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Tag: moses sumney

VEZ5_2020: Massimiliano Mattiello

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Young Jesus “Welcome to Conceptual Beach”

Sono in quattro, sono di Los Angeles e il loro è un disco irregolare ed emozionante che esplora territori prettamente art rock.
In tre quarti d’ora di musica emergono influenze jazz, Talk Talk e post-rock con grande gusto melodico e una creatività compositiva in cui fluttua leggiadra una voce dichiaratamente ispirata a maestri come Antony/Anohni. La loro musica non si pone limiti a proposito di struttura e durata delle composizioni.
L’album lo considero, senza titubanze, una genuina sperimentazione che fa emergere momenti in cui l’ingegno del quartetto californiano incontra il genio.

Traccia da non perdere: (Un)knowing

 

Moses Sumney “Græ”

Statunitense di origini ganesi, Moses Sumney offre un paesaggio sonoro lungo e alieno, complesso e intricato, dove ci si specchia senza pudore e in modo estensivo. Il cantautorato di questi 20 pezzi è stilisticamente liquido e caleidoscopico. Trattasi di un songwriting mutante nel quale fiati, chitarre, violini, archi, arpe, elettronica e tasti vari costituiscono un folklore totalizzante a contrasto di una cornice intimista.
È lampante l’eleganza con cui vengono disposti ingredienti di electro-R&B, tendenze jazz, pop barocco, nu-folk e art-rock.
Moses l’ha chiamato Græ, ma per quel che mi riguarda, i suoni e i temi di questo disco hanno più i crismi dell’esplosione di colori di un Holi indiano convertito in musica. Mai come in questo caso, il grigio diventa un colore carico di riflessi iridescenti di incatalogabile bellezza.

Traccia da non perdere: Bless Me

 

Horse Lords “The Common Task”

Tra colleghi architetti spesso scherziamo definendo alcuni tentativi di minimalismo come una semplice scusa per non fare. Beh, per il quartetto strumentale di Baltimora, il minimalismo musicale è, al contrario, materia molto complessa.
In origine per similitudine accostabile ad una geometria simmetrica, pian piano il disco percorre un’asimmetria come generatrice del tempo musicale nel quale vengono miscelati in un ordine marziale math-rock, matrici afro, e un sapore fortemente kraut rock. Poliritmie angolari definiscono una musica atonale di un’intensità notevole.
Lo trovo un groviglio perfettamente composto di trame e ritmi, nel quale il climax crescendo dell’opera diventa la sublimazione di una sperimentazione lucida e conturbante.

Traccia da non perdere: People’s Park

 

Gil Scott-Heron & Makaya McCraven “We’re New Again – A Reimagining by Makaya McCraven”

Makaya McCraven, talentuoso batterista e compositore della scena di Chicago, crea un progetto dove decide di impiegare il suo estro di arrangiatore, produttore e performer al servizio dell’immaginario del poeta-cantautore di Chicago, “rimaneggiando” I Am New Here, ultimo, folgorante disco di Gil Scott-Heron, cantante e poeta di livello stellare scomparso nel 2011.
Reimmergendo la forza vocale e verbale di Gil Scott-Heron in un rinnovato flusso strumentale, il risultato è un approdo perfetto ad una sintesi fra sonorità elettroniche e acustiche dove il folk diventa rap, il free-jazz, gospel elettronico e molto altro ancora.
Dopo svariati ascolti posso considerare questi 40 minuti scarsi, un remix Jazz-blues contemporaneo pienamente riuscito, in cui un drumming sempre in prima linea e un cut-and-paste chirurgico rendono il disco una scrittura musicale (e feel da presa diretta) dalla forte evocazione culturale afroamericana. Contaminato e contaminante.

Traccia da non perdere: Me and the Devil

 

Adrianne Lenker “Songs / Instrumentals”

Adrianne Lenker dona un folk acustico dall’espressività emotiva coraggiosa. Il disco suona come una dolce confessione nella quale viene esternato un diario intimo di nostalgia e di inquietudine.
Arpeggi bucolici riempiono lo spazio di una musica che scorre in modo fisico, caratterizzata da suoni lo-fi e riverberi quasi naturali di pioggia e vento. Variabili tonali e armoniche della chitarra acustica vengono esplorate in un progetto unitario quanto brutalmente affascinante. La dimensione del disco è coinvolgente e sincera soprattutto nella sua incertezza lirica.
Un disco per anime sensibili, utile alle mie esigenze meditative.

Traccia da non perdere: Anything

 

Honorable mentions 

Yves Tumor “Heaven to a Tortured Mind” Un piacevole schiaffo glamour e smaccatamente pop sui canoni della black music più sperimentale. 

Jeff Parker & The New Breed “Suite For Max Brown” Qui i Tortoise c’entrano poco. Il disco è un percorso in cui un eclettico Jazz astratto viene contaminato dal groove dell’hip-hop e dall’elettronica, in un’epifania musicale impalpabile ma marmorea.

Special Interest “The Passion Of” Una voce male/educata, ritmiche elettroniche compulsive, suoni deflagranti e un espressività post-punk furente quanto necessaria. 

Brigid Mae Power “Head Above The Water” Un coinvolgente folk anglosassone dal respiro antico, un dolce lamento in cui anche la voce si fa strumento.

Protomartyr “Ultimate Success Today” Chitarre stridule e una voce flemmatica definiscono un post-punk in cui incombono pulsioni atomiche. Da non perdere.

 

Massimiliano Mattiello