e brillare davvero.”

La titletrack Uniti raccoglie un messaggio quasi politico e, con un ritmo indie rock inglese che ricorda una melodia dei Vaccines, ci racconta che la nostra resistenza sta nella capacità di stare insieme e amare gli affetti che ci circondano. Ci vogliono soli, ma noi siamo “uniti per resistere”.

Adesso, immaginatevi di essere seduti a gambe incrociate su una spiaggia e indossare una felpa con il cappuccio tirato su per ripararvi dal leggero vento che solleva qualche granello di sabbia. State cantando canzoni per tutti i gusti insieme alle persone che vi piacciono, immersi in un’emozione corale. Vi alzate in piedi per ballare e siete consapevoli che il mondo intorno a voi privilegia la competitività e che le sue idee di solidarietà, amicizia e famiglia sono solo maschere che celano l’individualismo. Voi lo sapete, ma nel vostro piccolo state cambiando e lo raccontate davanti al mare con la musica. 

Ecco i Loren.

 

Loren
Uniti
Garrincha Dischi

 

Marta Massardo

Blindur: la musica è una chiave che apre le porte

Blindur, nome d’arte di Massimo De Vita, è un cantautore, polistrumentista e produttore della scena musicale alternativa italiana. In occasione dell’uscita di Exit, il suo terzo album, ci ha raccontato il suo percorso artistico, fatto di simboli, curiosità e condivisione.

 

Ciao, piacere! Conosciamoti meglio: cosa significa fare musica per te?

“È una cosa indispensabile. Scrivo canzoni perché ne ho bisogno, è un’urgenza comunicativa ed è una mia propensione naturale. Negli anni, la musica è diventata il mio lavoro e non solo come cantautore: sono produttore, sono stato musicista per altri. Sono riuscito a far diventare quello che era uno sfogo la mia attività principale.” 

 

Quindi, possiamo dire che ti piace fare musica a 360 gradi?

“Sì!”

 

Ti faccio una domanda che mi piace sempre, per esplorare i percorsi degli artisti: in cosa si distingue Exit, l’album che sta per uscire, dai due precedenti? E in cosa è simile?

“Allora, è molto diverso per certi versi e molto simile per altri. Molto diverso perché è il disco per cui ci è voluto più tempo, mi sono serviti due anni. Per i due precedenti, invece, ci ho messo sei mesi, sono stati fatti in tempi rapidi. È diverso perché, anche se in precedenza ho fatto delle collaborazioni, i primi due album li ho fatti perlopiù da solo. Ho anche suonato gli strumenti e prodotto da solo, è stato proprio un lavoro in solitaria. Questo disco, invece, è un lavoro corale. Ovviamente, ho fatto la mia parte, ma ho avuto tantissimi collaboratori, dalla band che mi accompagna dal 2019, ai produttori. Le cose più simili riguardano l’estetica: il primo disco è molto folk, il secondo è molto rock e nel terzo disco i due generi sono in armonia, hanno trovato un equilibrio. Ci sono state anche altre influenze, come la musica elettronica.”

 

Il prossimo disco chissà come sarà!

“Sono molto curioso, non ho il timore di risultare diverso da me stesso.”

 

Mi racconti qualcosa in più a proposito delle collaborazioni che hai citato? Ho subito notato la canzone Stati di agitazione con Rodrigo D’Erasmo ed è sempre bello quando la musica è fatta insieme.

“Sì, negli anni ho collaborato con tanti artisti e sono prima di tutto amici che si prestano con gioia ed entusiasmo. È successo con il famosissimo pianista Bruno Bavota, con Adriano Viterbini, chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion e degli I Hate My Village e con JT Bates dei Big Red Machine.
Questa volta ho contatto degli amici per creare dei brani e alcuni hanno messo del loro nella musica. È il caso di La festa della Luna, dove ho deciso di accogliere la parte di testo di Monique Honeybird Mizrahi. È successo anche con Rodrigo e con Roberto Angelini, che hanno dato una armonia diversa alle mie canzoni. E poi c’è J Mascis (Dinosaur Jr, NdR) che ha suonato nella canzone Mr. Happytime e che ha totalmente rivoluzionato il brano quando sono arrivate le sue chitarre. Quando è stato in Italia, lui mi ha scelto come apertura dei suoi concerti e abbiamo passato una serie di giorni insieme, backstage, palco ed esibizioni ed è nata un’amicizia. Non ha mai collaborato con una band italiana ed è un artista che, a suo tempo, ha suonato con i Nirvana ed è una roba che…”

 

È tanta roba!

“Eh, è proprio tanta roba!”

 

Ma continuando a parlare di “cose che si fanno insieme”: uscirà anche la versione in vinile del disco, in cui è previsto un gioco da tavolo, giusto? Com’è nata l’idea? È un bel modo per incentivare l’acquisto dell’album fisico.

“Allora, io sono un collezionista di nicchia: colleziono da una vita e sono un grande ascoltatore prima ancora di essere un musicista. Mi sono accorto che, negli anni, anche per lo spazio ridotto in casa, compro sempre meno. E compro principalmente per due motivi: o perché si tratta di dischi di artisti che reputo intoccabili, o perché sono degli oggetti speciali. Quindi, sono un grande ascoltatore di streaming, ha fatto tanto bene alla musica, ma resta il fatto che dal punto di vista economico è un po’ una croce per chi produce musica. L’acquisto fisico è in crisi perché non si può pretendere che l’ascoltatore medio acquisti un oggetto che trova anche gratis, con lo stesso contenuto. 

L’idea del gioco è nata, prima di tutto, dalla fantasia e all’inizio volevamo fare un’app, poi lo abbiamo inserito nel vinile. Il disco non è solo un contenitore di musica, mi verrebbe da dire che è la sua funzione marginale. Lo apri e ci sono dadi, pedine: è a tutti gli effetti un gioco da tavolo e l’ho inventato io, è disegnato a mano in acquerello. Chi compra il vinile acquista un oggetto unico e aiuta sia il disco, sia la stimolazione della creatività.”

 

Bisogna vendere esperienze: è una regola del marketing.

“Sono perfettamente d’accordo ed è il motivo per cui ho pensato che l’ascolto non può dipendere da un disco fisico, a meno che tu non sia un audiofilo.”

 

Passiamo ai testi: il tuo stile di scrittura è raffinato, hai una passione che si nota. Io credo che anche i testi più banali e meno ricercati abbiano la loro funzione e siano importanti, non voglio togliere nulla ad altri artisti. Raccontami qualcosa sul tuo processo creativo.

“Io sono un buon lettore, la parola scritta mi piace e mi stimola e ci tengo tanto. Mi faccio prendere molto quando devo lavorare ai testi. Quando ho scritto il primo disco avevo otto anni in meno e la scrittura era una sorta di diario, era più semplice. Questo disco aveva la necessità di una scrittura più verticale, che non fosse solo una narrazione quotidiana e volevo fornire agli ascoltatori una chiave per aprire delle porte, non solo delle finestre attraverso cui guardare fuori. Ovviamente, per dare delle chiavi e creare delle porte, le parole devono essere più simboliche, più metaforiche: deve esserci la possibilità di leggerle in più modi. Io so esattamente di cosa parlano le canzoni, so a cosa si riferiscono, ma credo che il goal di una canzone sia che ognuno ci veda qualcosa della propria vita. Deve essere sul piano dell’universalità e non credo di esserci riuscito sempre, spero qualche volta. Poi ci sono citazioni da libri, citazioni da film…è molto ricca la parola.”

 

Sono d’accordo con te, in generale l’arte è così e quando realizzi una qualsiasi opera, non dovresti mai essere troppo esplicito. Ma ti sei legato alla mia ultima domanda, perché io ho trovato dei riferimenti mitologici nel tuo album: Atlantide, gli dèi, il labirinto. Sei un appassionato?

“In realtà, più che la mitologia a me interessa la simbologia. Io sono un grande appassionato di simboli, io credo che siano importanti e penso che il simbolismo sia messo in secondo piano nella cultura occidentale. I simboli ci collegano a qualcosa di molto lontano nel tempo e ci danno la possibilità di leggere il presente in maniera più essenziale e sgrossare tutto ciò che non è necessario e andare alla radice delle cose, costruire punti di vista inediti. 

La mitologia è comunque un riferimento, fa parte delle mie letture, ma la mia è una questione legata all’ancestrale. Anche nei concerti ho una visione molto liturgica, io voglio che il concerto sia quasi un rito e per renderlo tale servono i simboli. La ‘A’ in copertina del mio vecchio disco è un cerchio incompiuto, la ‘X’ di Exit ho provato a spiegarla agli artisti che hanno realizzato le grafiche come un simbolo ancestrale, qualcosa che richiamasse l’antichità. E non per un vezzo, ma io credo davvero che i simboli aprano le porte e ne sono un esempio i dadi del gioco del vinile, che sono una consegna all’aleatorio, al fato. C’è un discorso dietro legato al cercare di contrastare le manie di controllo, che sono i padri della paura, la cifra di questa epoca. Quindi, sì: io credo molto nei simboli.”

 

Io avrei finito e ti ringrazio per il tuo tempo.

“Ahah, ho parlato troppo, sono prolisso.”

 

Mi ha fatto piacere! Possiamo anche continuare. E poi anticipavi le mie domande.

“Ahah super! Io spero che ti sia piaciuto il disco. E grazie!”

 

Certo! Grazie mille a te. 

 

Marta Massardo

Cosmo @ Balena Festival

Arena del Mare (Genova) // 23 Luglio 2022

COSMO

MAURIZIO CARUCCI

DITONELLAPIAGA

Balto

Lowtopic

Venice

 

L’estate del 2022 la ricorderò come la stagione che mi ha connessa al significato intimo e primordiale della musica. È l’anno in cui ho imparato a fare pace con la stanchezza e le delusioni, perché i miei anni non me li ridarà indietro nessuno ed è meglio divertirsi e sudare di fronte a un palco, perché anche se le ore di sonno che ti separano dalla sveglia per andare in ufficio sono poche, si riesce a trovare l’energia per lavorare. Ogni sforzo si riduce se ti rende felice.

La mia filosofia da quattro spiccioli è frutto di un’altra serata al Balena Festival di Genova, che ha acceso l’Arena del Mare in uno dei sabati sera più attesi dell’estate. Gli headliner erano Ditonellapiaga, Maurizio Carucci e Cosmo, ma la serata è stata scandita anche da Venice, dai Balto e da Lowtopic, che si sono esibiti sul palco secondario.

A scaldare l’Arena è stata la voce di Venice, una giovane cantautrice di cui spero che sentiremo parlare ancora e bene e che ha preparato il pubblico alla grande diva della serata. Ditonellapiaga è un tornado indescrivibile: canta, rappa, balla, è divertente ed è libera e sensuale. È innegabile che io abbia un debole per le donne che salgono sul palco dell’Ariston per gridare la libertà sessuale su Rai Uno in faccia ai conservatori che sperano ancora in un’esibizione del trio Il Volo. L’artista ha fatto ballare il pubblico con alcuni suoi brani, come l’ultimo singolo Disco (I love it) e Repito, Chimica e Vogue, presenti nell’album Camouflage. Ma il grande successo atteso e protagonista anche del merchandising della cantautrice era Spreco di Potenziale, una canzone che parla di quando resti aggrappata a una relazione che non funziona e che è dolorosa, quando rincorri qualcuno che non ti fa sentire le emozioni che vorresti. Come descrivere Ditonellapiaga con una parola? Magnetica. 

 

ditonellapiaga balena

 

Dopo l’energia e i balli della prima parte della serata, è arrivata la quota strappalacrime e malinconica dell’evento: Maurizio Carucci, cantautore genovese ed ex frontman degli Ex-Otago. Senza giri di parole, bisogna ammettere che la sua musica è molto diversa dalle proposte degli altri artisti che si sono esibiti prima e dopo di lui e che è stato un rischio inserirlo nella line-up tra Ditonellapiaga e Cosmo. Alla fine, però, Carucci era di casa, era circondato da persone amiche ed è un artista che fa parte della storia cantautorale genovese. Infine, sentire il pubblico cantare da ogni angolo dell’Arena La nostra pelle e Mare, ha ricordato il legame tra la città e gli Ex-Otago e non c’era modo migliore per urlare che fossimo a casa nostra.

 

carucci balena

 

Dopo la quiete, ecco la tempesta: i Balto. È stata la prima volta che ho sentito il pubblico intonare il coro “se non metti l’ultima, noi non ce ne andiamo” a degli artisti che suonavano in un intermezzo e sul palco secondario. Alla band bolognese è bastata solo mezz’ora per farsi amare dalla gente e per dimostrare il suo potenziale di fronte a una fanbase scatenata e coinvolgente. Inoltre, io amo avere ragione (posso dare la colpa al segno zodiacale dei gemelli?) e per me è stato un orgoglio sentirmi dire dalle mie amiche: “È vero, sono proprio bravi!” Io vi avevo avvisato su queste pagine a gennaio, all’uscita dell’album Forse è giusto così. 

Arriviamo al momento più bello e atteso della serata. Cosmo è di una bravura immensa, un fuoriclasse indiscusso, una persona che lotta e manifesta le sue posizioni politiche e sociali anche quando sono scomode e, soprattutto, è un artista capace di caricare il pubblico in un modo pazzesco. Puoi non conoscere le sue canzoni e può non piacerti il suo genere, ma sentirlo dal vivo è un’esperienza divertente e coinvolgente. L’Arena del mare ballava e cantava sulle note di Tristan Zarra, Animali, Antipop e tanti altri successi di Cosmo che ha cantato insieme a Pan Dan, un’artista che voglio menzionare perché realizza e vende vestiti e accessori originali dentro ai sacchetti del pane e il suo business merita attenzione (e ricordiamo che ha creato degli iconici copri-capezzoli commestibili con la liquirizia). 

Cosmo fa emozionare, fa baciare le coppie in uno slancio di romanticismo, fa divertire e ti fa ballare e liberare il tuo corpo in mezzo alla gente. Ogni giorno siamo circondati da tante persone, dobbiamo muoverci tra potenziali critiche e amarci per quel che siamo senza paranoie sembra un atto rivoluzionario. Il concerto del cantautore e DJ è stato, per me, il significato della libertà: un momento esente da ogni giudizio, in cui anime e corpi difettosi si sono uniti per divertirsi e cantare. E verso il finale, l’artista ha ricordato che nell’antichità non c’era il concetto di tempo che abbiamo oggi, in cui ogni aspetto della nostra vita deve stare dentro a dei ritmi. La musica durava quanto voleva durare, il suo unico limite erano le energie fisiche e mentali. Dopo averci regalato altri grandi successi come L’ultima festa e Sei la mia città, Cosmo ha salutato e ringraziato il pubblico emozionato buttandola in caciara con O calipp te piace, una canzone neomelodica napoletana che alcuni mesi fa era diventata virale sui social network.

Lowtopic ha chiuso la serata facendo ballare chi aveva ancora le forze e il coraggio di sfidare il mal di piedi e le gambe doloranti, ricordando, ancora una volta, il valore intimo e primordiale della musica: unire le persone e farci godere i piccoli e preziosi momenti della vita.

“Via, è ora di andare via/Iniziano a guardarci male/Eppure mi sento da Dio.”


Marta Massardo

foto di Plurale Video

Fast Animals And Slow Kids @ BOnsai Garden

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• Fast Animals And Slow Kids •

Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 06 Luglio 2022
Arena del Mare (Genova) // 07 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]L’ultima volta che ho ascoltato dal vivo i Fast Animals and Slow Kids – che vengono da Perugia – era luglio del 2019 e, anche in quell’occasione, ero nella suggestiva Arena del Mare, di fronte a un palco incorniciato dalle onde del porto e dalla lanterna. Era caldo e umido, come in ogni estate ligure, ero stanca e avevo tanti pensieri per la testa, ma l’idea di cantare con Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Jacopo Gigliotti e Alessio Mingoli mi rendeva felice. Tre anni dopo, nello stesso luogo, con lo stesso caldo, la stessa stanchezza e i pensieri per la testa, mi sono lasciata trasportare dai FASK nella loro data genovese del tour È già domani ora.

L’Arena si stava popolando sotto il sole arancione e calante, avvolta dalla voce di Giorgieness che faceva gli onori di casa: lei è stata ed è pazzesca. Vedere un’artista giovane, punk e femminista esibirsi su un palco urlando “E non ho chiesto io di essere/Dura e così fragile” in un vestitino rosa è poesia. Giorgieness è dolce, energica e allegra e porta con sé un discorso politico e sociale che va oltre la sua musica e spero che possa tornare presto a Genova da artista principale della serata, prendendosi lo spazio che merita.

Le luci artificiali e naturali sono calate. “Buonasera, noi siamo i Fast Animals and Slow Kids e veniamo da Perugia”: quanto ci era mancato sentirlo dire. Aimone riesce a instaurare un legame emotivo con il suo pubblico che è raro, è l’amico che ti vuole bene e te lo dimostra, si lascia trasportare e trasporta: si è commosso, ha abbracciato i compagni della band e le persone in piedi nelle prime file e la sua voce ha travolto chiunque. 

Adesso, però, devo fare una confessione necessaria a voi per continuare la lettura e a me per scrivere liberamente: è troppo difficile recensire un concerto dei Fast Animals and Slow Kids. Potrei fare l’intellettuale raffinata e dirvi che ho il blocco della scrittrice, ma la verità è che ogni canzone della band mi ricorda qualcosa o qualcuno. Non riesco a trovare un ordine cronologico per raccontare la serata, perché, anche a costo di sembrare banale, io riesco a ricostruire il live solo ricordando le mie emozioni.

Vita Sperduta, Cosa ci direbbe e Come un animale sono alcune delle canzoni che hanno confuso il mio smartwatch che, vibrando, mi ha avvisato: “A quanto pare, ti stai allenando.” Devo ricordarmi di zittirlo quando sono impegnata a piangere e sudare mentre canto e ballo di fronte a un palco. 

Tornando a noi persone serie ed estremamente malinconiche, i Fast Animals and Slow Kids hanno ricordato chi sono già nei primi minuti: dalle sonorità degli ultimi due album Animali notturni ed È già domani, all’invito a fare un po’ di rock and roll con la canzone Annabelle. A me, personalmente, i ragazzi di Perugia hanno ricordato quanto la musica sia meravigliosa e dolorosa a partire da Demoni. “Se questo è un demone che hai sempre accanto/Gli darò la caccia e te lo porterò via/Se sei da sola e lui ti sta parlando/Correrò più forte non ti lascerò più/Se questo demone sta divorando/Il corpo che per anni ho avuto fra le mie mani/Combatterò perché non possa averti/Sono ancora qua devi fidarti di me.” È una delle canzoni del gruppo più belle e difficili da ascoltare e penso che sia impossibile non sentirla propria. 

Nel 2019 amavo l’album Animali notturni ed era la colonna sonora di un anno importante nella mia vita che, tra alti e bassi, mi ha fatto crescere e prendere decisioni cruciali. Aimone ha annunciato la mia canzone preferita del disco invitando il pubblico a gridare che una volta si può sbagliare. Dritto al cuore parte piano, ma le sue prime parole sono già un pugno allo stomaco e poi esplode verso la fine. “Ti chiedo solo di restare a sentire/Darmi un minuto per capire che ho sbagliato ad andare/Tornare indietro non significa sempre fallire/Vorrei riuscire a non pensare più a te/Tutti i tuoi amici dicono di scappare/Di non voltarti neanche per farmi male/Ma sono pronto a questa crocifissione/Sfogati adesso e non andare più via.”

L’aspetto – a volte – negativo degli album che piacciono tanto e hanno successo è che creano delle aspettative alte e si può restare delusi dai brani successivi. È già domani è la perfetta continuazione di Animali notturni e le canzoni dei due dischi si intrecciavano in piena armonia durante il concerto. Lago ad alta quota è uno dei pezzi più emozionanti per Aimone, che ne ha raccontato le origini: durante una passeggiata in montagna, si è incantato a osservare un lago e dalle sue sensazioni è nato un testo che è una poesia universale. Con una mano impegnata a registrare un video per una mia amica assente, ho capito quanto siano inevitabili certe sensazioni. Dobbiamo goderci quello che abbiamo prima che arrivino l’oscurità e il freddo, perché l’agonia dell’inverno è una metafora che ci spaventa, un’ombra che a volte ci segue anche quando va tutto bene. Le parole di alcune canzoni sono importanti per le persone che amiamo, per noi e per il resto del mondo.

Il 2017 era l’anno dell’album Forse Non È La Felicità, che contiene le tracce di un periodo difficile per i FASK. Infatti, il cantante ha introdotto il brano che dà il nome al disco spiegando che nei momenti negativi ci si concentra sugli obiettivi perché pensiamo che raggiungergli significhi diventare felici, ma spesso sono lontani e bisognerebbe focalizzarsi di più sul presente, che è il percorso che ci separa dai nostri scopi. Forse Non È La Felicità e Come reagire al presente (dall’album Alaska, 2014) sono due perfetti esempi di quanto la band ami rendere il pubblico protagonista, interagire e coinvolgerlo in cori emozionanti.

La fine del concerto è stata malinconica, ma era anche un momento atteso perché sapevamo che sarebbe arrivata la canzone iconica, il brano intramontabile che dai tempi di Hybris (2013) ci fa scatenare come delle rockstar devastate da un amore finito: A Cosa Ci Serve, la perfetta colonna sonora per sfogare la rabbia post-rottura. “Tanto lo so che muoio/Dammi più tempo/Ma in fondo è meglio il niente/Dammi più tempo/Ora che aspetto il treno/Dammi più tempo/Mi merito di peggio/E lo so che è meglio se esplodo.”

Poi è arrivato il momento di interrompere la magia, raccogliere le ultime energie rimaste per abbandonare l’Arena del Mare in un’estate piena di concerti e normalità. Eravamo stanchi, sudati, felici e con un’unica certezza: i ragazzi che hanno suonato sono i Fast Animals and Slow Kids e vengono da Perugia. 

 

Marta Massardo (Genova)

foto (Bologna) di Lucia Adele Nanni 

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The Killers @ Milano Summer Festival

Erano due anni che aspettavamo il concerto de The Killers e finalmente, dopo l’attesa, la band ha inaugurato l’estate all’Ippodromo Snai San Siro, al Milano Summer Festival. Il cantante Brandon Flowers, insieme alla sua band formata da Mark Stoermer, Ronnie Vannucci e Dave Keuning, ha festeggiato il suo quarantunesimo compleanno con noi, regalando una serata indimenticabile.

Nel traffico milanese accompagnato dai clacson, si muovevano orde di persone sorridenti e accaldate che si preparavano a una serata di musica. Nella confusione generale e studiando le strade migliori per parcheggiare, si notava una quantità insolita di gente che si dirigeva verso lo stadio San Siro con indosso la maglia dei Rolling Stones. Illuminazione. Ho preso il telefono e confermato i miei sospetti: la storica band britannica si sarebbe esibita quella stessa sera a pochi chilometri dai The Killers (non che servisse Sherlock Holmes per capirlo). Milano si stava preparando a essere protagonista del rock e c’era un imbarazzo della scelta che aveva il sapore del ritorno alla normalità.

Un concerto nei primi mesi post-pandemia, senza sedie e senza mascherine, è talmente importante da rendere sopportabili persino i 12 euro spesi per un panino mediocre con il prosciutto crudo e la mozzarella e le quasi assenti opzioni vegetariane e vegane. Nonostante la delusione della cena, l’organizzazione è stata lodevole, tra patatine e Pepsi in omaggio e l’alta disponibilità di bagni, la permanenza all’interno dell’Ippodromo si è rivelata confortevole. 

Ma passiamo alla parte più importante della serata. Brandon Flowers è entrato con un sorriso stampato sul volto che non l’ha abbandonato neanche un istante, impeccabile nel suo look total black eterno e meraviglioso. Tra coriandoli e altri effetti di scena, il pubblico estasiato si è abbandonato ai primi salti della serata dopo poco tempo, sulle note di When You Were Young. Il cantante ha quasi subito ricordato il tour annullato due anni prima e ha invitato il pubblico a guardarsi intorno e rendersi conto di essere, finalmente, insieme davanti a un palco. 

La scaletta non si concentrava sui brani degli ultimi album Imploding The Mirage e Pressure Machine, ma prevedeva un mix delle canzoni della carriera del gruppo. Dopo gli anni di assenza dai live, la band ci ha fatto ripercorrere tutte le emozioni memorabili dei ventuno anni di attività: è stato come ritrovarsi con dei vecchi amici e fare un riassunto delle reciproche vite. Così, Smile Like You Mean It, Jenny Was a Friend of Mine e Somebody Told Me sono stati i primi brani che ci hanno ricordato i grandi successi dell’album Hot Fuss e dell’epoca in cui ci incollavamo davanti alla televisione per guardare The O.C. (se ti ricordi la puntata con The Killers, possiamo essere amici). 

“There is nothing/I wouldn’t do/There is nothing/I wouldn’t give/There is nothing/Calling out”: sulle note di Caution, ho viaggiato nel tempo. Era marzo del 2020, durante il lockdown bisognava imparare a custodire le distrazioni che avevamo a disposizione, io potevo uscire pochi minuti al giorno insieme al mio cane e salivo in cima alla via in cui abito per vedere un po’ più di orizzonte e di verde. Dalle mie cuffiette usciva Caution, l’ultimo singolo del gruppo e con il telefono registravo una storia di quindici secondi per Instagram, inserendo proprio la canzone che accompagnava i miei passi e che mi dava qualcosa a cui pensare. “If I don’t get out/Out of this town/I just might be the one who finally burns it down.” Quanto avevate ragione, cari Killers.

Come già accennato, era il compleanno di Flowers e il pubblico non ha perso l’occasione di intonargli le canzoncine di auguri in italiano e in inglese, ma è stato il cantante stesso a fare una sorpresa a noi: Ti amo, di Umberto Tozzi. L’artista, leggendo il testo, si è cimentato nel celebre brano e dal prato dell’Ippodromo si è sollevato un coro stupito e divertito. Ci sono canzoni che, pur non ascoltandole mai, sono indimenticabili.

Due altri momenti splendidi della serata sono stati All These Things That I’ve Done, in cui il pubblico si è dimostrato un vero protagonista con il coro “I got soul, but I’m not a soldier” e le urla di gioia con Read My Mind. Le gocce di pioggia non ci hanno scoraggiato neanche per un istante. Man mano che le canzoni avanzavano, aumentava l’euforia, perché anche se il concerto stava per terminare, ci aspettavano due brani intramontabili.

Lo schermo sul palco ha iniziato a trasmettere le immagini di tante figure umane e poi una scritta: Human. Sulle note del grande successo dell’album Day & Age, il pubblico ballava, saltava e si divertiva ed è stato un momento liberatorio e felice. Al termine della canzone, sapevamo già cosa aspettarci. Nelle home di Facebook e Instagram, mi si ripropone spesso un articolo – è sempre lo stesso – che contiene una photogallery che ritrae i volti delle persone ai concerti dei The Killers, immortalate nell’esatto momento in cui capiscono che la band ha iniziato a suonare Mr. Brightside. Io non ho guardato le facce della gente intorno a me, ho provato a isolarmi con il palco per godermi la mia canzone preferita. Sono banale? Sì, ma non me ne pento. Mr. Brightside parla a chiunque, è l’esasperazione che provi quando ami, quando hai paura, non riesci a essere razionale e ti tormenti con dei film mentali che sono più dolorosi della realtà. Mr. Brightside non è una canzone, ma è la canzone.

Finito il concerto, il pubblico sorridente ha iniziato a disperdersi, stanco e felice. Con qualche altra patatina e Pepsi in omaggio tra le mani, mi sono diretta verso una lunga notte insonne di viaggio, sapendo che le occhiaie del giorno seguente sarebbero state comunque belle. 

 

Marta Massardo

Ministri “Giuramenti” (Woodworm, 2022)

I Ministri – il gruppo rock di Davide “Divi” Autelitano, Federico Dragogna e Michele “Michelino” Esposito – sono tornati con il loro settimo album Giuramenti, a un anno dall’uscita dell’EP Cronaca Nera e Musica Leggera.
La band ha annunciato l’uscita su Instagram con una presa di posizione sociale e romantica: “Mentre il vinile sembra aver trovato un posto nella modernità (spesso su una mensola più che sul piatto di un giradischi, ma tant’è), nessuno sembra voler dare una seconda chance al povero CD – nonostante siano ancora tante le case e le auto predisposte per lui soltanto. Giuramenti, il nostro prossimo album, uscirà il 6 maggio anche in Compact Disc, e per giunta in una speciale edizione che includerà anche i quattro brani dell’EP Cronaca Nera e Musica Leggera uscito l’anno scorso.”

Quando i Ministri pubblicano qualcosa di nuovo io sono felice, ma ho anche paura, perché temo sempre che le nuove canzoni non mi piacciano come le precedenti: è come se mi ancorassi a uno stato di perfezione e volessi custodirlo, evitandogli un possibile confronto fatale. La musica, però, deve maturare, perché i Ministri sono una band politica ed è la loro necessità di raccontare le criticità sociali attuali a renderli meravigliosi. 

Partiamo con i primi due singoli estratti dalle nove tracce del disco: Numeri e Scatolette. Numeri è un invito a riprendersi la collettività in un mondo permeato dai dati, in cui sembra che le cifre stabiliscano cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Oggi più che mai “Scendi in strada a cercare qualcuno / Scendi in strada a cercare rumore”, perché non è troppo tardi per vivere liberamente. A proposito del secondo singolo, i Ministri affermano: “Scatolette, tra le ballate che abbiamo scritto, è una delle più amare, probabilmente perché parla della crisi di una delle cose che ci sono più care – la musica. Quella musica con cui abbiamo stretto un patto ancora ragazzi, quella musica che pareva un angolo di libertà e indipendenza in un mondo che si preoccupava solo di far cassa, quella musica che sembrava poterci salvare. Scatolette è anche una canzone su tutte le luci che si sono spente: biblioteche e discoteche per la prima volta unite in un lento declino di cui non riusciamo più a vedere l’inizio.” La voce di Divi canta il dolore di chi ama il proprio lavoro ed è costretto a fare sacrifici e farsi sfruttare per avere una piccola speranza: “Voi ci volete comprare / Noi ci vogliamo salvare / Ma ci volete davvero / Non ci farete del male”. Raccontando la crisi della cultura e dello spettacolo attraverso la loro esperienza, i Ministri confermano un dogma forse sottovalutato: il personale è politico.

Ma passiamo alle note dolenti, ovvero alle mie canzoni preferite dell’album: Vipere ed Esploratori. Probabilmente, vi chiederete che senso abbia definire “dolente” qualcosa che mi piace, ma credo che il tratto distintivo dei Ministri sia la loro capacità di farti male. È la sensazione che provi quando infili le cuffiette e ascolti un brano che senti tuo e ti vibra nella pancia, per poi espandersi e farti venire la pelle d’oca. Vipere si apre con il finto messaggio tranquillizzante “Non avrai più niente da temere / Tra le vipere del tuo cortile / Stanno dormendo / Sotto quel sasso” e racconta un sentimento di continua incertezza. Ci sono momenti di calma in cui ti prendi del tempo per respirare e goderti la vita che ti sembra normale, ma le vipere stanno solo dormendo, è una quiete apparente accompagnata da uno stato di allerta che non ti abbandona mai. Esploratori è una canzone che si adatta a tante persone, uno di quei brani dei Ministri che parlano di percorsi di vita e disillusione e che si modellano sulle nostre vite. “Ti volevi arrampicare / E trasformare il mondo insieme a lei / Ma il mondo finisce qui.”

Davanti al computer, digitando le lettere per raccontarvi cosa penso di Giuramenti, ho realizzato quanto sia strano, da ascoltatrice, avere paura di un nuovo album: non è forse un sentimento che ci si aspetta dai musicisti? Si è creato un senso di reciprocità e credo che sia l’apice della musica. Inoltre, non è sempre corretto considerare ogni album come un’entità a sé stante: Giuramenti fa parte di un discorso più ampio che i Ministri portano avanti dal 2006, fatto di arte politica o, come piace definirla a me, lotta cantata. È come leggere un libro in cui ci sono svariati capitoli e alcuni possono essere migliori di altri, ma è il loro insieme a rendere completa la storia. Quindi, nessuna delusione: le nuove canzoni mi piacciono come le precedenti.

 

Ministri

Giuramenti

Woodworm

 

Marta Massardo

rovere: le esperienze che fai modificano la persona che sei

I rovere, Nelson “Nels” Venceslai, Lorenzo “Stiva” Stivani, Luca Lambertini, Davide “Frank” Franceschelli e Marco “Paga” Paganelli, hanno pubblicato il loro secondo album, intitolato dalla terra a marte. Per l’occasione, abbiamo chiacchierato con uno Stiva molto emozionato per il nuovo disco nel suo giorno di uscita.

 

Ciao, Stiva! Piacere. Come va?

“Ciao, piacere mio! Tutto bene, tutto bene. Giornata lunga, con l’emozione per l’uscita del disco…dai, siamo molto contenti.”

 

Voi avete fatto questo viaggio dalla Terra a Marte: raccontaci qualcosa.

”Questo disco abbiamo iniziato a lavorarlo più di due anni fa. Ci eravamo rinchiusi in una casa di montagna nei pressi di Vipiteno e avevamo iniziato a scrivere la prime canzoni, tra cui freddo cane. Una sera, mangiando insieme con la televisione accesa sul telegiornale, abbiamo sentito questa notizia che ci diceva di tornare a casa perché si stava chiudendo.”

 

Ah, subito prima del lockdown!

“Sì, è stato assurdo perché è stata l’ultima volta che ci siamo visti per almeno due o tre mesi e ci siamo trovati a lavorare in un modo totalmente nuovo: a distanza, ognuno nella sua cameretta. E dopo un iniziale momento ovvio di fatica per la nuova situazione, sono nate un sacco di canzoni che poi in questi due anni abbiamo rielaborato, modificato e fatto nostre. Da lì è nato il disco. Il tema del viaggio dalla Terra a Marte è nato perché non potevamo viaggiare in quel periodo, se non con la mente e la musica e per me è stata quell’ancora di salvezza che ci ha tenuti attaccati alla realtà e attaccati al desiderio di vivere in un momento in cui di vita non c’era nulla. C’era solo un esistere, uno stare nelle nostre case aspettando e la musica ci ha dato modo di fare tesoro di quel tempo che ci era stato dato.” 

 

rovere dalla terra a marte

 

Qualche settimana fa è uscita crescere. Volevo chiederti: com’è stata la crescita dei rovere? 

“In realtà noi venivamo da un periodo abbastanza strano. Il 2019 per noi è stato un anno importantissimo: è uscito il nostro primo disco disponibile anche in mogano, ma abbiamo fatto anche più di cinquanta concerti. Abbiamo passato più di due mesi in giro per l’Italia dormendo in alberghi diversi ogni notte. È stato un periodo molto intenso, molto euforico, ma non ci dava il tempo materiale di riflettere su quello che stavamo vivendo e anche su quello che stavamo diventando, perché le esperienze che fai modificano inevitabilmente la persona che sei. Quindi, non avevamo mai avuto l’occasione di confrontarci con noi stessi sulla nostra vita ed è stata un’occasione di crescita poter ripensare a tutto questo. In realtà è come quando si parte per un viaggio e si cercano delle risposte…[si sente Stiva che parla con delle ragazze e cade la linea, poi mi richiama e mi dice che l’hanno fermato chiedendogli se fosse un cantante.]
Allora, parlavamo di crescere. Dicevo che questo periodo qua ci è servito sicuramente anche per fare un po’ di conti con noi stessi, come quando si parte per un viaggio, che può essere sia reale, verso un posto “vero”, sia con la mente, come con accade con la musica e con l’arte. Si cerca di ritrovare se stessi e molto spesso sono di più i dubbi che emergono rispetto alle certezze e così è stato per noi. Siamo partiti che volevamo capire chi fossimo e abbiamo commesso tanti errori, abbiamo trovato tante difficoltà. Ciò che ci portiamo a casa da questo disco è la bellezza di condividere, di fare la musica insieme tra di noi, ritrovarci. Condividere la musica è ciò che ci rende felici, perché quando lavori per due anni chiuso nella tua stanza per la maggior parte del tempo, o in uno studio con le solite cinque o sei persone, ti sembra che la musica finisca lì. Quando non ci sono i concerti, la condivisione e la risposta del pubblico non esistono. Quindi, abbiamo proprio bisogno di feedback.”

 

Poi ci sarà anche il tour. Immagino siate carichi!

“Noi non vediamo l’ora perché, purtroppo, dovevamo iniziare tra un mese. Era tutto organizzato, ma la situazione non permette di dare certezze. Ti faccio un esempio: quando suoniamo a Bologna, ci sono persone che, magari, vengono da Napoli o dalla Sicilia e che prendono un aereo e spendono ulteriori soldi. Noi ci tenevamo che l’organizzazione fosse perfetta, soprattutto per queste persone che si organizzano per non perdere tanti soldi. La situazione di emergenza non può dare certezze per i concerti, noi ci esibiamo con il pubblico in piedi e senza mascherine e abbiamo deciso che la cosa migliore fosse rinviare a luglio e godersela pienamente.”

 

Speriamo ci sia più sicurezza.

“Esatto. Come recita la nostra canzone la libertà, che è all’interno del disco, noi vogliamo che il pubblico viva in libertà il concerto. Dal punto di vista di socializzazione, di arte e condivisione e sarebbe brutto viverlo con la paura di contagiarsi, entrare in contatto ed essere troppo vicini. Cioè…no! Non vogliamo che lo vivano così, partiamo il 2 luglio con Padova, poi toccheremo la nostra città di Bologna, toccheremo Torino. Insomma, gireremo l’Italia e non vediamo l’ora.”

 

Mi viene in mente però che, anche se siete stati distanti dal pubblico, i rovere si incrociano con YouTube. Io stessa ho guardato i vlog di Nelson [youtuber famoso per i canali Space Valley e Nels, N.d.A.] in cui registravate l’album e secondo me questo vi ha avvicinato al pubblico, è un valore aggiunto.

“È indubbiamente un valore aggiunto. Io ti parlo proprio di contatto umano. È vero: i feedback li hai perché vedi le persone che condividono la loro frase preferita di una canzone, ma è comunque a distanza e non è come le persone che ti cantano davanti a un concerto. Forse ci eravamo abituati troppo bene nel 2019, però a me piace pensare che quella fosse la normalità. E ben vengano, ovviamente, tutte le occasioni di incontrarsi a distanza, perché in questi anni sono state oro. Però, a noi manca quel contatto umano, come quelle ragazze di prima che ti fermano per strada e ti chiedono se sei un cantante e non sanno neanche bene chi sei, magari ti hanno visto su una copertina, ma sono curiose e ti fermano. A noi mancano queste cose qua.”

 

Diciamo che abbiamo dovuto trovare qualche alternativa in questi due anni. Mi lego al discorso sulla crescita che facevamo prima: in questo album ho ritrovato i rovere di disponibile anche in mogano, per esempio. Però ci sono delle differenze dai lavori precedenti e, quindi, qual è il tratto distintivo di questo album oltre a quanto abbiamo detto sulla pandemia?

“Al di là delle tematiche del disco, ci sono differenze abbastanza importanti. Dal punto di vista musicale, abbiamo avuto una collaborazione che per noi è stata totalmente nuova ed è stata con Matteo Cantaluppi, il produttore del disco, noi lo stimavamo tantissimo. Desideravamo da tempo che lavorasse con noi, perché volevamo quel suono di band che lui sapeva dare. È bravissimo in questo e ha lavorato con gruppi come Fast Animals and Slow Kids, Thegiornalisti e nei suoi lavori è riuscito sempre a dare quel suono che a noi piaceva tantissimo, che sapeva proprio di suonato, con chitarra elettrica, batteria acustica. Sa fare un lavoro di mixaggio che a noi piaceva molto e quando siamo riusciti a fare il primo singolo con lui, freddo cane, l’abbiamo portato dentro tutte le altre cose e gli abbiamo proposto di fare il disco. Lui si è trovato da subito molto bene con noi ed è venuto naturale. Quindi, prima di tutto ti dico che la differenza sta in questo: nello spazio musicale si sente un bel level up, c’è una cura a livello di suoni e arrangiamenti che è diversa e anche più matura rispetto a disponibile anche in mogano. Rispetto invece ai testi, in questo disco ci siamo confrontati anche con altri autori e abbiamo scritto più canzoni e abbiamo avuto più possibilità di scelta. Rispetto a disponibile anche in mogano, è un album più lungo perché abbiamo trovato più canzoni e ci siamo detti: “Ma perché dobbiamo fare un album di dieci canzoni come l’altro?” E alla fine, c’erano quattordici canzoni che ci piacevano e le abbiamo inserite tutte ed è venuto fuori un album che, secondo me, è più sincero, parla più di noi e ci rappresenta di più. Per me, con questo disco siamo riusciti a essere più noi stessi e più riflessivi su quello che volevamo condividere. Magari, col primo disco abbiamo avuto uno strumento di comunicazione col nostro pubblico che non pensavamo di avere, non credevamo che avremmo avuto quel riscontro. Con questo disco un po’ di consapevolezza ce l’avevamo e volevamo sfruttare l’occasione per raccontare chi fossimo, perché ne sentivamo il desiderio.”

 

Dopo questi due anni, direi che fa bene qualcosa in più. Io ho finito e ti ringrazio!

“Ma il disco ti è piaciuto? Posso chiedertelo?”

 

Sì, mi è piaciuto! Però io sono molto fan di disponibile anche in mogano, ce l’ho nella testa da tanto tempo, ma anche i singoli lupo e crescere mi sono entrati subito in testa.

“Dai, sono contento, mi fa piacere. Speriamo di vedere anche te a un concerto!”

 

Certo, io ci sarò! Grazie mille, ciao!

“Grazie a te, ciao!”

 

Marta Massardo

Il rock emotivo dei Cara Calma

I Cara Calma sono tornati con il loro nuovo album GOSSIP!, che racconta molto di loro stessi e del momento che stiamo vivendo. Per l’occasione, abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per scoprire le emozioni racchiuse nell’ultimo lavoro.
Ciao ragazzi? Prima domanda un po’ a bruciapelo: come state?
Cesare: “Ciao belli, bene, stanchi come tutti di questa situazione, ma bene.”
Parliamo del vostro ultimo album, GOSSIP!: di solito i gossip si associano poco al rock. Voi come mai avete scelto questo titolo?
“Si è vero il titolo potrebbe sembrare un po’ contraddittorio ma per noi ha un significato più recondito. Partendo dal presupposto che fare musica per noi significa comunicare tutto ciò che c’è di più intimo in noi, bisogna però fare i conti con il fatto che tutto quello che componiamo registriamo e poi masterizziamo su un cd o carichiamo sulle piattaforme viene in qualche modo mercificato, perché le persone possano ascoltarlo e condividerlo. Si tratta di fare gossip di noi stessi e quest’idea ci piace e ci spaventa allo stesso tempo.”
L’album ha un po’ il sapore di una confessione. È stato difficile realizzarlo o invece più spontaneo?
“È arrivato da solo portato da una serie di circostanze ed emozioni provate in questo periodo e senza mentire si può dire che questa situazione pandemica ci ha quasi costretto ad una vera e propria confessione. Ti posso dire quindi che la scrittura, nonostante sia avvenuta a distanza causa Covid, è stata spontanea.”
Cosa distingue GOSSIP! dai vostri lavori precedenti, Sulle Punte per Sembrare Grandi e Souvenir?
“Rispetto ai lavori precedenti Gossip! è sicuramente più vario a livello di dinamiche e c’è qualche canzone come per esempio Per un Attimo o Kernel in cui abbiamo voluto sperimentare un diverso tipo di sound, utilizzando strumenti che non avevamo mai preso in considerazione come i fiati.”
Recentemente avete collaborato anche con i Balto per una canzone del loro disco, intitolata Le Giornate da Morire. È una canzone che parla di incertezza e dello stigma legato al “tempo perso”, temi importanti da affrontare e condividere. Ci raccontate qualcosa in più su questa collaborazione?
“La collaborazione è nata, come spesso accade, prima fuori dallo studio e poi si è consumata lì. I Balto sono amici e Riccardo è stato molto felice quando gli hanno chiesto una partecipazione nel loro ultimo lavoro; il pezzo è molto bello e anche il disco, quindi “Daje tutta regà!””
Un’ultima domanda: se doveste spiegare chi siete con una vostra canzone, quale sarebbe e perché?
“Penso che a questa domanda risponderemmo tutti e quattro con quattro canzoni diverse, io parlo per me e ti dico Kernel perché è la canzone a cui sicuramente sono più affezionato. Scrivere quel pezzo è stato tanto facile quanto doloroso, è sicuramente una delle nostre canzoni più strane a livello sonoro ma anche una delle più emotive.”

Francesca Di Salvatore & Marta Massardo

Balto “Forse È Giusto Così” (Pioggia Rossa Dischi/Schiuma Dischi, 2022)

Forse È Giusto Così è il primo album dei Balto, la band romagnola formata da Andrea Zanni, Manolo Liuzzi, Alberto Piccioni e Marco Villa.

Se, come me, appartieni alla fascia di età protagonista dell’album, le nove canzoni che lo compongono ti sembreranno raccontare la tua storia, l’incertezza e la paura del futuro che prova la nostra generazione e sono un invito ad accettare che non si può avere la vita completamente sotto controllo.

Il mondo è così frenetico, ci sentiamo in dovere di costruire il nostro futuro e non sempre sappiamo chi vogliamo diventare, quindi, ci scontriamo con il peso delle scelte successive ai nostri studi. Poi i primi anni di lavoro irrompono con le loro difficoltà e ci chiediamo quando scompariranno l’angoscia e il senso di inadeguatezza, sentimenti ai quali troviamo una risposta nella titletrack Forse È Giusto Così: si può avere paura del futuro e sentirsi in difetto perché le persone intorno a noi sembrano essere più produttive e performanti, ma non si può controllare ogni aspetto della propria vita. Ascoltando il brano, ci si sente autorizzati a calmarsi, perché nel resto del mondo ci sono persone che hanno compiuto, stanno compiendo o compiranno i nostri stessi passi e si può andare avanti.

E se ci si chiede che cosa accada quando si va avanti, interviene il primo singolo Quella Tua Voglia di Restare, che è una lettera dal futuro – più precisamente dal 2 aprile 2024 – scritta alla soglia dei trent’anni, alla fine del percorso emotivo contenuto nell’album. Il protagonista si rivolge al proprio padre e racconta che, nonostante il dolore provato per aver perso una persona cara, la vita è proseguita e ora ha trovato la sua stabilità emotiva. È come se i Balto volessero rassicurare se stessi e la generazione di cui parlano: la paura che proviamo oggi finirà e troveremo la tranquillità che cerchiamo.

Tornando al presente, I Tuoi 20 Anni è una confessione, un pugno allo stomaco per una generazione che vorrebbe spaccare il mondo, ma si sente fragile, confusa e cerca la propria identità vivendo continui sbalzi di umore. La canzone è un percorso di crescita perfettamente espresso nei tre diversi finali del ritornello: “E io con me stesso non ci so più stare / E io con me stesso non ci voglio parlare / E con me stesso adesso ci so stare”. 

Forse è giusto così è tutto questo, è un mix di sensazioni che speriamo di superare con l’avanzare dell’età e che forse ricorderemo con affetto e nostalgia, come accade oggi quando pensiamo all’adolescenza. Ma non pensate che l’album sia necessariamente triste: è confortante sentirsi in compagnia e lo proviamo con Le Giornate da Morire, in collaborazione con il gruppo rock bresciano Cara Calma. Il brano racconta le giornate malinconiche e noiose, nelle quali ci troviamo a riflettere sulla nostra vita e che si rivelano necessarie per scoprire noi stessi. Il mondo ci chiede di essere performanti e perseguire un preciso obiettivo e non avere tempo libero è diventato il nuovo status quo di cui vantarsi.
La canzone invita a non sottovalutare la noia e la tristezza e ad apprezzarle, perché sono necessarie per avere un dialogo con le nostre fragilità e per pensare alle giornate future trovando nuove ispirazioni. “Noi siamo il nostro tempo perso” è la frase del ritornello che riassume al meglio il significato di tutto il brano. La potenza della canzone sta nel suo essere condivisa con un’altra band, rafforzando l’idea che gli anni che stiamo vivendo siano un percorso collettivo e che sia inutile colpevolizzarsi. È bello sapere che ci siano più voci a dire “L’incertezza non è colpa mia”.

I nostri anni sono anche quelli degli amori, in cui non capiamo se siamo ancora troppo giovani o già abbastanza grandi per intraprendere una relazione “definitiva”, ma non sempre sappiamo se la vogliamo davvero. A entrare nel discorso è Niente di noi, un brano che racconta la fine di una storia d’amore, che è un’esperienza frequente tra i venti e i trent’anni. La canzone è un viaggio attraverso i momenti belli di una relazione e una volta giunti al termine del rapporto, bisogna accettare la nuova realtà e le scelte dell’altra persona, anche quando rimane un attaccamento affettivo. Lasciarsi non significa necessariamente cancellare, è giusto voler conservare il ricordo ed è un sentimento esplicitato nell’unica frase del ritornello: “E per non perderci niente di noi”.

Forse è giusto così è un album intimo in cui ci riconosciamo ed è un ottimo inizio per i Balto, che hanno voluto realizzare una vera e propria presentazione. Non resta che augurare loro buona fortuna, sperando che l’introspezione resti sempre un tratto caratteristico della loro musica.

 

Balto

Forse È Giusto Così

Pioggia Rossa Dischi / Schiuma Dischi

 

Marta Massardo

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